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domenica 8 marzo 2020

Nawabs of Destruction - Rising Vengeance

#PER CHI AMA: Prog Death
Mi piaceva l'idea di recensire una band proveniente dal Bangladesh e cosi non ho resistito a prendere in mano l'EP di debutto uscito nel 2019 e a darci un ascolto attento, in attesa che venga rilasciato il prossimo aprile il loro album su lunga distanza. I Nawabs of Destruction arrivano da Dhaka, la capitale del paese e propongono in questo trittico di song, un concentrato di death progressive davvero entusiasmante. Se non avessi letto l'origine della band su Metal Archive, avrei pensato sicuramente alla Scandinavia, non solo per la freschezza a livello di suoni, ma anche per una perizia tecnica da parte del duo asiatico, davvero ineccepibile. E allora, fatevi investire anche voi dai suoni potenti e melodici di questo 'Rising Vengeance' e dalla spettacolare title track che apre le danze in modo coinvolgente tra cambi di tempo, epiche cavalcate e fantastiche melodie, il tutto in un'alternanza vocale assai interessante, tra il classico growl e un cantato tipicamente prog. Come quello che compare all'inizio della più tiepida "Beginning of the End", un mid tempo che non tarderà a crescere di intensità e a tenervi con le orecchie incollate ai funambolici giochi di chitarra del duo bengalese, davvero incazzato sul finire della song. Ultimo pezzo affidato a "In the Verge of Death", tre minuti di death metal grooveggiante bello tirato e con un assolo stile band thrash anni '80. Ora la curiosità per il full length in uscita per la Pathologically Explicit Recordings si fa davvero forte. (Francesco Scarci)

Anizvara - Atman

#PER CHI AMA: Blackgaze Strumentale
Un'altra one-man-band questa volta proveniente dal Cile, con un EP di tre pezzi che non deficitano certo in personalità. Gli Anizvara, stravagante moniker di questa creatura sud americana, propone un 3-track intitolato 'Atman', un dischetto che strizza l'occhiolino allo stesso tempo a blackgaze e post metal e che stuzzica non poco la mia curiosità in vista di una release più ufficiale di questa esclusivamente digitale. Comunque sia, i tre pezzi del lavoro si aprono con le furiose accelerazioni di "Krisis", stemperate dalle melodie malinconiche del mastermind di quest'oggi e da quelle suadenti atmosfere su cui il musicista cileno non lesina affatto. Bello immergersi in siddetti suoni con tanto di tremolo picking sempre in primo piano; vi basti ascoltare "Fire on Your Forehead" per schiarirvi ulteriormente le idee sulle eccelse qualità di questo progetto, cosi come pure con la conclusiva "Unknowable", due esempi di come si possa coniugare alla grandissima sonorità estreme con anche un più sognante post-rock intriso di splendide orchestrazioni e passaggi acustici (onore alla traccia di chiusura). Sin qui tutto benissimo ma, si c'è un ma, altrimenti mi toccherebbe parlare di un gran bel gioiellino. Ovviamente manca l'apporto vocale, per cui auspico già un cambio di rotta a partire dal prossimo album. Sapete quanto mi stia sulle scatole la mancanza di un vocalist che qui avrebbe rappresentato la classica ciliegina sulla torta. E allora, per favore, caro Anizvara, mettiamo un paio di urlacci sulla prossima release e un alto voto sarà qui garantito, promesso. (Francesco Scarci)

martedì 3 marzo 2020

Global Scum – Odium

#PER CHI AMA: Death/Industrial, Meshuggah, Fear Factory
Dovrei dire che l'album in questione è un vero ossimoro del genere metal, che mette in antitesi strutture ben consolidate di scuola Soulfly/Sepultura con una produzione modernissima e al limite della forma industrial metal. Brani che aggrediscono e opprimono l'ascoltatore con una verve tecnologica vicina al futurista sound dei Meshuggah ed anche se le composizioni sono più dirette e old style (bello il video di "Feader" disponibile sul web), l'effetto claustrofobico non perde nemmeno un briciolo della sua potenza, ipnotica ed ultraterrena. Traccia dopo traccia, con un orecchio ben ancorato alla corrente thrash metal di anni novanta, ci si immerge nella descrizione di un mondo carico di violenza, corruzione e quant'altro la perversione umana sia riuscita fin qui a generare di sinistro (viene citato nel disco anche Josef Fritzl, l'uomo che tenne segregata la figlia in cantina per ben 24 anni!). Il disco è giustamente intitolato 'Odium', e l'artwork di copertina si abbandona ad una grafica senza mezzi termini, completamente circondata da macerie, dove appare in primo piano una figura nascosta in volto da una maschera a gas, imbrattata di sangue sui vestiti, e mettendo bene in luce gli intenti espressivi dell'opera. I brani, rispettando sempre i canoni del genere, sono fantasiosi e mantengono una qualità compositiva ed una produzione assai notevoli, curati a dovere dall'infaticabile Manuel Harlander, "proprietario" del progetto Global Scum. Manuel è infatti potente voce, braccio e mente di questa nuova realtà austriaca, dove si diletta a cantare e a suonare tutti gli strumenti, cercando di portare sempre più in alto questa sua violenta e solitaria one man band. Il disco contiene 13 brani tutti sparati in faccia all'ascoltatore, senza remore, divisi da un breve spartiacque atipico per il genere, nella veste del brano strumentale "Back Beats", che presenta una sezione ritmica vicina alla dance e richiama alla mente gli esperimenti techno metal di Godflesh e Fear Factory. Difficile trovare il brano migliore su di un disco che si lascia ascoltare molto volentieri senza mai abbassare la guardia sotto il profilo della potenza e che contiene un così alto standard tecnico. Un masso sonoro che si esprime al meglio, almeno nel mio modesto giudizio, nel tagliente riff di "Call of Resistance". Quindi agli amanti di thrash e feath, infarciti di ambient futuristico e atmosfere al limite dell'horror, non resta altro che lanciarsi in questo secondo disco dell'artista austriaco, per una nuova, affascinante esperienza sonora. Attenzione, album dall'alto potere esplosivo, maneggiare con cura. (Bob Stoner)

(NRT-Records - 2019)
Voto: 74

http://global-scum.com/

domenica 1 marzo 2020

The Revenge Project - Deceit-Demise

#PER CHI AMA: Death, Vader
Burgas, da non confondere con la città spagnola di Burgos, è un importante centro turistico sulla costa del Mar Nero. La cittadina oltre a vantare un gradevole litorale, rappresenta anche il luogo di origine di questi The Revenge Project, una band in giro dal 2000 votata puramente ad un death metal di vecchia scuola. 'Deceit-Demise' è il quinto album per il quintetto bulgaro in vent'anni di onorata carriera, non proprio dei musicisti prolifici, però una band con un seguito abbastanza nutrito in patria. E allora proviamo a farli uscire dai confini nazionali questi The Revenge Project, raccontandovi del lavoro di quest'oggi che include otto tracce più intro ("Enter Oblivion") che ci prenderanno a calci in culo con la furia del loro death old school che chiama in causa campioni statunitensi del calibro di Malevolent Creation o Monstrosity. Lo si capisce immediatamente con "Unholy Soul", una song robusta che mette in evidenza tutti gli ingredienti del genere, inclusa la classica ritmica devastante, un growling da orco cattivo ed una sezione solistica (assai melodica) da urlo, vero punto forte a favore dell'ensemble bulgaro. Poi quando riparte "The Fine Print", ecco che i nostri ci stritolano con il loro rifferama ultra compatto ed efferato, per una sorta di ritorno alle origini del death made in Florida. Devo ammettere però, che nelle note di questa traccia ho scorto l'influenza di un'altra band, questa volta europea, ma pur sempre devota alla causa americana, i Vader. Quello che ancora una volta mi colpisce e fa rivalutare un lavoro che verosimilmente rischierebbe di rimanere nell'anonimato, è di nuovo il comparto solista con una ricerca melodica di gran gusto. "Confess to Sin Again" è invece un mid-tempo che sembra aver poco di che spartire con quanto ascoltato sino ad ora, almeno nei suoi primi 60 secondi, prima di esplodere in un feroce assalto sonoro che chiama in causa anche il thrash metal dei Sepultura. 'Deceit-Demise' è un disco in effetti un po' troppo derivativo, ma in questo genere che cosa pretendere dopo tutto, visto che ormai anche le grandi band si autoreferenziano  album dopo album? Francamente me ne fotto e mi lascio maciullare le orecchie dal granitico riff della compagine, interrotto qui da una porzione ritmica decisamente più controllata, laddove anche il growling lascia posto a delle pseudo clean vocals. Ma la mattanza non finisce certo qui: "You Have to Know", la più ricercata "Prayers Go Unheard" e via via tutte le altre, proseguono nella loro opera di demolizione muovendosi costantemente a cavallo tra un death tecnico e un più selvaggio thrash metal. Mi verrebbe da dire che la band debba esplorare maggiormente il proprio lato progressivo per potersi affermare anche fuori dal proprio paese e non essere additata come la classica clone band. Diciamo che per ora, i The Revenge Project sono sulla strada giusta per ciò che concerne l'aspetto puramente tecnico e melodico, ora servirebbe lavorare maggiormente sulla ricerca di una personalità ben più caratterizzata a livello ritmico giusto per non scadere nello scomodo clichè del già sentito. (Francesco Scarci)

(Self - 2019)
Voto: 65

Donarhall - Helvegr

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Donarhall è una one-man-band teutonica capitanata da tale Gnav, musicista che abbiamo già avuto modo di conoscere nei Sinister Downfall e che al contempo, porta avanti una nutrita serie di progetti paralleli (Crypt Witch, Death Carrier, Hexengrab, Necrochaos e Nihilisticon, giusto per citarne qualcuno). 'Helvegr' è il quinto album per l'artista originario della Bassa Sassonia, un concentrato di black strumentale assai tirato che si dipana dall'intro d'apertura, "Byrdh", fino alla conclusiva "Liflat", attraverso un percorso interamente affidato alla sola musica, per un esperimento parzialmente riuscito. Detto che non sono un fan delle release prive di un vocalist in ambito post-rock, immaginerete quanto possa esserlo ancor meno in territori prettamente estremi. Tuttavia, il mastermind tedesco prova a giochicchiare con un po' tutti gli strumenti a propria disposizione proprio per supplire all'assenza della voce. Ci riesce, con tutti i limiti del caso, sia chiaro. "Vinda" è una violentissima traccia nei cui solchi si ritrovano comunque rallentamenti acustici che fanno da contraltare alle ruvide scorribande in territori post-black. "Hyrr" è la terza song che apre con un'altra parte arpeggiata, accompagnata successivamente da una ritmica mid-tempo che costituirà la matrice della song. Non mancano le melodie affidate al tremolo picking, cosi come una certa ricorrenza nell'utilizzo della chitarra acustica che contribuisce ad acuire quel feeling decisamente malinconico che aleggia in tutto il lavoro. La sensazione è di ascoltare un che di Burzum, il tutto rivisto ovviamente in chiave più moderna, peccato solo che manchi una voce a guaire sulle note roboanti e pesanti di "Heimr" o "Vagr". Stranamente all'inizio di "Sunna" sembra esserci un etereo coro in sottofondo, offuscato successivamente dalla pesantenza del riffing portante, un peccatuccio veniale che mi sarei risparmiato proprio per dare una parvenza di voce alla song. Comunque, il lavoro si lascia piacevolmente ascoltare, pur non facendo gridare al miracolo, muovendosi tra riffoni tirati e altre parti decisamente più atmosferiche che rendono 'Helvegr' un gradevole passatempo di ascolto di musica strumentale. Se solo ci fosse stata una voce però, chissà che voto avrei dato al buon vecchio Gnav... (Francesco Scarci)

(Symbol of Domination Prod. - 2019)
Voto: 68

Officium Triste - The Death of Gaia

FOR FANS OF: Death/Doom, early Paradise Lost
The death-doom scene was rather prolific during the second half of the '90s and it has maintained a healthy level of quality during the first years of the current century. One of the most respected bands, founded in the '90s, is the Dutch project Officium Triste. Prior to the inception of Officium Triste, the original members played in a pure death metal band called Reincremated. However, it didn´t last too much as the project disappeared and the same members founded a new project, which was more influenced by the sound of early Paradise Lost, just to mention an obvious influence of the project, which evolves from standardized death metal to something darker and slower. Even though Officium Triste has had a long career, their discography is not particularly extensive, as the band has released six albums only during almost three decades of their existence. From the first line–up, almost half of the band still continues in the band, which it's a great example of their compromise with this project.

As already mentioned, the band hasn´t been particularly prolific with its releases, especially from the 2000s to onwards. Anyway, the quality has always been present and though the wait is usually long, as it has happened since ‘Mors Viri’, issued in 2013, the release of a new album is always a matter of excitement for the fans. Finally, and after six years of silence, Officium Triste released in 2019 their new opus ‘The Death of Gaia’. The band´s core sound is still present and, fortunately, with a bunch of quite inspired tunes. Officium Triste plays a classic death-doom full of sorrow and mid/slow paced compositions, where the melancholic feeling is present in every note. From the first track, "The End is Nigh", we can feel this sense of misery in every melody. The guitars sound powerful with slow paced riffs, always full of sad melodies, which are a pleasure for my ears. Pim’s vocals sound as strong and dramatic as always and the keyboards are present in many moments, but without being overused. They added an extra point of atmosphere to the compositions, like the fog wraps the mountains in an autumnal day. The pace is, as expected, quite slow but never sounding overwhelmingly monotonous. This is possible thanks to the excellent guitar work and the solid and well composed rhythmic base. Apart from the mentioned guitars and keys, the band tries to enrich its compositions with the use of classic instruments like the cello or violin in the opening track, or in songs like "The Guilt". This one is a marvellous piece of the best and most emotional death-doom you can imagine. Even though the tracks may have a similar structure due to the nature of the genre, each composition has always a distinctive melody, which is reasonably easy to keep in mind. The album maintains a very high level but I personally enjoy its second half with a particular brilliant song, the already mentioned "The Guilt", where the singer Mariska van der Krul shows us her great voice. The following "Just Smoke and Mirrors" and "Like a Flower in the Desert" complete a trilogy of impressive tracks, the true highlight of this excellent album. The first one has an awesome keyboard introduction and some outstanding guitars, making this song a little hypnotic, while the later has a more slightly vivid pace with some vicious riffs and a totally addictive melody.

At the end, Officium Triste is, thankfully, another fine example of how a veteran band can still deliver quality stuff after many years. ‘The Death of Gaia’ could be considered one of their finest releases, clearly indicating how good this work is. No doubts about it, this is a must for every fan of death-doom. (Alain González Artola)

sabato 29 febbraio 2020

Void of Silence - Criteria ov 666

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Apocalyptic Doom
Ricordo di aver atteso con grande trepidazione il nuovo lavoro dei Void Of Silence, band capitolina che nel 2001 si era già resa protagonista di un debutto esaltante, quel 'Toward the Dusk' che per alcuni è passato inosservato ma che rappresenta tutt'ora un esempio sporadico ed eccellente di come la musica estrema possa ancora rinnovarsi attraverso sonorità di matrice metal. Dopo il cambio di etichetta, da Nocturnal Music a Code666, il secondo album dei nostri, 'Criteria ov 666', rappresentò un lavoro che proseguiva nella direzione stilistica intrapresa dall'esordio e ne accentuava in modo palese la componente sperimentale, abbracciando a tratti la corrente del folk-apocalittico. La struttura portante su cui si appoggia questo disco, resta ancorata ad un doom-metal dalle ritmiche estremamente pesanti e dilatate mentre le contaminazioni di ambient industriale, costituiscono una base sempre presente, che rende unica e sublime la formula proposta dal trio romano. Il pesantissimo muro di suono creato dalle chitarre di Ivan Zara viene accompagnato dalle tastiere evocative di Riccardo Conforti, il quale si cimenta anche nell'uso di inserti disturbanti che sfiorano spesso, come nell'intro, il rumorismo di certa power-electronics. L'effettistica usata, pur non avendo un ruolo predominante, contribuisce però, a rendere terribilmente claustrofobica e angosciosa l'atmosfera dei brani e ricrea l'ideale tappeto sonoro per la voce "malata" di Malfeitor Fabban (Aborym). I rantoli sofferenti di Fabban e le sue urla cariche d'odio, affondano nella carne e la lacerano come un coltello affilato: una prestazione vocale estrema e terrificante che ricorda, in alcuni frangenti, i Katatonia di 'Dance of December Souls'. 'Criteria ov 666' rende attoniti davanti a tanta negatività, è capace di annientare, lasciando spazio unicamente al dolore e a sensazioni di morte... un'opera certamente agghiacciante, ma questa è la musica dei Void Of Silence, una delle realtà più credibili ed inquietanti che il nostro suolo può ancora vantare in ambito estremo. (Roberto Alba)

Theatres des Vampires - Suicide Vampire

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic, Tristania
La seria caparbietà che ha sempre contraddistinto i Theatres des Vampires, accompagnata dalla ricerca di una crescita costante, face compiere alla formazione italiana un altro passo avanti nella direzione artistica che fu intrapresa all'epoca di 'Bloody Lunatic Asylum'. Ad un primo ascolto 'Suicide Vampire' rivelò immediatamente gli intenti perseguiti dai nostri vampiri, che decisero con questo lavoro di non discostarsi di molto dal suono del precedente album cercando invece di focalizzarsi sul miglioramento degli elementi che hanno reso la loro musica così particolare ed inconfondibile agli occhi del pubblico. Il gothic metal suonato dai Theatres des Vampires rimane in questo album quindi caratterizzato da strutture poco dissimili dalle passate composizioni, ma viene arricchito e valorizzato da partiture sinfoniche maggiormente articolate e cori polifonici più complessi ed austeri, che in questa occasione sono stati arrangiati e condotti dai membri del coro dell'Accademia di Santa Cecilia (Roma). L'album non ricerca nell'innovazione la propria "carta vincente" ma sembra voler giocare tutto sulla melodia orecchiabile e la varietà dei brani, passando da momenti pomposi, come "La Danse Macabre du Vampire" o "Tenebra Dentro", ad altri dalla vena più malinconica, come la titletrack, dove spiccano le linee di violino di Elvin Dimithri (primo violinista dell’orchestra Filarmonica di Tirana). Le tastiere di Necros rivestono ancora un ruolo di primaria importanza nella musica dei Theatres des Vampires, mentre viene relegato in secondo piano il lavoro delle chitarre, delle quali ho avvertito un po' la mancanza; forse una diversa scelta dei suoni sarebbe riuscita a dare maggior risalto alle sei corde e a rendere ancor più magniloquente e d'effetto il risultato finale dell'opera. Nel complesso 'Suicide Vampire' è un album comunque piacevole e riuscito, che mi sento di consigliare a chi apprezza la sontuosità gotica di gruppi come Tristania e The Sins of thy Beloved. (Roberto Alba)

Thyrane - Hypnotic

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Thrash
Devo dire di essere rimasto un po' deluso dal 'Hypnotic', terzo album del 2003 dei Thyrane, tuttavia trovo giusto dar loro spazio con questa recensione, dal momento che fin dal primo demo 'Black Harmony', ho seguito con grande interesse l'evoluzione di questi blackster finlandesi. Ricordo che rimasi entusiasta quando anni fa acquistai il loro debutto 'Symphonies of Infernality' (uscito per Woodcut Records nel 1999) e credo che ancora oggi quell'album non abbia perso nulla del suo impatto e della sua potenza, ancor più se paragonato alle uscite particolarmente scadenti che hanno successivamente invaso il mercato del metal estremo. Al tempo non furono certo in molti a riconoscere le qualità del quartetto finlandese, con il risultato che i Thyrane sono rimasti un nome minore ed il rammarico sicuramente c'è, se penso che quanto proposto proprio in 'Symphonies of Infernality', era una formula di symphonic black metal dannatamente valida ed estremamente più convincente di qualsiasi produzione dei Dimmu Borgir. Con il secondo lavoro 'The Spirit of Rebellion' è ancora un sound violento ed incredibilmente efficace a caratterizzare la musica del gruppo, sebbene i brani risultino in questo lavoro orientati maggiormente verso il death metal. È però con 'Hypnotic' che i Thyrane compiono il loro più significativo cambio di rotta, semplificando pesantemente le proprie composizioni e alleggerendone la struttura in maniera forse troppo spinta, tanto da ottenere una collezione di brani innocui e un po' privi di mordente. La voce di Blastmor rimane feroce e le chitarre si concentrano su lenti riff di stampo thrash metal che trovo buoni, ma è l'effetto complessivo che non convince appieno e la sensazione che si ottiene, è quella di ascoltare delle canzoncine semplici che coinvolgono poco. Con 'Hypnotic' anche i Thyrane si fanno sedurre dalle tentazioni elettroniche e questo lo si avverte immediatamente dall'uso dei synth, che forse costituisce il punto di maggior interesse nell'album, per la presenza discreta di gradevoli loop ed orchestrazioni che si ricollegano a quanto fatto anche nei primi due lavori. Grazie a questo taglio moderno, alcuni brani come "Dance in the Air" e "Phantasmal Paranoia" risultano piuttosto indovinati ma il giudizio di 'Hypnotic' rimane quello di un album riuscito a metà, dove la comprensibile e lodevole voglia del cambiamento non è bastata a confezionare un prodotto all'altezza del nome della band. (Roberto Alba)

(Spikefarm Records - 2003)
Voto: 61

https://www.facebook.com/thyraneofficial/