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mercoledì 9 settembre 2020

Ottone Pesante - DoomooD

#PER CHI AMA: Death "Brass" Metal
Inizialmente schedulato ad aprile di questo funesto anno bisesto, gli Ottone Pesante hanno dovuto spostare l'uscita del palindromico 'DoomooD' a settembre, causa famigerato Covid-19. Forti finalmente di una etichetta alle spalle, Francesco, Paolo e Beppe, possono tornare a proporre la loro folle musica, quel "brass" metal da loro coniato per l'utilizzo assai atipico degli ottoni e non certo per alcun malizioso riferimento al buon Tinto. Il sound dei nostri si fa ancor più cupo rispetto al recente passato di 'Apocalips' e l'opener "Intro the Chasm" sembra lasciar non troppo spazio a questo presagio, laddove tromba e trombone emanano mefitici suoni di morte. "Distress", la normale prosecuzione dell'intro, sembra allegerire quest'atmosfera funesta, sembra appunto. La song, guidata dagli ottoni di Francesco e Paolo, si inerpica infatti in una serie di granitici "riffoni" (chissà se poi se riff sia il termine corretto) sostenuti dal drumming sempre fantasioso e vivace di Beppe. La traccia è breve e cede presto il passo a "Tentacles", il primo singolo rilasciato dalla band romagnola, che vede peraltro la partecipazione della cantante dei Messa, Sara, in un incedere ipnotico e ansiogeno quanto basta, dove la scena viene rubata dalla suadente performance della soave voce della vocalist, un vero portento. Il pezzo è un fantastico esempio di doom che ricalca le gesta dei primi Candlemass con la sola differenza che qui di chitarre non c'è nemmeno l'ombra, sebbene la pesantezza ritmica potrebbe lasciar pensare ad un muro di chitarre. Il disco continua il suo cammino su ritmiche oscure, a tratti asfissianti ma anche venate di influssi progressive; è questo il contesto in cui cresce e si sviluppa un altro piccolo gioiellino, "Coiling of the Tubas", che ammicca, con gli stridori della sua tromba, agli anni '70, ma anche ad un che degli *Shels di 'Plains of the Purple Buffalo'. Il sound si fa più dinamico e violento nella schizoide "Serpentine Serpentone", dove compaiono le harsh vocals di Silvio degli Abaton. Questa è la vetta dell'album, dalla quale il terzetto sembra scendere dal versante opposto in un cammino comunque arzigogolato, che vede la sua prima angosciante tappa nel noise loopato di "Grave", song stralunata e dal finale circense. Ritmi più lenti e cadenzati vedono in "Strombacea" un delizioso esempio di death mid-tempo in cui gli ottoni (in compagnia del growl del cantante) rendono a livello ritmico molto più che un'abbinata tra sei-corde e tastiere. La song è comunque il ponte che ci conduce a "Endless Spiral Helix", penultimo atto di 'DoomooD', altro lisergico brano dalle forti tinte "tooliane" che ci accompagna al malinconico e mefistofelico epilogo di "End Will Come When Will Ring the Black Bells", la perfetta conclusione di un'opera che aspira giustamente a grandi traguardi. In bocca al lupo ragazzi. (Francesco Scarci)

Eave - Phantoms Made Permanent

#FOR FANS OF: Atmospheric Black Metal
Founded only four years ago, the Portland based band Eave is a project consisting of four members, with not known previous experience in the extreme metal scene. Nevertheless, the band was able to release a solid debut entitled ‘Purge’, which received positive reviews, although it was discovered be only for a few fans. Anyway, with this decent debut, plus a reasonably quite active career, having been released a split and a previous EP, the guys caught the attention of the respected American label Bindrune Recordings, which usually has quite interesting bands on its roster.

Reinforced by this new deal, Eave has recently released its sophomore effort called ‘Phantoms Made Permanent’. This albums follows the trend of combining a depressive oriented black metal with some post metal influences, in a way that we have seen previously with other bands, not a few of them also coming from USA, where it seems that this kind of mixture has some success in the underground scene. With regards to the production, the album has quite raw sound, trying to avoid those ultra-clean productions that some post influenced albums have nowadays. The band tries to remain inside what it can be considered a rough sound, which plays a key role for the band members, when they want to create a hypnotic atmosphere. The vocals are the expected shrieks, classically mixed in order to make they sound like a distant echo, a very typical characteristic in the black metal scene. The pace varies between slow and fasters parts in a very natural way, making the songs quite diverse in this aspect. The structures have a clear contrast between the typically black metal sections and the post influences parts, which usually come in the form of more acoustic oriented compositions, like acoustic guitars or electric ones with a more tranquil tone, with the typical hypnotic chords that are very common in the post black metal genre. The album opener "A Godless Frame" is a clear example of this, with these variations in the pace and intensity, as the track navigates from the straight forward black metal sections with furious screams, fast drums and tremolo guitars, to acoustic sections with some calmer guitars and a very slow pace. Another fine example is "Mana Descending", with an atmospheric intro made by those strongly post-metal influenced guitars, which is abruptly broken by an aggressive black metal section. The calmest sections have the aforementioned post metal influence with a somber and more melancholic feeling, though it doesn´t reach that desperate tone of the pure depressive black metal bands. The ferocity, like the mournful parts, are combined in a very moderate dose, not reaching the strength a typical black metal nor the pure depression of the DSBM bands but creating a gloomy atmosphere which fits the music.

All in all, ‘Phantoms Made Permanent’ is a solid effort by Eave, which will please the fans of this genre, though it doesn´t reach the level of a superb album, which could make them lead the scene. This is, anyway, a good step forward and the band should continue working in the pursuit of excellence. (Alain González Artola)


Yyrkoon - Unhealthy Opera

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death, Cannibal Corpse
Death, death e solo death, che palle! Tanto avevo amato gli esordi della band transalpina con quel suo sound catchy, ricco di melodie e ariose tastiere che, pur mantenendo un’impostazione prettamente death metal, era riuscito ad indurmi all’acquisto del cd per quel suo stile così frizzante e brioso. Col terzo album però, 'Occult Medicine', la verve della band era andata un po’ perduta appannaggio di un sound più diretto e brutale, e quindi assai poco originale. Non del tutto diverso è il destino di questo 'Unhealthy Opera', quarta opera dei cugini d’oltralpe, confezionato in modo molto simile al precedente Cd. Ci tengo a chiarire subito una cosa: il disco non è assolutamente brutto, tanto meno la band è scarsa sotto un profilo tecnico-compositivo, ma la delusione per la povertà d’idee è così tanta, da giustificare la mia scelta di indicarlo come “disco flop”, un lavoro in cui ho riposto molte aspettative, ahimè tradite. Le sonorità proposte dagli Yyrkoon, che ricordo comprendere tra le proprie fila membri di Aborted e Taliandorogd, optano qui per un brutal death sulla scia di Cannibal Corpse e gli Aborted stessi, con qualche saltuaria apertura melodica e qualche raro rallentamento. Piacevoli assoli non fanno altro che confermare la bravura dei nostri dal punto di vista tecnico, ma la pochezza d’idee, sospinta da un estremismo sonoro d’altri tempi, non fanno che ribadire che il disco fra le mie mani, rappresenti un’uscita fra le tante, nel sempre saturo calderone di band estreme. Riffs affilati inseriti su ritmiche parossistiche completano poi il quadro di questo 'Unhealthy Opera'. Da segnalare la presenza di un fantastico assolo di Andy LaRocque (eroico chitarrista di King Diamond) in "Horror from the Sea". Peccato, se solo avessero continuato a percorrere la strada intrapresa con il caldo 'Dying Sun', probabilmente questo non sarebbe stato il loro canto del cigno. (Francesco Scarci)

(Osmose Productions - 2006)
Voto: 55

https://www.facebook.com/yyrkoonband/

lunedì 7 settembre 2020

Dawn of a Dark Age - La Tavola Osca

#PER CHI AMA: Black Avantgarde/Folk
Dopo aver saputo che Vittorio Sabelli aveva ricostituito la sua creatura Dawn of a Dark Age (supportato questa volta alla voce da quell'Emanuele Prandoni di cui abbiamo recentemente recensito l'album degli Anamnesi), ero assai curioso di ascoltare i contenuti del nuovo disco. Abbandonato il filone relativo ai sei elementi della Terra, Vittorio è tornato questa volta con una tematica di carattere storico, 'La Tavola Osca' (o Tavola degli Dei), che dà appunto il titolo alla release e si riferisce ad un antico reperto di bronzo del III secolo a.C. appartenuto al popolo dei Sanniti, che testimoniò l'esistenza della lingua italica nella terra di origine del musicista molisano. Il disco pare muoversi attorno alle vicende che hanno portato al rinvenimento della lastra bronzea nel 1848 e alle sorti che la portarono a scomparire e ricomparire nelle mani di vari personaggi storici, ma il tutto è ben spiegato all'interno del booklet. Si parte dall'opener "La Tavola Osca - Le Divinità - pt.1 (Excerpt 1)", una song che sembra voler ricalcare il passato musicale dei nostri, attraverso la combinazione di un black serrato contrappuntato da una forte componente folklorica, il tutto palesato da ritmi incalzanti, screaming vocals ma anche da splendide melodie in sottofondo. Interessante il mid-tempo a metà brano con certi interessanti richiami a sonorità anni '70. Vittorio non rinuncia ovviamente alla furia del black, ma nemmeno alle trovate avanguardistiche che da sempre contraddistinguono il progetto. Si prosegue con i suoni pù calibrati di "La Tavola Osca - Le Divinità - pt.2 (Excerpt 2)" dove largo spazio viene concesso alla narrazione degli eventi da parte della voce di Vittorio stesso, ma l'apoteosi si raggiunge quando la scena se la prende l'imbizzarito clarinetto del polistrumentista italico, con un assolo da brividi, che mi fa ricordare il motivo per cui non vedevo l'ora di riascoltare la musica dei Dawn of a Dark Age. Quasi a voler parafrase il suo titolo, "La Tavola Osca - Processione Funebre pt.3 (Excerpt 3)" assomiglia ad uno di quei cortei funebri che sono stati messi in scena nella filmografia del sud Italia. Sicuramente un brano suggestivo a suggellare l'italianità di un lavoro che sembra voler affrescare scene della vita del nostro Mezzogiorno. Terminato questo trittico di brani facenti parti dell'Atto I del disco, ci troviamo di fronte al secondo Atto, che prosegue in "La Tavola Osca (I Atto)", con la narrazione da parte del factotum nostrano degli eventi storici come se si trattasse di un audiolibro, con tanto di strumenti acustici e clarinetto in background ad accompagnarne la lettura. Bisogna immergersi quindi nel coinvolgente contesto storico-musicale di queste parole e note, lasciandosi sedurre dal folk acustico del sempre più imprevedibile polistrumentista originario di Agnone, che da li a breve si lancerà in un'altra cavalcata dal sapore post-black. Ma la song, della durata di ben 23 minuti, regala sprazzi di grande musica evocativa, toccante, tribale, mediterranea, feroce quanto basta per definire questa suite un piccolo gioiello incastonato nella discografia del mastermind italico. L'ultimo atto, "La Tavola Osca (II Atto)", nei suoi 17 minuti narra di quando nel 1873 il British Museum acquistò la collezione artistica che includeva la tavola stessa e che oggi stesso ancora la preserva, alternando nel suo corso, fumantine esplosioni black con popolari intermezzi da sagra di paese. Gli ultimi dieci minuti che rappresentano verosimilmente l'ultima scena del lavoro, sono affidati ad un antico e litanico rituale in cui vengono menzionati peraltro i nomi delle divinità sannite incluse nella tavola. Alla fine, 'La Tavola Osca' segna il graditissimo ritorno sulle scene di uno dei musicisti più talentuosi e originali della nostra penisola, con un album strutturato, dotato di una buona dose di raffinatezza e sicuramente ben suonato, che peraltro unisce con grande interesse due ambiti culturali, la musica e la storia, ove il folklore popolare ne rappresenta il minimo comun denominatore. (Francesco Scarci)

Ensoph - Projekt X-Katon

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic/Avantgarde, The Kovenant
Gli Ensoph li seguo dalle loro origini più lontane, quando ancora la band veneziana si chiamava Endaymynion, di cui conservo ancora oggi gelosamente il loro demo 'Thy Art'. A distanza di quasi dieci anni dal cambio di monicker, il quintetto veneto ha intrapreso un percorso musicale veramente unico e originale, che coniuga intelligentemente sonorità estreme a momenti sinfonici, gothic, prog ed electro-industriali. 'Projekt X-Katon', il terzo full length per il combo guidato dalle oscure vocals di N-Ikonoclast, rappresenta un altro capitolo di riflessione metafisica, nel percorso intrapreso dalla band nel 1997 con il MCD 'Les Confessions du Mat'. L’opener del nuovo lavoro, segna l’inizio di un cammino spirituale, un viaggio dell’anima attraverso la mente, le emozioni e i turbamenti di questi uomini; è un’esplorazione intima, attraverso suggestioni derivanti dall’esoterismo, dalla filosofia e dalla teologia. 'Projekt X-Katon' attanaglierà le vostre menti fino a farvi impazzire, grazie alle seduttive melodie chitarristiche, agli inserti progressive, a suoni techno-EBM e all’ammaliante flauto di Anna. Finalmente il cantato di N-Ikonoclast ha messo in secondo piano quelle scream vocals che tanto non avevo digerito nei precedenti album, lasciando maggiormente spazio ad una interpretazione più pulita e seducente. La band si è ulteriormente evoluta rispetto al già ottimo 'Opus Dementia', sciorinando brani più diretti ma allo stesso tempo più ricchi di pathos, grazie a loop, campionamenti vari e ad un uso più emozionale delle keys. Il sound degli Ensoph, pur riportando alla mente in certi frangenti Moonspell, Kovenant o alcuni act elettro-gothic tedeschi, acquisisce qui una propria personalità, che rende i nostri tra i maggiori interpreti di sonorità d’avanguardia. Gli Ensoph, grazie al duro lavoro, hanno saputo centrare in pieno l’obiettivo di migliorarsi ulteriormente e lo hanno fatto con classe, proponendo un sound di difficile interpretazione e di non facile assimilazione, ma che alla fine si rivela un tourbillon di emozioni, grazie all’intreccio di generi che hanno arricchito il già ricco background musicale della band: elettronica, black, gothic, avantgarde, death, prog, industrial, EBM, ambient si amalgamano infatti indissolubilmente in questo bellissimo 'Projekt X-Katon'. L’album, mixato alla grande poi da Giuseppe Orlando (Novembre, Klimt 1918) agli Outer Sound Studios di Roma e masterizzato da Goran Findberg ai Mastering Room in Svezia, venne rilasciato in digipack in una prima edizione limitata che includeva anche 'The Seductive Dwarf', un bonus EP che vedeva Steve Sylvester cantare sulla cover dei Soft Cell “Sex Dwarf” (riproposta in due versioni differenti), e rifare “Sun of The Liar”, classico della band veneziana. Da ripescare assolutamente. (Francesco Scarci)

Dagoba - What Hell Is About

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Cyber Thrash, Fear Factory, Slipknot, Pantera
All'epoca dell'uscita di questo lavoro si parlò di new sensation dalla Francia, i DAGOBA! Devo ammettere di essermi avvicinato a questa band con molto scetticismo, convinto di trovarmi al cospetto dell’ennesima clone band dei vari act svedesi/americani dediti all’ormai ipersvalutato death/thrash e invece tatah. Co somma gioia per il sottoscritto e gran furore da parte di questi baldi giovani, vi ripropongo il loro secondo album 'What Hell is About'. Dopo un primo non brillantissimo Mcd, la band transalpina, con una serie di concerti alle spalle con Fear Factory, Machine Head e Samael, sfodera in questo caso una più che discreta prova con un melting pot di generi, che vanno dal death/thrash al nu metal, passando attraverso soluzioni elettro cibernetiche un po’ scopiazzate dalla band di Dino Cazares & Co, ed altre trovate spesso interessanti. Dodici tracce intense e violente, che investono l’ascoltatore con quel sound potente, diretto, cristallino, dal mosh frenetico, dal refrain accattivante, vero crocevia di stili. Strano passare dalla prima parte vicina al sound dei Fear Factory, a brani di slipknotiana memoria (sentitevi “Cancer”) o ascoltare una song come “It’s All About Time”, che ci mostra in apertura la durezza, la compattezza e la perizia tecnica del quartetto francese per poi avvicinarsi a certe soluzioni sonore vicine agli Arcturus, soprattutto per quanto riguarda l’uso della voce. Il disco viaggia comunque su questi binari, mostrandoci una band valida e tonica, pronta già allora a spaccare i fondelli ai colleghi d’oltreoceano. Era ora che qualcuno provasse a rischiare qualcosa in un genere che ormai non aveva più nulla da dire. Questi marsigliesi invece con un uso sapiente delle tastiere, l’impiego dell’elettronica (da urlo certi samples utilizzati) e una buona dose di incazzatura, sono riusciti ad arricchire uno stile musicale ormai destinato a sprofondare nelle sabbie immobili. Un plauso va anche alle vocals, con il cantante abile nel passare da growl violentissime ad una voce calda e pulita sulla scia di quanto fatto dagli In Flames. Talentuosi questi Dagoba, fin dalle loro prime batture. (Francesco Scarci)

(Season of Mist - 2006)
Voto: 72

https://www.facebook.com/dagoba13

giovedì 3 settembre 2020

Arallu - The War on the Wailing Wall

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Death, Melechesh
'The War on the Wailing Wall' usciva per la Raven Metal nel 1999 dopo l'omonimo demo del '97. La band si presentava al pubblico con il proprio bagaglio dinamitardo di black death con tanto di graffianti screaming vocals (e qualche urletto di scuola Tom Araya), una rutilante sezione ritmica (ma il drumming era un artifizio dato dalla drum machine) e qualche elemento prodromico di quello che sarebbe stato poi il sound della band israeliana. Dopo 21 anni e un bel po' di gavetta alle spalle, quel duo diventato intanto un quartetto, ha deciso di ridare alle stampe al proprio debutto grazie alla label Essential Purification Records, affidandosi al remastering di Patrick W Engel ai "Temple of Disharmony" studio, per una nuova fiammante vinilica release. Ascoltando il disco e la sua apertura "Arallu's Warriors", ci troviamo di fronte al solito nevrotico sound degli Arallu, in una versione più primordiale, fatta di chitarre al vetriolo, harsh vocals e quella batteria che somiglia più ad una contraerea che ad altro. Del marchio di fabbrica orientaleggiante che ha reso famosi i nostri in compagnia dei Melechesh, non vi è ancora palese traccia, anche se la successiva "Sword of Death", nel giro di chitarra, sembra richiamare echi lontani di un sound esotico. Altrettanto fa "Morbid Shadow", un altro vorticoso esempio di black furioso che non concede troppo spazio alla melodia ma semmai si affida alla fisicità rabbiosa delle proprie chitarre, anche se nella seconda parte, decisamente più controllata, affiorano ancora minimalistici elementi dal vago sapor mediorientale. Quello che balza comunque all'orecchio durante l'ascolto del disco è la foga distruttiva della compagine di Gerusalemme che all'epoca voleva verosimilmente mostrare al mondo tutte le proprie capacità sia in fatto di velocità che di malvagità, elementi che servivano a poco se non adeguatamente convogliati. E quindi, si palesano tutti quegli elementi che hanno reso 'The War on the Wailing Wall' un album non ancora del tutto maturo. Se siete però dei fan della band e non volete rinunciare ad una ristampa come questa su vinile, oppure se non li conoscete ancora e volete saperne di più, sarebbe un modo interessante per scoprire da dove gli Arallu sono nati e come si è evoluto il loro sound. Qui per ora potrete godere delle infernali ritmiche di "Warriors of Hell" oppure assaporare le embrionali influenze folkloriche di "Mesopotamian Genie" (ancor più forti in "Barbarian Bloodshed" o nelle conclusive "Satan's War" e "Kill the Traitor") che ammiccano nuovamente ai conterranei Melechesh, sebbene qui venga privilegiata la componente più estrema della propria musica a discapito di quella più atmosferica. Ciò che potrebbe essere interessante in un ulteriore approfondimento del disco è a livello lirico, visto che la band descrive la situazione attorno al centro storico di Gerusalemme e alla conflittuale convivenza delle tre religioni che vi risiedono. Dovendovi segnalare qualcos'altro vi direi di porre attenzione all'ascolto di "Satanic Birth in Jerusalem" e al suo mefistofelico basso in chiusura oppure all'atmosferico break centrale di "My Hell" che di contro, mi ha fatto capire, da dove certi vorticosi giri di chitarra dei nostrani Laetitia in Holocaust, possono aver tratto spunto. Se potessi avere un desiderio da spendere con il genio della lampada, visto che ci troviamo in Medio Oriente, mi piacerebbe ascoltare questo disco con un vero batterista in carne d'ossa, forse sarebbe tutta un'altra storia. (Francesco Scarci)

(Essential Purification Records - 1999/2020)
Voto: 67

https://arallu.bandcamp.com/album/the-war-on-the-wailing-wall-2020

Novembre - Wish I Could Dream It Again...

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Black/Gothic
Ricordo ancora quando, dove e con chi comprai questo disco: era il 1994, ero a Padova in un mitico botteghino dell'epoca in compagnia del mio amico Orso. Che esordio col botto 'Wish I Could Dream It Again...', per quest’entusiasmante band romana, che nel giro di poco tempo diventerà una delle mie band preferite ma anche gruppo di riferimento nel panorama metal nazionale. Prodotti addirittura dal buon Dan Swano, i cinque giovani capitanati dai fratelli Orlando, ci deliziano con 13 perle di rara bellezza, che uniscono ad uno swedish death graffiante melodie, incursioni black e atmosfere goticheggianti inedite per quel periodo. È un susseguirsi di contrastanti suggestioni fin dal suo incipit, la malinconica “The Dream of the Old Boats”, a cui si accodano per comparabile bellezza, la struggente ma malvagia “Swim Seagull in the Sky” e la nostalgica “Behind my Window”; i continui richiami a Salvatore Quasimodo permettono poi un continuo flusso di emozioni, che ci conducono in un universo onirico a sé stante. “È come impazzire in un mare dorato...” (Francesco Scarci)

(Polyphemus Records - 1994)
Voto: 90

https://www.facebook.com/Novembre1941/

Submission - Failure to Perfection

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Thrash
New sensations dalla Danimarca? No, direi di no visto che il quintetto di Esbjerg si è ormai sciolto nel 2010 ma al tempo di questo esordio nel 2006, la band scandinava si presentava al grande pubblico con aspettative molto alte, sebbene un genere troppo inflazionato, qual era e qual è ancora oggi il death/thrash, che qui parecchio s’ispirava a In Flames e ad altre entità scandinave. Voci growl e clean vocals si alternano infatti armoniosamente, galoppate death thrash si rincorrono e s’incrociano a brutali linee di chitarra e stop’n go alla Meshuggah. Per finire, ritmiche mozzafiato e chorus accattivanti, completano il quadro di questo 'Failure to Perfection', primo di due lavori per i nostri. Un album niente male, combustibile ideale per incendiare le nostre orecchie, che purtroppo ha ben poco da dire di originale. Ed è un vero peccato, perchè la band, sebbene la giovane età, non sarebbe stata malaccio, però non me la sento assolutamente di pompare un album dal mosh frenetico che potrebbe essere facilmente accostabile ad altri mille nomi della scena metal. Un minimo di originalità è pur sempre richiesto, altrimenti alla fine dell’anno mi ritrovo ad aver recensito centinaia di dischi tutti uguali. (Francesco Scarci)

(Listenable Records - 2006)
Voto: 64

https://www.metal-archives.com/bands/Submission/22390