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giovedì 6 novembre 2014

Khaossos - Eksistentialismi

#PER CHI AMA: Black Old School
Vive qualcosa di realmente malato in questa nuova opera dei finlandesi Khaossos che segna un vistoso balzo in avanti nella loro dimensione artististica, con la loro cadenza depressiva che incombe anche nelle partiture più veloci e taglienti, nei rallentamenti ossessivi e monotoni, grigi, deformi, che si muovono a stento, tombali, offrendo la sensazione di un viaggio doloroso fatto di tetra e cupa negatività. Un sound viscerale e affascinante, misterioso e lugubre, inconcepibile per alcuni, amabile alla follia per altri. Il loro modo di fondere il psico dramma sonico di un purosangue del genere funeral metal con l'iconoclasta volgare e sudicia velocità del black metal old school più degenero e sotterraneo, quello che vive nella penombra e non vede alcun spiraglio di luce. La one man band di Uusima non fa prigionieri e i pochi rimasti li tortura con litanie devastanti, sepolcrali, come le interpretazioni vocali dell'unico membro effettivo, Goatinum Morwon, in grado di gestire bene anche tutti gli strumenti usati nell'album. Un suono spoglio e freddo quanto reale e crudele, carico di sentimentale oscura ispirazione che colma anche piccole lacune compositive che altrimenti risulterebbero compromettere l'intensità dell'intero box. Pochi virtuosismi e tanta genuina tristezza, un'efferata volontà di trasmettere emozioni oscure che mai titolo migliore, 'Eksistentialismi', avrebbe potuto riassumere. Sei brani autoprodotti dall'indole isolazionista per una durata notevole di circa quaranta minuti divisi equamente tra funeral e black metal senza un confine certo e palpabile. Difficile paragonare questi brani con qualche altro artista ma possiamo dire che la scuola Burzum si sente, anche se non prevale ed il suono Inquisition, più corposo e diretto, ha un certo sopravvento. Anche il minimalismo stilistico dei Frozen Ocean dona la sua partecipazione. Colpisce soprattutto la sfera di coinvolgimento cerebrale che fa lievitare il lavoro e lo rende interessante, quel senso di follia malsana e solitaria che colpisce fin dalle prime note, quella brezza gelida venuta da lande desolate e deserte che sovrastano il tutto. Statico, convenzionale, decadente e perversamente geniale. Poche armi ma usate benissimo da un guerriero molto intelligente! Da ascoltare! (Bob Stoner)

mercoledì 5 novembre 2014

Cannibal Corpse - A Skeletal Domain

#FOR FANS OF: Brutal Death
It’s that time for another Corpse album. I won’t mess about at all and just have to get this off my chest – this album is mighty. It’s one beast of an album, full of everything and anything you could ever want from Cannibal Corpse. For starters, I’m glad that the band chose to work with a different producer. Not that there was anything wrong with the Rutan albums, but it’s just good to change things up a bit sometimes. It’s a bit of a gamble, sure, but if it works the pay off can be huge, just like it is here – and just like it was on Kill. I wish more bands would take this approach, such as Nile, rather than just working with the same producer over and over again. You never know who’s going to bring out the best in you. “High Velocity Impact Spatter” – just the title is enough to get you going, and shit, does the track ever deliver. One of the most crushing opening tracks in Corpse history. You’ll immediately notice that the guitars sound thicker than ever, the bass is nice and audible, the drums are exactly the way they are supposed to be, and Corpsegrinder sounds fucking amazing. His vocals are nice and loud in the mix without washing everything else out. Perhaps the best thing about this album is that it has something for every Corpse fan. The lighting fast tracks, the mid tempo, groovy tracks, and the downright dirty, evil tracks. It’s easy to hear things from their entire discography here. I've talked with a bunch of Corpse fans about this album, and everyone seems to have their own favorite set of songs – yet they are mostly different. Which just shows to prove that this album caters to a lot of different Corpse styles, which is great. The band, being the seasoned pros that they are, perform flawlessly on this record. That’s to be expected, and it would really surprise me if the technical ability wasn't up there with the best. What did surprise me though was the energy rushing through this album, something I felt their previous record “Torture” lacked. But here, it’s all over the place, and it’s absolutely relentless, and great to hear the band so determined. Another great thing on this album is that we have more contributions from Pat. Criminally under rated, Pat is an amazing guitar player. Not just technically, but he’s a fantastic song writer as well, so hearing more of his stuff on this album is a real treat. I wish Rob could get in there a bit more as well, as I have always loved his writing style in Solstice and Malevolent Creation. That said though, this is the best Cannibal Corpse line up there ever was and will be, and here the guys are in top form. For me, it’s hard to pick my favorites, but I would say that the strongest songs on the album are “High Velocity Impact Spatter”, “Sadistic Embodiment”, A Skeletal Domain”, “Headlong Into Carnage”, “Icepick Lobotomy” and “Hallowed Bodies.” I realize that that’s basically half the album right there, but Corpse really have cut the fat off of this one and just thrown that sucker on the grill. And the end result is just pure death metal badassery. Go get this. (Yener Ozturk)

(Metal Blade - 2014)
Score: 90

http://www.cannibalcorpse.net/

+1476+ – Edgar Allan Poe: A Life Of Hope & Despair

#PER CHI AMA: Soundtracks, Gothic, Neoclassical, Ambient, Ulver
Di questo duo del New England abbiamo avuto già modo di parlare lo scorso anno, in occasione della splendida accoppiata 'Wildwood'/'The Nightlife', che li rivelava come band interessantissima ed estremamente eclettica, ed oggi torniamo ad occuparcene in concomitanza con l’uscita di questo nuovo, particolare lavoro. Per l’occasione i 1476 ci hanno concesso una lunga ed ricchissima intervista (la prima di una, si spera, lunga serie per il Pozzo) in cui ci hanno parlato, tra le altre cose, anche di questo loro nuovo lavoro. Come si intuisce dal titolo, si tratta di musica ispirata alla vita di Edgar Allan Poe, una vera e propria colonna sonora per una mostra dedicata al grande scrittore americano da una galleria d’arte di Salem. Il gruppo si è buttato con entusiasmo nel progetto, prendendo ad ispirazione la vita piú che le opere di Poe. Il risultato sono otto brani, per 44 minuti di musica, per la gran parte strumentali, dalle atmosfere drammatiche e sempre estremamente suggestive. Per lo piú incentrate sul pianoforte, nelle otto composizioni si alternano momenti puramente neoclassici ad altri vicini all’ambient piú sinistro e meno rassicurante in cui fanno la loro comparsa gli archi, chitarre acustiche ma anche droni e beat elettronic. Loro stessi, nell’intervista, arrivano a definire questo lavoro come il risultato di un’accoppiamento tra Chopin e Ulver (!). Si prenda ad esempio l’iniziale "A Circle of Hope & Despair", drammatica e ottocentesca, o la raggelante elettronica di "Extranction Environs". L’unica vera e propria canzone, "A Circle is Eternal", è una fenomenale cavalcata di sette minuti, che mette in mostra la straordinaria capacità dei nostri di costruire crescendo emozionanti, oltre a confermare le doti vocali di Robb Kavjian, mentre per tutto il resto del programma ad incantare è soprattutto la perizia pianistica di Neil DeRosa. Lavoro di sicuro molto particolare e certamente interlocutorio, che serve come succoso antipasto per un nuovo album (pronto al 75%, come ci rivela lo stesso Robb) e che rivela una faccia inedita del combo americano, in grado di affascinare e ammaliare con oscure arti di seduzione. Inafferrabili. (Mauro Catena)

(Seraphim House - 2014)
Voto: 70

http://www.1476cult.com/

The Pit Tips

Don Anelli

Death - Leprosy (remastered)
Frightmare - Midnight Murder Mania
Autopsy - Severed Survival
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Francesco "Franz" Scarci

In Flames - Siren Charms
Scar Symmetry - The Singularity
Solstafir - Otta
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Kent

Jayke Orvis & The Broken Band - Bless This Mess
Highlonesome - Highlonesome
Sons Of Perdition - The Kingdom Is On Fire
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Stefano Torregrossa

Aphex Twin - Syro
Transatlantic - Kaleidoscope
Conan - Monnos
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Michele "Mik" Montanari

Thom Yorke - Tomorrow's Modern Boxes
The Slaughterhouse 5 - Alban B. Clay
YOB - Clearing the Path to Ascend
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Roberto Alba

Plateau Sigma - The True Shape Of Eskatos
Thee Maldoror Kollective - Knownothingism
Mysticum - Planet Satan
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Mauro Catena

Iceage - Plowing Into The Field Of Love
Jon Spencer Blues Explosion - Orange
Cristina Donà - Cosí Vicini
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Bob Stoner

Dodheimsgard - 666 International
Gorefest - Soul Survivor
Alex Machacek, Terry Bozzio - Sic
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Claudio Catena

Obituary- Back from The Dead
In Flames- Whoracle
Exodus- Blood In Blood Out

domenica 2 novembre 2014

Coraxo - Starlit Flame II

#PER CHI AMA: Cyber Death, The Kovenant, ...And Oceans
Non è nemmeno passato un anno da quando ho recensito 'Starlit Flame', Ep d'esordio dei finlandesi Coraxo, facente parte di una trilogia che comprende quell'album, il qui presente 'Starlit Flame II' e verosimilmente una parte III che non tarderà certo a uscire. L'impronta musicale dei nostri era apparsa già alquanto chiara in quell'esordio: un death melodico frammisto a una pesante porzione di elettronica. Citavo per l'appunto gli ...And Oceans e non posso far altro che confermare quell'affermazione, non appena "Lanterns" scoppia minacciosa nel mio stereo, dopo la breve intro. Le novità rispetto al precedente lavoro non sono cosi palesi: le tematiche proseguono infatti la storia delle Starlit Flame, una razza di nanomacchine aliene che si infiltra nella terra del venticinquesimo secolo, e l'inevitabile (quanto mai abusato) scontro tra uomini e macchine per la sopravvivenza. Il death melo-cibernetico torna a riaffacciarci tra ritmiche tiratissime, synth che richiamano suoni intergalattici e vocals abrasive. "Tangier" torna a strizzare l'occhio ai The Kovenant, con un mid-tempo melodico che gioca sul contrasto tra le harsh vocals e le delicate note delle tastiere. "The Bastion", la quarta traccia, mi fa pensare all'attacco delle macchine contro gli umani, per quel suo incandescente impeto iniziale con cui erompe nel mio hi-fi. La ferocia dei suoni arriva presto a placarsi, forse gli umani sono riusciti a scacciare le macchine, ma si tratta sicuramente di una tregua passeggera. "The Citadel" evoca musicalmente gli Edge of Sanity più melodici e progressivi, complice la presenza di Dan Swano dietro alla consolle nei suoi Unisound studio, mentre le vocals abbandonano lo screaming per tonalità leggermente più profonde. La song ha comunque nelle sue note un che di etereo, con le linee di chitarra più leggere rispetto alle precedenti tracce e comunque una bella linea melodica guida l'intero pezzo fino alla fine. La mano della vecchia volpe Dan si sente forte e chiara e questo non può che essere un punto a favore dei Coraxo che si giocano l'ultima carta con "Ghosts", la sesta e ultima song di questo esuberante 'Starlit Flame II'. La traccia è assai spettrale, lenta e malinconica, grazie a un delizioso impasto keys/chitarre da brivido, sicuramente la più intensa del lotto e anche la mia preferita. Il terzo episodio della saga 'Starlit Flame' promette di essere ancor più delizioso, visti i progressi del trio finlandese in cosi poco tempo e c'è già chi si sta leccando i baffi, il sottoscritto no... (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 75

http://coraxo-official.com/

Emrevoid - Riverso

#PER CHI AMA: Black/Death, Svart Crown, Dismember, Ulcerate
Piacevole all'udito ed alla vista, l'EP di debutto degli Emrevoid scorre fluidamente già dal primo ascolto. Una sapiente miscela di dissonanze (infondo vogliamo tutti bene agli Ulcerate), violente accelerazioni e un sound corposo sono la chiave vincente del combo romagnolo, le cui composizioni avanzano imponenti e senza tregua per tutta la durata dell'opera. Nessuna carenza tecnica e nesuna sporcizia, giusto quel leggero velo cinereo nel suono per rendere il tutto più oscuro, polveroso e di conseguenza apprezzabile. Il songwriting seppur calcante le linee classiche del genere, viene valorizzato dall'alta varietà di pattern utilizzati dal gruppo, ciclicamente ripetitivi in tutta la durata del disco ma comunque capaci di tenere alto il livello d'attenzione e di piacere. Particolarità di 'Riverso' sono le liriche in italiano che non stonano nel complesso ed acuiscono una malevola sensazione nel momento in cui si riescono a comprendere alcune frasi. Altra menzione doverosa si deve alla costante ombra melodica svedese (mi sovvengono all'ascolto, freddezze alla Dark Funeral e Dissection) che gioca a nascondersi ed apparire per brevi momenti, rinvigorendo notevolmente alcune tracce, dove "Il Tuo Disegno" ne diventa l'emblema. Tirando le somme, questo debut album è ben concepito e sembra promettere (speriamo in bene) in un futuro full-length che sviluppi pienamente le varie idee della formazione italica. Chiudo invitando i cari ascoltatori della vecchia scuola a non spaventarsi più di tanto, poichè ho qui riportato solo i particolari che caratterizzano l'opera, la base rimane un consistente death metal che strizza continuamente l'occhio ai primordi Mordib Angel ed Obituary; verso la fine del disco lo percepirete sempre di più, in primis nelle ritmiche. (Kent)

(Drown Within Records - 2014)
Voto: 65

https://www.facebook.com/emrevoid

Have a Nice Life – The Unnatural World

#PER CHI AMA: Dark/Shoegaze
Alla costante ricerca di nuovi talenti, mi imbatto oggi nei Have a Nice Life e nel loro vinile 'The Unnatural World', Lp di otto tracce. Non so davvero cosa aspettarmi da questa band ma quando “Guggenheim Wa...” apre col suo sound sporco e oscuro, ne rimango immediatamente affascinato. Sembra si tratti di musica dark, ma una conferma più precisa ve la darò con i successivi pezzi. Intanto mi godo i riverberi, le atmosfere rarefatte ma dilatate, voci a la Depeche Mode e un qualche cenno agli ultimi lavori dei norvegesi Beyond Dawn. Proseguo curioso di capire quale sia la reale collocazione di questi personaggi e “Defenestration...” in effetti conferma la direzione electro dark dei Have a Nice Life, fatta di una ritmica abbastanza primitiva e ripetitiva, con le vocals che si muovono tra Dave Gahan e urla punk. Forse siamo in presenza di una creatura post punk/shoegaze/dark dal sound accattivante, o forse di un nuovo genere difficile da etichettare, soprattutto dopo l'ascolto della terza track. “Music Will Unntu...” chiude con i suoi frammenti drone/wave il side A del disco che si riapre nel lato B con “Cropsey” e spezzoni estratti da una qualche trasmissione degli anni '70, mentre in sottofondo va il suono di un carrion e di una batteria; infine il tutto si rimette in sella con voce e una iper distorta chitarra, in una song che sembra un lontano sogno confuso. “Unholy Life” strizza l'occhiolino ai The Cure di “A Forest...” cosi come “Dan and Tim, ...” e il loro basso in primo piano, non fanno altro che citare la band di Robert Smith e soci mischiata in un qualche modo ai già citati Depeche Mode. Insomma, 'The Unnatural World' è un album che piacerà a chi è nostalgico per quei suoni che in un qualche modo hanno scritto la storia della musica dark miscelata ad altre sonorità più moderne. Un bell'esperimento a cui dare sicuramente una chance. (Francesco Scarci)

(Flenser Records - 2014)
Voto: 70

https://www.facebook.com/pages/Have-A-Nice-Life

Twentyfourlives - Peaks​.​.​. Peaks​.​.​. Peaks!

#PER CHI AMA: Post Rock, Mogwai, 65daysofstatic
Ah, il Belgio… Confesso di avere un debole per questa terra, quando si parla di calcio, birra e musica rock (ho delle riserve sul cioccolato, ma questo non importa). Succede infatti che dal Belgio arrivino alcune delle band che piú ho amato negli ultimi vent’anni, dai Deus agli Zita Swoon, dai Soulwax ai Venus, fino ai Girls in Hawai. I Twentyfourlives sono un quartetto piuttosto classico (chitarra, basso, tastiera, batteria), dedito ad un rock per lo piú strumentale, ascrivibile per semplicità a quel non-genere che chiameremo post-rock. Arrivano, dopo due EP, a pubblicare il loro esordio dulla lunga distanza, confezionato in un elegante digipack dalla grafica essenziale che ricorda alla lontana i Joy Division di 'Unknown Pleasures'. Non è questa la sede per una trattazione su quello che puó essere il senso del post-rock, oggi, e anche se non si può fare a meno di pensare che davvero tutto sia già stato fatto prima e meglio da qualcun altro, sarebbe quantomeno ingiusto non dare una chance ai quattro ragazzi belgi. Ingiusto e sbagliato, per di piú, dato che questo album ha le carte in regola per farsi apprezzare e ricordare ben piú a lungo dei 35 minuti che servono per scorrerlo fino alla fine. Ecco, scorrere, questo è il verbo che prima di tutti mi viene in mente per descrivere la musica dei Twentyfourlives. Tutte le otto tracce scorrono che è un piacere, senza inciampi, cadute di stile o inutili prolissità. La lezione di gente come Mogwai o This Will Destroy You è stata assimiliata, ibridata con qualche acrobazia math e ora viene riproposta con gusto e personalità. Piace, nel risultato finale, l’equilibrio tra i sapori e i colori, tra irruenza e soluzioni piú meditate, la grande attenzione riservata all’aspetto melodico senza per questo rinunciare alle ruvidezze del suono o alla complessità strutturale e ritmica. L’iniziale "Peaks" ha il merito di dire tutto quello che altri gruppi stanno cercando ancora di dire, e di farlo in soli quattro minuti. Un’intro notturna, con tanto di glockenspiel, apre "Horses", che fa montare la tensione fino poi a esplodere in un breve momento di spasmi ritmici e virtusosismi chitarristici. Spesso sembra di sentire i 65daysofstatic meno elettronici e piú concisi, come in quello che è forse il capolavoro del disco, "Mammoth", che in poco meno di sei minuti riesce a condensare epica ed emotività in maniera spettacolare. Tra i meriti ascrivibili al quartetto belga, l’invidiabile capacità di saper costruire i pezzi in maniera mirabile, con una semplicità a tratti disarmante, e ció è particolarmente evidente nei due brani cantati, tra i migliori del lotto: "Scarecrow" parte sorniona per poi montare in intensità nei suoi gorghi chitarristici, e "Htommam", che nasce da un’idea melodica elementare, per poi farsi marziale e potente. Niente di nuovo sotto il sole, sia chiaro, ma realizzato benissimo, come un abito sartoriale di cui si apprezzano il taglio, la scelta dei materiali e la cura dei dettagli. Ottimo. (Mauro Catena)

(Self - 2014)
Voto: 75

http://www.twentyfourlives.be/

sabato 1 novembre 2014

Nothence - Public Static Void

#PER CHI AMA: Post Grunge/Alternative, Alice in Chains
I Nothence sono un quartetto formatosi a Lugano nel 2009 e 'Public Static Void' rappresenta il loro secondo album. La band elvetica (in realtà di origini italiche) tesse le tele dell'immortale grunge, sviluppandone le trame e rendendolo ancor più introspettivo, oscuro e intriso di dubbi e malesseri esistenziali. Musica e parole per non smettere mai di cercare le risposte che latitano in questo mondo alla deriva. Undici i brani che riempiono quest'album e oltre ad influenze tipo Alice in Chains o Mudhoney, si percepisce subito la personalità della band, che salta all'occhio, come l'utilizzo in alcuni pezzi del piano/tastiere. Probabilmente vi risulta difficile immaginare un accostamento del genere, ma l'idea di accostare uno strumento più borghese ai suoni grezzi del grunge non è un'idea nuova. Dopotutto il violino ha sposato il rock da anni ormai. Ma lasciamo perdere le divagazioni e concentriamoci sulla musica partendo da "Outcast", brano introdotto da un cattivissimo riff di chitarra che aggancia immediatamente batteria e basso per creare il tappeto sonoro principale della traccia. Subito salta all'orecchio l'uso di distorsioni nè moderne nè vintage, personalmente avrei optato per un suono meno anonimo, anche se il genere non richiede particolari ricerche di stile per funzionare. Il cambio di ritmica a metà brano rende dinamico il brano che altrimenti rischierebbe di essere uguale dall'inizio alla fine. "Scraps" è una song più introspettiva e cupa che rappresenta al meglio l'act ticinese e il suo marchio di fabbrica. Quasi sei minuti che ipnotizzano l'ascoltatore e lo accompagnano nel mondo dei Nothence, oscuro e venato di tristezza e rassegnazione che contraddistingue anche gli altri brani. Il pezzo apre con il pianoforte che però viene accantonato quasi subito, un vero peccato perchè avrebbe dato maggiore carattere e profondità se solo gli fosse stato dato maggiore spazio. Inoltre il brano è discretamente lungo e avrebbe avuto bisogno di un break, l'arpeggio di chitarra contribuisce a creare la giusta atmosfera, ma non può sobbarcarsi sulle spalle tutto la traccia. L'album chiude con "Fugue", il brano più riuscito e convincente. La struttura, i suoni e gli arrangiamenti sono stati curati e se fosse stato più veloce, avrebbe sicuramente meritato di aprire questo 'Public Static Void'. In se è una ballata rock, ma ben riuscita, infatti anche il vocalist da il meglio di se stesso, risultando più naturale e vero. Tutto sommato i Nothence sono una buona band che affronta un genere non particolarmente in voga, ma c'è ancora del lavoro da fare e canzoni da scrivere per arrivare più in là. (Michele Montanari)

(Self -2014)
Voto: 70

http://nothence.com/