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lunedì 7 luglio 2014

The Pit Tips

Don Anelli

Alterbeast - Immortal
Warfather - Orchestrating the Apocalypse
Mistress - Brains and Bruises

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Francesco "Franz" Scarci

Anathema - Distant Satellites
Hercyn - Magda
Ifing - Against This Weald
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Kent

Pallbearer - Sorrow And Extinction
Conan - Blood Eagle
Altar Of Plagues - Teethed Glory and Injury
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Claudio Catena

Mastodon - Once More Round the Sun
Explain - Just the Tip
Turbonegro - Retox
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Bob Stoner

The Bellerophon Project - Mental Abscess
Cephalic Carnage - Lucid Interval
Agalloch - The Serpent and the Sphere
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Filippo Zanotti

Aeons Confer – Symphonies of Saturnus
Ea - A Etilla
Opeth - Still Life
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Mauro Catena

Hawkmoth - Calamitas
Estoner - The Stump Wil Rise
Afghan Whigs - Do to the Beast

mercoledì 2 luglio 2014

Aphonic Threnody – First Funeral

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Mournful Congregation, Skepticism, Mono
La band italo-inglese ci porge il loro primo full lenght, uscito sotto le ali protettrici della Avantgarde Music nel 2013, e ci accompagna nella zona più buia del funeral doom, in maniera originale e determinata. Debitrice nel sound dei maestri del genere, 'First Funeral' si distingue per un sound ferale, maligno e glaciale. Il contesto è arcano, infangato nelle paludi del destino più tetro e geneticamente occulto e depressivo, proprio come da canoni preimpostati dal genere. La prova è di elevata maturità e trova nelle parti più lente e atmosferiche la giusta causa per un lavoro tutto da amare. Non prevalentemente drammatico, essenzialmente votato ad un romanticismo sonico e noise che lo estrae dal solito profilo di doom band. Le chitarre creano mantra sonori malinconici ed ipnotici che legati al rallentare delle ritmiche e ai drone inseriti con discrezione, lasciano forme sognanti di oscuri presagi, raccontati da una voce sgraziata e gutturale quanto basta per entrare nella coltre di nebbia più densa. Tutto il lavoro esalta le doti del genere, che fa contrarre lo stomaco e mordere le labbra come se qualcosa o qualcuno fosse venuto a mancare inspiegabilmente ed è proprio qui che la forza della band esprime tutto il suo carattere musicale. Le composizioni sono sulfuree e magiche con una componente marcatamente mistica, create per forzare il bisogno di occulto nell'ascoltatore. Un suono sofferto e ricercato, molto rock, malato, con una matrice quasi cinematografica, come se vi fosse un ponte che collega il funeral al post rock, composizioni geniali che intrecciano le forme più cristalline e classiche del genere con un suono più moderno e noisy, rendendo il tutto catartico e spettrale. Il perfetto punto d'incontro tra i mitici Skepticism, i Mono di 'Hymn of the Immortal Wind' e i Mournful Congregation. Ascoltate gente, ascoltate! (Bob Stoner)

(Avantgarde Music - 2013)
Voto: 75

Atlas Volt – Eventualities

#PER CHI AMA: Alternative, Hard-Prog, Porcupine Tree
C’è un motivo per cui non amo i concorsi di bellezza, per cui la Miss di turno non riesce praticamente mai a colpire la mia fantasia, per cui li trovo il piú delle volte grotteschi e molto tristi. Non dico che sia sbagliato in assoluto, ma voler giudicare la bellezza con dei parametri arbitrari e assurdamente limitanti, semplicemente, non fa per me. Ecco perchè, forse, rimango freddino davanti a questo EP d’esordio degli Atlas Volt, duo anglo-americano di stanza a Malmö, Svezia: nonostante ne apprezzi l’impegno, nonostante ne riconosca l’abilità tecnica, nonostante sia sinceramente colpito dallo sforzo (auto)produttivo, non posso dire di essere entusiasta di fronte a un risultato formalmente ineccepibile, che probabilmente vincerebbe qualche premio in un concorso di bellezza, ma che non riesce a solleticare la mia fantasia. Non voglio essere frainteso, per cui scinderó nettamente l’aspetto tecnico-formale da quello che è, ci tengo a sottolinearlo, un giudizio puramente soggettivo. La fredda cronaca: tutta la musica racchiusa in questo EP è stata scritta, suonata, registrata e prodotta in proprio, con notevole perizia e risultati tecnici sinceramente strabilianti, tanto da fare invidia a piú di un lavoro uscito su major. Lungo tutta la durata del disco è evidente la ricerca del dettaglio, del suono perfetto, dell’arrangiamento raffinato, delle armonie vocali. Cura del dettaglio altresí evidente nel curatissimo packaging. I cinque brani di 'Eventualities' sono abbastanza diversi tra loro in termini di atmosfere e riferimenti stilistici. Si va dalle suggestioni alternative di "Shine Your Own Light", ballata elettro acustica con accattivanti inserti elettronici, alle pessimistiche riflessioni unplugged sul senso della storia della breve "History is Written in Blood". Il cuore del disco sta peró nei tre lunghi pezzi conclusivi: si passa dalle atmosfere vagamente psichedeliche della solenne "Find Myself Lost" (che ricorda un po’ i Porcupine Tree quando rifanno i Pink Floyd, con tanto di chitarroni sul chorus, un tantino fuori luogo) alla conclusiva "Taken by the Tide", tanto riflessiva e seriosa nelle intenzioni, quanto un po’ inconcludente nel risultato finale. Dovendo citare un solo pezzo, peró, non si puó prescindere da "Mother Nature’s Infanticide", robusta apologia ecologista davvero ben congegnata nelle architetture che mescolano le atmosfere world di un canto di Muezzin con solidissimi riff a la Dream Theater. Non è dunque ancora ben chiaro dove vogliano andare a parare gli Atlas Volt, tanto ogni pezzo di questo lavoro sembri tirare in una direzione diversa (ma questo non è per forza un male). Non resta che augurare ai due di continuare a produrre musica con la stessa passione, sperando di poter aggiungere un po’ piú di contenuto a quello che ora, a conti fatti, risulta essere solo un bellissimo contenitore. (Mauro Catena)

(Self - 2013)
Voto: 65

Mekigah - The Serpent's Kiss

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Dark/Gothic, New Wave, Dead Can Dance, Mercyful Fate
Li abbiamo conosciuti lo scorso anno in occasione del loro secondo Lp, 'The Necessary Evil'; ora vi racconto invece del loro esordio. Sto parlando degli australiani Mekigah e del loro strampalato sound decadente, dove riesce a trovare posto addirittura un sax. Sax che fa la sua comparsa nell'intro iniziale che apre 'The Serpent's Kiss', album del duo australiano formato da Kryptus e Vis Ortis, aiutati da un innumerevole numero di amici. Sono le ambientazioni a la Dead Can Dance a trovare maggiormente spazio in questo concept, con suoni e voci eteree (a cura di Sam Star, nel ruolo di Eva) che si alternano su un tappeto sonoro, che pesca talvolta dal doom d'oltremanica. Diciamo che il risultato che ne viene fuori è qualcosa di inusuale, che mette in risalto (e che verrà confermato successivamente) l'originalità e la stravaganza di questo ensemble. Ovvio che non c'era da stupirsi: pensando all'Australia infatti, mi viene da dire che il 90% delle uscite di quel paese siano originali. Il cd nel frattempo continua ad andare nel mio lettore e, detto dei vocalizzi eterei di "Eve Awoke" e "Campfire", si passa ad una song dove finalmente fa la sua comparsa anche la voce pulita del frontman Dave O'Brien (Lucifero), mentre le chitarre si rincorrono veloci e melodiche. Il suono di una spinetta introduce "Death's Embrace", song melliflua che mi ha ricordato gli olandesi Gandillion e che permette per la prima volta un duetto tra le voci maschili e femminili, mentre la proposta musicale inizia a godere di una spinta maggiore. Meno ambientazioni dark dunque e qualche accelerazione in più all'insegna di suoni più spettrali che possono anche richiamare i Mercyful Fate. Le tracce scivolano via veloci, data anche la loro esigua durata (tra i due e i cinque minuti, con punte di sette) e per il fatto che molte delle 18 song qui incluse fungono semplicemente da interludio acustico o da ponte narrativo tra un pezzo e l'altro. Quando guardo il lettore alla fine della lunga e goticheggiante "Trial by Air" (scuola primi Tristania e mia song preferita), mi ritrovo già a metà del disco che di interessante ha ancora da offrire "Trial by Fire" dove compare finalmente anche il growling del vocalist in una song che sembra più un richiamo di una sirena, a cui è stato affiancato un demone malvagio e la successiva "Trial by Water" song dall'incedere malefico e sinistro, seppur possa suonare come una traccia progressive. Si prosegue con "Trial by Earth" e ahimè inizio a soffrire dei primi segni di insofferenza nei confronti della dolce fanciulla alla voce, un po' troppo piatta alla lunga. Poco importa, perché il ritmo qui è a tratti ben più vivace e guidato dalle vocals maschili. Ancora un paio di intermezzi che coniugano la musica classica con un feeling orrorifico e poi "Return to the Garden", song che vorrei ricordare più per la sua teatrale cavalcata che altro. Mi sa tanto che alla fine 18 brani siano un bel mattone da digerire (quasi 70 minuti di musica) e complice una minor fluidità nella proposta del combo oceanico, inizio ad auspicare fortemente la conclusione del lavoro che giunge con "Exeunt" che mette la parola fine a questo primo concept album degli australiani Mekigah, ma sancisce le ottime qualità di questi ragazzi, dei loro angeli e demoni. (Francesco Scarci)

(Self - 2010)
Voto: 70

domenica 29 giugno 2014

North - Metanoia

#PER CHI AMA: Post Sludge, Rosetta, Isis, Cult of Luna
Questa recensione è assolutamente dovuta, in quanto Zach, il batterista dei North, mi ha permesso di recuperare sei cd, che avevo dato per persi, in una storia per cui non mi dilungherò in ulteriori dettagli. E allora andiamo a scoprire il sound del terzetto dell'Arizona, un post-metal cupo e feroce, che con il loro ultimo 'Metanoia', mutua qualche influenza dallo stoner e non solo. Si tratta di un EP di quattro pezzi, uscito in vinile, cdr e addirittura cassetta: l'album apre con "Atrabilious", pezzo assai ruvido (come le vocals di Evan) che in un'alternanza di chiaroscuri, o se preferite di partiture soft brutal soft, combina sapientemente gli insegnamenti di scuola Isis e Cult of Luna, con le proprie personali intuizioni. "Nefelibata" parte piano, direi sognante e psichedelica, in cui tutto suona perfetto tranne le vocals un po' fuori posto di Evan, troppo sopra le righe; avrei prediletto infatti una voce meno cattiva e più pulita, che meglio si amalgamasse con lo stile space rock di questo pezzo. Con "Hiraeth" le atmosfere si fanno più tenebrose e ancor più rarefatte: il sound si fa decisamente più lento, quasi doom, e le urla di Evan meglio si stagliano su questa tipologia musicale, in cui le chitarre creano dei giri psicotici e dissonanti. Non è facile l'ascolto di questo disco, meglio sottolinearlo, causa i notevoli cambi di tempo, di ritmo e di atmosfera: quando si parla di manovra fluida in una squadra di calcio, visto il Mondiale che si sta giocando, direi che i North necessiterebbero di una maggiore fluidità. La conclusiva "Master" è un altro pezzo di post metal oscuro, che si dimena pure tra lo sludge e l'hard rock. 'Metanoia' alla fine è un discreto EP di 4 pezzi che merita un vostro ascolto, cosi per farvi un'idea dei nostri e che vi spinge a conoscere altri album forse più interessanti (non me ne vogliano i North), come 'The Great Silence' o 'Siberia'. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 65

https://www.facebook.com/NorthAZ

Hercyn - Magda

#PER CHI AMA: Post Black/Folk, Agalloch, Arbor, Fen
Visto che in Italia nessuno ha considerato gli statunitensi Hercyn, me ne prendo carico io e vi spiego quanto siano bravi questi quattro ragazzi (3 dei quali sembrano avere origini italiane visti i loro cognomi). La band, di stanza in New Jersey, esiste dal 2011 e 'Magda' rappresenta il loro EP di debutto, uscito sul finire del 2013 (ma contenente materiale scritto tra il 2011 e 2012) e rilasciato tra l'altro, in versione acustica nel 2014. Interessante l'esperimento dei nostri nel coniugare tutte le loro influenze in un'unica song, "Magda" appunto. Ventiquattro minuti di sonorità da brividi che in un climax ascendente emozionale, sapranno scaldarvi il cuore. Il brano inizia in modo assai ispirato, un po' come accadde una decina d'anni fa, per 'The Mantle' degli Agalloch. Atmosfere soffuse, giri di chitarra acustico/elettrici da brividi, e piano piano il suon cresce fino a quando una batteria inizia a martellare in modo forsennato e le vocals di Ernest Wawiorko emergono nel proprio stile, uno screaming al vetriolo. Il sound dei nostri si sviluppa poi in realtà su un mid-tempo ragionato, che qualcuno definisce post-black, qualcun'altro cascadian venato di influenze folk: tutte queste definizioni alla fine calzano a pennello per i nostri. La band non si tira certo indietro quando c'è da pestare sull'acceleratore (la parte centrale della song ne è un esempio), ma il tutto viene edulcorato dall'eccellente lavoro fatto dalle chitarre che dipingono decadenti paesaggi autunnali, con le loro splendide melodie. Ancora una volta ripenso a 'The Mantle' (per me il miglior disco degli Agalloch), ma anche agli inglesi Fen o agli Arbor di Portland. Tuttavia non manca una personale visione da parte degli Hercyn, band dotata di grande carisma e intelligenza, che mi sentirei di suggerire a etichette nostrane (Aural ad esempio). Interessanti poi le visioni psichedeliche, palesate dall'ensemble di Jersey City, sul finire del brano, che mostrano l'ecletticità dei 4 americani. I margini di miglioramento per la band sono assai ampi e il voto ribassato di mezzo punto, rispecchia la fiducia e l'aspettativa che conservo nel sentire un nuovo full lenght dotato di una bellezza infinita. (Francesco Scarci)

(Self - 2013)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Hercyn

sabato 28 giugno 2014

Vastum - Patricidal Lust

#FOR FANS OF: Doom/Death Metal, Lie in Ruins, Vallenfyre
With only six tracks at roughly over a half hour total, this second release from Bay Area Doom/Death newcomers Vastum is about as old-school as it gets. Churning with those heavy, sprawling Doom-laden guitar rhythms that slowly boil over the pounding, heavy drumming and loud, clanking bass-lines, there’s a rather impressive old-school sound that runs throughout the album. While the band can impart a speed to the riffs that makes this approach even deadlier, what really works for them is the fact that they’re so sprawling heavy that the slower tempos and enlarged running time for many of these pieces, since the shortest running time is just a shade under five minutes, allows the compositions time to stew in their dirty, heavy flavor a longer amount of time than most normal old-school Death Metal bands and gives the Doom influence a lot of time to breathe in the action. The heavier, chug-based patterns these employ are more for atmosphere than tempo, as they’re not that fast at all but instead supplement the few speedsters in here with a fluid riffing style that’s absolutely infectious and really makes the question as to why they’re not employed more as they certainly fit the atmosphere quite well but are clearly not as well-versed in the band’s style that they’re more at home on the slower stuff so the competency is certainly there but not put in quite as often as they should’ve been. While all this deep, thumping Doom Metal is going on, the most overt Death Metal influence here is actually the cavernous vocals on display, which are shockingly deep and hoarse and give that extra special touch to the material in helping to cross the boundaries quite well, and overall this provides a pretty decent mixture since it sounds dark and evil against the heavier riffing and sprawling tempos. Surprisingly, the quickness of it works for and against the record at the same time, seemingly set in the bands’ craft and offering some quality songs in a brief, impacting stance that never really gets a chance to instill boredom or restlessness, but yet never gives off a full-length release feel because it’s length is so short due to the limited number of tracks. Intro "Libidinal Spring" is pretty much the standard bearer for what to expect here, with heavy riffs, chugging rhythms and that old-school ‘cavernous’ approach to the vocals that so many modern bands employ, just wrapped up with slower, sprawling tempos and less impact from the Death-ier side of the coin. "Enigma of Disgust" and "Incel" are both pure crawling, epic Doom Metal with Death Metal growls, the former working well with the deeper growls that permeate the first half as the darkened atmosphere and deep vocals mix well together before picking up speed in the later half that really helps to save it from mediocrity while the former gets a little quicker tempo and more time to work in some heavier mid-tempo chugging and psychedelic-like soloing in the later half, therefore being the better of the two. Certainly the first single off this, "3AM in Agony" carries the faster tempos quite well with more intense rhythms and tighter chugging for a faster, more vicious attack than the previous entries but certainly has the toughness and overall heavy riffs to stand against the more Doom-influenced material before it. The churning title track comes close to the speedier side while offering plenty of rumbling bass-lines and heavy, chugging riffs but doesn’t match the power or impact of the previous efforts here despite all the signs displaying a quality track otherwise. The epic finale, "Repulsive Arousal," offers some impressive speed riffing among the heavy, churning drumming and deep, rumbling bass-lines and switches tempos quite well, making for a rather impressive and imposing finale that gets this off with a flurry and ends on a real high note. Overall, this is most assuredly a crushing release with a lot to like but probably could’ve used another track or two to keep from feeling like a stop-gap release or an EP due to the length. (Don Anelli)

(20 Buck Spin - 2013)
Score: 85

Humulus - S/t

#PER CHI AMA: Heavy Stoner Doom
Ho ascoltato gli Humulus per la prima volta grazie alla 'Desert Sound Compilation' e devo dire che mi avevano colpito positivamente. Poi li ho visti in concerto all'E20 di Montecchio, come opening act dei Corrosion of Conformity, uno dei concerti più deliranti di quest'anno dove hanno confermato l'idea che mi ero fatto. I tre di Bergamo sono degli assatanati che sprigionano decibel a suon di heavy-stoner-doom, suoni ricchi di basse frequenze e distorsioni fuzz, come insegna la vecchia scuola. Aggiungo io che il trio bergamasco produce anche un'ottima propria birra dal nome omonimo, un binomio perfetto tra due passioni che accomunano molti di noi. Quest'album di debutto è marchiato Godown Records che va ad aggiungere un'altra interessante band al loro rooster, già ben fornito. Tornando alla musica, devo dire che il cd è fedele ai suoni e all'energia sprigionata dagli Humulus sul palco e questo è un punto a suo favore. Album iper elaborati che poi non rispecchiano per nulla il sound della band, hanno ormai stufato la gente e svuotato le tasche dei fan. "The Liar Priest" è un brano classico per il genere, granitico e non troppo veloce. Una bella scarica di adrenalina a livello ritmico e riff come se piovesse. Le doti tecniche della band sono indiscutibili e il brano, che scorre via facilmente, è pure godibile. "Banshee" è sempre basata sui riff di chitarra che guidano la trama del brano, incastrandosi perfettamente con basso e batteria. La struttura è semplice, qualche break per cambiare velocità e riprendere la struttura precedente. Un breve assolo di chitarra (un po' in secondo piano) arricchisce il contenuto e poi si va con l'ultima cavalcata che vi porterà fino alla fine del pezzo. "Humulus" inizia con il basso che detta il tempo a questo brano potente e grezzo, come una pietra che aspetta di diventare preziosa . I synth in sottofondo sono un'ottima idea e avrebbero potuto dare una marcia in più se solo fossero riusciti ad emergere dal muro di suono. Il cantato probabilmente è l'elemento che permette di riconoscere il gruppo dopo pochi secondi di ascolto, ma questo dovrebbe essere possibile anche dalla sezione strumentale. Se si vuole emulare i classici suoni del genere ben venga, ma allora bisogna lavorare sulla composizione dei brani, ritmica, etc. Gli Humulus hanno comunque le carte in regola per crescere e sono sicuro che il prossimo album farà tesoro di tutta l'esperienza che i nostri stanno acquisendo in questo periodo. Molti sono i concerti fatti dal lancio di questo lavoro, e spesso a fianco di vere e proprie icone musicali, quindi quale miglior scuola per dei musicisti che vogliono crescere? Studiare tra una birra e un riff sarà un piacere e non vi nascondo che li invidio. Molto. (Michele Montanari)

(GoDown records - 2012)
Voto: 70

Crypt Of Silence – Beyond Shades

#PER CHI AMA: Death Doom, My Dying Bride, Esoteric
Lode decadente e gloria funerea alla Solitude Productions, al solito direi! Evviva chi sponsorizza e promuove (non sbagliando un colpo se mi permettete il commento) chi propone lavori d’esordio prima di tutto sentiti e pregni di emozioni, non importa quale sia il loro colore. E questo è il caso: gli ucraini Crypt of Silence imbastiscono quattro tracce per quasi 50 minuti di death doom che molto deve a maestri quali My Dying Bride, Esoteric ed in secondo piano Pantheist, ma aggiungerei anche un certo sentore gotico ammiccante ai primi Theatre of Tragedy. Qua non si scherza: un album freddo e pessimista, che canta di vuoto, di assenza di prospettive e desiderio (recondito) di un momento, anche uno solo, di speranza, trattata quasi come un’ombra, un abbaglio sfuggevole che ci perseguita solo per scherno, per beffarci e non farsi afferrare mai. Dal punto di vista musicale, ci si presenta alle orecchie un sound basato sui riffoni portanti delle due chitarre, ripetuti e riverberati, che rappresentano la spina dorsale di ogni pezzo, ben abbelliti da una sezione ritmica cadenzata che non contempla accelerazioni (dimenticatevi doppi pedali e quant’altro) e inserti di basso che spuntano come funghi. Il vocalist (che è pure il bassista) alterna un growl “genuino”e poco effettato (almeno così sembra alle orecchie di chi scrive), a validissime clean vocals. Nonostante la relativa semplicità dei pezzi, la noia non è di casa tra queste note. Da segnalare l’opening track ed il brano conclusivo, vera perla dell’intero album anche solo per la sua intro arpeggiata. Più volte si è detto e scritto che in questo genere è molto difficile inventare qualcosa, per sua stessa natura, pertanto spesso quello che si sente non è altro che una rivisitazione della “lezione principale”, girata e sfumata a sentimento di chi si lancia a comporre musica melanconica. Sarà anche così, ma ben venga aggiungere sfumature e toni di grigio alla tavolozza ostica e meravigliosa della musica del destino. Molto bene ragazzi. (Filippo Zanotti)

(Solitude Productions - 2014)
Voto: 75