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martedì 10 giugno 2014

Dormant Ordeal – It Rains, It Pours

#PER CHI AMA: Death Metal, Meshuggah, Exhumed
I Dormant Ordeal sono una band polacca di notevole caratura tecnica che sapientemente coniuga il suono sanguigno e reale, stile ultimi Sepultura, con influenze estreme a la Meshuggah, Exhumed e Mostrosity. L'album si distingue per la freschezza di esecuzione e un'abile fluidità nella scrittura dei brani, che lo rende veramente appetibile. L'ascolto è naturale, i suoni ben calibrati e ricercati per mediare tra i fans troppo esigenti dei Meshuggah e quelli più esplosivi di band come gli Exhumed, contemplando anche quel tocco di sano classicismo che tutt'ora Sepultura o Napalm Death, con tanto orgoglio a distanza di anni, si portano a presso (ovviamente il riferimento sta nell'alta qualità della proposta musicale intrinseca di 'It Rains, It Pours'). Artwork di copertina di elevata e raffinata bellezza, lontano dagli stereotipi del genere che potrebbe richiamare il malinconico mondo dei Katatonia; dodici brani in quarantadue minuti di musica d'alto livello. Death metal il loro, compresso ed efficace, con tutte le carte in regola per entrare nelle grazie degli amanti del genere; la band costruisce brani memorabili, violenti ed estremamente fruibili, carichi d'energia con estratti cyber-futuristi degni della suddetta mitica band svedese ma senza calcare troppo la mano sul tecnicismo fine a se stesso, anzi relegando la tecnica al servizio della buona riuscita del brano. Tutti i pezzi interagiscono tra loro creando insieme una trama che dona all'intero lavoro una solida omogeneità. Il sound si rivela caldo, avvolgente, saturo e claustrofobico quanto basta, sorprendentemente additivato con uno stile “diretto”, tanto “orecchiabile” quanto ricercato e potente, di ottima fattura con richiami deathcore cari agli Agoraphobic Nosebleed, con una batteria magistrale e ritmiche veloci mozzafiato, un cantato in perfetta sintonia e un'equalizzazione dei suoni che mette tutti e tutto al posto giusto (il doppio gancio, "The Sinless", "Your Mother – Slave", ne sono un buon esempio). Alla fine soddisfatti e triturati, siamo in grado di emettere un verdetto finale...se cercate una seria risposta underground al mainstream omologato, questo è il disco che fa per voi! (Bob Stoner)

(Self - 2013)
Voto: 80

domenica 8 giugno 2014

Ennui - The Last Way

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Mi sembra quasi di capire che il funeral doom al giorno d'oggi sia una questione lasciata principalmente alla Russia e a tutte le nazioni che costituiscono il CSI, con in testa Ucraina e Biellorussia; da oggi annoveriamo anche la Georgia, da dove arrivano questi Ennui, propinatori di catartiche sonorità funeree. 'The Last Way' è la loro seconda fatica del 2013, uscita per MFL Records (del 2014 invece uno split con gli Aphonic Threnody) che come al solito farà la gioia di coloro che si cibano di atmosfere oscure, soffocanti, lente e mortifere. Chiaro il concetto no, in questo lavoro non avrete modo di vedere alcun bagliore di luce, fin dall'iniziale "Cold Somnolence", lentissima song che musicalmente potremo affiancare al solito nome di riferimento della scena, gli Skepticism. Le ritmiche sono pachidermiche, cosi come il genere impone; le song hanno lunghezze infinite, con l'effetto di stremare i fan con maratone di note decadenti, deprimenti e definitivamente dilanianti. Cosa aspettarsi dalle vocals poi? Catacombali. Ciò che mi esalta invece della band di Tbilisi e che me ne fanno ampiamente apprezzare la proposta, sono le emozionali fughe solistiche dove i nostri scattano splendide fotografia bicolori che amplificano un senso di desolazione, già di per sè assai forte nei solchi di quest'album. Nonostante gli infiniti 15 minuti di "Ennui" non potrete non apprezzare le chitarre che guidano la melodia del brano e insieme alle tastiere di Serj Shengelia, costruiscono una non poco apprezzabile struttura armonica, tale da differenziare la proposta degli Ennui da quella delle altre band funeral. Si prosegue con "A Moment in the Void", ma in cuor mio dopo i 28 minuti delle prime due tracce, un'idea me la sono già fatta. Un'idea che trova confortanti conferme con la terza traccia e le sue splendide lugubre ambientazioni e con gli altri 28 minuti composti da "Loss", song tetra e dal mood straziante e "The Descendant Of Lifeless Rebirth" in cui splendido è il lavoro chitarre/tastiere, che consacrano gli Ennui a mia band funeral preferita. Certo i 77 minuti di questo 'The Last Way' non sono una passeggiata di salute che tutti potranno affrontare, ma mi sento di consigliare quest'album non solo agli adepti adoratori delle tenebre più profonde, ma anche chi questo genere non lo bazzica tutti i giorni. (Francesco Scarci)

(MFL Records - 2013)
Voto: 80

https://www.facebook.com/bandEnnui?ref=hl

sabato 7 giugno 2014

Dol Kruug - Eat Me

#PER CHI AMA: EBM, Industrial, Cyber Electro Grind
Dol Ammad, Dol Theeta e gli ultimi arrivati Dol Kruug (senza scordare anche i Synesthesia) non sono altro che le incarnazioni sonore degli umori di Thanasis Lightbridge, musicista greco di Salonicco, che attraverso la sua label Electronicartmetal Records, dà libero sfogo a tutte le sue caleidoscopiche idee. Veniamo agli ultimi nati, i Dol Kruug e al loro formidabile esempio di come si possa combinare l'elettronica col cyber grind/EBM e rumorismi vari, senza cadere nello scontato o nel già sentito. La cavalcata sonora di 'Eat Me' parte dalla funesta "Game Over Human" che incarna lo spirito malsano di questa release e decreta la fine della nostra razza sulla Terra. Spettrale, malvagia e idiosincratica, la traccia mostra una nuova immagine di Thanasis, fino ad oggi edulcorata dalle sperimentazioni sinfoniche delle altre sue creature. Con questo album invece l'idea è quella di far male con le ritmiche eletro-industrial delle sue tracce, che una dopo l'altra scorrono in questo magmatico effluvio ipersonico. "Mecha Orgy" richiama qualcosa dei Fear Factory, ma molto più ampio è lo spazio ivi riservato per la sperimentazione cibernetica con le vocals del mastermind greco, mai cosi profonde. L'album spacca di brutto e poco spazio (per non dire nullo) viene concesso a momenti più rarefatti. L'EBM regna sovrano in "Obey the Toad" con le sue perturbazioni soniche che destrutturano pericolosamente la mia massa cerebellare. Se poi ascoltate il tutto in cuffia, il risultato di annientare i sempre meno neuroni rimasti, avrà il suo massimo effetto, statene sicuri. Degli ansimi spaventosi aprono "Brain Lab" e poi l'effetto dei suoni che si canalizzano all'interno delle mie orecchie è quello di un esercito di piccoli soldati che, dotati di una mazza ferrata, fanno pulizia prendendo a martellate le cellule del mio meato acustico. L'atmosfera mortifera che si respira ha un che di spaventoso, gli effetti giocano a ping pong passando da un orecchio all'altro, destabilizzando sempre più la mia mente. Urla di donne, suoni provenienti da un rave party in una fabbrica dismessa, vocals suine sono gli ingredienti di questa song e delle successive. Nella title track l'electro sound assume connotati quasi noise, sfondandoci il cranio a suon di EBM e disco space rock. Siamo a metà ascolto e mi sembra di essermi fatto un'endovena delle più potenti droghe psicotrope: l'esercito di piccoli soldati non è più nelle mie orecchie, ma me lo vedo danzare davanti agli occhi, ormai stordito dal vodooo sonoro che si è inventato il buon Thanasis. Che diavolo ti sei fumato per concepire questo lavoro? Vado avanti, abbandonando la follia degenerativa di "Vo Du Delagua" per farmi accogliere a braccia aperte dalla furia deflagrante di "Psycho Stops For Tea", l'esempio più palese di come si possa suonare grind cibernetico e si rischi di diventare quasi più devastante del mitico 'Scum' dei Napalm Death. 'Eat Me' è un'arma pericolosa, da maneggiare con cura, un album concepito da alieni tant'è che "Alien Butcher Doctors" ne rappresenta probabilmente l'inconfutabile prova, un messaggio che lo strumentista di Tessalonica volge verso lo spazio per richiamare forze extraterrestri che invadano il nostro pianeta. Sonorità stile film di Dario Argento per la catacombale "Ex Inferis" e la conclusiva "Sonic Diarrhea" che ci danno il definitivo colpo di grazia targato Dol Kruug. Preparatevi, l'invasione è iniziata e i Dol Kruug (e la gallina finale) ne sono gli infami promotori. (Francesco Scarci)

(Electronicartmetal Records - 2014)
Voto: 80

Alrealon Musique presents – New Sonic Strategies

#PER CHI AMA: Sperimentale, No Wave, Throbbing Gristle, Mark Stewart, AMM, Coil
Immaginate di fondere acid jazz stile Guru Jazzmatazz, la tossica no wave di Andy White and the Contortions, l'avanguardia sperimentale dei primi Throbbing Gristle e John Zorn, le pulsioni industrial hip hop degli Sweet Lizard Illtet, il cosmo sonoro di Alva Noto e AMM, Clock DVA, Mark Stewart in libera uscita dal Pop Group e This Heat. La rumoristica di scuola Einsturzende Neubauten, la world music dei Banco de Gaia, l'elettronica di Fennesz, un pizzico di crossover di Pigface, l'ambient cinematografico dei Borhen and the Club of Gore, Klaus Shulze e Brian Eno, Coil e Psychic Tv, tutti in uno speciale cofanetto pieno di delizie sonore confezionato dalla Alrealon Musique etichetta inglese tra le più attive e interessanti nel panorama sperimentale mondiale. Un forziere di tanti artisti tutti collegati tra loro da visioni sperimentali a 360 gradi senza remore di sorta, una giostra di suoni, umori e stravaganze godibilissima, sedici artisti di grande qualità con un gusto sonoro inimitabile fatto di allucinazioni, deliri, punk, no wave, jazz e sperimentazioni elettroniche d'avanguardia, che differenzia la Alreon Musique da tutto il resto e rende così credibile il suo operato nonostante l'alta vocazione alla psichedelia aliena che contraddistingue queste tracce e questi artisti sperimentatori. Non resta che invitarvi a sedere ed abusare di questo banchetto sonoro, aprire la mente e tracciare nuovi confini e orizzonti. Forse qualcuno potrà dire che alcune cose di questi pezzi sono derivati da sperimentatori (qui sopra citati) più famosi ma l' efficacia di questi brani non sta tanto nella novità o nell'originalità, piuttosto la sua forza sta nella prosecuzione di un verbo oramai dismesso, il creare, nella vera possibilità musicale di accedere ad un mosaico sonoro unico ed incontrollato, libero e sovversivo! Per alimentare la vostra cultura in campo sonico, assaggiate questo capolavoro! Buon appetito! (Bob Stoner)

(Alrealon Musique - 2013)
Voto: 80

Beyond Grace - Monstrous

#PER CHI AMA: Techno Death, Spawn of Possession 
Ricordo da bambino quando mi dovevano fare un'iniezione, i miei genitori mi dicevano "è un piccolo pizzicotto che dura un attimo"; puntualmente sentivo un dolore incredibile che durava si pochi secondi e passava in un lampo. Questo per introdurvi il brevissimo lavoro (13 minuti) degli inglesi Beyond Grace, un attimo di metallico dolore. Si perché 'Monstrous' irrompe nel mio impianto stereo con "The Chronophage", song che selvaggiamente cresce con un tiro assassino, in grado anche di rallentare la sua corsa, sterzare ma ripiantare l'acceleratore a tavoletta e darcene tanto da lasciare un bruciore simile a quello di una siringa piantata là dove non batte il sole. La ritmica tagliente ronza nell'aria come le pale di un elicottero che tagliano l'aria, l'ugola di Andy Walmsley è bella profonda e ben si amalgama con il killer sound dei nostri. Ovviamente quello dei Beyond Grace non è un sound violento tout court; nell'arco dei brani si ritrovano interessanti rallentamenti, fraseggi progressivi che rimandano a mostri sacri come Death o Spawn of Possession, trovando però il tempo di strizzare l'occhiolino anche al death-metalcore. "Inhumanity" è forse la traccia più selvaggia in cui trovano spazio i blast beat, anche se nella sua seconda metà il brano si rivelerà assai più ragionato. Non siamo al cospetto di nulla di innovativo sia chiaro, però l'EP si lascia ascoltare; non saprei quantificarvi però per quanto gli concederò la mia attenzione prima di abbandonarlo nella mia distesa infinita di cd. "Invasive Exotics", chiude in modo dinamitardo questo primo EP dei Beyond Grace, che proprio dei pivelli non sono, visti i trascorsi come Threnody dal 2005 e Bloodguard dal 2011. La traccia parte da una base di matrice brutal death per poi evolvere in un'esplosione caleidoscopica di suoni di scuola Cynic/Atheist che tocca il suo apice in uno splendido ma brevissimo intermezzo acustico, che lascia intravedere le potenzialità del quintetto di Nottingham. Merito di quest'ultima traccia, l'interesse dei nostri è accresciuto parecchio: speriamo ora che mettano un po' da parte la furia brutale fine a se stessa e concentrino maggiormente i propri sforzi alla ricerca di divagazioni più spinte in ambito death fusion. Da seguirne l'evoluzione attentamente. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 65 

Illuminati - The Core

#PER CHI AMA: Fusion Death Metal, Atheist, Cynic, Pestilence
'Testimony of the Ancients', 'Focus', 'Unquestionable Presence', 'The Key' e il nostrano 'Above the Light' rappresentano quanto di più incredibile il fusion death abbia concepito nei primi anni '90 e forse in tutta la storia del metal. Pestilence, Cynic, Atheist, Nocturnus e Sadist hanno costruito le basi per quelle migliaia di band discepoli che si sono poi susseguite nel corso degli anni a venire, ma che ahimè non hanno raggiunto le vette stellari dei primigeni mostri sacri. Quello degli Illuminati è un altro interessante esempio di mimare quelle insuperabili performance e il terzetto di Bucarest lo fa giocandosi una serie di carte ad effetto davvero impressionanti. Della serie "ti piace vincere facile"? Forse. Si perché i nostri abbracciano alcuni degli artisti delle band sopracitate. Patrick Mameli (Pestilence) si palesa al microfono nella opening track, "Please Lose", con la sua bella voce al vetriolo che si erge su un tappeto ritmico elucubrante, fatto di cambi di tempo, incursioni jazz, ritmiche sghembe, fini atmosfere e linee di basso di scuola Cynic/Atheist. Esagerata. Un breve intermezzo (ce ne saranno sei in tutto, alcuni dei quali contraddistinti da un parlato in lingua rumena) e via con "Storm" dove compare Mr. Mike Browning, ex fondatore dei Morbid Angel ma soprattutto batterista e vocalist dei Nocturnus. La song si palesa nuovamente come un incalzare di riffs ricercatissimi ma anche assai affilati, che non lasciano nulla al caso e giocano tra loro, nel tentativo di disorientare e ubriacare l'ignaro ascoltatore. Arriviamo a "Gulliver's Extraordinary Journey" e diamo il benvenuto a Daniel Mongrain (Martyr, Voïvod), in una song che si ispira molto a 'Focus', suonato in una session con gli Exodus ma che nella sua seconda metà gode di un'aura space rock degna degli ultimi Voivod. Increduli? Io rimango basito, non c'è che dire, sbalordito anche nel piacevole susseguirsi di una serie di solos, intermezzi blues/rock/funky a cui farà seguito uno splendido interludio etnico. Giungiamo a "Sea of Consciousness" e due tra i più talentuosi musicisti del globo, Kelly Shaefer e Tony Choy (che un po' tutti ricordano per la loro militanza in Atheist o Pestilence, tra gli altri) esplodono la loro bravura, il primo con una buona performance alla voce, il secondo con un inesplicabile lavoro al basso, in una traccia che sembra rifarsi anche ad 'Elements' degli stessi Atheist, e per una certa tribalità alle percussioni. Progressive, techno death e ritmiche alternative, riescono poi a forgiare un suono incredibile. Con la breve title track, a deliziarci alle voci troviamo Tymon Kruidenier (Exivious, ex-Cynic) in una cavalcata magnetica, mentre con la conclusiva "Domino Spine" è Luc Lemay dei sottovalutati Gorguts a fare da guest star dietro al microfono in quella che probabilmente si rivelerà la traccia più difficile da ascoltare dell'intero album, una song dotata di poca dinamicità e dal mood decisamente più cupo, tipico del sound della band dalla quale Luc arriva; il finale tuttavia è da applausi (ascoltare per credere). Il sorprendente album degli Illuminati finisce qui, o almeno credevo. Si perché a sancire l'impresa di 'The Core', ecco diffondersi nell'aria la cover di "Unquestionable Presence", riletta in modo esemplare da questi straordinari musicisti rumeni. Ma come diavolo è possibile che una simile release sia passata quasi del tutto inosservata ai media (scarsissime le recensioni sul web)? Per chi come me sentiva la mancanza di questo genere di sonorità, rompa gli indugi e si faccia avanti senza paura. Gli altri affianchino ai 5 album citati all'inizio di questa recensione, una copia di 'The Core'. (Francesco Scarci)

(A & A Records - 2013)
Voto: 85

giovedì 5 giugno 2014

The Pit Tips

Stefano Torregrossa

Wovenhand - Ten Stones
Samsara Blues Experiment - Waiting For The Flood
Down - Part II (EP)
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Don Anelli

Renacer - Espiritu Immortal
Misery Index - The Killing Gods
Savage Messiah - The Fateful Dark
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Francesco Scarci

Skogen - I Doden
Agalloch - The Serpent & the Sphere
Amouth - Awaken
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Alessio Skogen Algiz

Paradigma - Mare Veris
Apotheosis - A Shroud of Belief
Nattvindens Grat - A Bard's Tale
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Kent

Atlantis - Omens
Massive Attack - Blue Lines
Dementia Senex - Heartworm
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Claudio Catena

Spatial - Silence
Alice in Chains - Dirt
Hamferd - Evst
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Michele Montanari

Fu Manchu - Gigantoid
Gozu - The Fury of a Patient Man
Humulus - Humulus

Dead Birds – Dead Birds

#PER CHI AMA: Post-core, Jesus Lizard, Nekropsi, Dag Nasty, Pixies
I Dead Birds sono una band inglese proveniente da Cumbria, che ci presenta il primo lavoro autoprodotto composto da dieci tracce tese e nevrotiche, cariche della tensione che ha fatto emergere band stratosferiche come i Nirvana. Quella carica, selvaggia, incontenibile, che risiedeva nell'album 'Bleach' e che mescolata ad una buona vena psichedelica dava nuova vita ad un genere poco compreso e figlio illegittimo dell'hardcore, il mathcore. Il combo inglese si definisce come molti in questa epoca, post-core ma lo stile canoro variegato, la sonorità scarna e obliqua ricordano alcune cose dei grandissimi Quicksand, certe dei complicati Nekropsi, vagamente la psichedelia garage punk dei Mudhoney (vedi "Pictures"), la follia spaccaossa dei Jesus Lizard e lontanamente i chiaroscuri schizoidi dei Rolo Tomassi ("He's Asexual"). Il legame con 'Bleach' dei Nirvana è dovuto alla tipologia di suono usato dalla band: batteria dinamica sempre in primo piano, voci aggressive e sgangherate, chitarre taglienti e basso pulsante sparato in faccia. Il disco mostra anche delle ottime suite delicate come la bellissima "Bear Hug" dove la band mostra tutto il suo background pop di classe sfiorando apici di liricità vicini ai migliori Beautiful South, apertura del tutto inaspettata, riuscita al 100% che ci fa tanto piacere. Potremmo aggiungere i Dag Nasty e il quadro sarebbe solo in parte completo perché l'alternative punk di questa strana band gode anche di un pizzico di quella irresistibile scanzonata vena che rese splendidi alcuni album dei Pixies (vedi 'Trompe le Monde') e persino echi dei The Clash più dub (nel brano "Through the Trees"). Nessuna pretesa d'innovazione, tanta energia, tanta fantasia nel rimescolare i generi più variegati, e una buona dose di personalità... magari non sfonderanno le classifiche di vendita ma lo spirito c'è e questo ci basta per amarli così come sono. Disco consigliato! (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 75

Halter - Omnipresence of Rat Race

#PER CHI AMA: Death/Doom 
Prodotti dalla ormai nota MFL records, gli Halter danno alle stampe questo cd dalle fortissime tonalità oscure; i ritmi rallentati e le voci gutturali rendono l'album estremamente cupo e tetro, adatto essenzialmente ad un ascolto attento e non “di sottofondo”. Le 5 tracce che compongono il cd fanno subito intendere che le lunghezze delle tracce sia notevole, ed infatti non si scende mai sotto i 6 minuti, con punte massime per la traccia finale di 12 minuti. Doom, doom e poi doom allo stato puro, poche le divagazioni, anche se la tipologia di vocals e il suono delle chitarre rimanda a canoni del death metal; i suoni puliti e non impastati rendono la fruibilità del lavoro più gradevole per quello che ci si può aspettare da un monolite del genere. Riffoni pesantissimi e di scuola Iommi pervadono le intere composizioni, un drumming soffocante e buone linee di basso sono capaci di creare atmosfere sulfuree, ma pienamente godibili. Servono più ascolti per comprendere appieno le qualità del cd che alla fine non delude affatto; le canzoni sono ben strutturate, anche se a mio parere, una durata inferiore di tutto l'insieme avrebbe giovato soprattutto all'ascoltatore, che deve resistere fino alla fine, evitando la tentazione di skippare in qualche occasione. Nota di demerito per non aver indicato nel booklet i componenti del gruppo, anche se non mancano i rimandi alla loro pagina myspace. I testi, stampati in giallo su sfondo marrone e giallo rischiano di farvi vivere un'esperienza lisergica, davvero troppo difficili da leggere. Ma ribadisco, la musica alla fine si rivela di buona qualità: non posso fare a meno di citare le interessanti “Of the Part of Herd” e “Graves are not Full” e la fin troppo "Sabbathiana" (non un difetto intendiamoci...) “Autumn Night”. Senza dubbio avrei preferito delle vocals un po' più pulite su questo letto di note, poiché questo tipo di growling estremo rischia di appesantire ancora di più una situazione sonora che di leggero ha davvero poco... comunque gli Halter avranno tutto il tempo per sperimentare nuove strade o per affinare le loro già presenti abilità musicali e compositive. Siamo già su livelli piuttosto alti e per quello che mi riguarda al momento, basta quello che si può ascoltare in questo 'Omnipresence of Rat Race', senza ombra di dubbio. (Claudio Catena)

(MFL Records - 2013)
Voto: 70