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domenica 30 luglio 2017

Viridanse - Hansel & Gretel e la Strega Cannibale

#PER CHI AMA: Post Punk/Psych/Stoner
I Viridanse sono una storica band italiana nata durante il movimento post-punk di primi anni '80: il 1983 è l'anno della loro fondazione e oggi, dopo 34 anni, costellati di luci e tantissima ombra legata più che altro all'interruzione del progetto dal 1987 al 2014, tornano con un un secondo lavoro post reunion dal titolo meravigliosamente suggestivo, 'Hansel & Gretel e la Strega Cannibale'. Supportati ancora una volta dall’etichetta Fonoarte – Danze Moderne, cosi come era stato per l'album omonimo di due anni fa, il quintetto piemontese pensa ad un concept fiabesco per il nuovo album, per dipingere il declino in cui la società di oggi sta sprofondando. E quale genere migliore di un post-punk dalle tinte apocalittiche per sceneggiare questa voragine di perdizione a cui stiamo andando incontro? L'apertura affidata alla title track (per cui è stato anche girato un video), è per il sottoscritto un lungo salto nel passato e per quanto le ritmiche siano decisamente più tirate e pesanti, il primo nome che mi viene da accostare al disco di oggi, è quello dei Litfiba di "Istanbul". Dark, new wave e punk di quei tempi si fondono oggi con psichedelia, heavy metal e stoner, il tutto annaffiato da un prog di scuola italiana, in un connubio musicale avvincente e caratterizzato da un cantato in lingua madre che lo renderà di certo più appetibile ad un pubblico nostrano, anche per una certa complessità a livello lirico che non le renderà forse cosi interessante ad un pubblico straniero. "ArKham" è il secondo pezzo del disco, decisamente frastagliato a livello ritmico, con un riffing ruvido ma al contempo caleidoscopico che si abbina alle vocals di Gianluca Piscitello che ricordano per certi versi quelle del Pelù degli esordi quando non faceva ancora tutti quei fastidiosi versetti che l'hanno poi reso famoso. Il sound della band è comunque avvincente, muovendosi da atmosfere agghiaccianti e paurose verso deviazioni psych, il tutto perennemente ammantato da una vena progressiva che si esplica attraverso il suono di un synth senza tempo. "Alle Montagne della Follia" è un pezzo più pacato, almeno apparentemente, visto che parte delicato e poi vive successivamente di un'alternanza ritmica tra esplosioni burrascose, complice una ritmica costantemente nevrotica e dolci note musicali, sorrette da una voce che sembra narrare una fiaba all'ascoltatore. Si arriva ai dieci minuti di "Scomunica", la mia song preferita per arrangiamenti, musicalità, espressività vocale ed epicità, peccato solo pecchi in prolissità (come l'intero album, del resto), dieci minuti e passa di suoni non proprio semplici da digerire in un sol boccone, anche se le sinistre ambientazioni create, le scorribande sonore sul finale, e in generale una performance vocale del frontman, contribuiscano comunque a renderla la song più complessa ed intrigante del lotto. C'è da superare un altro muro, quello di "Aria" e i suoi quasi 11 minuti, in una traccia che non si capisce se sia stata scritta in quest'ultimo periodo o a cavallo tra gli anni '70-80, strizzando l'occhiolino a The Cure, ai The Cult di 'Dreamtime' o ancora ai primissimissimi Litfiba. Il risultato, anche dopo aver ascoltato la tribale "Il Grande Freddo" e la spettacolarità lisergica e mortifera di "Madre Terra", ci dice che 'Hansel & Gretel e la Strega Cannibale' è alla fine un disco senza tempo, che farà la gioia tanto di chi ama sonorità attuali che virano all'alternative e allo stoner, quanto agli amanti della vecchia new wave, del post-punk e del progressive. Giusto un paio di notizie per chiudere la recensione: la produzione live, ricercata dalla band per donare un certo sound retrò al disco, è opera di Lorenzo Stecconi (Zu e Ufomammut), mentre l'azzeccatissimo artwork di copertina (nonché le splendide illustrazioni all'interno del booklet) sono opera di Antonio De Nardis, a completamento di un disco davvero assai piacevole. (Francesco Scarci)

(Fonoarte/Danze Moderne - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Viridanse/

sabato 29 luglio 2017

Apneica - Vulnerabile Risalita

#PER CHI AMA: Post Metal/Death Doom, Novembre
Dopo aver ben impressionato la critica (ma pure il sottoscritto) nel 2014 con l'EP 'Pulsazioni... Conversione', i sardi Apneica tornano con un nuovo lavoro sulla lunga distanza, il secondo della loro carriera. 'Vulnerabile Risalita' è un album che segna, per certi versi, un'evoluzione di quanto avevamo recentemente ascoltato dell'act di Sassari. L'opener, "Sul Fondo (Angoli Remoti)" mostra una compagine che sembra aver virato il proprio sound verso lidi post rock/metal assai malinconici, abbandonando quasi completamente qui quell'approccio death doom che contraddistingueva il precedente lavoro. Alcuni lettori forse termineranno la loro lettura su questa mia affermazione, ma vi prego di proseguire, evitando di sentirvi traditi da un cambio apparentemente cosi drastico, sebbene la band isolana mostrasse già le sue forti influenze post anche nelle quattro song che costituivano il vecchio EP. Il ricordo di tinte fosche ed autunnali, con qualche growling soffocato, lo si avverte già in modo impercettibile nella prima song. Siate però fiduciosi, gli Apneica non si sono rincretiniti, hanno semplicemente educato la loro musica, smussato un attimino i loro spigoli e cercato di trovare la quadratura del cerchio, tant'è che nella seconda "Acqua su Acqua" torna il growling possente ad affiancare le clean vocals e quel cantato in italiano, peraltro assai ricercato a livello di liriche, che potrebbe, per stile vocale, richiamare quello di altre band italiche come Afterhours, Verdena o dei Marlene Kuntz che suonano "Impressioni di Settembre" della PFM. Proprio influenze della prog band italiana più famosa al mondo, si ritrovano nel corso della seconda lunga song degli Apneica, che si muove tra echi progressive e digressioni death doom. Un approccio più estremo ma dal piglio sperimentale, emerge durante l'ascolto di "Inserimento Dati Vitali", song che inizia assai delicatamente, per poi lanciarsi in un death doom psichedelico spezzato da un break acustico in cui a venir chiamato in causa questa volta è il vocalist dei Novembre nella sua forma pulita. Suoni raffinati, corroborati dal cantato di Ignazio Simula e da ritmiche che divengono man mano più graffianti, caratterizzano "Programmazione Sentimenti", un'altra song che vede la band spezzettare la propria proposta tra momenti prog, break ambientali e frangiflutti death doom che si propagheranno anche nella seguente "Elemento", traccia interessante ma che manca forse di una certa fluidità musicale, pur strizzando l'occhiolino ancora una volta ai Novembre. Lentamente si arriva a "Modalità Percettiva" (adoro questi titoli cosi ricercati), un brano dalle tipiche suggestioni post rock che lasceranno però il posto alle deviazioni death doom dei nostri, che caratterizzeranno anche "Sognando Nuove Colonne", altro brano affascinante ma che alla fine risulterà comunque ostico nell'ascolto. Probabilmente proprio il voler proporre un sound che manca in linearità o che abbina l'approccio sognante del post rock con l'irruenza apocalittica del death doom, rischia di diminuire il grado di fruizione di un disco che sarebbe a dire il vero assai buono, ma che con i suoi sperimentalismi, disorienta o fa addirittura storcere il naso in quanto gli accostamenti in taluni casi, sembrano davvero forzati. Rimango tuttavia dell'idea che gli Apneica abbiano una personalità ben delineata (confermata anche dall'ultima "In Risalita") ma che debbano affinare ulteriormente la propria proposta musicale, facilitando l'ascolto della propria stralunata proposta. (Francesco Scarci)

(Mizar Elektric Waves - 2017)
Voto: 70

https://apneica.bandcamp.com/album/vulnerabile-risalita

The Pit Tips

Francesco Scarci

Cold Insight - Further Nowhere
In Tormentata Quiete - Finestatico
Apneica - Vulnerabile Risalita

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Don Anelli

Stormhaven - Exodus
Agresiva - Decibel Ritual
Pathology - Pathology

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Kent

Philip Glass - Glassworks
Kehlvin/Rorcal - Ascension
Ryuichi Sakamoto - Async

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Michele Montanari

Novembre - Ursa
Throes of Dawn - Our Voices Shall Remain
Vokonis - The Sunken Djinn

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Five_Nails

Dying Fetus - Wrong One to Fuck With
Burzum - Fallen
Decapitated - Anticult

Sahhar - Kliem It-Tmiem

#PER CHI AMA: Black Metal
Proveniente da Malta, Sahhar è una one man band attiva dal 2006, che ama identificarsi nel "cold realm of black metal", sebbene l'ascolto di questo lavoro non s'identifichi realmente in questo genere, seppur si trovino numerose tendenze a riguardo. Si potrebbe discutere a lungo e in largo riguardo le caratteristiche fondamentali del black metal e si potrebbero fare diverse deroghe ad esse, ma tenderei a definirlo più black che ad inquadrare l'opera verso un metal cosiddetto sinfonico. Le tracce sono assai numerose (anche se il mastermind dichiara che l'album è assai lungo è per commemorare una decade di black metal), gli spunti diversi, e contrastanti sfumature si possono cogliere nel corso dell'ascolto di 'Kliem It-Tmiem'. L'impressione è quella di una musica che vuol essere epica, mistica, a tratti rabbiosa e veloce, senza i tipici toni diminuiti scandinavi che darebbero quella patina di malvagità al disco. Non sfuggono ahimè all'udito alcune sfortunate peculiarità di questa release: una drum machine opaca e dal suono ovattato fa sentire quasi esclusivamente i battiti di grancassa e il crash; la chitarra elegantemente distorta e compressa - per quanto in queste condizioni musicali possa essere preferibile un suono non troppo invadente e pulito - è magra, non eccessivamente incisiva e dai tratti innaturali. Si percepisce l'utilizzo delle tastiere che tentano di trasmettere una qualche aria peculiare ("Zliega" ne è un esempio) mentre un minimo di varietà è creato dai cori, dagli archi e da varie atmosfere, ma alla fine faccio fatica a capire se l'utilizzo di questi orpelli riescono a migliorare la performance dei brani. Una delle note sorprendenti del cd è la tecnica vocale, mutevole e potente, del frontman che trascina e sorregge la più discutibile base musicale. I testi in maltese risultano piacevoli, la fonetica semitica è particolarmente apprezzabile nei momenti più cadenzati e atmosferici. Alla fine però, ribadisco che l'eccessivo numero di song presenti rischi di rendere un po' pesante e noioso l'ascolto, a causa di una durata a dir poco estenuante per il genere proposto, complice anche un sound un po' troppo sintetico che priva di mordente l'intera opera. Non si discute la varietà delle composizioni, magari suggerirei al buon Sahhar di aumentare la creatività a scapito di un disco un po' più breve e fruibile. (Kent)

Kyle Morrison - Pianometal

#FOR FANS OF: Instrumental Progressive Metal; Mindflowers, OSV
Hailing from Atlanta, Georgia, multi-talented instrumentalist Kyle Morrison has assembled quite a profound and dynamic debut full-length effort taking influence from a variety of disparate elements that takes part in a unique and stylish offering. The skill-set is obvious from the very beginning with a rapid-fire slew of twisting, challenging progressive rhythms that bring about plenty of engaging work. Littered with tight groove-based rhythms, rattling drumming and sparkling piano-focused melodies that add a great touch to the blasting rhythms, keeping a stellar base for the album to work around throughout here. The multitude of guests here makes for a strong collection of talent as well, giving stellar performances to a great mixture of progressive touches and stiff grooves. 'Centrifuge,' 'Hymn of Blasphemy' and 'Mammoth' exemplify this style the most, while the three-part Cosmos trilogy, 'Martian Dusk,' 'Orion's Curse' and 'Interstellar Survival' all give a different look to the material at hand with stand-out progressive leanings and complex riff-work alongside the marvelous piano melodies that take center-stage for those tracks. There are maybe a few too many bonus tracks here which does make for a slightly overlong feeling here, but this is still a great overall release in this style. (Don Anelli)

Thalos - Event Horizon

#PER CHI AMA: Post Rock strumentale, Mogway
Curiosa fusione tra post-rock strumentale, gusto tedesco per l’elettronica ed esperienza visiva (c’è un videomaker fisso nella squadra, che trasforma in esperienze visive la musica), in questo debutto dei veneziani Thalos. 'Event Horizon' è un lavoro compatto, completamente coerente dal primo all’ultimo minuto. Nove tracce mature ed emotive, costruite sostanzialmente sul continuo gioco melodico tra chitarra e synth — sotto il quale s'incastrano basso e batteria, precisi e costanti —, che si inseguono, si sostengono e si rispondono in continuazione. Le coordinate sono quelle del post-rock colorato di elettronica: niente di nuovo, quindi, anche se i Thalos sanno gestire il tutto con un gusto etereo, impalpabile — mancano i forte/piano tipici, per dire, di certi Mogwai. Meglio: le accelerazioni e i cambi di dinamica ci sono, ma sono pacati, educati, eleganti. Nessuna sorpresa, nessun sobbalzo, nessuna emozione improvvisa. 'Event Horizon' scorre languido, alternando con equilibrio e dolcezza episodi più ritmici ("Berlin", "Progress", "Union") a momenti più onirici ("Quantum", "Limbo"), prediligendo in generale l’atmosfera alla novità, il bel suono al volume, l’intimità al trasporto. Il rischio, purtroppo, è che questo disco passi senza lasciare traccia: delicato e sommesso, non sembra richiedere un ascolto troppo concentrato. Finirà, purtroppo, a suonare in sottofondo mentre fate qualcos’altro. (Stefano Torregrossa)

L’Ira del Baccano - Paradox Hourglass

#PER CHI AMA: Psych-rock/Stoner, Hawkwind, Black Sabbath, The Grateful Dead
Comprate questo disco, ora: è un fottuto capolavoro. I romani L’Ira del Baccano, quasi tre anni dopo l’acclamatissimo 'Terra 42', sfornano questo 'Paradox Hourglass' che è in grado di muoversi agilmente tra il rock oscuro vecchia scuola dei Black Sabbath, lo space rock di Hawkwind e The Samsara Blues Experiment, il prog dei Rush e l’attitudine all’improvvisazione dei The Grateful Dead. Un lavoro solido e poliedrico, ricco di sfaccettature, composto da una lunga suite in due parti (per un totale di 20 minuti) e due brani mai sotto gli 8 minuti. “Paradox Hourglass Part 1 e 2” sono un inno heavy-prog, talmente ricco di riff, stili, cambi di atmosfera e livelli di ascolto da valere l’intero disco. Le chitarre di Santori e Malerba fabbricano sofisticati pattern, perfettamente a loro agio sia nelle sonorità più progressive (Part 1) che in quelle più heavy (Part 2). La sezione ritmica di Salvi e Bacchisio, solo apparentemente in secondo piano, colora con grande gusto ogni riff e passaggio, consapevole nel creare dinamiche e nel seguire i fraseggi delle due chitarre. “Abilene” è un frullato perfetto di attitudine jazz-prog e stoner rock, con una parte centrale (arricchita da tastiere e theremin) che vi proietterà nello spazio più ipnotico, per poi rituffarsi in sonorità heavy. Chiude “The Blind Phoenix Rises”, sensibilmente più lenta e doom delle precedenti — persino epica, in certi passaggi — ma nuovamente incredibile nella varietà e negli incastri di tempi, ritmi e riff. E sia chiaro: non c’è onanismo in questo disco, nessuna esagerata dimostrazione, nessun vezzo tecnico fine a se stesso — ogni singola nota viene suonata nel rispetto del brano e della personalissima visione musicale dei L’Ira del Baccano. Gli oltre 40 minuti di 'Paradox Hourglass' vi riempiranno cuore e cervello, e solo alla fine vi accorgerete che la voce non vi è minimamente mancata. Se credete che gli italiani sappiano fare solo pop, cantautorato noioso o repliche di repliche di indie (se ancora questa parola ha un senso) — beh, ascoltate 'Paradox Hourglass' e pentitevi. (Stefano Torregrossa)

lunedì 24 luglio 2017

Ecnephias - The Sad Wonder Of The Sun

#PER CHI AMA: Gothic Rock
È ufficiale, la trasmutazione degli Ecnephias è ormai completata. 'The Sad Wonder Of The Sun' è il sesto album della band lucana e ci dice che ormai le distanze dalla scena ellenica sono ormai prese. Mancan e soci propongono oggi un gothic rock tinto di atmosfere horror che con il sound estremo degli esordi che strizzava l'occhiolino ai Rotting Christ, condivide solo i pochi vocalizzi growl del frontman. Nove le tracce a disposizione per i nostri per convincerci della bontà della loro nuova proposta musicale, che si apre con "Gitana", una song che immediatamente mi ha rievocato le atmosfere di "Mephisto" dei Moonspell, anche se quello degli Ecnephias è un sound decisamente più morbido di quello contenuto in 'Irreligious', sostenuto poi da una performance vocale completamente in pulito e da un blando flusso sonico che s'irrobustisce solo negli ultimi 30 secondi. Quello stesso flusso prosegue nella sinistra "Povo de Santo", un pezzo un po' meno compassato rispetto all'opener, e che vede dietro al microfono come guest star, Raffaella La Janara Cangero (che comparirà anche in "Quimbanda") ad affiancarsi al growling sempre riconoscibile di Mancan, in una song stracolma di groove, dalla melodia fischiettabile e caratterizzata da un ottimo coro. Suoni dal forte sapore ottantiano contraddistinguono invece la flebile ritmica di "Sad Summer Night", song spettrale nella sua componente tastieristica, che vede il vocalist lucano manifestarsi nella sua doppia veste pulita-growl mentre a livello strumentale, il quintetto potentino regala un preziosissimo break di chitarra ed un assolo che sprigiona eleganza allo stato puro. Un riffone che sembra invece provenire da un qualche disco thrash degli anni '80, apre in modo inatteso "The Lamp", ma le keys ne smorzano immediatamente l'irruenza in una song lineare, melodica, piacevole ma forse un po' troppo scolastica. Sembra invece di trasferirsi in una qualche spiaggia caraibica con "Nouvelle Orleans", complice una inedita musicalità reggae tutta da scoprire, che ci mostra la band nostrana sotto una nuova luce, e con la voce del buon vecchio Mancan che emana un calore simile a quello che l'effetto di un paio di cicchetti di whiskey o meglio ancora di rhum potrebbero avere sulle corde vocali. Bel risultato devo ammetterlo, anche se sia ben chiaro, "scurdámmoce 'o ppassat" degli Ecnephias visto che oggi sono una realtà completamente diversa da quella dei loro esordi black death e in continua evoluzione rispetto anche alle ultime uscite. Le atmosfere horror tornano sovrane in "A Stranger", una traccia squisitamente spettrale nel suo incedere severo. Sembrano richiami a The Cure e Fields of the Nephilim quelli che sento in "Quimbanda", la song più dinamica del disco (soprattutto nel finale movimentato tra elettronica e heavy classico), che ripropone la vocalist dei La Janara al microfono e che finalmente vede Mancan tornare a cantare, in alcuni tratti, anche in italiano (che francamente  prediligo), cosi come nella successiva "Maldiluna", in uno strano connubio tra elettronica, suoni mediterranei, rock, dark e techno music che mi disorienta non poco. A chiudere questo eclettico 'The Sad Wonder Of The Sun' ci pensa "You", ultima dimostrazione di quanti e quali rischi si siano presi gli Ecnephias in quest'ultima loro fatica, proponendo un mix tra Paradise Lost e Type o Negative riletti in chiave pop rock, con il supporto di ottimi arrangiamenti. Che altro dire se non constatare la progressione di una band che non si è mai arresa di fronte alle avversità, che ha costantemente cercato di evolvere il proprio sound anche rischiando non poco di andare contro ai vecchi fan. Solo per questo valgono il mio rispetto, poi a parlare per loro c'è anche la storia. Alla fine però 'The Sad Wonder Of The Sun' lo si può amare o detestare, questo non toglie l'egregio lavoro fatto dai cinque musicisti italici, che quatti quatti potrebbero rischiare addirittura di divenire i leader di un nuovo movimento gotico mondiale. (Francesco Scarci)