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mercoledì 5 dicembre 2012

Inborn Suffering - Wordless Hope

#PER CHI AMA: Death/Doom, primi Anathema
Li avevamo saggiati quasi un paio di mesi fa, in occasione dell’uscita del loro secondo album, "Regression To Nothingness"; ora facciamo un piccolo passo indietro, andando a pescare quello che è invece il loro vero e proprio debut album, datato 2005, ma rilasciato anch’esso nel 2012, sempre dalla Solitude Productions. La proposta? Decisamente non si discosta granché da quella che è la nuova produzione dell’act francese, andando tranquillamente a pescare da quelli che sono i dogmi del death doom britannico, identificando però negli Anathema di “The Silent Enigma” (il capolavoro death doom gothic, per eccellenza), il loro punto di riferimento. Il riffing è corposo a livello chitarristico, le vocals, ottime, passano dal sofferente/parlato al growling catacombale; l’utilizzo del violino, come sempre poi, è in grado di conferire quel consueto tocco straziante all’album. Questi in definitiva gli ingredienti qui presenti e tipici del genere; a questi si aggiunga anche l’estenuante durata dei pezzi, impegnativo sin dagli abbondanti 11 minuti della opening track, “This is Who We Are”, da cui si evince immediatamente l’amore dei nostri per i gods inglesi, per cui si passa dalla malinconia stillata dalla traccia omonima alle atmosfere depressive di “Monolith”. Tutte tracce interessanti per carità, anche se rappresentano un riverbero di quanto già sentito negli anni ’90; “Wordless Hope” manca di un qualche sussulto che consenta di porre una maggiore messa a fuoco durante il suo ascolto. Non credo che l’inserto di una angelica voce femminile in “Thorn of Deceit” in un contesto quasi esclusivamente death, possa cambiare le sorti di un album, che ricordo comunque essere stato concepito nel 2005. Che altro dire: se avete amato gli Anathema degli esordi e siete sostenitori della corrente death doom attuale (Draconian, Saturnus), date pure una chance a questo “Wordless Hope”. Peccato solo che il combo abbia appena pensato di separarsi... (Francesco Scarci)

domenica 2 dicembre 2012

Netra - Sørbyen

#PER CHI AMA: Suoni molto sperimentali
A molti di voi il nome Netra non dirà nulla, a me invece dice tanto, e per questo infatti li attendevo al varco con la loro seconda fatica, sempre targata Hypnotic Dirge Records. La one band band francese si ripropone con un imponente lavoro di ben 70 minuti, che li per li mi ha lasciato decisamente spiazzato, per i suoi contenuti. Devo essere sincero al primo, forse al secondo, ma anche al terzo ascolto, mi sono sentito deluso dalla nuova performance di monsieur Netra, vuoi per dei suoni troppo freddi che non ne risaltano quel giusto calore che una release di questo tipo dovrebbe emanare, vuoi anche per un suono delle chitarre un po’ troppo lineare. Al quarto ascolto però qualcosa è straordinariamente mutato nella mia testa, e il pianoforte che apre “A Dance with the Asphalt” ha iniziato a minacciare la mia tempra morale e indurmi a rivedere il voto di questo sorprendente “Sørbyen”. “Mélancolie Urbaine” è ormai un ricordo lontano, mettetelo da parte; “Sørbyen” è un sussulto continuo emozionale che dalla delicata apertura della opening track, che ben presto si tradurrà in una cavalcata black (Burzum style) con tanto di urla belluine, si passa alla successiva psichedelica “Crawling”, che sembra provenire piuttosto da un album degli ultimi Muse. Si, ecco immagino di avervi già disorientato, e non poco, perché è la stessa sensazione che ha lasciato a me. Vocalizzi puliti su una base di synth e batteria, prima che una chitarra funambolica prenda il sopravvento e induca la mia pelle d’oca a sollevarsi di due dita. Peccato solo per questa maledetta pastosa produzione, che manca decisamente di pulizia nei suoni. Poco male, posso anche soprassedere; intanto parte la quasi catacombale e strumentale title track e l’impressione è di aver già ascoltato tre brani di altrettante band che giungono da panorami differenti. Divertente no? Ancor di più quando un killer riff apre, accompagnando il rutilante incedere di un drumming impazzito, la quarta traccia, “A Kill for a Hug”, che puntualmente evolve nel modo più inatteso possibile, andando ad esplorare per un minuto i territori trip-hop del precedente lavoro, per poi scatenarsi in un impetuoso turbinio evocativo di suoni, luci, pensieri e colori che mi fanno finalmente realizzare. Eccoli i veri Netra, quelli che ho apprezzato enormemente due anni fa: e quindi, per quale motivo stupirsi se nei solchi di questo cd possiamo imbatterci nel black metal in stile norvegese, o in un elettro sound; che sciocco spaventarmi di fronte al “tump tump tump” tribale del trip-hop o a deliranti giri psichedelici di pink floydiana memoria (“Emlazh”), epici scenari innevati (“Streetlamp Obsession”), song strumentali, divagazioni di matrice jazzistica, vere pop dance song o ninne nanne? Non siate ottusi neppure se accanto alle lancinanti urla del mastermind transalpino su una base romantico/malinconica/drum’n bass, potete trovare vocals soffuse, recitate o pulite, piazzate magari su epiche galoppate o drappeggi di suicial depressive black metal. Ancora una volta, questi sono i Netra e vi intimo di farne presto ascolto, potreste scoprire nuove forme di musica che pensavate non potessero esistere o addirittura potrebbero dischiudersi le porte del paradiso… o dell’inferno. (Francesco Scarci) 

(Hypnotic Dirge Records)
Voto: 80

Embrace Of Silence - Leaving the Place Forgotten by God

#PER CHI AMA: Death/Doom, Runemagick
Insomma, insomma… Gli ucraini Embrace Of Silence debuttano con questo album che porta il prolisso e alquanto banale nome di "Leaving the Place Forgotten by God", accompagnati da un artwork assolutamente anonimo e scontato. Un death/doom senza troppe pretese, una durata accettabile (e non come i compagni d'etichetta Graveflower, il quale intento era uccidere l'ascoltatore con un full length con il doppio del tempo) ed un approccio classico al genere, senza cadere troppo nella “goticità” made in UK, che viene sapientemente elusa, sostituendo i consueti archi con un organo e tralasciando completamente le voci pulite. Il disco non presenta particolari falle o momenti di vuoto compositivo, ma nemmeno cosi tante parti di eccelsa ispirazione o di svolte eclatanti; la produzione è buona e tende a sopprimere l'atmosfera dell’opera. Una calma piatta, alla fine, regna sovrana per tutto il trascorrere dell'album e la musica scivola via senza richiamare la benché minima attenzione, sostanzialmente un piacevole sottofondo per la vita quotidiana. Per fortuna troviamo anche degli interessanti cambi di tempo come in "Way to Salvation" con una voce che tenta il più possibile di uscire da un approccio monocorde che oramai risulta essere standardizzato tra i complessi estremi. Per concludere, questo debut finisce per propinare sempre la solita solfa di questa nuova ondata doom estrema; speriamo solo che ci sia un pizzico di voglia di migliorare… (Kent)

(Solitude Productions)
Voto: 55

http://embraceofsilence.bandcamp.com/

Placid Art - Rainbow Destruction Process


#PER CHI AMA: Melodic Death, Gothic/Doom, Draconian
Vi dirò che più di una volta ho storto il naso ascoltando questo disco. Sembrava mancare sempre qualcosa in quello che rappresenta il debut album dei Placid Art, band originaria del Montenegro. Più che death/doom, “Rainbow Destruction Process” lo si può classificare come un death metal rallentato con strutture compositive assai melodiche. Certe parti mi hanno catturato fortemente come "Wrath of the Sun" (traccia che reputo la migliore del disco) o la title track, mentre altre mi hanno fatto sorgere numerosi dubbi sul perché stessi ascoltando codesta musica. Tuttavia, nel complesso, questa prima fatica dei Placid Art si presenta come un lavoro molto semplice ma caratterizzato da vari picchi di buona musica. Notabili sono alcuni fraseggi chitarristici e la, a mio parere perfetta e molto emotiva, voce di Sonja, che va a contrapporsi con la voce in growl di Nikola. Le composizioni sono aggraziate dall'inserimento di vari strumenti classici e da armonizzazioni prevedibili ma efficaci, il mixaggio è molto buono perché consente di percepire tutte le differenti tracce degli strumenti anche se avrei qualcosa da ridire riguardo i suoni delle chitarre, mentre mi sento di dover soffermarmi obbligatoriamente sulla performance vocale di Nikola: il suo growling infatti non riesce a svolgere appieno il suo compito, piuttosto di offrire una prestazione a tratti ancora cosi inesperta, avrei preferito nettamente una voce pulita maschile, cosa alquanto inusuale e a mio impressione alquanto accattivante. C’è decisamente ancora molto su cui lavorare, ma le premesse sembrano piuttosto buone. Placid Art, il nuovo nome da scrivervi sul vostro taccuino. (Kent)

sabato 1 dicembre 2012

Bestia - Ronkade Parved

#PER CHI AMA: Black Pagano, Darkthrone, Solefald, Primordial, Atanatos, Bal Sagoth
La band estone ci ha inviato questo lavoro dal titolo “Ronkade Parved” (purtroppo una promotional copy dove alcuni pezzi sono sfumati ed incompleti) che tradotto significa “Stormi di Corvi” ed è stato concepito nel 2009. Diciamo subito che dopo il suddetto album i Bestia hanno dato alle stampe un dvd e due split cd e che questa band, attiva sin dal 2000, ha pubblicato tra full lenght, demo, split e dvd, una decina di lavori (complimenti per la creatività costante!), più o meno uno per ogni anno della loro esistenza fino al 2010. Il cantato è in estone e almeno per noi non di facile comprensione e ci affidiamo ai titoli tradotti in inglese sulla copia promozionale che ci è pervenuta. L'estone non è una lingua molto dolce e si sente soprattutto nelle parti narrate e parlate dell'album. I Bestia suonano un black dallo stile classico ma supportato da una più che ottima produzione, da cui affiorano all'ascolto, numerose sfumature con evoluzioni stilistiche inusuali che potrebbero ricordare il modo di intendere e sperimentare nel genere di gruppi quali Ihsahn o Solefald. Sparsi tra riff veloci, growls, screaming e voci narranti/epico/teatrali si nota la presenza di un sax baritono (peraltro un azzardo riuscitissimo che sfiora l'idea geniale! peccato non sia presente in pianta stabile nella loro musica!), un violino, un flauto, dei synth e cori guerrieri, che a volte, inaspettatamente, emergono, conferendo alla musica un piacevole ascolto a sorpresa, nonché una marcia in più per affondare la lama in fatto d'atmosfera, donando al lavoro una leggera freschezza, una visione d'avanguardia pregevole ed una ricerca rivolta all'originalità. Questo lavoro è caratterizzato da un forte impatto di “virilità” musicale, un costante martellamento ritmico e un equilibrio di suoni pregevole. Una voce protagonista e ben dosata, in giusta causa padrona della scena, che ricorda non per stile o somiglianza ma per attitudine e personalità, le epiche interpretazioni del cantante dei Bal Sagoth. La band si definisce pagan metal e dalla copertina (che mostra un cavaliere templare in battaglia) e dai titoli tradotti, intuiamo temi antichi e guerrafondai, ben interpretati da un cantato molto suggestivo e drammatico, proiettati a ragione, verso le gesta belliche di guerrieri ed eroi oscuri. Il suono pesante e pregno di sensazioni lugubri ed impantanate, si esprime al meglio nelle parti più lente non rifiutando la velocità; i nostri poi hanno una propensione alla teatralità ben calibrata, che risulta grazie a chitarre tutt'altro che zanzaresche, bensì assai energiche. Un po' Darkthrone, una spruzzatina di Primordial, qualcosa di epico stile Atanatos, e velatamente primi Celtic Frost, i Bestia si muovono molto bene e con originalità, affilando i colpi con tutte le armi in loro possesso. Aspettiamoci allora una nuova battaglia! Il nostro brano preferito è “Malestus Hustutab Leegi” con quel magnifico sax e tutti quei cambi di tempo... un album notevole! (Bob Stoner)

(Hexenreich Records)
Voto: 75

http://bestia.pimeduse.org/

Penthagon - Penthagon

#PER CHI AMA: Thrash, Speed
Dice: Alberto, ma a te non va mai bene quasi nessun disco, c’avrai mica la puzza la naso? Sarai mica uno dei quei criticoni mai contenti? Oddio, volete fare un album che mi piaccia? Non saprei dirvi perché dovreste, nel caso potete prendere tranquillamente spunto da questo esordio dei bresciani Penthagon. Il gruppo nasce nel 2008 e, cresciuti a pane e metal statunitense, ci scodellano la loro prima fatica: a me è piaciuta. Un lavoro che definirei di un thrash compatto e diretto, non troppo ricercato o barocco, ma con quella giusta dose di varietà (ora più verso lo speed, ora più verso l’heavy) che serve a non rendere noioso l’ascolto. Molto azzeccati i riff al rasoio delle chitarre, notevole la parte ritmica sempre con un buon equilibrio. Il singer Marco Spagnuolo è la caratteristica più notevole dell’ensemble. Una voce dirompente, particolarmente duttile che si esprime in tutta la sua ampiezza, sebbene non sempre con risultati del tutto convincenti. Tra le canzoni indicherei “Labyrinth of Fire” e “Shine Like the Sun” come le meglio riuscite. Come non citare la cover finale di “Innuendo” dei Queen; i nostri rimaneggiano il classico (classico? oddio sono vecchio!) in maniera originale. Il cantante riesce a portare la sua performance su di un binario tale da evitare confronti col compianto Freddy Mercury. Una pecca del ciddì la si trova nella produzione non particolarmente pulita, che nasconde purtroppo la bontà del prodotto. Un vero peccato per un disco d’esordio, dove tutto dovrebbe essere al massimo per scuotere il globo terraqueo. Consiglierei anche di asciugare un pochino le song, più brevi credo guadagnerebbero in potenza. Aspetto fiducioso i Penthagon al varco con la loro prossima fatica. Ecco, come vedete non è che serva poi molto per fare un ellepì che mi piaccia... no aspettate, sono davvero un criticone incontentabile. (Alberto Merlotti)

(Punishment 18)
Voto 70

http://www.penthagon.net/

Dødsengel - Imperator

#PER CHI AMA: Orthodox Black Metal
Proporsi nel 2012 con un doppio album di black metal ortodosso potrebbe sembrare un’impresa commerciale destinata a fallire. Un suicidio, se con doppio album si intendono 150 minuti di caos e devastazione. Ma cosa può fregare ai Dødsengel dei riscontri di vendita? Si suppone nulla, dal momento che certi eccessi musicali non vengono certo espressi per ottenere un consenso di pubblico monetizzabile. Eppure, quando il caos ci appare così perfettamente decodificabile nella sua incoerenza, il risultato può essere affascinante. Tanto affascinante che questo doppio “mattone” di estremismo sonoro è andato esaurito in pochi mesi dalla sua pubblicazione e questo è confortante, perché significa che nel sottosuolo della musica oscura le regole di mercato non sono poi così prevedibili e c’è ancora spazio per un album di grande valore come “Imperator”. Se complice di questo sold-out può essere stata una tiratura insufficiente o un’appetitosa confezione destinata ai collezionisti, ciò non è rilevante. Quel che davvero importa è che le 22 composizioni del duo norvegese fanno rabbrividire. Per la loro energia, per la loro oscurità, per la loro ferocia. Il segreto per apprezzarle sta nell’abbandonarsi ad un ascolto casuale, senza avere la pretesa di rispettare diligentemente l’ordine effettivo della scaletta. L’approccio canonico potrebbe, infatti, risultare oggettivamente difficoltoso e fiaccare ancor prima di aver scovato gli episodi più singolari dell’album, rappresentati da interi brani dal taglio sperimentale o da estemporanei passaggi d’atmosfera di una bellezza che lascia sbigottiti. Partire ad esempio dalla sesta traccia, “Holy Metamorphosis”, può essere una buona idea per perdersi immediatamente in una realtà visionaria che sa tanto di vecchia scuola death-doom. Risulta poi facile lasciarsi ammaliare dal cantato femminile in “Apoph-Ra” o dall’intermezzo acustico in “Pneuma: Sidpa Bardo”, ma l’estasi vera giunge solo con l’ipnotica “Hymn to Pan”, che sfiora vette di intensità inesplorate, fondendo potenza e misticismo in più di 11 minuti di esecuzione. L’esoterica introspezione di “Asphyxia”, con il suo tocco malinconico, potrebbe essere l’ultimo respiro concesso prima di un tuffo nelle tumultuose “Sun on Earth” o “No Beginning, No End”, due pericolose immersioni nel vortice della brutalità e della dissonanza. Sulle stesse acque torbide si muovono minacciose anche “Stellar Masturbation”,“Towers of Derinkuyu” e “Upon the Beast She Rideth”, tra litanie infernali e urla laceranti, ma a sorprenderci sono ancora una volta i brani più tetri e cadenzati, come “Ascending Beyond Good and Evil“ e “Attainment”. E in conclusione risulta innegabile come siano proprio questi episodi dal carattere audace e ricercato a saper spezzare magistralmente i numerosi assalti sonori di “Imperator”, elevandone peraltro il valore e rendendo quest’album una creatura ancor più multiforme, imponente e magnificamente inquietante. (Roberto Alba)

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