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domenica 11 ottobre 2020

Cold Lands - In the Light

#PER CHI AMA: Prog/Alt Rock, Riverside, Demians
Grenoble l'ho sempre associata alle Olimpiadi invernali che si tennero nel 1968 e alle deliziose noci provenienti da quell'area. Da oggi potrò collegarla anche alla città di origine di questi Cold Lands, in realtà una one-man-band guidata da tale Alexandre Martorano, sebbene l'ensemble nacque nel 2011 come four-piece. Ora Alex ha preso le redini del progetto e si è circondato di una serie di amici che lo hanno aiutato a completare questo 'In the Light', concentrato di prog rock che strizza l'occhiolino fin dai primi brani, a Porcupine Tree, ma altre influenze verranno fuori nel corso dell'ascolto di questo disco. Dicevo della band di Steven Wilson e soci come punto di riferimento principale per Alex, ma già da "The Liars Prayer" e dalla successiva "My Vision", ci sento anche un che dei Riverside o dei conterranei Demians. Fondamentalmente nel sound dei Cold Lands, si condensano tutti gli elementi del genere: si parte dalle tiepide (ma non troppo) note dell'intro strumentale "The Moon Circle" per arrivare velocemente alle malinconiche melodie della già citata "The Liars Prayer", che apre con la voce dell'artista transalpino in primo piano, proprio a richiamare i suoi colleghi ben più famosi. Di supporto un riffing di tipica matrice prog con il delicato accompagnamento di una seconda chitarra ben più morbida. Ottimo sicuramente il songwriting e tutta l'evoluzione di una song che si candida immediatamente ad essere la mia preferita del lavoro, forse la più diretta ed orecchiabile. Le successive tracce non tradiscono poi le aspettative: "My Vision" ha un coro accattivante e anche una buona porzione solista. "City of Water" è forse troppo morbida per i miei gusti, in quanto il riffing risulta davvero relegato a pochi secondi e tutto si gioca sull'ottimo lavoro vocale di Alexander, in una traccia però dai tratti troppo pop rock. "Cold Lands" strizza ancora l'occhiolino alla band di Mariusz Duda e soci, anche se poi la chitarra, qui ben più rabbiosa, sembra richiamare i Katatonia di 'The Great Cold  Distance'. Il brano è comunque una girandola tra suoni alla Riverside, riverberi di katatonica memoria e giochini in stile A Perfect Circle, giusto per soddisfare un po' tutti i palati avvezzi a sonorità alternative rock, in quello che invece sembra essere il brano più strutturato del disco. Un bell'arpeggio di scuola Opeth apre "Face the Light" ed ecco che si aprono ulterirori strade per il buon Alex, che pescando qua e là nel panorama più intellettuale metal, cerca nuovi proseliti per la propria causa. E mentre la ballad "Waste in the Wind" gioca a fare il verso agli Anathema più intimistici (il tutto ritornerà anche sul finale con "Here You Are"), "I Begin" prosegue sfoggiando una vena depressive rock che stenta però a decollare almeno fino alla 3/4, quando la chitarra di Alex si slancia in un bel riffing in salire. In "The Blues Men" ci sento un che dei primi Klimt 1918, mentre la grande sorpresa arriva da "He's Coming", brano che chiama in causa i The Cure e pure i The Police, in un pezzo di facile presa, forte di un bel ritmo e un ottimo cantato. In chiusura, ecco "The Winged Fog", che colpisce per le armoniche di chitarra che sembrano emulare il suono di un carillon e con la voce sempre melodiosa del bravo frontman in primo piano a completare un lavoro interessante, forse un po' troppo derivativo, ma comunque la perfetta colonna sonora per questo autunno che incombe. (Francesco Scarci)

sabato 10 ottobre 2020

Hyperborean Skies - Severances

#PER CHI AMA: Blackgaze, Agalloch
Altra creatura solista proveniente dagli States, questa volta da Oklahoma City. Si tratta degli Hyperborean Skies, guidati sin dal 2013 dal factotum Ben Stire, un altro che in fatto di progetti vanta anche Black Eyed Children, Annihilating Eden, Drowned Dead e Half-Light. Insomma Ben non riesce certo a stare con le mani in mano e dopo aver pubblicato un Lp nel 2017, un split album con gli Endless Voyage X nel 2018, eccolo tornare quest'anno con un trittico di song a dire che la band è viva e vegeta. Tre brani quindi per questo EP intitolato 'Severances', che apre con "Departing Song", un pezzo che ci introduce al mondo spirituale degli Hyperborean Skies, che apre a facili ed inevitabili accostamenti ad Agalloch e compagnia. Certo non siamo di fronte alla classe della compagine ormai sciolta di Portland, però qualche soluzione interessante nel black mid-tempo del polistrumentista americano ci sarebbe anche. Nulla da far gridare al miracolo però la vena black progressive del mastermind di quest'oggi è quanto meno da apprezzare. Le melodie ancestrali, lo splendido break atmosferico che spezza a metà il brano tra un inizio più tranquillo ed una seconda parte più tirata, lasciano intravedere le buone potenzialità del bravo Ben, capace peraltro di deliziarci con un bell'assolo conclusivo di stampo prog rock. Forse ancor meglio nella seconda "Wistful Wanders (Redux)", dove il latrato scream della voce, lascia posto ad un cantato (non eccelso a dire il vero) più orientato al versante shoegaze, accompagnato anche da una musicalità adeguata, che ci mostra un altro lato della medaglia di questa realtà statunitense. Le malinconiche linee di tremolo picking garantiscono poi un risultato emotivamente coinvolgente che non lascerà del tutto impassibili davanti alla proposta di oggi. Certo, sembra mancare un po' di spinta, una maggiore verve e originalità ma Ben sembra essere sulla strada giusta. Certo "Hold this Light" in chiusura è più un pezzo ambient che nulla aggiunge a quanto fatto finora e forse mi lascia un po' con l'amaro in bocca, in quanto mi aspettavo qualcosina in più anzichè una semplice outro. Attendiamo comunque fiduciosi nuove release in un immediato futuro. (Francesco Scarci)

Perdition Temple - Sacraments of Descension

http://www.secret-face.com/
#FOR FANS OF: Death Metal
This one is reminiscent of their debut, with solid rhythms, production quality, vocals and mixing. The actual leads aren't as top notch as they were on the debut, but the rhythms overshadow that. So this is OK, but it's not going to be as good of a rating on here. The riffs are wholly original and in your face FAST! There isn't a song on here that isn't worthy of some sort of praise, just wish they left out the solos. Gene doesn't seem to be hacking it out 10 years later upon virtue of their first release. But he still came up with sick rhythm guitar-work. That I can respect absolutely. And catchy, too!

The vocals go along well with the music and these riffs are fresh. It's chapter 2 in their book not sure what their previous album was about. They were a 5-piece and was nothing at all like the first and this release. I actually chose not to review that one I'll just leave it alone. Every song on here is good rhythm/vocal wise. The ton of the guitars and the originality of the riffs, PERFECTION, indeed! The music is what stole it for me. Totally awesome riffs! It took a couple of rounds hearing this album before it really sunk in at hit home with me. I enjoyed this album immensely. Truly!

There's nothing bad to say about this release except (as previously mentioned) the lead guitar work. It just got a little sloppy. The rhythms definitely made up for it. Total originality in the respect! It's totally reminiscent of the first album. The tempos and guitar work as well as the vocals bring the listener back to the days where their debut hit home. I would venture to say that this is their 2nd best release to date. It's worth the wait (5 years) because it totally crushes. The music is what stole it for me and the overall sound was definitely there, too. I didn't miss out on anything here.

I would encourage you to take a listen on YouTube this album because it sounds like the first one just a little more polished in the rhythm department. From start to finish the intensity is really high! Fast, brutal, unrelenting and chaotic! They don't miss a beat here! I was taken aback by this band releasing one that sounded like the debut and this one is it! A good progression from their last. Let's just hope next time the leads are a little better. But the songwriting was immensely insurmountable. I few listens to and I don't doubt that you'll be blown away by this blackened death metal devastation! Check it out! (Death8699)


(Hells Headbangers Records - 2020)
Score: 80

https://perditiontemple.bandcamp.com/album/sacraments-of-descension

Centinex - World Declension

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Swedish Death, Carnal Forge
Amici, questo 'World Declension' è una sonora mazzata nei denti. Non c’è infatti un attimo di tregua nell’ascolto di questo disco, se non nei rari breaks utilizzati dalla band. Per il resto, il combo scandinavo, con ormai undici album alle spalle, questo è l'ottavo, più altri svariati EP, ci attacca con un feroce mix di death-thrash metal. L’album è diviso in due capitoli, di cui il primo comprende i primi cinque pezzi, il secondo, i rimanenti quattro. La caratteristica che comunque contraddistingue l’intero lavoro è l’attacco frontale a cui ci sottopongono i Centinex: ritmiche serrate grazie a chitarroni da paura, sostenuti da una batteria ad alto livello tellurico, assoli taglienti come le più affilate lame di rasoio, saltuari breaks che ci danno il tempo di rifiatare giusto quell’attimo prima di massacrarci ancora le orecchie con i loro riff infernali. A tutto questo aggiungiamo anche una produzione cristallina, ben bilanciata, avvenuta nei famosi Black Lounge Studios (Carnal Forge, Scar Symmetry e Katatonia), in grado di esaltare enormemente la potenza di fuoco profusa dai nostri. Nessuna innovazione, nessuna contaminazione, nei solchi di 'World Declension' scorre solo tanto odio e rabbia, senza alcun compromesso. La seconda parte del disco lascia spazio anche al lato più melodico della band: ascoltate, infatti, la magnifica “Synthetic Sin Zero” per capire quanto questi ragazzi, oramai dei veterani, calcando la scena da 30 anni, siano bravi nel coniugare la furia death con le melodie tipiche svedesi. Devastanti. (Francesco Scarci)
 
(Regain Records - 2005)
Voto: 69

giovedì 8 ottobre 2020

Sargatanas Reign - Bloodwork - Techniques of Torture

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death, Morbid Angel, Cephalic Carnage
Altra vecchia uscita di casa Regain Records: si tratta degli svedesi Sargatanas Reign conosciuti inizialmente con il semplice monicker di Sargatanas e dal 2012 evolutisi in Deathquintet (autori peraltro di un pessimo album, ma questa è storia recente). Formatisi nel 1997, dopo le solite tiritere musicali (avvicendamenti vari, demo e cambi stilistici), la band trova il suo giusto assetto e debutta nel 2002 con 'Euthanasia...Last Resort', un album dalle forti reminiscenze alla Morbid Angel e Death. Poi questo 'Bloodwork, Techniques of Torture' che sembra sterzare leggermente il tiro rispetto al passato. Sempre di death metal si parla, però ci sono influenze differenti all’orizzonte, che rendono l’ascolto di questo disco un po’ più complicato. Nonostante il flyer informativo citi Behemoth, Morbid Angel e Deicide come termine di paragone per il quintetto scandinavo, mi sembra di captare suoni provenienti da altri ambiti metal. Echi derivanti dai Cephalic Carnage si mescolano infatti alla follia dei The Dillinger Escape Plan, coniugandosi poi con lo swedish death metal, il techno death dei Death e i morbosi suoni alla Morbid Angel. Il risultato che ne viene fuori è assai interessante e vario, considerata poi l’eccellente tecnica individuale di questi ragazzi e poi per quella capacità di spaziare, alternare più generi nel corso di uno stesso brano, anche se l’ascolto può risultare alla lunga tediante. La produzione non è delle migliori, non venendo esaltati, in modo adeguato, i suoni, soprattutto quello della batteria. Comunque 'Bloodwork' non è un album malvagio e potrebbe anche meritare un vostro ascolto. (Francesco Scarci)
 

mercoledì 7 ottobre 2020

Jack Ellister – Lichtpyramide

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock/Kosmische Musik
Jack Ellister è un artista difficile da catalogare, l'unica cosa che possiamo affermare è che la sua passione per la psichedelia è molto radicata e che le sue composizioni, seppur orientate sempre verso una calma apparente, sono visionarie, appassionate e allucinogene. Certo, non che tutto sia alla portata di tutti, certe composizioni necessitano di un buon background di Kraut rock radicale, kosmische musik, soffice ambient folk dalle tinte calde e colorate ("D.A.E.L." è un buon esempio), elettronica retrò e futurista. 'Lichtpyramide' è il seguito di 'Lichtpyramide 2' uscito qualche mese prima e punta la sua voce nel valore assai sperimentale della sua musica, con brani corti, fraseggi veloci, bozze di idee per un vortice multicolore di poliedricità compositiva. Una morbida colonna sonora acida, minimale ed accompagnata dalla voce narrante di Jack, proveniente da un'altra dimensione, per un'insieme di articolazioni sonore che saranno attrazione solo per i veri ossessionati cultori di psichedelia evoluta ed estrema, nel senso più astratto ed allucinato del termine. Come il trip mentale che attraversa la barrettiana, "You've Only To Say The Word" o il mantra sprigionato dalle note di "Festtagszug" ai confini con i lidi meno ritmati e più ipnotici del debut degli Ash Ra Tempel e di 'In Den Gärten Pharaos' dei Popol Vuh. Anche le sperimentazioni chitarristiche di Manuel Göttsching, come il folk acido dei 60's e lo shoegaze, giocano un certo ruolo nei brani di Ellister, che si conferma un grande conoscitore dei generi fin dagli arbori. Scritto, suonato e registrato in solitudine nel suo Bedroom studio, questo album ha una buonissima qualità sonora ed il formato vinile e digitale porta brani in più e alcune variazioni dalla forma in cd distribuita dalla Tonzonen Records/Fruits de Mer Records. Direi che l'artista londinese con questa ultima uscita, evolve naturalmente il proprio sound, nato dall'amore viscerale per Syd Barrett e portato avanti con caparbia, tenacia, sicurezza e ottime capacità esecutive in una forma decisamente più astratta, tralasciando la forma canzone classica per buttarsi a testa bassa in un calderone di suoni ed esperimenti ipnotici decisamente affascinanti e suggestivi. 'Lichtpyramide' alla fine è un disco interessante e pieno di ottimi spunti, ovviamente per veri e soli amanti della psichedelia più radicale. (Bob Stoner)

(Tonzonen Records/Fruits de Mer Records - 2020)
Voto: 71

https://jackellister.bandcamp.com/album/lichtpyramide-album

Satariel - Hydra

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Melo Death
Bel salto di qualità hanno fatto i Satariel dal loro precedente 'Phobos and Deimos', un album mediocre di death metal melodico che si combinava con black e power metal. 'Hydra' ci riconsegna invece una band più ispirata, con un lavoro dai contenuti abbastanza intriganti. Lasciato perdere il death/black degli esordi, in questo disco ci troviamo di fronte ad un sound che del death ha mantenuto esclusivamente la voce (peraltro solo per alcuni tratti). Il resto è un genere di difficile collocazione, che può essere assimilabile ad un ibrido tra nu metal e death melodico, non disdegnando puntatine in territori alla Nevermore e ultimi Throes of Dawn. Registrato egregiamente ai Dug Out Studios (quelli di Meshuggah, Soilwork e In Flames stessi) e masterizzato ai Cutting Room (Ramnstein, Dimmu Borgir), 'Hydra' è un lavoro che ha un suo fascino: pezzi semplici, lineari e diretti, caratterizzati da ottime vocals, sia growl ma soprattutto quelle pulite, ottimi passaggi melodici e gradevolissimi assoli. I pezzi che più mi hanno colpito sono: “Claw the Clouds” per il suo emozionante assolo finale, “Vengeance is Here” per il suo forte richiamo ai primi In Flames e “The Springrise”, sempre ispirata alla band di Anders Friden e soci, con una nostalgica aura creata dalle tastiere e dal cantato assai malinconico. Se eravate rimasti delusi dai precedenti lavori, è arrivato il momento di dare ai Satariel la chance che si meritano perchè 'Hydra' ha sicuramente da dire la sua, a fronte di idee abbastanza originali, della bravura dei singoli musicisti e alle emozioni che è in grado di generare. Bene così. (Francesco Scarci)

(Regain Records - 2005)
Voto: 75

https://www.facebook.com/satarielband

domenica 4 ottobre 2020

Haissem - Kuhaghan Tyyn

#PER CHI AMA: Prog Black/Death
Gli Haissem sono una one-man-band originaria di Donetsk (Ucraina), il cui leader, Andrey Tollock, è mente anche dei Sunset Forsaken, due entità che sembrano condividere la stessa devozione al death melodico da parte del polistrumentista ucraino. La differenza sostanziale è forse legata al fatto che gli Haissem sono nati come black band, poi evolutasi verso un death black melodico, che vede questo quarto capitolo, 'Kuhaghan Tyyn', l'apice della carriera. Francamente, non conoscevo la band e quando ho ascoltato su bandcamp questo lavoro ne sono rimasto quasi folgorato. Il motivo? Semplice, ho sentito energia, idee, splendide melodie e una verve che non ritrovavo da tempo in un album. "Black Tide Dominion" è una opening track con i fiocchi, muovendosi tra sonorità primigenie stile Katatonia, con tanto di magistrali melodie di chitarra che guidano tutta l'architettura sonora della band, un grande utilizzo di sintetizzatori, urlacci black ma anche clean vocals di scuola Opeth, che si piazzano sulle parti più atmosferiche della song, nel finale per l'esattezza dove compare una porzione d'archi da brividi, a cura della violoncellista Alexandra Zima. Niente male direi, a voi che ve ne pare? "Arcanum" parte decisamente più aggressiva con le chitarre dal piglio più ringhiante, anche se poi troveremo modo di prendere fiato in un bel break atmosferico, in cui vanno a fronteggiarsi chitarra acustica ed elettrica. Poi il sound di Andrey sembra un fiume in piena, in un vorticoso incedere black, soprattutto nel roboante finale dove la ritmica sembra quasi raddoppiarsi. "Aokigahara", il cui nome si rifà alla foresta giapponese tristemente conosciuta per essere teatro di numerosi suicidi, è un pezzo che a livello ritmico miscela efficacemente partiture black con un death melodico, il tutto ovviamente corredato dagli aspri vocalizzi del polistrumentista ucraino e dalle splendide tastiere che ne arrichiscono costantemente la proposta, e che nel corso dei suoi quasi dieci minuti, riesce comunque a cambiare mood una miriade di volte, alternando davvero una sequela di cambi di tempo che mi danno l'idea di aver ascoltato almeno tre pezzi differenti. Non ne parliamo poi dell'ultima "Кuhаҕан Тыын": l'incipit sembra provenire da 'Brave Murder Day' dei Katatonia, poi il sound vira verso sonorità settantiane di scuola Opeth, ma solo per un attimo visto che poi il tutto si fa più ruvido sparandoci in faccia una ritmica annichilente che dura però solo pochi secondi perchè a subentrare questa volta è la voce (non troppo convincente ahimè) di una gentil donzella, alias Alyona Malytsa, che spezza l'ormai ubriacante ritmo, che troverà ancora modo di evolvere una svalangata di volte, quasi a polverizzare gli ultimi neuroni residui nella testa. Insomma, 'Kuhaghan Tyyn' è un album davvero interessante che coniuga alla grande più generi e che mostra quanto ci sia ancora spazio per dire qualcosa in ambito estremo, se si ha personalità e ottime idee. (Francesco Scarci)

Monumentum Damnati - In The Tomb Of A Forgotten King

#PER CHI AMA: Melo Death/Doom, Insomnium
Da zone non meglio identificate del mondo (ho appreso da metal-archives che uno dei membri è originario della Bielorussia, mentre bandcamp riporta le origini al Missouri - USA), ecco arrivare un progetto interessante e inquietante (date un occhio alle loro immagini grottesche sul web) che risponde al nome di Monumentum Damnati, fautori di un death doom melodico a tratti sinfonici. Questo almeno quanto si evince dalla seconda traccia, la prima è un'intro, del loro debut album 'In The Tomb Of A Forgotten King', edito dall'etichetta ucraina GrimmDistribution. Quaranta minuti di musica a disposizione dell'enigmatico sestetto per convincerci della bontà della loro proposta che dicevo, con la seconda "My Bloody JJ", fa capire come i nostri siano interessati a propinarci un sound robusto sorretto da un growling roccioso e da delle keys in sottofondo che accompagnano una ritmica costantemente votata a linee melodiche che per certi versi mi hanno ricordato un mix tra Saturnus e Insomnium. La voce nella terza e drammatica "There's No Place for Life", mi ha evocato un che dei Rotting Christ, mentre il sound prosegue lento nel suo malinconico incedere doomeggiante. L'approccio alla musica della compagine internazione si rivela piuttosto facile da adottare anche laddove la proposta sembra sprofondare nei meandri di un sound più catacombale, come nell'abissale "Anabiosis", altro pezzo doomish che vede la ritmica farsi più grossa e dinamica nella sua seconda parte, con i vocalizzi di Thanatos davvero convincenti e una vena orchestrale che si ritrova a più riprese lungo il pezzo, ma in generale lungo tutta la release: Nella title track sono invece gli echi dei primi Paradise Lost a palesarsi a livello ritmico, in una song che mantiene comunque intatto il marchio di fabbrica della band. È però "Infernal Sun" il pezzo in cui la compagine sembra dare il meglio di sè, combinando death, doom, spettrali melodie e ottime parti atmosferiche. Ancora una manciata di pezzi, con "Falling Snow" a proporre melodici fraseggi death doom che si confermano anche nella successiva "Sleepless Anger", finanche nella conclusiva e strumentale "Exorcist" che va a chiudere un disco onesto, piacevole, che nonostante il genere estremo, a mio avviso potrà essere avvicinato anche da chi non mastica quotidianamente simili sonorità. Insomma, io una chance la darei eccome a Monumentum Damnati, poi fate voi. (Francesco Scarci)

sabato 3 ottobre 2020

Cianide - Unhumanized

#FOR FANS OF: Death Metal
This is a pretty brutal EP, not to say that all of their LP's aren't because they are, just this one due to the production as well as access to the equipment that's desirable for the recording, this one is one monumental piece. The riffs are heavy and thick, the tempos slow (for the most part). And the vocals are hoarse. But anyway, getting to the "nitty-gritty" of the EP, you can say that it's a good use of 25+ minutes of your time, for death metal fans, that is.

As well as Chicago based metal fans, first and foremost. Each song is roughly five minutes in length. Every single one on here just kicks ass. For those guitarists out there, take note of this one. The songs aren't filled with an overabundance of tremolo picking, but a lot of palm muting and chunky chords. The riffs are pretty catchy and innovative. It's a good progression here, that is from their last LP was out. I believe that was 'Gods of Death' way back in 2011. They're a bit aged now, but still doing a good job of making awesome music, brutal as I mentioned. The production quality was probably one of their better ones and the vocals are a little bit lower in pitch. Well thought out EP and unique. This one is tricky to catch on CD.

You can get a listen to this on YouTube for an evaluation first. I think that one thing that mainly drew me in to this particular EP is the fact that it's very catchy. The riffs are unique and intriguing to listen to, their sound is still there, mainly their style. The vocals are a little deeper but still you can tell it's them doing the composing and singing. This is one EP that you cannot get sick of, at least for me. I've heard it countless times and hear something new every time I hear it. Really invigorating death metal. If you find death metal to be invigorating that is to say. Definitely has the anger and aggression in the music.

Support Cianide by getting a physical copy to this CD. It's really worth it. If you wish to stick to YouTube and listen to it on there, fine. But I'm saying to support the music AND the band by getting the CD. I'm a little old school about that but it's for a good cause. It really is, it's to keep the Cianide faith alive. And maybe if there is that undying support from the fans, the band will see it to have more LP's to come out, even though they're veterans at this point. But still, it's an EP that's one of the better ones from all I've heard in 2019. It may take a little time, to get into, but once you keep playing it, you'll keep playing it! (Death8699)


(Hells Headbangers Records - 2019)
Score: 80

https://cianide.bandcamp.com/album/unhumanized

One Man Army and the Undead Quartet - 21st Century Killing Machine

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Swedish Death, The Crown
Questo è un masterpiece di bastard heavy metal. Gli One Man Army & Co. sono una band, proveniente dalla Svezia, formatasi nel 2004 per mano del frontman dei riformatisi The Crown, Johan Lindstrand, che trovò la strada per il debutto attraverso la Nuclear Blast. Le dieci tracce (in realtà suddivise in 99 frammenti) che costituiscono '21st Century Killing Machine' sono un bel concentrato di violenza e melodia fuse insieme che ci consegnano una band che riprende il sound dei The Crown e lo coniuga con il fare sporco tipico degli ultimi Entombed, aggiungendo anche un pizzico di personalità ed originalità. D’altro canto, gli artisti che suonano in questo act scandinavo non sono proprio degli sprovveduti (Runemagick, Grief of Emerald) e gli ottimi riff, l’ineccepibile perizia tecnica, le graffianti vocals e la roboante ritmica non fanno altro che confermare le ottime qualità del quartetto di Trollhättan. Gli One Man Army non inventano nulla di nuovo, però quello che hanno composto, ha uno stile chiaro e ben definito: questa è musica grintosa, con le palle, con ottimi assoli, a cura di Mikael Lagerblad. I cambi di tempo, le atmosfere malsane e diaboliche, cosi come le melodie qui presenti, riecheggiano un certo death metal scandinavo dei primi anni ’90. '21st Century Killing Machine' è un 47 minuti di mosh frenetico che lasciano annichiliti e senza fiato. (Francesco Scarci)
 

Mystras - Castles Conquered and Reclaimed

#FOR FANS OF: Medieval Black
Two thousand twenty is being undoubtedly a brilliant year for the Greek metal scene, particularly in the black field, with excellent albums coming one after another. Sometimes these new works are opuses from veteran bands and other times they represent the first work of novel bands. In any case, quality and a good taste for melodies are always present, regardless of the degree of heaviness or rawness that each project delivers. Speaking about new projects, the Greek solo project Mystras has recently released its debut album. This project was founded only one year ago by Ayloss, a talented musician behind other interesting projects like Divine Element and especially Spectral Lore, a great atmospheric black metal band which I firmly recommend. Taking into account the previous projects, it is pretty clear that Ayloss has a huge number of ideas to develop in different directions. Mystras may have inherited some influences from other projects like the aforementioned Spectral Lore, its folkish melodies, or aggressiveness but focused on a totally new and different direction.

‘Castles Conquered and Reclaimed’ is the Mystras debut album and it supposes a tremendously personal and particular fusion of pure black metal aggression with a strong medieval vibe. The interesting aspects of this impressive debut are not only found in the music, but also in its conceptual side. In fact, the lyrics are based on the medieval times but this time they take from the oblivion of common folk instead of the traditionally arrogant and powerful kings and nobles. The album consistes of nine different tracks, being divided into the black metal ones and some folk interludes which bring to us the medieval traditional music and therefore, reinforcing the medieval atmosphere included. Although this is a solo project, Ayloss was helped by other talented musicians to provide an undoubtedly beautiful representation of Ars Nova repertoire. I sincerely think that this was a wise choice as the musician shows that he wants to achieve the best possible result for the album. Even though these tracks are really nice and enjoyable, I would focus on the metal tracks to make a final and fair evaluation of this debut. ‘Castles Conquered and Reclaimed’ has a truly raw production, which may alienate fans of metal who prefer a cleaner production, but it will rejoice those who consider that black metal achieves a greater result when the production is filthy because it creates a more unique and stronger atmosphere. Nevertheless, this raw production never surpasses a limit where guitars could be unintelligible. Fortunately, composition-wise this album has certain strong points that can still be enjoyed, through the crude sound. Five are the compositions inside the realms of black metal. All of them are highly enjoyable and with a truly epic atmosphere. The songs are usually fast, though sometimes they slow the pace in order to add some variety. The guitars are powerful presenting a distorted sound, though some great melodies are introduced, making the songs more interesting. Vocals are also a strong point here, with the expected high-pitched screams, accompanied in several songs by epic choirs, so impressively solemn that reinforce the sense of epicity and majesty. In the background, we find some key arrangements which play ai important role in increasing the stateliness of these compositions. The album opening track is a nice example of this mix of influences and resources. The guitars are rude but also melodic, showing a remarkably interesting sound, that even being brutal in its execution has a great room for melody and atmosphere. Subsequent tracks like "The Murder of Wat Tyler" and "Storm the Walls of Mystras" raise the bar of majesty with a long duration, and where melodic influences, a strong epic atmosphere and relentless fury are wisely fused. The medieval vibe is obviously present in all the tracks, though I must highlight songs like "The Zealots of Thessaloniki" and the aforementioned "The Murder of Wat Tyler" as fine examples of this influence. The previously mentioned folk and ambient songs serve as a bridge between the stormy track and reinforce this sense of a mystical journey through medieval realms.

‘Castles Conquered and Reclaimed’ is indeed an impressive debut that any fan of black metal should check out and enjoy. Fury, melody and atmosphere are the quintessential elements of the black metal genre and this album contains a great dose of all of them. (Alain González Artola)


Haneke Twins - Astronaut

#PER CHI AMA: Post Punk/New Wave
Purtroppo devo ammettere che il nuovo album degli svizzeri Haneke Twins ha una marcia in meno rispetto all'album di debutto. Non che questo 'Astronaut' sia brutto, ma presenta delle soluzioni chitarristiche che mi lasciano perplesso. Capisco la volontà di evolvere ma quando si ha nel background della band un trademark di fabbrica così marcato, quello del post punk, difficilmente si riesce ad uscirne senza danni e il loro sforzo di rendere più accessibile la musica, spostandosi verso un post punk più moderno e commerciale, di stampo Interpol, lascia alla fine un po' di amaro in bocca. La bella voce tenebrosa, con familiarità spinte verso il Peter Murphy più nero, risulta essere poco supportata da un chitarrismo troppo melodico e poco pungente. Togliere poi la classica fredda distorsione alla Joy Division alle chitarre, ha ridimensionato la forza emotiva dei brani che altrimenti sarebbero stati esaltanti, poiché costruiti ad arte, con sapienza oscura e molta cura. L'album è interessante, le canzoni viaggiano veloci, la sezione ritmica è pulsante ma manca quel mordente nelle chitarre, quel lato perverso e dark che nel debutto era stato un punto di forza, dando quella ruvidezza giusta e quel tocco sofferto in più alla musica. "Stuck in a Loop" ne è un esempio emblematico. Ritmica incalzante alla Bauhaus con sopra una deludente chitarra morbida che schiaccia tutte le aspettative, non nella tecnica, non nell'esecuzione ma nell'aggressività, in quel lato nervoso e perverso che assale l'ascoltatore nei mitologici brani del leggendario culto del post punk anni '80. La band, che nell'album precedente in un solo minuto e 47 aveva coverizzato in maniera gotica e spettacolare niente poco di meno che "The End" dei The Doors, ha tutto quello che occorre in questi termini, l'attitudine e lo stile per reinterpretarne le gesta migliori e più ardite, ma in più di un caso abbassa la guardia verso un suono troppo morbido, lasciando per strada e in solitudine, una magistrale interpretazione vocale. In questi veloci brani che compongono la ventina di minuti di questo nuovo lavoro, possiamo provare proprio questo sapore amaro di incompiuto gioiellino new wave che poteva essere per i nostalgici del genere un toccasana. La band sa il fatto suo in questo ambito musicale e speriamo in un ritorno totale alle sonorità più abrasive in un prossimo futuro. Rimarcando il fatto che 'Astronaut' sia comunque un buon album e che solo i cultori incalliti del post punk della vecchia guardia possano sentirsi un po' traditi, dico anche che gli Interpol non si possono accostare a band come Bauhaus o Joy Division per semplice differenza di spessore artistico ed emotivo. Gli Haneke Twins rimangono intanto una band dal grosso potenziale artistico, da non perdere comunque di vista. (Bob Stoner)

mercoledì 30 settembre 2020

Svenia - Black Hearts

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic Metal, Sentenced
La Gothic Slam da sempre è focalizzata su prodotti inevitabilmente gothic. Li abbiamo ripresi da poco con i My Craving, li ripeschiamo con un altro vecchio lavoro, questa volta degli Svenia, altra presunta “new sensation” di gothic metal appunto, uscita nel 2005. La cosa che unisce essenzialmente le due band, oltre al genere musicale proposto, è la pessima performance dei rispettivi vocalist. Per quanto riguarda gli Svenia, trovo per lo meno un po’ più personale la loro proposta con un sound che parte si da basi gotico-romanticheggianti, ma le arricchisce di influenze che derivano dalla musica italiana anni ’70. Sembra quasi sentire un darkeggiante Bobby Solo unito a certe canzoni di cartoni animati (in particolare Daitarn III), il tutto miscelato al gothic sound finnico dei maestri del genere. Difficile rendere bene l’idea di quanto ascoltato, però vi garantisco che vi basti ascoltare l’opener "Burial in Autumn" e la terza "In the Shadow of Death in the Shadow of Love " per capire bene di cosa vi stia parlando. Gli Svenia danno così alla luce 'Black Hearts', album di debutto (rimasto tale), costituito da 10 brani i cui i testi pongono l'attenzione sugli eterni dilemmi dell'amore e della morte. La proposta di questi ragazzi non è malvagia sebbene ci siano una serie d’imperfezioni che in fase di costruzione delle song ma, soprattutto in fase di registrazione e produzione, si rivelano alquanto scadenti anche in questo caso. Auspicavo a suo tempo che la band si scrollasse quanto prima di dosso, l’ombra assai fastidiosa delle varie influenze che ne ispirano il sound, cercando di percorrere, con convinzione e duro lavoro, la propria strada. Tuttavia da 15 anni il silenzio regna sovrano, sebbene la compagine romana risulti ancora a tutti gli effetti attiva. (Francesco Scarci)
 
(Gothic Slam Records - 2005)
Voto: 62