Cerca nel blog

mercoledì 6 dicembre 2017

Tuna de Tierra - S/t

#PER CHI AMA: Psych/Stoner, Kyuss
I Tuna de Tierra nascono a Napoli all'inizio del 2013 dall'incontro tra Alessio (chitarra e voce) e Luciano (basso) che, grazie alla collaborazione di Jonathan Maurano (alla batteria), portano alla registrazione del primo EP autoprodotto nel 2015, 'EPisode I: Pilot', con un buon riscontro da parte del pubblico che ha permesso al terzetto partenopeo di solcare i palchi italiani e continuare con la loro produzione artistica. Questo self-title è prodotto da Argonauta Records che ha intuito il potenziale dei tre scugnizzi napoletani che non hanno deluso le aspettative. L'album è disponibile in digitale e nel classico digisleeve a due ante, con un artwork desertico disegnato dalla Ver Eversum, già protagonista di poster e illustrazione per band e festival. Le sette tracce sono un mix di sonorità stoner/psych rock che affondano le radici nella scuola Kyuss & Sky Valley Co., grazie a lunghe sessioni di jam lisergiche che trascendono tempo e spazio. Il trio infatti non adotta la scuola del wall-of-sound e si concentra su melodie orecchiabili, come nella prima track "Slow Burn", brano strumentale dai suoni potenti e con un assolo evanescente che guida il breve svolgimento del brano. Passiamo oltre e approdiamo a "Morning Demon", una lunga ballata rock che convince per gli arrangiamenti e la ritmica, mentre la linea vocale è sottotono e non riesce a dare la giusta identità al brano. Il trio convince sempre più sulla parte strumentale, proponendo riff che richiamano la scena stoner californiana, ma riescono a dare un apporto personale grazie a melodie non scontate. L'utilizzo delle progressioni crea una struttura di facile assimilazione che entra calda e lenta nelle nostre vene per poi esplodere nel finale dove ritorna il cantato che questa volta ha la grinta che il brano merita. Il trio ci delizia con "Long Sabbath's Day ", una sorta di desert-gospel-blues fatto di chitarra, voce e percussioni, ideali per una notte fredda e stellata tra rocce e sabbia, stesi su un polveroso tappeto davanti ad un fuoco mentre la tequila scorre incessantemente. I fumi dell'alcool si mescolano alle sterpaglie bruciate, gli occhi lacrimano per l'emozione legata alla catarsi tra uomo ed universo. "Laguna" invece abbraccia il post rock nella sua parte introduttiva con le chitarre che riecheggiano lontanissime, per poi mutare in una lunga ballata psichedelica fatta di fraseggi liquidi e di una ritmica vellutata. Pura lussuria per le nostre orecchie che trasmutano la melodia in serotonina e sfama i nostri neuroni appisolati, mentre il break annuncia l'entrata della classica cavalcata, assolo e rallentamento a chiudere. Mandando in rotazione l'album per giorni si viene rapiti dal sound caldo e avvolgente, dalle melodie oniriche che diventano aggressive quando serve e dalla passione vera per un genere che non accusa affatto l'età. Non definirei quest'album omonimo il seguito del primo EP dei Tuna de Tierra, piuttosto un'evoluzione artistica alla ricerca del proprio io su una strada che si perde all'orizzonte. Speriamo di rincontrarli presto. (Michele Montanari)

martedì 5 dicembre 2017

My Monthly Date - Chaos Theory

#PER CHI AMA: Indie/Alternative
Nella solleticante interpretazione suggerita dal concept, il modello matematico della teoria del caos sulle interazioni meccanicistiche tra particelle si applicherebbe alle interazioni umane e sociali. Come il battito di una farfalla potrebbe generare un uragano ("Butterfly"), così un singolo errore potrebbe condurre al termine della vita ("Shame"), o una risposta sbagliata alla perdita di un affetto ("Miles Away"). Come i suoni dilatati e Lanois/iani dell'introduttiva "Chaos Theory" prefigurano nel prosieguo scenari più visionari e distopici ("One Day More", "Lost in the Shadows", "21st"), così il pop solo immaginificamente space delle prime canzoni acquisisce mano a mano una profondità siderale (sentite "Butterfly" vs. "21st"). Gli autori citano Sum 41 e Linkin' park (sentite "One Day More" e "My Horizon"), ma voi avete passato i quaranta e quella roba lì mica la conoscete, così vi accontentate di rilevare i Red Hot Chili pop di 'I'm With You' ("Miles away") e, qua e là, i Porcupine Tree crepuscolari di 'The Incident' ("Shame" e "The Last"). Sperando di cavarvela. (Alberto Calorosi)

(4inaroom Records - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/MyMonthlyDate/

lunedì 4 dicembre 2017

Billy Boy in Poison - Invoker

#FOR FANS OF: Death Metal
“Well, well, well, well. If it isn't fat, stinking billygoat Billy-Boy in poison.”

A Danish band clearly enamored with 'A Clockwork Orange' (a book written in just three weeks and forever immortalized on film by Stanley Kubrick), this group of droogs so seamlessly blends into the black-clad gauge-eared breakdown-beaten buffoonery of metal's most corporeal and corporate dystopia that it could be easily mistaken for insincerity. However, the talent that kicks off this quintet's sophomore album shows an artsy attempt at furthering a solid grip on making metalcore just before it drops the ball in this release's mundane midsection.

“Absolution” and “Iron Grip” have gigantic sounds to them. Building and toppling fortresses as they rise to atmospheric pinnacles through the hollow echoes of muddy guitars and crumbling from blasting volleys in mere seconds, a crashing cascade that brings “Iron Grip” to satisfying release. Billy Boy in Poison leads with strength summoning its best efforts but blows its load too early. Prominent and melodic leads endure a laborious pace to heighten the impact of the rhythms and grooves, like in the funerary march of “Morcar” where diminishing notes hang by a thread before being swallowed by the next measure. There is a noticeable proficiency in the songwriting through the first half of this album.

“Come to get one in the yarbles, if you have any yarbles, you eunuch jelly thou.”
“A Walk on Broken Bones” is where this album loses its grip on the ball it had so delicately handled. Noisy and energetic, this song is set to be the sort of aggressive Lamb of God foray into modest metalcore mimicry but the guitars paint a swath of muddy meandering measures over such a by-the-numbers template that it becomes a mess of aggression without any compelling sounds to make it memorable. “A Walk on Broken Bones” is just the first leg of an uninspired journey with few landmarks worthy of a momentary glance but only due to the dullness of the landscape before finally reaching the riches of “Black Gold”.

The mediocrity of these b-sides shows how boundless break beats bonded to the baseless belief that they're building br00tality bores this death metal regular, no matter how much it may make the average pit ninja dangle from a plastic coated orifice flapping off the side of a core clone's cranium. “Exodus” starts smoothly enough with pinches of harmony and humming bass before becoming an average and jerky stomper. Merely a single moment betrays a glimmer of hope as the guitars gloriously glide through their grain to meet a tearing blast beat before being yanked into yet another spastic time change. Eventually “Exodus” bleeds into “Glaciers” and “Glaciers” abruptly crashes into “Mara”. Though “Glaciers” brings a preferable aggression, muddy and repetitive rhythms boast few engaging moments despite slight artistic slivers accentuating the atmosphere of the album. Through a very vocal oriented mix with an abundance of break beating that attempts to sound gigantic and imposing, the grooving deathcore throughout 'Invoker' loses its way in this dangerous territory as the droogs receive a self-inflicted punishment for this tepid traipse into br00tality's badlands.

In typical deathcore fashion, “Black Gold” is Billy Boy in Poison's big finish with an anthemic melody that falls into aggressive verses before returning to its beginning in each chorus. The final return is especially complimented by a robust snare and kick combination. As can be heard in the end of All Shall Perish's “The Last Relapse” or Abigail Williams' “The Departure”, “Black Gold” formulaically fades with a simple sappy melody to further legitimize the artistry and power experienced throughout the endless breakdown centered meat of this album. It's difficult not to be a bit jaded when it comes to listening to a paint-by-numbers deathcore release like 'Invoker'. Like a plethora of bands of Billy Boy in Poison's ilk, this album had a couple of good ideas in it but in no way has enough material to justify a forty-five minute full-length. Unfortunately with Billy Boy in Poison, the band's sophomore album contains merely an EP's worth of ingredients that were stretched too far. (Five_Nails)

Der Toten Lebend Schein - ...Von Leichen Bewohnt

#PER CHI AMA: Black Atmosferico
Der Toten Lebend Schein (che tradotto dovrebbe significare Il Morto Vivente Schan) è una misteriosa band teutonica che, dopo uno split album rilasciato nel lontano 2010 in compagnia dei Tåkeheim, si è un po' persa di vista fino al 2017. Complice il supporto della cinese Pest Productions, ecco che i nostri tedesconi rilasciano '.​.​.Von Leichen Bewohnt' (il cui significato dovrebbe essere "...abitato dai cadaveri"), un EP di quasi venti minuti votato ad un black metal atmosferico, cantato in lingua madre ed influenzato da un'inedita vena folklorica. Non lasciatevi però ingannare dal pianoforte posto in apertura a "Versagen": dopo un minuto infatti, i suoi leggeri tocchi lasceranno il posto alle fiamme infernali ordite dalle nere trame dei nostri che si riversano invasate, a tracciare i solchi di un lavoro oscuro e furioso. Un sinistro violino apre invece "Masken Der Vernunft", song che palesa l'animosità perversa della band germanica, in un brano che, nonostante i melodici riff di chitarra in tremolo picking, ha modo di chiamare in causa, almeno a livello vocale, i Mahyem mai dimenticati del buon Attila Csihar. Il riffing è a tratti serrato ed è più vicino al post black che alla fiamma nera tradizionale. Il cantato in lingua rende poi il tutto stranamente più evocativo. Un altro arpeggio e siamo già giunti alla lunga conclusione del dischetto, affidata agli oltre nove minuti di "Arkadien", la traccia più completa, incisiva e convincente delle tre qui incluse. La vena atmosferica si unisce qui con un piglio punk folk in una cascata musicale disarmonica, non convenzionale, che per certi versi, mi ha ricordato gli esordi degli In the Woods, in un brano che comunque ha da regalare spunti interessanti, sicuramente da sviscerare e sviluppare in un futuro non troppo lontano, per dar modo a questa band di tirar fuori le intriganti idee che hanno nel profondo. Bella scoperta. (Francesco Scarci)

sabato 2 dicembre 2017

Mallory - Sonora R.F. Part II

#PER CHI AMA: Rock, The Doors
Si prosegue con l'analisi della discografia dei Mallory: dopo aver recensito '2' e 'Sonora R.F. Part I', non potevo farmi mancare anche l'ultima fatica della band francese, 'Sonora R.F. Part II'. Come già detto, il quartetto parigino ha un'innata capacità di fondere blues, grunge e atmosfere eteree che rapiscono l'ascoltatore e lo fanno accomodare su una vecchia poltrona di pelle, ormai distrutta dal tempo, ma che conosci in ogni sua imperfezione. L'album contiene dieci brani in un digipack con la stessa grafica del 'Part I', ma a colori invertiti. All'interno sono riportati i testi, sia in inglese che in francese, come i Mallory ci hanno già abituato in passato. "Riot" è il brano che ha la responsabilità di aprire il nuovo album e lo fa con tanta energia, con il tutto che ricorda i vecchi Pearl Jam, con riff aggressivi che si abbattono con energia come una tempesta su un paesaggio quieto ed inerme. La ritmica è sostenuta, batteria e basso si spellano mani e dita per scaricare più rabbia possibile, mentre il cantato ruggisce con la sua timbrica graffiante ed esperta. Un concentrato di headbanging che dà poco respiro, a parte qualche break, ma poi i nostri riprendono le loro progressioni ed esplodono esausti nel finale. Un brano che sembra essere nato in un qualche scantinato di Seattle e non a Parigi. "So Wet" torna alle radici blues della band, il ritmo rallenta e i suoni si fanno di soffice velluto scarlatto che accompagnano perfettamente questa ballata malinconica e sensuale. Immaginatevi un locale buio, deserto se non per un'oscura figura seduta di fronte al palco che vede una ballerina esibirsi in una danza provocatoria, tra fumo di sigaretta e bicchieri di gin scolati per anestetizzare l'anima. Il vocalist accompagna perfettamente la melodia che si districa tra fraseggi classici, ma ben arrangiati e dai suoni perfetti. In alcuni punti si ha l'impressione di sentire i The Doors più passionali e meno lisergici, anche se i quattro musicisti transalpini hanno quella marcia in più che gli permette di giocare sugli arrangiamenti e fare la differenza. "Vertige" reintroduce il cantato in francese che si sposa perfettamente con la parte strumentale e colora un brano bipolare, con un inizio lento e struggente che inganna, facendoci pensare all'ennesima ballata. In realtà appena si percepisce il crescendo, i Mallory pestano sul pedale distorsore e apriti cielo, ritorna quell'energia e quella rabbia che si riflettono in una valanga di decibel. Ancora una volta la sezione ritmica ha un ruolo determinante, il basso viaggia veloce senza perdere un filo di groove, mentre il batterista può destreggiarsi in pattern goduriosi che portano l'ascoltatore a trasformare ogni superficie disponibile in una batteria e immedesimarsi con il maestro delle bacchette che sta dietro le pelli dei Mallory. La breve entrata del synth fa l'occhiolino agli arpeggiatori tanto amati dai The Who, la conferma che le cose semplici vanno fatte in maniera impeccabile per essere convincenti. 'Sonora R.F. Part 2' è un altro capolavoro targato Mallory, una band che non segue le mode e scrive la musica che gli batte nel petto, sempre vera e convincente. Arte unita ad una dose di pazzia che porta sul palco una rappresentazione equilibrata di musica e teatralità, non è da tutti sapersi muovere tra generi così diversi e con cotanta eleganza. Chapeau mon ami. (Michele Montanari)

Sheidim - Infamata

#FOR FANS OF: Black/Death
To those of you who haven't heard of Sheidim yet, they are a black/death metal quartet hailing from Barcelona, Spain. The band had been around since 2013, and they released their first vinyl format EP last 2015 which holds two unrefined and fierce tracks. Just last 2016, the band had put out their debut studio album under the banner of Dark Descent Records. The debut was named 'Shrines of the Void', and that album showed to the extreme metal community the excellent songwriting talent of these Iberian horde. This time around, just last September 2017, the band once again strike with a new offering called 'Infamata'.

It is quite remarkable to come across such an even-handed and well-rounded fusion of two sub-genres of extreme metal in a release. 'Infamata' is one that belongs to these extraordinary few. This EP from Sheidim was molded by the band to create a bloody profound and pristine experience for its listeners. And they sure had found success in that matter, because 'Infamata' showcases a solid synthesis that recalls the best indications of both speed-oriented black metal and death metal.

Every track on this EP was built in an admirable manner. Each of them offers a really entertaining and catchy ethos. Songs like "A Dying Sun" and "Underneath" hit the audiences incredibly hard with its fast and utterly aggressive death metal nature, topped with a very cold and evil atmosphere. Following those two mentioned tracks are "Wings of the Reaper" and "Sisters of Sleep", which have a really dark aura. The ambiance of those said tunes brings forth a very wicked black metal feel in the background.

All the songs here included also have that evident early Bathory riffing on the guitar section. Outside the Bathory-like guitars, we can also hear different guitar riffage delivered by C.S. which varies from classic rock 'n roll to vintage thrash riffing. I am awed by how quite amazing C.S. was able to apply all those guitar segments without dragging down that strong black metal mood of the songs. The tremolo riffs present here are also impressive. They show an absurd intensity even with their more melodic character. The tremolos sound incredibly aggressive, and even more foul than what you could expect that a black/death metal band would come up.

Alejandro Tedín's bass is perceptible but it maintains composure with the rest of the instruments and does well to complement the music in the album. That audible presence of the bass also adds an extra layer beneath the songs. Considering this is still in theory under the black metal flag, I would give my compliments to the band for having a surprisingly audible bass guitar line. Jordi Farré's drum work pounds away with furious blast beats, creating a menacing flavor to the offering. Jordi's drumming may not be that exceedingly decorative, but the guy sure knows exactly what he should be playing during each section to maintain the intended maniacal atmosphere in the record.

A.K., the band's frontman, sputters harsh screams and growls that sound like they came from Satan himself. His style, which is somewhere between a roar and a snarl, builds an intensely raw and powerful reinforcement to the tracks in the album. I really dig A.K.'s vocal approach because it is not muffled with effects. The EP's production is also quite solid for an underground extreme metal release. It's really refreshing to me, as I usually enjoy listening to those dreadfully produced basement-type demos and EPs when it comes to extreme music.

Well, there you have it fellas. 'Infamata' is a release that definitely has some special offerings for Sheidim's listeners. The violence on this record is pure and intact, and the entire iniquitous concept of black metal and death metal is in full form on this one. I suggest fans of both black and death metal to get a copy of this record. It's really worth the money, and it deserves a place in your metal collection. (Felix Sale)

(I, Voidhanger - 2017)
Score: 75

https://sheidim.bandcamp.com/album/infamata

venerdì 1 dicembre 2017

Vespertina - Glossolalia

#PER CHI AMA: Acoustic Experimental Folk, Chelsea Wolfe
Il mese di maggio, per la religione cristiana, è il mese dedicato alla Madonna. Quando ero ragazzino infatti frequentavo il rosario serale con i miei nonni, ogni sera di maggio. Si teneva la testa bassa e le mani congiunte e si recitavano innumerevoli avemarie, come sfondo campi di vigne ed il pigro tramonto primaverile. Sono proprio questi mesi di maggio della mia infanzia che riaffiorano vedendo Lucrezia decantare salmodie e arpeggiare dolcemente la chitarra sul palco dell’Arci Dallò, un’esperienza che non può essere relegata al solo aspetto musicale. Vespertina è in grado di creare una dimensione alternativa che pare raggiungibile solo attraverso anni di raccoglimento e di ascetismo, in cui la luce si fa da parte cosicché le tenebre possano sfoggiare il loro divino splendore. 'Glossolalia' è il nome del disco, una fusione tra “glosso” (lingua, dal greco) e “litania”, perfettamente calzante visto la similitudine delle tracce a preghiere dimenticate e l’utilizzo non convenzionale dell’italiano che va a quasi a delineare un nuovo idioma. Lucrezia spezza spesso le parole oppure le deforma incastonandole in vocalizzi mistici ed eterei, tanto da lasciare il significato dietro di sé per creare con i soli suoni un ambiente fuori dal tempo e dal pensiero. Il disco è stato preceduto dallo splendido singolo “Nuova York” un’uggiosa ballata che porta con sé un’oscurità ineffabile e delicata, a tratti sembra di sentire Chelsea Wolfe cantare su un brano di John Fahey. La malinconia e l’emozione impregnano il pezzo, tanto da ricordarmi un’alba invernale sulla sterminata campagna in pieno medioevo. Un contadino si appresta ad uscire dalla sua baracca, ancora intorpidito dal freddo, le mani crepate dall’umidità e dal lavoro. Assorto nelle faticose e ripetitive pratiche quotidiane, avanza lentamente tra gli alberi spogli. Lo sguardo però è rivolto alla bianca luce dell’alba che filtra attraverso la nebbia e per un attimo il velo della realtà si apre, la ripetizione si rompe e la maestosità della natura porta ristoro e conforto alle sue stanche membra. Dico di ricordare perché mi pare di aver vissuto in prima persona quello che ho sentito, anche se non può essere vero. In 'Glossolalia' è l’intimità a creare quest'effetto estemporaneo, intimità che è assieme un pregio ed un limite, sarei infatti molto curioso di sentire come le geremiadi di Vespertina possano essere rese attraverso l’utilizzo di altri suoni e di arrangiamenti magari più orchestrali. Ma questa è solo una mia curiosità, i componimenti acustici sono intimi per natura e Lucrezia è in grado di sfruttare questa caratteristica al meglio, come dimostrato nel pezzo di chiusura “Slumber”, che sa di mattina e di nostalgia e che suona come una preghiera pronunciata non per dovere o per fede, ma unicamente per il profondo bisogno dell’anima. Il brano è impreziosito dall’iniziale botta e risposta tra la voce e l’arpeggio di chitarra alla “Wine and Roses” di J. Fahey; una voce a metà tra un lamento ed una supplica poi si fa strada tra gli accordi, come a voler evocare qualcosa che non esiste più, come un fedele che nella sua preghiera dapprima ringrazia ma poi si lascia andare e disperato invoca su di sé la grazia divina. (Matteo Baldi)

(Dischi Bervisti, Dio)))Drone, Toten Schwan Records - 2017)
Voto: 80

https://diodrone.bandcamp.com/album/glossolalia

Tornado Kid – Hateful 10

#PER CHI AMA: Southern Rock
Le dieci cose che più odi, messe in musica dall'ensemble di San Pietroburgo o come affermato dalla band stessa, le tue dieci canzoni che ti vanno in disgrazia dopo una gestazione in studio di due anni. Questo è l'album dei Tornado Kid, inizialmente chiamato 'Cowboys from the North', presumo per la loro ostentata voglia di essere un po' yankee tra le gelide terre del nord, poi sfumato in chiave più violenta. Al contrario di quanto sembri, questo disco è un mix perfetto di southern rock, hard rock, metal pesante e un'attitudine hardcore, come se gli Alabama Thunder Pussy giocassero a fare i Sick of it All o i Misfits in un'atmosfera tutta pistole, whisky, donne, scazzottate e saloon distrutti. La qualità è ineccepibile, cominciando dal tipo di sonorità, ultramoderne e compattissime, passando per tutti i dieci brani, velocissimi e rapidi, suonati, registrati e prodotti a dovere e sempre votati alla massima carica esplosiva. Tanta adrenalina in appena 32 minuti di durata totale. Dicevamo che la qualità è enorme, anche esagerata a volte, poiché il disco risulta tanto perfetto che sembra quasi irreale, patinato nel suo essere esplosivo, dinamico e perfetto. Al primo ascolto ci si rende subito conto di quanto tempo e passione ci abbiano messo a farlo, quanto sudore e quanta dedizione ai particolari, cominciando dalla copertina fumettistica veramente azzeccata. Brani come l'iniziale "Whiskey Beer Anthem", "Killer Song", "Hunger" e "Old World Blues" ti prendono veramente per i connotati e ti trascinano verso un mondo di selvaggia, ruvida e polverosa libertà. Un'ottima colonna sonora per un raduno di bikers, con fiumi di birra e caos, attraverso un disco di moderno rock /metal pesante, fatto per scatenarsi e lasciarsi alle spalle tutti i problemi. Dopo tre EP, finalmente uno splendido esordio sulla lunga distanza, 'Hateful 10', un vero e proprio tornado di adrenalina pura! Seguiteli ne vale la pena! (Bob Stoner)