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venerdì 1 aprile 2011

Drain the Dragon - Demon of my Nights


Quello fra le mie mani è il disco d’esordio dei patavini Drain the Dragon, concentrato dinamitardo di death metalcore. Sapete quanto io non sia un grande estimatore di questo genere perché ormai trovo che le band abbiano ben poco da dire di nuovo in un ambito in cui è già stato scritto e detto tutto il possibile; eppure non so cosa o perché, ma questo lavoro riesce a catturare il mio interesse. Devo ammettere che già la cover artwork del cd rapisce la mia attenzione: il disegno di una bambina (abbastanza inquietante devo dire) circondata da tutti i suoi peggiori incubi notturni (da qui posso dedurre la scelta per il titolo “Demon of my Nights”). La musica, per quanto sia carente di originalità (ma di questo non posso farne una colpa viste le premesse di cui sopra), sorprende per intensità, per la scelta azzeccata di alcune soluzioni inattese e per il buon gusto della melodia. Ribadisco il concetto che nulla di nuovo c’è fra le note di questo lavoro, eppure qualcosa continua a catalizzare la mia attenzione: il quintetto di Padova di sicuro riesce nell’intento di non essere alla fine scontatissimo e questo è già un grosso merito. La musica si lascia ascoltare alla grande, sebbene i nostri non siano dei mostri in fatto di tecnica (un plauso però al batterista va fatto) o non mi piaccia particolarmente il modo di cantare di Bokkia (da rivedere assolutamente) eppure qualcosa di tetro e oscuro nella proposta dei nostri, continua a tenermi incollato a questo maledetto stereo. Tralasciando l’inizio di “Awake the Vengeance”, preso in prestito da “St. Anger” dei Metallica, mi accorgo ben presto che non c’è solo metalcore qui dentro, in “Rise of Madness part 2” affluiscono suoni heavy metal classici, altrove compaiono sonorità death melodiche di stampo svedese e poi ancora palesi riferimenti al Nu-metal americano, senza dimenticare l’aura malinconica che pervade l’intero lavoro, conferendone un alone di mistero che ancora non mi lascia capire perché alla fine mi ritrovo innamorato di questo cd e totalmente spaventato dal mio demone delle notti… Yes, ora ho capito!

(Graves Records)
Voto: 75

Scrimshank - Se Guardi nell'Abisso


Devo essere sincero: mi avvicino sempre con un certo mix di paura, perplessità, talvolta riluttanza ai cd cantati interamente in italiano perché trovo sempre che la nostra lingua ben poco si adatti a sonorità estreme. Con grande piacere però mi lascio lentamente avvinghiare la mente dal lavoro di questi semisconosciuti Scrimshank che fin dall’iniziale “Al Nulla Devoto”, mi colpiscono per l’utilizzo delle vocals, growling (chiarissime nella loro interpretazione) e voci un po’ più pulite. Segue “Ave Oblio” e il risultato non cambia di una virgola, con il sound che viaggia sui binari del thrash death influenzati dai grandi nomi del thrash americano, Testament su tutti, e poi inevitabilmente per un grande fan come me dei mai troppo compianti IN.SI.DIA, ecco rimembrare i fasti del thrash anni ’90 della band bresciana che urlava a squarciagola tutto il proprio dissapore per la società e la chiesa cattolica. Il sound dei nostri certo non potrà impressionare i vecchi fan di questo genere (ne abbiamo sentite davvero di tutti colori in questo genere) e forse tanto meno potrà colpire i fan più giovani troppo presi dalle sonorità metalcore dell’ultima ora. Insomma, mi duole dirlo ma credo che questo cd scivolerà nell’oblio assai velocemente nonostante il thrash si fonda con alcune reminescenze più tipicamente heavy classic. Ecco forse il problema di “Se Guardi nell’Abisso” è di essere uscito con un ritardo di quasi un ventennio dai lavori che hanno reso grande il genere. Peccato davvero, perché se anziché essere il 2010, fosse stato il 1992, questa release avrebbe goduto di grande interesse. Ahimè ormai fuori moda… (Francesco Scarci)

(Quarto Piano Records)
Voto: 65

giovedì 31 marzo 2011

Dominance - Echoes of Human Decay



Della serie “A volte ritornano” hanno fatto la ricomparsa sulle scene, dopo ben 10 anni di silenzio, gli italiani Dominance. Era infatti il 1999 quando i nostri esordirono con “Anthems of Ancient Splendour”, platter di musica estrema(mente) elaborata che raccoglieva influenze provenienti dal gothic, black e death. Nel 2009 quel ricordo nulla esiste più: i Dominance di “Echoes of Human Decay” sono un’altra band, ben più estrema di quella che calcava le scene nello scorso decennio. Diciamo che l’influenza di base per il combo italico, deriva ora dal death brutale di stampo americano, per ciò che concerne ritmiche, vocals ed estremismi sonori. Violenza, brutalità, rabbia contraddistinguono la prima parte dei brani con chitarre monolitiche, vocals cavernose, blast beat a ripetizione e ciò, ahimè, rappresenta il limite del quintetto emiliano, in quanto tutto ciò è già stato scritto e proposto dai grandi act statunitensi, Morbid Angel (“Primordial” è quasi un plagio) e Malevolent Creation, su tutti. Ciò che più mi lascia sorpreso sono invece gli assoli: seppur assai brevi (ed è un vero peccato), sono freschi, melodici, originali, dinamici e l’alternarsi preciso tra le due asce non fa altro che accentuare questo aspetto positivo nella costituzione dei brani; peccato poi tutto acquisti quest’aura di sentito e stra-risentito. Le possibilità di far meglio e ritagliarsi uno spazio all’interno di una scena sempre più satura ci sono tutte, soprattutto se si è dei veterani come i nostri, che ormai sulle scene ci sono da un ventennio. Da risentire! (Francesco Scarci)

(Kolony Records)
Voto: 65

mercoledì 30 marzo 2011

Dewfall - V.I.T.R.I.O.L.


La copertina del cd, il titolo che richiama il debut dei redivivi blacksters statunitensi ABSU e i primi 30 secondi di questo disco, mi hanno fatto presagire di trovarmi tra le mani qualcosa di black epico, ma mai cosi tanto fu sbagliata la mia previsione. I Dewfall infatti propongono un corposo heavy metal, che ha, in alcune sue accelerazioni o nelle growling vocals, la sola componente death. Per il resto, “V.I.T.R.I.O.L.” (acronimo di Visita Interiora Terræ Rectificandoque Invenies Occultum Lapidem) è un calderone di sonorità che rischia di accontentare tutti o forse nessuno. Il lavoro parte con lo speed metal di “Free Entrance to Hell”, dove accanto ai vocalizzi estremi di Valerio Lore, si affiancano quelli melodici (stile primi Helloween) di Matteo Capasso; ecco forse sta proprio qui il problema della band: io, da buon death metallers, che accetta tranquillamente le clean vocals stile Soilwork o In Flames, ho mal sopportato quelle stridule voci (peraltro insopportabili in “Forever Ghost”) che richiamano decisamente il power, ah vade retro!! Quindi chi non tollera questo genere di vocalizzi, smetta subito di leggere la recensione. Gli altri proseguano pure, perché se avete amato alla follia “Keeper of the Seven Keys II” dei già citati Helloween, troverete pane per i vostri denti nelle successive tracce. La musica, muovendosi costantemente su binari speed/thrash, sfoggia eccellenti aperture progressive con delle melodiche rasoiate, passando dalla semiballad “Skeleton’s Rising” a mid-tempos thrasheggianti, nella vena dei mai dimenticati Anacrusis, da epiche ambientazioni a passaggi maideniani. Non so, tecnicamente i ragazzi ci sanno fare, ma c’è qualcosa che non riesco ad accettare nel loro sound e non mi permette di apprezzare appieno questo valido cd. Ci sono ottime idee, si respira un buon feeling, ottime le linee di chitarra, ma purtroppo continuo a detestare l’impostazione vocale di Matteo. Avrei preferito mantenere molto più gli screaming o il growling con qualche inserto pulito qua e là e invece la scelta optata dai quattro giovani secondo me, penalizza non poco, la fetta di ascoltatori che andranno ad ascoltare questo debut cd, perché credo che alla fine né i defenders né i deathster apprezzeranno “V.I.T.R.I.O.L.”, disco alla fine un po’ troppo ruffiano... Sono giovani e presto troveranno la loro strada. (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 65

martedì 22 marzo 2011

Secrecy - Of Love and Sin


Siete in un momento in cui vi sentite contenti o comunque positivi? Avete voglia di ascoltare un po' di metal “leggero”, senza troppo impegno? Allora i Secrecy sono la soluzione che fa per voi. Questa band portoghese, formatasi nel lontano 2001, mescola sonorità rock al love metal tipico degli HIM, rendendo il lavoro di facile e piacevole ascolto. "Last Embrace", la opening track, presenta la voce della tastierista Lisa Amaral aggiunta a quella più greve di Miguel Ribeiro (non credo sia parente del buon Fernando, vocalist dei Moonspell, ma mi informerò), rendendo il tutto meno zuccheroso (dopotutto si parla di love metal, mica altro) e il ritmo ben radicato nella mente (sfido chiunque a non canticchiarla almeno una volta). Le tastiere sono ben presenti, come anche qualche assolo di chitarra: questo mi porta alla mente anche i nuovi Sirenia, ma più leggeri. I temi si incupiscono un po' con "The One that Death Deserves to Find": infatti qui passiamo a trattare la morte (amore e morte d'altro canto vanno a braccetto no?), ma sempre col pensiero fisso all'amata. Il brano si apre con una bel growling accompagnato dalle chitarre (e meno inserti di tastiera). La voce femminile di Lisa è meno accentuata, ma i suoi interventi sostengono egregiamente i toni oscuri di cui si tinge il brano. Con "Don't Leave Me Scarred" si torna ad un sound più rockeggiante e meno gotico, cosi come pure la voce di Ribeiro che torna a farsi pulita (assomigliando a quella di Villie Valo): tutto il brano sembra fatto apposta per accompagnare l'ascoltatore in un viaggio in auto (ammetto di aver pure accelerato durante il suo ritornello), per quanto sia canticchiabile. Nessuna traccia delle female vocals stavolta, ma qualche buon assolo di chitarra si. Con "Shadows Call" ci si muove sempre più in direzione degli HIM (con una somiglianza quasi imbarazzante), parlando ovviamente del fenomeno del momento: vampiri. Niente voci femminili, il cantato maschile si fa più basso ma perfettamente riconoscibile, tocchi di pianoforte per rendere il tutto adatto per il nuovo (o quasi) stile di vita giovanile: gli emo. "The Scarlet Dawn" riprende le medesime atmosfere della precedente senza però scadere nella ripetitività; vocals femminili, suoni campionati che si accompagnano bene alla voce roca. Ancora qualche altra song da canticchiare, qualche ritornello ruffiano e il giochino è fatto. Ultima menzione per "Angel Crimson Tears", a mio avviso progettata per un concerto in quanto sono certa darebbe il meglio di sé sul palco, mentre la folla composta per lo più da ragazzine urlanti inizierebbe a saltellare e strillare. Il ritmo è frenetico, le voci sono urlate, sarei curiosa di vedere quanti rimarrebbero fermi di fronte a questa canzone, senza nemmeno muovere un po' la testa. Solo alla fine dell'album; con "Since You've Gone Away" (ah l'amor perduto...) i nostri lusitani tirano fuori le unghie e dimostrano di poter fare qualcosa che rappresenti il metal vero e proprio! La batteria si fa potente, la ritmica d'accompagnamento e la voce più incazzata... questo brano mi piace proprio, non c'è che dire, cosi come la conclusiva "Another Dimension... with Angels and Demons" che riprendendo il sound della track precedente, presenta toni più mesti e angoscianti, con il ritmo più lento e pesante; persino la voce di Lisa è più triste, il che dà una forte sensazione di smarrimento. Album consigliato agli amanti di questo genere di sonorità, gli altri si tengano alla larga. (Samantha Pigozzo)

(Ethereal Soundworks)
Voto: 65

lunedì 21 marzo 2011

Winter of Life - Mother Madness


Devo ammettere di avere avuto grosse difficoltà a recensire questo “Mother Madness” poiché è assai difficile trovare le parole giuste per farvi capire cosa è racchiuso in questo piccolo gioiellino prodotto dal combo proveniente da Napoli. L’album si apre con i sussurri di "Mattutino", song dal forte sapore progressive, che ha il pregio di mettere subito in grande evidenza le enormi potenzialità di Elia Daniele alla voce, e in genere riesce a mettere in mostra fin da subito la qualità eccelsa della band campana; la song scivola via veloce per lasciare spazio a “Noumena”, che evidenzia le influenze del sestetto e quali influenze: cenni di Novembre nelle linee di chitarra confluiscono nel sound dei nostri, complice forse la registrazione presso i “The Outer Sound Studios” di Giuseppe Orlando; per quanto riguarda l’uso delle vocals invece, mi sono venuti in mente i da poco sciolti Oceans of Sadness. La title track entra in modo esplosivo nelle casse del mio stereo, per poi far posto a delicati tocchi di pianoforte e una ritmica suadente e melodica, mai ruffiana sia ben chiaro, e poi quella voce meravigliosa del buon Elia, capace di sfruttare la sua estesa gamma canora, per essere a suo modo, il migliore strumento dei Winter of Life: struggente, riflessiva, aggressiva quando richiesto, insomma completa ed eccellente. E la musica? Un progressive metal contraddistinto da qualche sfuriata estrema, ma anche capace di divagazioni in territori jazz come proprio nella title track (esperimento già fatto però dai già citati belgi Oceans of Sadness). Ma non solo, perché “witHer” si apre con un basso slappato, preso quasi in prestito da qualche band funky con il vocalist che per un attimo sembra fare il verso ai rapper; ma la musica non tarda ancora una volta a decollare in un crescendo d’emozioni, questa volta grazie al rincorrersi scintillante delle chitarre, immerse nel tepore di soffici ambientazioni e anche dalle guest vocals di Tiziana Palmieri. Quest’album mi ha conquistato e ad ogni suo ascolto (forse sarò già a quota 50 volte e non mi sono ancora stancato), scopro nuovi intriganti particolari che mi inducono ad ascoltarlo nuovamente. Il pregio dei Winter of Life risiede proprio nel proporre musica che nel corso dei pezzi (tutti di una notevole durata), cambia costantemente registro, alternando escursioni in territori vicini al death con ritmiche belle tirate, ad altri momenti in cui magari riemerge l’influenza forte dei Novembre o di altri act della scena progressive tipo Pain of Salvation. Il risultato è un susseguirsi di ottime songs che non tarderanno ad insinuarsi anche nelle vostre teste e farvi sussultare, farvi godere appieno delle idee eccezionali che popolano la mente di questi sei ragazzi. Che piacere avere ascoltato questo “Mother Madness”, che peccato averlo fatto soltanto da poco. Avanti cosi, ora aspetto la riconferma; consigliatissimi! (Francesco Scarci)

(Casket Music)
Voto: 85

domenica 20 marzo 2011

Septic Mind - The Beginning


Se pensate che recensire 3 tracce possa essere una passeggiata, beh non vi siete mai trovati a dover fronteggiare un lavoro come quello dei russi Septic Mind, dove il minutaggio medio si aggira malauguratamente sui 20 minuti, non proprio facili da digerire. Il lungo trittico si apre con la lugubre title track: 20 minuti in cui l’angoscia più profonda si impossessa da subito della nostra anima avvolgendola come una strisciante nebbia potrebbe ingoiare una città. Pesantezza è la parola d’ordine del combo di Tver, che con questo “The Beginning” giunge al secondo lavoro dopo il debutto autoprodotto del 2008, ma non solo la pesantezza la fa da padrone qui perché l’etichette che gli si potrebbero appiccicare sono tra le più disparate se rimaniamo in territori di negatività assoluta: disperazione, tristezza, sconforto totale e autodistruzione sono solo alcuni degli aggettivi affibbiabili a questa affascinante release. Potrei andare avanti aggiungendo claustrofobia, rassegnazione e disorientamento chiudendo qui la mia recensione, perché tale è lo sgomento fomentato dai suoni malsani provenienti dal duo composto da Michael e Alexander. E la Solitude Production, che con queste sonorità ci va giustamente a nozze, ha pensato bene di assoldare l’ennesima band di funeral doom nel suo rooster e rilasciare un album che è destinato a lasciare una breccia solo nel cuore di una ristrettissima ed elitaria schiera di metal fan. Eh si perché le sonorità cosi pachidermiche, ridondanti e ipnotiche contenute in queste tre tracce, sono veramente destinate a pochi intimi. Tuttavia il giudizio per l’act russo, che trae sicuramente ispirazione dal sound degli inglesi Esoteric, è più che positivo. Certo “The Beginning” non è un cd che si può ascoltare ovunque, in macchina è sicuramente sconsigliato a meno che non abbiate tendenze suicide, ma sicuramente se aveste voglia di rilassarvi su un letto con un bel paio di cuffie nelle orecchie, credo che la corposità dei suoni ivi contenuti, possa eccitare non poco le vostre sinapsi cerebrali. Le atmosfere create dai lunghi loop chitarristici del buon Sasha di sicuro turberanno i vostri sonni fin qui tranquilli; la seconda “The Misleading” vi ipnotizzerà con i suoi irrequieti inserti noise (che costituiscono i primi 6 minuti della traccia!!), anche se poi i rimanenti 12 minuti malinconici (per non dire strappa lacrime) non siano quanto più semplice da ascoltare. Del growling profondo di Michael qui troverete un’esigua presenza, quasi a donare un tocco di “sacralità” alla canzone. Capisco perfettamente che sacralità e growling non vadano proprio a braccetto però vi garantisco che in questo contesto la cosa risulta calzante. Con i conclusivi 22 minuti di “The Ones Who Left This World” (Allegria!!!) i lenti cingoli del panzer Septic Mind sono pronti a darci il colpo di grazia. La song è ancora più cupa delle precedenti e dire che pensavo di aver toccato il fondo dell’abisso fin da subito, ma qui i nostri superano se stessi e con suoni che vanno ben oltre alla definizione di funeral, ci ammorbano fino a portarci alla disperazione eterna. Buon lavoro per il sottoscritto, peccato solo sia di difficile fruibilità per tutti, sicuramente un ascolto lo merita per la curiosità di capire di capire se esistono davvero dei limiti nella musica o se, giunti sul fondo del precipizio, dobbiamo essere pronti a scavare… (Francesco Scarci)

(Solitude Productions)
Voto: 70

giovedì 17 marzo 2011

The Battalion - Head Up High


“The Battalion”... li scopro solo con questo loro secondo album: mi pento di non averli incontrati prima. Faccio il bravo, recupero la loro precedente fatica “The Stronghold of Men”, me lo sparo e quindi ripasso al loro ultimo “figlio”. Lo reputo all’altezza, se non migliore del precedente. Un po’ di biografia, giusto per capire un po’ meglio la mia sensazione al primo ascolto. La band si forma a Bergen, nell'estate del 2006, da musicisti di esperienza provenienti da alcuni dei gruppi leggendari della Norvegia: band come Old Funeral, Grimfist, Taake, Borknagar e St. Satan. Ora, se non li avete mai sentiti, secondo me, sarà il caso di informarsi. Chi ne avesse già dimestichezza, probabilmente, si starà facendo, come mi ero fatto io, una certa idea del disco: avete pensato ad un album black o death metal? Anch’io! Ci siamo sbagliati. Già, perché questo ensemble spariglia le carte e ci propone qualcosa di diverso. Un prodotto thrash metal, con fortissime influenze dei Motörhead; da qui la mia sorpresa. Stud Bronson (chitarra e voce), Lust Kilman (chitarra), Colt Kane (basso) e Morden (batteria) ci sbattono subito in faccia “Mind the Step”, una canzone thrash tiratissima. Ecco quello che sentirete per tutto il resto del platter. Undici tracce potenti, veloci, suonate molto bene, spietate nel loro incedere, nel loro ritmo e purtroppo maledettamente uguali tra di loro. Ma è un ciddì che non lascia per nulla indifferenti: trascinante, che nella rabbia mescolata alla tecnica, ha il suo punto di forza. Nulla da dire sulla bravura del quartetto. Chitarre, batteria, basso: tutto notevolmente ben fatto. Troverete anche assoli di chitarra niente male (né troppo lunghi, né troppo corti) e batteria a mille, che mi ha deliziato non poco. Mi lascia tuttavia un po’ perplesso la voce del cantante, troppo monocorde sia come stile sia nella varietà di soluzioni. Ottima infine la produzione: tutto si sente come si dovrebbe. Vi consiglio di soffermarvi maggiormente su “When Death Becomes Dangerous” e su “Bring Out Your Dead”, secondo me le migliori, per via di un certo loro carattere più aggressivo che non si ritrova nelle altre. Dicevo che ritengo le song molto simili ed è questa, alle mie orecchie, la pecca più grave. Però, se in altri casi è fonte di noia, in questo non lo è più di tanto. Le track sono brevi e la loro forte carica fa volare via liscio il disco. Bravi. Sarei molto curioso di vederli dal vivo, ma per ora preparo la crema contro gli strappi al collo, mi risparo “Head Up High” e mi lancio nell’headbanger più sfrenato! (Alberto Merlotti)

(Dark Essence Records)
Voto:80