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lunedì 6 novembre 2017

Terrifier - Weapons of Thrash Destruction

#FOR FANS OF: Thrash metal, Exodus, Nuclear Assault
When people talk about Canadian thrash metal what comes immediately into my mind are the works of Razor, Exciter (yes, I consider their work during 1983 thrash though they are labeled as speed metal), Slaughter, Annihilator, and Voivod. Who wouldn't remember such killer records as 'Evil Invaders', 'Heavy Metal Maniac', 'Strappado', 'Alice in Hell' and 'War and Pain'? Those who are fond of collecting old relics from the glory days of thrash can back up the next words that I am going to utter. Those Canadian metal acts mentioned above can throw down as hard as those bands coming from the Bay Area and Germany. The record that I am going to review is the work of Terrifier, and I can most certainly say that this offering must be added to that list of highly recommended Canadian thrash releases.

Terrifier is a British Columbia-based thrash metal quintet that was formed in 2003 as Skull Hammer. The band changed its name in June of 2012 after releasing a full-length album way back in 2011. 'Weapons of Thrash Destruction' is the band's sophomore studio record after the debut of 'Destroyers of the Faith' in 2012 while carrying the name Terrifier. What 'Weapons of Thrash Destruction' brings to the table is 42 minutes of fierce and unrestrained thrash music. With electrifying and bellicose tracks such as "Reanimator", "Nuclear Demolisher", "Violent Reprisal", "Drunk as Fuck", "Bestial Tyranny" and "Sect of the Serpent", the band doesn't fall short in supplying blatantly aggressive guitar riffs, kick-ass solos, supersonic drumming, and superb vocals.

The band has prospered in handing its listeners very good metal tunes which are pleasantly reminiscent of an earlier time when groups like Exodus, Overkill, Nuclear Assault and Testament were furnishing a tasty extreme metal blowout for headbangers around the globe. The ingenious and hasty guitar riffs present in this album will make the listeners go insane while headbanging to the material. Both Brent Gallant and Rene Wilkinson show splendid skills behind the axes that they are handling and the solos are well executed. They totally supplied their audiences with a bombardment of top-grade guitar shredding in here. In fact, even some of the tracks that do not stand out appear more fun to listen to because of those awesome solos.

I would also like to mention how well the bassist did in this release. Listeners to this offering can totally feel Alexander Giles' presence and there are moments where his bass playing really stands out. The drum work, though not that one of a kind, contributed as a solid mantle to the overall music that the band was able to engineer. Kyle Sheppard had dispensed a sufficient amount of diversity behind the kit that amplified the profundity and punch of Terrifier's already exuberant resonance.

Chase Thibodeau's vocals are also adequate, and his technique suits the songs in the record very well. Chase's higher pitched shrieks are the clear zenith of his performance in this opus. Of course, the production has also met the highest standard of accuracy in this release. I usually prefer a more raw production when it comes to thrash albums as it gives a more hostile feel to the whole product, but I certainly can make an exemption for substantial records like this one.

This offering may not be an inventive or advanced thrash metal piece, but it's still a terrific release for a group that takes its listeners for a ride down memory lane with this supersonic and turbocharged thrash metal music. Fans of old-school, state-of-the-art, speed metal and 80's thrash will definitely dig this masterpiece. (Felix Sale)

Drakkar - Diabolical Empathy

#PER CHI AMA: Power/Speed/Thrash, Nevermore
Signori, quest'oggi facciamo un tuffo nella storia sconosciuta del metal: i Drakkar sono infatti una band belga formatasi nel lontano 1983 (avete letto bene), da non confondere peraltro con gli omonimi nostrani, che tra defezioni, ahimè decessi e scioglimenti vari, ha fatto uscire solo quattro album, di cui 'Diabolical Empathy' è la loro ultima release. Il sound che ritroviamo nelle 13 track qui contenute, oscilla tra power, speed ed un thrash alla Nevermore. Interessante l'intro "The Arrival" che ci proietta in un qualche mercato di una città qualunque dell'Africa equatoriale. Poi s'inizia a fare sul serio, con una batteria di brani, in cui l'elemento comune è un rifferama compatto e acuminato, una voce che ricorda in alcuni frangenti il buon Warrel Dane e degli assoli che mostrano tutta la caratura tecnica del quintetto belga. Fantastico a tal senso il lavoro della speed track, "Rose Hall's Great House" e di quella fuga della sei corde nel suo fantastico epilogo. Più rilassata e meno convincente "Stigmata", anche se poi quando la band si lancia negli assoli, le due asce formate da Pat Thayse e Richard Tiborcz, fanno gridare al miracolo. "The Witches Dance" ha un che di fortemente folklorico nelle sua linea melodica, mentre il riffing è marcatamente power, accompagnato poi da quei chorus in stile teutonico, per soli amanti del genere, sia chiaro. "Plague or Cholera" è un bel pezzone thrash metal che mi ha ricordato i nostrani Aneurysm, in un altro mio personale tuffo nel passato. Un arpeggio apre la ballad "Stay With Me", in cui compare la voce di una guest femminile, Julie Colin degli Ethernity, altra compagine power belga. Il disco prosegue lungo i medesimi binari anche nelle rimanenti tracce, avvicinandosi qua e là ad altre band che han fatto la storia del metal, su tutte mi viene da pensare ai Metallica degli esordi e ai Virgin Steele. Ultima curiosità sull'album: si tratta di un concept cd che collega ogni traccia ad un figura storica rilevante: la vita di Padre Pio a "Stigmata", 'La Divina Commedia' e Dante a "The Nine Circles of Hell", dove peraltro i nostri sfoggiano un altro assolo grandioso, Giovanni Tiepolo e il suo 'Il Sacrificio di Isacco' a "Plague or Cholera" e molti altri; il tutto non fa altro che aumentare la curiosità per i contenuti di un album, che certamente farà la gioia però per i soli appassionati del genere. (Francesco Scarci)

sabato 4 novembre 2017

Lashblood - UnBeing

#PER CHI AMA: Avantgarde Black, Fleurety
Dall'avamposto russo di Stavropol, nel Caucaso settentrionale, ecco arrivare i Lashblood, misterioso quintetto che abbraccia membri di svariate band, tra cui Deathmoor e Goatpsalm. L'ensemble, attivo da una decade ma con soli due album in cascina (quest'ultimo registrato addirittura nel 2012), è qui aiutato da una serie di ospiti che li supportano nell'esecuzione di quest'album non certo semplice da ascoltare. 'UnBeing' contiene otto song sinistre e questo è chiarissimo sin dall'opener "Frenzy" e dai suoni spettrali che popolano la canzone, al pari di fantasmi che infestano un castello abbandonato. Proprio in questa caratteristica orrorifica, risiede il punto di forza dell'act russo, che guida l'ascolto della propria musica grazie a tormentate melodie, un po' sghembe e disarmoniche, in un pattern musicale allucinato, corredato da voci maligne e dall'uso di un evocativo sax che aumenta le ambizioni dei nostri. Il disco si presenta in linea di massima feroce come approccio stilistico, lanciandosi in cavalcate black death ("Slow Snow") che vedono però smussare la propria irruenza con linee di chitarra affidate ad un tremolo picking glaciale, aperture avanguardistiche e rallentamenti doomish assai efficaci. "The Name of My Melancholy" apre con una variazione nello stile vocale, più oscuro e votato al growling, questo perché nelle prime due song c'era lo screaming efferato di tal Silencer, guest star dietro al microfono. La traccia è però più lineare e poco avvincente, fatto salvo per il tenebroso break centrale, affidato al famigerato sax, vero e assoluto protagonista di un album che probabilmente non avrebbe meritato la nostra attenzione se non avesse mostrato l'utilizzo cosi peculiare di quel demoniaco strumento a fiato. E allora largo ai suoni psicotici del sassofono e al delirante sound dei Lashblood. "To the Rest..." è una song più esoterica a livello vocale, con una musicalità psicotica che segue verosimilmente gli umori altalenanti dei vari cantanti che si piazzano al microfono. Ma è ancora una volta l'assolo di sax a rappresentare il leitmotiv del brano e in generale di un disco che ha davvero diversi punti di forza, che per idee ed interpretazione, mi ha ricordato vagamente 'Min Tid Skal Komme' dei folli Fleurety, cosi come pure l'utilizzo dello stesso sax nel mitico esordio discografico dei Pan.thy.monium, 'Dawn of Dreams'. Splendide a tal proposito la strumentale "Kaleidoscope Grey Heaven", la malinconica "13" e l'incipit della title track che suggellano la performance di questi pazzi e selvaggi sperimentatori russi. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death/SND Production - 2017)
Voto: 75

https://lashblood.bandcamp.com/album/unbeing

Machines of Man - Dreamstates

#PER CHI AMA: Math/Progressive, Between the Buried and Me
È risaputo che in U.S. ce ne sia per tutti i gusti e con questi Machines of Man andiamo a placare il desiderio di coloro che stanno attendendo con ansia il comeback discografico dei Between the Buried and Me, schedulato nel 2018. E allora cosa c'è di meglio che farsi trastullare dalla musica di questi cinque ragazzi di Salt Lake City e dal loro ottimo 'Dreamstate', un album di sette raffinatissimi pezzi di math progressivo che colpisce già in apertura per l'utilizzo del sax nella breve title track e che poi ci consegna una band in grado di disegnare arcobaleni musicali in un vortice emotivo fatto di splendidi assoli (esaltante già in "Symbiosis"), parti tirate e rabbiose, cambi di tempo impressionanti e vocals che si muovono tra un etereo pulito che richiama il buon Tommy Giles e un growling orchesco? D'accordo, i punti di contatto con i BTBAM sono molteplici e assai evidenti, soprattutto se si pensa alla più recente discografia della band del North Carolina, ma parliamoci con estrema sincerità, a chi diavolo gliene frega se i Machines of Man alla fine sono in grado di generare le stesse emozioni dei ben più famosi colleghi? Al sottoscritto francamente non importa nulla, perché brani come il secondo, si ascoltano solo in band dotate di una classe sopraffina. Se poi volete sapere quale altra band potrebbe aver influenzato i miei nuovi eroi di math progressivo, ecco che mi vengono in mente i Contortionist, senza dimenticarsi i Cynic, mi raccomando. A chi si lamenterà invece che i Machines of Man siano alquanto derivativi, beh allora mi viene da rispondervi che il 90% delle band in realtà lo è. E allora io continuo a sostenere la proposta dei Machines of Man, la loro classe che si palesa in assoli da paura anche nella terza cinematica "Days Later", con quel rincorrersi delle due asce in vertiginosi giri di chitarra, in un lirismo davvero un paio di spanne sopra il livello medio, rischiando seriamente di minare il trono detenuto dai BTBAM, ma questo lo potremo valutare soltanto fra 4-5 album della band proveniente dallo Utah. I Machines of Man sono ottimi musicisti, sappiatelo: se smusseranno quel retaggio death/metalcore che permea ancora alcune parti dei loro brani, staremo già parlando di una band che per i prossimi vent'anni si farà portavoce del neo movimento progressive. Un pianoforte accompagna la voce deliziosa di Austin Bentley, spiazzando tutti in "Bones of the Sky", in quattro minuti di atmosfere sognanti. La compagine statunitense ha ancora le ultime cartucce da esplodere con le rimanenti "I Am the Colossus" e "Fractals": la prima è inizialmente aggressiva, ma poi il quintetto torna a drappeggiare splendidi scenari esotici, aperture caraibiche e schitarrate flamencheggianti con la voce del frontman che si presenta in molteplici vesti, addirittura ammiccando in un breve frangente al vocalist dei Muse. L'ultima perla rappresenta il connubio di quanto ascoltato fin qui, un gioiello che raccoglie in un sol boccone ritmiche belle tirate, melodiche, tecniche, costantemente ispirate, che sanciscono la nascita di una nuova band di fenomeni, i Machines of Man. (Francesco Scarci)

venerdì 3 novembre 2017

Cold Cell - Those

#PER CHI AMA: Atmospheric Black, Schammasch, Celtic Frost
Dopo aver esordito nel 2013 per la Gravity Entertainment, essere passati per la "nostra" Avantgarde Music con il loro secondo lavoro, gli svizzeri Cold Cell tornano a casa, arruolati dalla Czar of Bullets. Escono ora con il terzo album della discografia, intitolato semplicemente 'Those', un titolo enigmatico quasi quanto la cover del digipack, una cornice su un ritratto spettrale ed inquietante che si riflette nella musica oscura del quintetto di Basilea. Otto le canzoni a disposizione per i nostri per conquistare nuovi fan grazie alla bontà della loro proposta musicale. La compagine confederata propone un black atmosferico, che già dalla opener "Growing Girth" convince non poco per i suoi contenuti, grazie ad un sound tenebroso che chiama in causa per assonanza musicale, i connazionali Schammasch (sarà un caso che due dei membri dei Cold Cell suonino anche in questa band?). È un black mid-tempo quello che risuona nelle casse del mio stereo, dal taglio assai melodico e che sporadicamente vive di accelerazioni post black. La voce di S, che ricorda per impostazione vocale quella di Attila Csihar, si conferma davvero buona nel suo intellegibile screaming. "Entity I" è un pezzo decisamente più breve rispetto alla opening track, ritmato ed epico quanto basta, che sfoggia un break centrale orrorifico; non mi è chiaro però per quale ragione la band l'abbia scelto per farne un video, tre minuti li reputo infatti un po' troppo scarsi. Nel frattempo il disco avanza ed esplode la sua funambolica rabbia post black nella terza "Seize the Whole", che identificherei musicalmente come un mix musicale tra i Wolves in the Throne Room e i Celtic Frost, questi ultimi forse la più palese influenza per i nostri. I suoni sono rarefatti ma incisivi quanto basta, soprattutto nella lunghissima "Tainted Thoughts", dove rilevo un'altra influenza importante per l'ensemble svizzero, i Bethlehem e il loro plumbeo dark sound che riempie una song cruda a livello ritmico, in cui a mettersi in luce è invece una batteria sparata a tutta velocità su degli arpeggi compassati di chitarra che assieme alla voce sempre ispiratissima e a rallentamenti carichi di tensione nella seconda metà del brano, rappresentano il punto di forza di questa release. La registrazione è impeccabile, non fosse altro che alla consolle si è seduto Victor Bullok (Triptykon, Farsot e gli stessi Schammasch): lo dimostra anche l'evocativo sound di "Sleep of Reason", gelida e funerea nel suo incedere liturgico che solo verso il finale evolve in un deflagrante suono primordiale in cui tutti gli strumenti nel loro atavico caos, sono in realtà posizionati chirurgicamente nel migliore dei modi. "Entity II" è un altro breve capitolo, che forse funge da collegamento a "Drought in the Heart", una song dall'attitudine mortifera e disperata (almeno a livello vocale) che esalta le capacità tecniche di aW dietro le pelli e che gioca con un riffing in tremolo picking che ne enfatizza il mood decadente. A chiudere ecco gli ultimi nove minuti di "Heritage", una song più tradizionale dal punto di vista ritmico che conferma le qualità indiscusse di una band di cui sentiremo certo parlare in futuro. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2017)
Voto: 75

https://cold-cell.bandcamp.com/

giovedì 2 novembre 2017

Arctos - A Spire Silent

#PER CHI AMA: Epic Black, Windir, Unanimated
È aria gelida quella che respiro nelle note iniziali di 'A Spire Silent', opera prima (un EP in realtà) dei canadesi Arctos (band che raccoglie membri ed ex componenti dei Trollband). Sebbene siano dolci tocchi di pianoforte quelli che risuonano nell'etere, essi mostrano una connotazione assai malinconica che non prelude a nulla di buono. E infatti, dopo poco meno di un paio di minuti, l'opener " Dawn... Sons of Death" dischiude tutta la sua furia in un black serratissimo di stampo cascadiano che ahimè non sembra mostrare una produzione del tutto cristallina. Le ritmiche sono decisamente forsennate e ad uscirne penalizzato sembrerebbe proprio il suono della batteria, sulla quale s'innesta il rifferama nordico in tremolo picking del duo di asce (dal vago sapore a la Unanimated), lo screaming abrasivo del cantante Dan e dei synth che popolano nelle retrovie l'intero lavoro. La proposta sonora del quintetto di Edmonton sembra trovare giusto un attimo di tregua con un'altra intro pianistico, quella che introduce un altro funambolico pezzo, "Altar of Nihil", che individua nella musica classica le maggiori influenze musicali dei nostri, cosi come in un passato decisamente folkish per la maggior parte dei membri della band. La song si muove nella parte centrale verso sonorità più votate a suoni epico-bucolici che ammorbidiscono, per certi versi, l'irruenza dell'ensemble dello stato di Alberta. La musica strizza l'occhiolino anche ai Windir, prima di orientarsi verso territori decisamente più sinfonici che evidenziano una certa ecletticità di fondo della compagine canadese che si abbandona alla classica chiusura di brano affidata a suoni nostalgici e temporaleschi che introducono alla title track. Molto meglio il lavoro qui alla batteria, anche se a tratti risulta un po' troppo ovattata nei suoni. Il drumming guerriero viene accompagnato in questo frangente da una bella linea di chitarra (fantastico a tal proposito l'assolo conclusivo) responsabile nel costruire un mid-tempo che sembra anticipare musicalmente quanto l'ultima bonus track ha da raccontarci degli Arctos. Il finale è infatti affidato alla cover degli Amon Amarth, "As Long As The Raven Flies", estratta dallo splendido 'The Crusher', l'ultimo arrembante attacco dei cinque musicisti nord americani, di cui però avrei anche fatto a meno per gustarmi un pezzo in più dei nostri. In conclusione, 'A Spire Silent' è un buon biglietto da visita per gli Arctos: con i giusti accorgimenti, soprattutto a livello di suoni di batteria, la band si e ci potrebbe regalare ottime soddisfazioni. (Francesco Scarci)

Barathrum - Fanatiko

#FOR FANS OF: Black, Behexen, Azaghal
Barathrum are back from the dead. Well, I do not know whether this is really good news, because some of their older albums were as interesting as a glass of sour milk. But let's focus on the comeback work whose opener discovers a noisy and roughshod production. Barathrum are not afraid of celebrating an apocalyptic feast. This does not mean that they wallow in an orgy of high velocity, but their sometimes occurring affinity for doom metal also does not prevail. In other words, Barathrum do not explore the extremes in terms of speed. But believe me, dear guest in the pit of the damned, they are extreme, at least the guy at the microphone. His animalistic and extrovert performance expresses torture, insanity and misanthropy at the same time. The strange kind of human octopus (admittedly, two arms are missing) that ornaments the cover illustrates the murderous approach of the lead vocalist pretty good. His performance is rounded off by an overdose of reverb. Patients with a weak heart are not allowed to listen to this devil who is supported by likewise mind-boggling background vocals.

Sometimes Barathrum appear as the melting pot of extreme Finnish metal. The insanity of Impaled Nazarene meets Behexen's nightmarish violence and both fall in love with the inhuman negativity of Azaghal. In addition, some boozy moments remind me of black thrash hordes like Urn. This does not mean that Barathrum are the kings of ultra-harsh metal from the land of the thousand lakes. One cannot say that each and every track hits the nail on the head. Tunes such as "Sadistic Pleasure" leave room for optimization. But the album grows with every new round and the overall impression is sometimes atmospheric (listen to the bell in "Spirit of the Damned" or enjoy the expressive guitar work at the beginning of the partially viscous "On the Dark River Bank"), mostly intense and always impressive. I don't think that this album will leave you cold, because it belongs to the love-it-or-hate-it outputs. And to manage the art of polarization is anything else but bad in terms of publicity.

Of course, the lyrical content defies description. Barathrum proclaim the "massacre of believers" and sing about "their own excrements mixed with their own blood", because "pleasures of the violence create orgasm". I admit that this is a new finding for well-educated fools like me. Furthermore, song titles such as "Pope Corpse Tattoo" speak for themselves. But come on, that's part of the business and even after 35 years of listening to extreme sounds, I cannot say that this kind of lyrics has any influence on my mentality. The music is what really counts. "Church of Amok" for example, shreds my nerves adamantly; the apocalypse breaks loose and I like it. Okay, the infernal doomsday scenario does not constitute a unique selling point of this track, but the concise guitar work with its simple and accessible line ensures that the track stands out. Nevertheless, "Fanatiko" works more or less as a whole, the album delivers a better overall picture than the sum of its parts. Honestly speaking, I am not quite sure whether this is the work of living humans. Anyway, it doesn't matter. Although I don't know the exact form of their existence, one thing is for sure. Barathrum are back from the dead. (Felix 1666)

(Saturnal Records - 2017)
Score: 75

mercoledì 1 novembre 2017

Petrolio – Di Cosa si Nasce

#PER CHI AMA: Experimental Ambient/Drone/Electro Noise
Enrico Cerrato è un musicista navigato che ha solcato i mari istrionici del metal (con gli Infection Code), del jazz/noise/punk (con i Moksa), dell'industrial (con i Gabbiainferno) e qui, nel suo progetto solista, si mette a servizio dell'elettronica per confrontarsi con la drone music più gelida e l'industrial più oltranzista, fatto di rumore sospeso, macchine robotiche e ritmiche glaciali, monotone e minimali. L'umore è nero come il nome con cui si fa conoscere e le composizioni sono agghiaccianti, cariche di solitudine, con una forma di shoegaze ipnotico e lacerato, dissonante e distorto, ottimo per descrivere il vuoto interiore. Suoni ve ne sono, sparsi qua e là, accordi decadenti e feedback condividono lo stesso piano di ricerca di confine col noise, scariche di batteria sintetica vengono tolte al mondo dell'elettronica per giocare con il metal o almeno con un'attitudine percepita dall'oltretomba, come se i Godflesh usassero i synth al posto delle chitarre. Un corpo estraneo da assimilare lentamente che penetra nelle nostre orecchie per far riflettere, per fare male, con quel suo rumore ammaliante, sottoscritto dai guru Dio)))Drone, Taxi Driver Records, Vollmer Industries, Toten Schwan Records, È Un Brutto Posto Dove Vivere, Dreamingorilla, Screamore e Brigante Records. L' album ha tutte le carte in regola per piacere agli estimatori dei vari generi ambient, industrial e drone estremo e sperimentale. Questo primo album, 'Di Cosa si Nasce', uscito a primavera del 2017, non apporta geniali riforme al genere ma è coniato con ispirazione e gusto da un musicista italiano che conosce molto bene i territori musicali che vuole esplorare e con cui vuole confrontarsi, ottenendo sempre ottimi risultati sonori. Una sorta di buia colonna sonora per una passeggiata in una città abbandonata. Da ascoltare. (Bob Stoner)

(Dio)))Drone, Toten Schwan Rec., Taxi Driver Rec., Vollmer Industries, DreaminGorilla, Screamore, È un brutto posto dove vivere, Brigante Rec., Edison Box - 2017)
Voto: 75

https://diodrone.bandcamp.com/album/di-cosa-si-nasce