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domenica 5 febbraio 2017

Wolf Counsel - Ironclad

#PER CHI AMA: Doom/Sludge, Saint Vitus, Cathedral, Candlemass, Black Sabbath
Alla prova del secondo album, gli svizzeri Wolf Counsel confezionano un piccolo gioiellino che si muove nei territori del doom e dello sludge vecchia scuola, supportati in particolare dall’ipnotica voce di Ralf W. Garcia – chiaramente ispirata ai grandi del genere come Wino e Lee Dorrian – e da una capacità di songwriting veramente eccellente. Con brani mai sotto i 5 minuti e più facilmente sopra i 6, non è facile non annoiare: ma, nonostante una scrittura nemmeno troppo riff-oriented (siamo da tutt’altra parte rispetto, ad esempio, al riffing di Mastodon o The Melvins!), gli Wolf Counsel riescono a tenere altissima la tensione dal primo all’ultimo minuto di 'Ironclad'. Apre le danze la splendida “Pure As The Driven Snow”, un canto di battaglia ipnotico e ripetitivo, persino epico negli assoli, guidato da una melodia che non dimenticherete facilmente. La successiva “Ironclad” mi ha ricordato i molto più metallari Grand Magus, che tuttavia con i Wolf Counsel, sembrano condividere la stessa passione per le corna alzate e per i potenziali cori di risposta dal pubblico nei live. L’oscurità arriva con le successive “Shield Wall” e “The Everlasting Ride”, pesanti come un macigno e, stavolta, più concentrate nel riffing e nella batteria marziale. L’acida “Days Like Lost Dogs” e la nerissima “When Steel Rains” (il punto più doom del disco) sembrano uscite dritte dritte da uno split tra Saint Vitus e primi Black Sabbath (di nuovo, la voce di Garcia qui è da pelle d’oca, specie quando arricchita dal delay). Chiudono l'opera i 7 minuti abbondanti di “Wolf Mountain”, che di nuovo tributano Cathedral e Candlemass nell’uso dei cori, nei fill di batteria e nell’ossessività delle melodie. Se vi piace lento, cantabile e un bel po’ vecchia scuola – ma amate le produzioni cristalline e i suoni potenti, contemporanei – 'Ironclad' sarà il vostro disco dell’anno. Da ascoltare. (Stefano Torregrossa)

(Czar Of Bullets - 2016)
Voto: 75

https://wolfcounsel.bandcamp.com/album/ironclad

Vilemass - Drilled by Bullet

#PER CHI AMA: Death Old School, Cannibal Corpse
"...Nuntio vobis gaudium magnum", ovvero "vi annuncio una grande gioia". Da qui parte "Vulgar Religion", prima traccia del primo demo 'Drilled by Bullet' dei pugliesi Vilemass. Tanto death old school per il combo di Bisceglie, che in 25 minuti fa capire che non ha tanto tempo da perdere in fronzoli e ciliegine. Il sound è corposo come si addice alle migliori produzioni death americane, con riff non ricercatissimi ma che fanno della semplicità la loro arma vincente, e con l'ascoltatore che non deve crucciarsi per capire cosa i nostri stiano combinando. La batteria copre ogni angolo nascosto in modo esemplare, e una voce diretta, "sputa" una monotonalità growl con grande professionalità, quindi, vene sul collo grandi come vasetti di sottaceti e la classica vena sulla fronte pronta ad inondarci di sangue bollente una volta esplosa. Partendo dalla opening track, che parte con varie ispirazioni ad altrettante religioni e si dispiega con riffs e crismi alla Cannibal Corpse, si passa alla title track che si snoda con ottimi cambi tematici. Tuttavia la migliore per il sottoscritto è "Illuminati", che parte velocissima e non dà tregua fino a metà, dove lo stop pennato è da SERIE A ed è li che si supera il fossato che distingue i Vilemass dagli altri gruppi nel mazzo. La sirena ci fa passare da "War Machine", rabbiosa e più ignorante, mentre un riff granitico ci introduce a "Trapped" song con tapping incorporato e rallentamenti alla Morbid Angel. "Lizard Law" è traccia assai martellante, che chiude in bellezza con un delay questo demo. Respiro. Un ottimo debutto, anche se questi ragazzi non sembrano essere alla prima esperienza; ho visto che stanno anche per realizzare un videoclip, che sicuramente suggellerà e farà avanzare il gruppo ad un livello superiore. E sopra le scale, ci sarò io ad aspettare il loro prossimo lavoro. (Zekimmortal)

Coma Cluster Void – Mind Cemeteries

#PER CHI AMA: Techno Death/Mathcore, Ion Dissonance, Gorguts
Non si può certo negare a questo album la meritata conquista del titolo di essere stato considerato da più fonti, una delle migliori uscite del 2016 in ambito death metal tecnico, super tecnico oserei dire. La band comprende musicisti di più nazionalità (USA, Canada, Germania) con esperienze importanti (Cryptopsy, Dimensionless, Thoren, Xelmya), senza dimenticare la presenza del compositore a tutto campo (vedi le sue ottime composizioni per viola, violoncello e oltre...) John Strieder (già collaboratore con i mitici War From a Harlots Mouth) alla chitarra e Sylvia Hinz, al basso, altro eclettico artista animato da spirito di ricerca in tutte le direzioni. Il punto fermo per affrontare al meglio questo album è capire che il death metal visto da questa angolatura è da considerare soprattutto una condizione cerebrale e tutto il processo che avviene nella creazione dei brani nasconde un'infinità di strutture sonore che s'incontrano e scontrano, processi mentali contorti elaborati e rielaborati sotto forma sonica stratificata e dissonante, violenta e astratta, come se venisse da un abisso creatosi all'interno dei nostri più profondi sentimenti. Stilisticamente parlando potremmo mettere 'Mind Cemeteries' in un limbo sospeso tra l'attraente brutalità d'avanguardia degli ultimi Napalm Death, il super tecnicismo dei Beyond Creation, il death metal artistico dei Gorguts e l'immaginario oscuro e futurista degli Ion Dissonance, anche se rimane sempre difficile rinchiudere i Coma Cluster Void in una singola cerchia di derivazione musicale, visto l'alto potenziale di originalità che questo primo full length esprime. Oscurità, oppressione, schizofrenia e nevrosi sono di casa nel visionario mondo di questa band assai speciale, che non vive assolutamente di banale e devastante velocità ma trasforma in musica reali sentimenti ed emozioni umane esplorando, come racconta il titolo dell'album, storie ed incubi di un cimitero mentale diffuso e radicato. Produzione egregia, ottima esecuzione con tutto collocato al posto giusto e con le dissonanze della chitarra che spiccano per splendore e perversa fantasia in undici brani caotici e catartici, avvolgenti come un nero mantello. In ogni traccia si apprezza tutto e c'è da sbizzarrirsi nell'inseguire i vari strumenti attraverso le variazioni e le acrobazie sdoganate e senza limiti. La traccia che riflette l'umore dell'intero disco è da identificarsi in "Iron Empress", una vera e propria delizia metallica, stralunata ed imprevedibile, seguita dalla pirotecnica "Drowning Into Sorrow" e dalla sinistra "The Hollow Haze". Belli, atipici e anche particolari, considerati l'intermezzo "Interlude: I See Through Your Pain" e la chiusura di "Epilogue: As I Walk Amongst the Sick" con una voce femminile di sicuro effetto destabilizzante. Debutto notevole e immancabile album nelle librerie degli amanti del genere. Da avere ed amare a tutti i costi, un lavoro superlativo. (Bob Stoner)

giovedì 2 febbraio 2017

Infecting the Swarm - Abyss

#FOR FANS OF: Brutal Death metal, Dawn of Demise, Cannibal Corpse
Personality, atmosphere, passion, these three traits make albums stand out among the pack and Infecting the Swarm doesn't display much of any of these traits throughout this second full-length album, 'Abyss'. A one-man band from Bavaria, Infecting the Swarm shows the way that the cohesion in a single mind can easily render talent barren when faced with going it alone. In brutal death metal you'd expect to hear something larger than life. Instead this band plods along with little passion, content to reciprocate like a saw carving just for the sake of doing it rather than because there was a hidden meaning to unleash within the wood. From a constant flow of the same quaking guitar rhythms varied only slightly in whether the drums go cymbal or snare first, this bland display of the banality of evil pathetically puts the listener to sleep. Listening to Infecting the Swarm's 'Abyss' in one sitting is a dense and lonely circle of Hell. This torturous tumult of decibels rapes this milquetoast metal outfit's barely existent audience of what little passion would show from someone so blind as to be a fan of such an uncreative band. In only half and hour this band manages to implement a scarcely worthwhile swarm of riffs that rack at the eardrums without making any hint of a positive impression, locking Hannes' zeal for music into a prison of mediocre and inane sound that indemnifies the existence of this purposeless album. While this band gets compared to brutal and technical giants like Wormed and Defeated Sanity, the quality of 'Abyss' is more along the lines of Colombia's Carnal and their utterly unnecessary 'True Blasphemy'.

Infecting the Swarm is your average brutal death metal fare of disgusting gutturals, frenetic riffing, relentless blast beats, and dull, tedious atonality. From a band that doesn't break down at all, it's a wonder just how Hannes can think he will get away with obnoxiously overusing the same sounds and passing them off as different songs. After the album opens with dreary languishing guitar notes of “Entropy”, “Abyss” drops into this constant descending riff and blast call and response that starts at square one, rattles against its interminable cage for a while, and then ends just where it began punctuated only in fleeting moments in “Hypogean Awakening” before drowning itself in more of the same. “Innate Divinity” is a long inane delivery of Cannibal Corpse riffs while the only thing making “The Bleak Abyss” differ from it is some sludgy elongated guitar notes denoting the ends of riffs flowing from this wall of hollow sound. There is so little variation in this very long half hour that it's easier to zone out and let your ears relegate the relentless wall of sound to the background of your mind than beleaguer it with the practice of listening to the barest minimum of variations on the same structure ad nauseum. Granted, there are two songs on this album that actually make this band worth your time. After a twenty-eight minute series of unadventurous riffs slogging around a relentless onslaught of percussive blasts, the listener is given a seven minute experimentation in slamming together some competent brutal death metal as what seems to be an apology for the appallingly inane waste of time that this musician has put his audience through. With the guitars doing exactly what the title denotes in “Spiral Fragmentation”, this song stands far ahead of the others and finally for once gives enough balance between the low end intensity and a high end rise to demonstrate the conflict and juxtaposition of brutal death metal from other contending styles. “Decension” also gives you an imposing atmosphere and a listenable rhythm, finally creating reason for a song to exist on this album rather than throwing the listener into another impassible river of carbon copy riffs drowned in pointless percussion. These two songs show some talent from Infecting the Swarm's creator but they don't excuse the repulsive amount of waste poured into the cookie cutter mold of the previous seven tracks. There is no growth, nowhere to be explored, and this desolate and bleak structure makes this flaccid album a contrived long-winded cry into the isolating void of niche obscurity.

Sadly, 'Abyss' is a terrible display of what living in the echo chamber of your own mind will give you and an awful example of what bedroom metal has to offer. It's even sadder when hearing an album this bad makes something as mediocre as Dawn of Demise's 'The Suffering' sound fresh and full of motion. If you want to get into Infecting the Swarm, check out the first full-length, “Pathogenesis”. 'Abyss' was just not meant to be. Where bands like Brodequin and Wormed have taken the ultra-brutal template and made it a fun, challenging, and fresh experience, Infecting the Swarm fits the stereotype of the atonal death metal hammer mindlessly dropping with little more reason for its noise than to shoe a one-trick pony. (Five_Nails)

 
(Lacerated Enemy Records - 2016)
Score: 30

https://infectingtheswarm.bandcamp.com/

Love Forsaken - Sex, War & Prayers

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Techno Death, primi Sadist
Ecco un’altra band che ho seguito fin dagli esordi, possedendo i loro primi due demo cd e che vi propongo nello spazio 'Back in Time': i Love Forsaken arrivano da Belluno e 'Sex, War & Prayers' (album del 2004, ma ristampato e accompagnato da una veste grafica rinnovata) rappresenta il debutto ufficiale sulla lunga distanza. Se nei primi demo i ragazzi erano palesemente influenzati da un techno death sulla scia di Pestilence e Death, in questo lavoro, si ravvisa una maturazione da parte del combo veneto e una sterzata nel sound, verso lidi più progressivi e atmosferici. L’album non è per niente male anche se la non ancora completa maturazione del quintetto, paga dazio, in alcuni frangenti, con momenti non del tutto brillanti. Comunque sia, il sound di 'Sex, War & Prayers' parte da una base thrash/death sulla quale si inseriscono ispirate e ariose tastiere tese a conferire un’atmosfera al limite dell’apocalittico. Richiami evidenti ad altre band non sono così lampanti; si possono udire echi goticheggianti in alcuni passaggi atmosferici, qualche assolo omaggia pur sempre il death “made in USA“ ma tributa anche 'Above the Light', dei Sadist, monumento italiano del death progressivo. Spiazzanti e talvolta fin troppo imprevedibili in alcune scelte musicali (ma questa è la loro forza), la band offre una buona sezione ritmica, con le tastiere sempre ad avere il ruolo predominante nell’economia dei brani; ottima infine la prova alla voce di Danny, bravo nel passare da vocalizzi growl a voci effettate. Con un pizzico di personalità in più, i Love Forsaken avrebbero potuto diventare una new sensation italiana. E invece, un altro album nel 2008 e lo split definitivo nel 2010, peccato... (Francesco Scarci)

(Self - 2004)
Voto: 65

https://myspace.com/loveforsaken

lunedì 30 gennaio 2017

Scratches - Before Beyond

#PER CHI AMA: Rock Blues, Nick Cave
Una voce femminile, calda e sofferta al punto giusto, è il primo elemento che contraddistingue gli Scratches, band svizzera originaria di Basilea, ma dalle sonorità decisamente americane. La band nasce nel 2010 nell’ambito dalla collaborazione tra Sarah-Maria Bürgin, cantante-tastierista e Sandro Corbat, chitarrista. Il teatro come passione comune per entrambi. Dopo un primo album come duo realizzato nel 2014, 'Fade', la formazione si completa con Jonas Prina alla batteria e Marco Nenniger al basso. Il loro secondo album 'Before Beyond', uscito in questo freddo mese di gennaio, è un pregevole lavoro, dove è possibile riscontrare un’antica passione per certe linee ritmiche di derivazione tipicamente trip hop, coniugata con l’amore per le colonne sonore intrise di blues. Il disco si apre con “Medusa’s Hair”, riff di chitarra in loop e ritmica rallentata. La voce di Sarah-Maria è carica di soul e roca quanto basta per richiamare alla memoria grandi cantanti americane degli anni sessanta e nel terzo brano, intitolato “Beautiful”, qualcuno potrebbe persino scorgere il fantasma di Janis Joplin. Echi di Nick Cave invece si possono sentire nella successiva “Give Me Your Pain”, profonda nelle parti di chitarra e sussurrata nella voce. Il disco prosegue con “The Crow & The Sheep”, in cui il quartetto elvetico privilegia sonorità decadenti, da murder ballad. È questo il mood generale dell'ottimo lavoro targato Scratches, una narrazione delle sofferenze umane filtrata attraverso i colori scuri del blues. Un buon album in definitiva, consigliato agli amanti di sonorità ipnotiche e malinconiche, prodotto egregiamente dalla sempre attenta Czar Of Crickets. (Massimiliano Paganini)

(Czar Of Crickets - 2017)
Voto: 80

https://www.facebook.com/scratchesband/

Neglected Fields - Splenetic

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Progressive/Techno Death, Atheist, Cynic
Ho aspettato con ansia il terzo lavoro della band lettone, autrice nel 2000 di un fantastico album di techno death, 'Mephisto Lettonica' (edito dalla nostrana Scarlet Records), come erano tempi che non se ne sentivano. A distanza di sei anni da quell’opera brillante, il quintetto fa uscire un nuovo entusiasmante album, 'Splenetic', connubio di death e black estremamente tecnico ma altrettanto melodico, vero punto di incontro tra Death ed Emperor. Prodotto egregiamente ai Finnvox studio da TT Oksala (Tiamat, Stratovarius), 'Splenetic' comprende otto tracce più intro per 35 minuti di musica: una musica potente, un techno death arricchito da incursioni negli oscuri meandri del black metal. Diciamo che la base musicale dei ragazzi del piccolo paese baltico è un death abbastanza ricercato, con riffs originali, cambi di tempo, percussioni strane, momenti atmosferici, assoli raffinati e stacchetti jazz in cui i richiami ai vari Pestilence, Atheist o Cynic si sprecano. Sul sound robusto e schizzato della band s’insinuano poi le maligne vocals di Destruction; ottima poi la prova di George alle tastiere, abilissimo nel creare momenti atmosferici di assoluto prestigio e altri episodi dalle forti tinte progressive, ma comunque è da segnalare la prova di tutti i membri della band, assoluti virtuosi con i loro strumenti. Difficile identificare un brano piuttosto di un altro, in quanto assai elevata è la qualità del prodotto in questione. I Neglected Fields si confermano band di assoluto valore, peccato che da quel 2006 vige soltanto il silenzio ed io continuo a rimanere in trepidante attesa. (Francesco Scarci)

(Aghast Recordings - 2006)
Voto: 80

https://www.facebook.com/neglected.fields

Kiuas - Reformation

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Power Thrash, Nevermore, Ensiferum
Vedendo le facce di questi ceffi avrei scommesso 100 € che si trattasse di una band finlandese, poi la casa discografica prima e il sound dei nostri dopo, non hanno fatto altro che confermare le mie ipotesi. Trattasi dei Kiuas, band dedita ad un power thrash, che con 'Reformation' il loro secondo album del 2006, hanno sicuramente contribuito alla gioia degli amanti del genere. Tecnica squisitamente all’altezza delle mie aspettative, gusto per la melodia tipica finlandese, composizioni orecchiabili e di facile presa: ci sono tutti gli ingredienti affinché i Kiuas potessero conquistarsi un posto di diritto nell’olimpo dei grandi di questo genere (e forse per un po' ci hanno creduto anche loro, prima dello scioglimento nel 2013). Ottime e ben strutturate le linee di chitarra; bravo il vocalist, capace di spaziare da timbriche più suadenti ad altre più urlate ed aggressive, eccellente il tastierista, sempre in primo piano a creare momenti atmosferici. Ottimi pure gli assoli, con i due axemen che si incrociano e sfidano in interessanti duelli chitarristici. C’è poco da fare, la Finlandia è da sempre fucina di talenti e i Kiuas non hanno fatto altro che confermare la regola. Da segnalare la sesta traccia, “Black Winged Goddess”, song dall’inizio furioso, dalla ritmica bella tosta e dal growl profondo del vocalist, peccato poi vada un po’ a scemare d’intensità. Interessante poi, qualche inserto dal vago sapore folk, soprattutto udibile nella title track posta a chiusura dell’album. Band davvero buona, peccato non abbia ottenuto il successo che forse meritava (Francesco Scarci)

(Spinefarm Rec - 2006)
Voto: 70

https://www.facebook.com/kiuasofficial