Cerca nel blog

lunedì 25 novembre 2019

The Pit Tips

Francesco Scarci

Blut Aus Nord - Hallucinogen
Olhava - Olhava
Bliss-Illusion - Shinrabansho

---
Matteo Baldi

Mamiffer - the brilliant tabernacle
Aaron Turner - Repression's Blossom
Blind Cave Salamander - The Svalbard Suite

---
Alain González Artola

Nile - Vile Nilotic Rites
Wyrd - Hex
Wind Rose - Wintersaga

---
Shadowsofthesun

Schammasch - Hearts Of No Light
Alessandro Cortini - Volume Massimo
Devin Townsend - Empath

Tӧrzs - Tükör

#PER CHI AMA: Instrumental Post Rock
Credo che la scena musicale ungherese abbia da sempre un suo perchè. A volte mi domando se l'originalità che molto spesso caratterizza le band magiare, sia in un qualche modo legata al fatto che la lingua parlata in Ungheria non abbia origini indoeuropee, sia nata negli Urali e da lì, diffusasi nelle grandi pianure danubiane. È per me pertanto interessante dare sempre un ascolto molto più coinvolto a quelle realtà che provengono da quella zona. E cosi, quest'oggi faccio la conoscenza dei Tӧrzs, un trio di Budapest che con questo 'Tükör' arriva addirittura al traguardo del terzo album. Il sound proposto nelle sei tracce incluse, è un post rock strumentale dai forti accenni malinconici: è chiaro fin da subito, dallo scoccare di quella chitarra acustica che in "Első" sembra quasi avvisare di prepararci a vivere forti emozioni. Ed è questo signori che faremo nell'arco dei quasi 40 minuti di musica che delicatamente sentiremo scorrere nelle orecchie ma anche nel profondo dell'anima. Che attendersi quindi se non un gentile flusso musicale, peraltro registrato live nell'Aggteleki Cseppkőbarlang, un sistema di grotte inserito all'interno di un parco nazionale ungherese, che sembra quasi amplificare quei riverberi generati dalle fughe chitarristiche dei nostri. Lo dicevo io che erano originali sti tizi e allora cosa di meglio che assaporare quegli anfratti atmosferici fatti di delicate pizzicature delle corde della chitarra, come accade nel break nostalgico di "Második", piuttosto che lasciarsi avvinghiare dalla vena psichedelica di "Harmadik", che farà certamente la gioia degli amanti dei Pink Floyd; qui in effetti le somiglianze con gli originali inglesi, rischiano di essere un po' eccessive. Il disco è comunque piacevole, anche se come sempre, io lamenti l'assenza di una voce che avrebbe potuto dare quel tocco in più ad un album che verosimilmente ne avrebbe giovato alla grande. I Tӧrzs sono alla fine un terzetto da tenere sott'occhio, ma mi sento in dovere morale di spronarli un pochino di più, spingendoli ad una maggior ricerca sonora per uscire dalla loro zona di comfort. Un primo passo è stato fatto con la registrazione nelle grotte, ora serve qualche step addizionale per spiccare il volo e assumere dei contorni di personalità ben più definiti. (Francesco Scarci)

(A Thousand Arms/Lerockpsicophonique - 2019)
Voto: 68

https://torzs.bandcamp.com/album/t-k-r-2

giovedì 21 novembre 2019

Asphodèle - Jours Pâles

#PER CHI AMA: Post Punk/Depressive Black/Shoegaze
Gli Asphodèle si sono formati nel 2019, ma non pensate che siano dei pivelli. La band francese che consta di cinque membri, include infatti batterista e chitarrista degli Au Champ des Morts, una band che ho particolarmente apprezzato nel 2017 con l'album 'Dans la Joie', la ex vocalist degli Amesoeurs, il cantante dei Aorlhac (che abbiamo già incontrato su queste pagine) e il bassista degli svedesi Gloson. Insomma, potrebbe risultare fuori luogo parlare di super gruppo però, se rapportato ai circuiti underground, non mi vergognerei affatto ad affermarlo. Che attenderci quindi da questo quintetto inedito? Vi risponderei semplicemente che tutti e cinque i musicisti hanno portato le loro pregresse esperienze in questo 'Jours Pâles', cercando di conglobarle con quelle degli altri. Pertanto, dopo l'intro strumentale di "Candide", ecco palesarsi in "De Brèves Étreintes Nocturnes" la voce di Audrey Sylvain, a portarmi con la sua timbrica, indietro di una decina di anni quando la brava cantante si dilettava con i vari Neige e Fursy T. nel loro inequivocabile concentrato di post-punk, shoegaze e depressive rock. Ad inasprire il sound però con echi post-black, ecco la chitarra sbilenca di Stéphane Bayle, uno che da 25 anni suona anche (e soprattutto) negli Anorexia Nervosa e ha pertanto una vaga idea di come fare male, a fronte anche di una nuova esperienza nei blacksters Au Champ des Morts. La musica degli Asphodèle si muove quindi in ambiti estremi anche se l'utilizzo massivo delle female vocals, smorzano la vena feroce della band, sebbene le ritmiche si confermino taglienti anche nella title track e il growling/screaming di Spellbound, cerchi di fungere da classico contraltare della soave performance della gentil donzella. Il sound dei nostri si arricchisce comunque di molteplici sfaccettature, dai break acustici della già citata title track, alle asprezze più black oriented di "Gueules Crasses", song dotata di una epica e gelida aura, grazie alle chitarre di scuola scandinava, mitigate dalle melodie vocali della particolare Audrey. Il disco scivola velocemente verso la fine attraverso altri pezzi, alcuni decisamente malinconici ("Nitide") ma comunque molto vari, altri che strizzano l'occhiolino più pesantemente allo shoegaze ("Réminiscences") song che trovo quasi fuori posto in questo contesto sebbene Spellbound cerchi di mantenere con la sua timbrica una certa connessione col depressive black. A chiudere invece "Décembre", un pezzo in stile Shining (quelli svedesi) che sancisce un disco interessante che sembra però mostrare qualche intoppo a livello di songwriting o comunque non avere una fluidità musicale ancora acclarata. 'Jours Pâles' è un lavoro discreto suonato da ottimi musicisti che paiono ancora non particolarmente amalgamati tra loro. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2019)
Voto: 68

https://ladlo.bandcamp.com/album/jours-p-les

Laika Nello Spazio – Dalla Provincia

#PER CHI AMA: Rock Alternative
In un panorama italiano devastato da banalità musicali, alcune realtà si fanno notare cercando di rinforzare quel percorso iniziato nei primi anni novanta da band storiche che hanno dato una certa credibilità e una dignità alla musica alternativa nazionale come Massimo Volume o Marlene Kuntz, quindi è inevitabile parlare di questo album come un valido lavoro a supporto di quelle lontane realtà. A partire dalle parti vocali, la parentela con i primi Massimo Volume è palese quanto la ricerca di vocaboli poetici non scontati per le liriche, uno stile compositivo che li accomuna a quel modo espressivo italico, alternativo e di tutto rispetto di fare rock per certi versi anche fortemente politicizzato. Musicalmente i Laika Nello Spazio si presentano con una formazione a tre, con due bassi ritmici e una batteria, e un intento atto a creare una musica squadrata e scarna, figlia del post punk con gli istinti dell'hardcore più melodico. Risulta difficile parlare di ricerca sonora ed originalità, l'album suona bene e seppur il sound sia minimalista e rumorosamente ben assemblato, sempre in tiro con melodie sicure e travolgenti, la musica risulta reale, onesta e i temi trattati sono credibili mentre parlano della vita difficile nelle province di oggi. Il cantato è denso, molto sentito e intriso di rabbia stradaiola, direi molto vicino per attitudine alla musica di denuncia dei New Model Army, anche se gli spettri di Clementi e Godano sono sempre dietro l'angolo assieme ai canti di protesta del Teatro degli Orrori e Petrol. Comunque i brani volano veloci, sanguigni, senza fronzoli e nascondono una bella vena poetica, ricercata, evidenziata con il bel video del singolo, "Il Cielo Sopra Rho", geniale ripresa artistica parallela al capolavoro di Wenders. I due bassi sostengono a dovere l'assenza delle chitarre e la ritmica pulsante è padrona indiscussa della scena, linee dirette ed efficaci, non v'è molto spazio per virtuosismi che toglierebbero spazio all'intensità del canto. Le belle canzoni dal titolo, "La Scala di Grigi" o "Dalla Provincia", come del resto tutti gli altri brani, sprigionano rabbia, rammarico e ricordano da vicino certe vette di intensità degli RFT ovviamente rivedute nello stile del trio lombardo. Questo bel lavoro è quanto di più distante si possa immaginare dalle patinate e glamour uscite di Manuel Agnelli & Co. mostrando quanto il sottosuolo lombardo non sia affatto una misera costola di X-factor e non a caso si riallaccia egregiamente all'aspro sentire del capolavoro, 'Lungo i Bordi', mantenendo la tensione di quel disco che ha fatto storia ed insegnato molto al rock italiano. Il suono di questa band non sarà innovativo (cosa comunque che non risulta nei piani della band) anzi ai più risulterà assai derivativo e limitato a livello sonoro ma questo album è fatto, concepito e vissuto con una aggressività contagiosa che non lascia scampo. Da ascoltare. (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2019)
Voto: 70

https://www.facebook.com/laikanellospazio/

Golden Heir Sun - Holy The Abyss

#PER CHI AMA: Ambient/Experimental/Drone, Earth, Popol Vuh, Neurosis
Da piccolo amavo esplorare i boschi nei dintorni di casa mia: in realtà più che di boschi si trattava di strisce di verde risparmiate da campi e cemento, ma per un bambino era come entrare in un altro mondo che la fantasia ingrandiva a dismisura e dove il tempo perdeva significato. Una volta mi resi conto dell’arrivo di un temporale solo quando il cielo sopra le cime degli alberi era ormai diventato del colore del piombo e il vento aveva iniziato a fare scempio di rami e foglie: per qualche minuto rimasi immobile, incantato da quello spettacolo al tempo stesso meraviglioso ed inquietante, come se una presenza invisibile stesse manifestando un brusco cambiamento d’umore.

Oggi di quei boschi rimane ben poco, ma l’ascolto di 'Holy The Abyss', primo disco di Golden Heir Sun, mi riporta alla memoria quelle immagini ed un indefinito bisogno di isolamento e contemplazione. Del resto il nuovo frutto del progetto solista di Matteo Baldi, già protagonista in una delle migliori formazioni post metal in circolazione, i veronesi Wows, si configura proprio come un inno in onore della natura, fonte di vita ma anche in grado di scrollarsi di dosso da un momento all’altro questa fastidiosa infestazione di esseri troppo spesso inconsapevoli del fatto di essere solo l’ennesima specie di passaggio su questo pianeta.

Come il precedente 'The Deepest', 'Holy The Abyss' è costituito da un'unica composizione di ben venti minuti di lunghezza che si snoda tra ampie sezioni dominate da atmosfere sacrali, eterei intrecci di chitarra ed esplosioni di dinamica, il tutto concepito come una sorta di rituale catartico volto a ripristinare l’armonia tra l’essere umano e la sua spiritualità più ancestrale. Non a caso, ad accoglierci troviamo il suono oscillante di una campana tibetana affiancata da un lento e malinconico arpeggio di chitarra, mentre da questo ipnotico tappeto sonoro emergono alcuni accordi più duri che si smorzano all’ingresso della voce di Matteo, quasi assorto in un mantra:



“On my hands, Before the Dawn I kneel, in awe.
On my knees, Before the Sun I kneel, in awe.
On my hands, Before the Clouds, I see, rain down.”

Così come l’universo tende inevitabilmente al caos, alla conclusione della “preghiera” corrisponde l’imporsi della chitarra distorta, lanciata in un furibondo crescendo ove il brano aumenta di intensità, raggiungendo il climax al riprendere del cantato, ormai trasformatosi in uno straziante grido:



“Nature is enough, Nature always wins.”

Improvvisamente l’apocalisse sonora si consuma e si disperde come vento: al suo posto riaffiora il vibrare della campana e alcuni tenui accordi che infondono sia un senso di rinnovata quiete che di precarietà, quasi a voler rappresentare il ciclo perpetuo di ordine e disordine che domina il cosmo, nonché il pericolo sempre in agguato degli istinti distruttivi dell’umanità.

Trasporre in note la propria interiorità, le proprie emozioni e suggestioni rappresenta una vera e propria sfida con se stessi, ma a Matteo (non a caso discepolo di maestri quali Neurosis, Godspeed You! Black Emperor e Tool) piacciono le imprese difficili, tanto da concepire questo lavoro come qualcosa che va oltre l’aspetto meramente musicale e che si fonde con altre forme di espressione, allo scopo di coinvolgere l’ascoltatore in questo viaggio introspettivo: parte integrante dell’opera sono infatti le ammalianti coreografie di Giulia, danzatrice che accompagna le esibizioni di Golden Heir Sun, e gli evocativi visual creati da Elide Blind, due componenti fondamentali del progetto che possiamo apprezzare nel videoclip creato per il brano.

Dunque, quale è il messaggio di 'Holy The Abyss'? Una critica ad una vita quotidiana resa sterile dalla superficialità e dalla dipendenza da troppi beni inutili? Un invito a lasciarci alle spalle tecnologia, consumismo e lavori alienanti? Forse. O forse è solo una riflessione su quanto sia meschina l’esistenza senza una presa di coscienza di quanto ci sia di meraviglioso nell’Universo e su quale sia il nostro reale posto in esso. Non basterà a curare questa società malata, ma forse spingerà me a tornare tra i pochi alberi rimasti della mia infanzia e ad inginocchiarmi sulla terra umida mormorando una preghiera:


“Holy the Abyss, free us all.”


(Karma Conspirancy/Toten Schwan/La Speranza Records - 2019)

Suzan Köcher - Suprafon

#PER CHI AMA: Psych/Folk/Rock
La musicista tedesca Suzan Köcher e la sua band pubblicano per Unique Records il secondo disco intitolato 'Suprafon', una miscela di dream pop, folk e psichedelia che ricorda i Velvet Underground ma anche i Fleetwood Mac per la pacatezza e morbidezza dei suoni, oltre che al piacevolissimo ascolto. Proprio la facilità d'ascolto secondo me è il punto di forza di questo lavoro, può funzionare da sottofondo infatti in qualsiasi occasione e non richiede una concentrazione particolare, anzi ha il potere di sciogliere la tensione emotiva e ristabilizzare le emozioni anche se per un breve tempo. Il singolo “Peaky Blinders”, peraltro aperto da un bellissimo video dai toni plumbei e piovosi, è una ballata calma e sognante, le chitarre sono chiare e riverberate e accompagnano la splendida voce di Suzie nella sua passeggiata musicale tra synth melliflui e nuvole sonore. Sentire 'Suprafon' è come andare a fare un picnic in campagna, circondato da campi di grano e raggi di sole, la pacatezza e l’atmosfera sono avvolgenti ed esortano a prendere la vita non troppo sul serio, a divertirsi e pensare positivo. Una song da citare è sicuramente "Night by the Sea" che con il suo dolce incedere tra chitarre acustiche e l’accoratissima linea vocale che sembra rievocare un’atmosfera western, perfetta per la colonna sonora di un film di Tarantino, senza dubbio risulta il mio pezzo preferito del cd. Impossibile non nominare l’incantevole chiusura del disco, la title track "Suprafon", forse la summa delle intenzioni che la band ha voluto riversare in questo secondo disco. Le vibrazioni sixties si sentono prepotentemente, una pulsante linea di basso fa da sfondo ad una ballata rock'n'roll dai toni chill out lisergici e colorati, con un ritornello così catchy quasi a far venire nostalgia della summer of love, di woodstock e degli hippie. Suzan Kocher & co. hanno sfornato un disco altamente godibile, consigliatissimo a tutti gli amanti del folk rock che abbiano voglia di sentire una band nuova dal suono originale e che porti il vessillo della musica sessantiana senza alterarne l’idea originale, ma anzi arricchendola di freschezza e nuove idee. (Matteo Baldi)

(Unique Records - 2019)
Voto: 78

https://suzankoecher.bandcamp.com/

Slow – VI: Dantalion

#FOR FANS OF: Funeral/Doom
Dehà, the mastermind behind the moniker Slow, is known for his vast expanses of noisy Funeral Doom. To me, this record was highly anticipated, because I loved the path from number 'IV: Mythologie' to 'V: Oceans'. It’s also special because it was the first Funeral Doom record I ever purchased. I was relatively new to the genre, but hooked instantly. From the start of this new album, I can tell right away that he chose to stay on path, without compromising any of the brutal aspects of sound.

I love how the slow riffs drags the melody onwards, with the haggard screams perfectly echoing the depressive and gloomy atmosphere. Like a descending vortex of destruction, complete with drums which pummels you to the ground whenever you reach upwards. Dehàs vocals are a mixture of screams and whispers, and has always been a hallmark of this project. It always fits well with the rest of the instrumentation. The synth strings are playing a big role in supporting the constant barrage of noise, and there is little room to breathe among these dense melodies of fading hope throughout the album. Whenever I catch a break, it’s only to harden myself for a brief while before the next attack ensues. There are some small parts of guitar only, but the eerie tone does little to ease the tension in this album. It plays like a single symphony of dilapitation and disarray, filled to the brink with noise. The overall mix if bottom heavy, and it feels steadily rooted at the base. The bass lines keeps everything level, and the guitars are never too loud. It’s like the backdrop of a howling wind, which blows only for you to hear it whenever there is a quiet moment away from the ongoing slaughter.

Towards the end of the record, the strings are more prominent. The album gets more intense, quickens the pace, and the guitar screams more. The drums are more like a march, driving the listener through an ominous terrain riddled with overture notes. As the guitar echoes in solitude, it seems like a fog horn has entered, and along with it even heavier drums and Dehás bone chilling howls of torment. The throbbing pulse is slow and steady. In keeping with the other great acts of the genre. As we journey onwards, it becomes more saturated, and almost drowned in a sea of noise. A clean set of vocals are following an alternate chorus line, and it seems to be working well, despite the initial oddness. Like a starting fire, the song rages on, increasing in intensity, until it finally dies, and only the "Elégie" remain. It’s a beautiful simple melody which starts with two strings being strummed, creating a sense of desolation and sadness. As with life, they fade away into a gentle synth and strings hybrid, which cements the feeling of despair and loneliness otherwise embraced on the album. A fitting funeral anthem to be played at the great departures of great men. (Ole Grung)


(Code666 Records - 2019)
Score: 85

martedì 19 novembre 2019

Tome of the Unreplenished/Starless Domain - Epistolary of the Fall

#PER CHI AMA: Experimental Ambient Black
Se degli Starless Domain abbiamo parlato da poco del loro primo lavoro, 'EOS', dovete sapere che i Tome of the Unreplenished sono una band anglo-cipriota formata da membri tra gli altri di Voz de Nenhum e Spectral Lore, tutte band già conosciute qui all'interno del Pozzo. Ma porgiamo l'orecchio attento a questo interessante 'Epistolary of the Fall', split album rilasciato dalla Aesthetic Death. Due soli pezzi per quasi un'ora di musica a farvi capire che ci sarà parecchio da faticare per digerirne l'ascolto. Sono i ciprioti ad avere l'onore di aprire le danze con "Proskynesis", una song (se cosi vogliamo definirla) di quasi 19 minuti che si apre con un rumore in sottofondo, quasi si tratti dell'accensione dei razzi di un'astronave. Non ho idea se dobbiamo attenderci un qualche viaggio intergalattico, ma per non saper nè leggere nè scrivere, io mi allaccio le cinture, pronto ad un balzo temporale a velocità oltre a quelle della luce. La preparazione è di sicuro assai lunga, visto che almeno fino all'ottavo minuto sembra non accadere nulla se non essere circondati da un disturbante rumore. Potrebbe anche essere che questa sia la stravagante proposta della compagine cipriota che affianca al noise, flebili voci in sottofondo ed ipnotiche distorsioni sintetiche che ci accompagneranno da qui alla fine di questo primo capitolo, girovagando per mondi extraterrestri. Esauriti i primi venti minuti del cd, mi viene da pensare che le prospettive siano di un ascolto tutto in discesa, visto che verosimilmente la parte più complicata la dovremmo aver già superata. Questo perchè "CERES", il pezzo degli Starless Domain, ha tutta la forma di una canzone con capo e coda, cosa che mancava nel precedente brano. Chiaro che anche in questo caso, non abbiamo nelle orecchie una musicalità del tutto convenzionale, poichè la band statunitense è portatrice di un oscuro cosmic black metal che prosegue la linea musicale intrapresa con i precedenti 'EOS' e 'ALMA'. La song, come preventivato, è una lunga fuga di quasi 40 minuti tra ritmiche serrate, synth surreali quanto mai freddi e desolanti e demoniache vocals in sottofondo. A supporto di una simile situazione subentrano saltuariamente ampi momenti atmosferici che contribuisco a rendere il tutto ancor più onirico e visionario (soffermatevi al ventesimo minuto per capire di cosa stia parlando). Alla fine, 'Epistolary of the Fall' è un viaggio nel tempo e nello spazio, un'avventura spaziale per sole anime forti che abbiano la mente abbastanza aperta per nuovi interessanti incontri con forme aliene. (Francesco Scarci)

Mur - Brutalism

#PER CHI AMA: Post-Hardcore/Post-Black
Periodo prolifico per la Les Acteurs de l’Ombre Productions, che in poco più di due mesi, ha rilasciato un considerevole numero di release (e il meglio sembra che debba ancora venire). Questi Mur, da poco nelle mie mani, sono in realtà un side-project di act francesi quali Today is the Day, Glorior Belli, Mass Hysteria, Comity e Four Question Marks. 'Brutalism' è il loro debut sulla lunga distanza, sebbene i primi vagiti dei nostri risalgano al 2014 con un EP autoprodotto. Il risultato mi sembra piuttosto buono visto che non sembra il classico lavoro del roster LADLO Prod. La band infatti ci aggredisce con il sound intenso e fresco di "Sound of a Dead Skin" che pare coniugare il post-hardcore con una più sotterranea vena black, espressa probabilmente solo a livello di screaming vocals e di una robusta cavalcata conclusiva al limite del post-black. Ma questa è solo una delle sfaccettature espresse dal sestetto francese in questo lavoro, viste le disturbanti contaminazioni elettroniche disseminate un po' ovunque e un sound comunque più radicato negli estremismi hardcore che black. Ovviamente, bisogna mettere in conto che l'ascolto del disco non sia la classica passeggiata domenicale, viste le influenze rivolte al versante punk/hardcore. È bene quindi prepararsi mentalmente alla "rozzaggine" sonora di "I Am the Forest" o al più imprevedibile approccio catalizzante di "Nenuphar", dove rock, doom, hardcore, black, grind, post ed electro-noise si fondono all'unisono in una miscela polverizzante di suoni. La quarta song dal titolo lunghissimo, che vi risparmio per cortesia, è in realtà il classico raccordo tra la terza e la quinta traccia intitolata "Third", singolo apripista di 'Brutalism'. Scelta più che mai azzeccata viste le stranezze iniziali, le devastanti aberrazioni musicali, le dirompenti vocals, le stranianti ritmiche che probabilmente identificano "Third" come brano più violento e riuscito del disco. Ma le sorprese non finiscono certo qui, c'era da aspettarselo, visto lo stralunato e folle incedere di "My Ionic Self", una proposta non proprio alla portata di tutti, anzi direi da proibire assolutamente ai più deboli di cuore. Mi sa che dovremmo farcene una ragione perchè l'impressione è che man mano si vada verso la conclusione del disco, le sperimentazioni si facciano ben più presenti: "Red Blessings Sea", pur essendo più controllata nella sua furia, ha un impianto ritmico un po' malato. L'incipit elettronico "I See Through Stones" sembra quasi evocare la sigla di 'Stranger Things', prima di evolvere in dirompenti schiamazzi noise industrial black. La cosa che più mi sorprende è che il caos profuso dai Mur alla fine suona sempre piacevole e dinamico e questo è un grosso punto a favore della compagine francese. Un altro pezzo assai interessante (e forse il mio preferito) è rappresentato da "You Make I Real", una traccia emotivamente instabile, dotata di ottimi arrangiamenti e atmosfere apocalittiche che ci introdurranno all'epilogo di "BWV721", l'ultimo atto ambient/noise di questo inatteso 'Brutalism', graditissima sorpresa di fine anno. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2019)
Voto: 76

https://ladlo.bandcamp.com/album/brutalism

lunedì 18 novembre 2019

Scintillescent - Dread

#PER CHI AMA: Symph Black, Mesarthim
Di questi Scintillescent non sono riuscito a recuperare praticamente nulla dal web se non la loro origine, la Nuova Zelanda, poi altre informazioni sono totalmente irreperibili. Non so nemmeno se 'Dread' sia il loro debut EP o cos'altro, quindi portate pazienza se sono qui a scrivere un mare di cazzate. Fatto sta che l'ensemble neo zelandese mi ha colpito per quel suo sound fresco capace di miscelare l'elettronica con il black, in una versione più fruibile dei Mesarthim. Qui infatti non ci troviamo di fronte song dalle durate oceaniche, ma quattro brani diretti, efficaci e melodici, che si aprono con la title track e le sue ariose melodie su cui si staglia lo screaming non cosi efferato del frontman. "Breakneck" continua positivamente su questa linea, con un brano breve (quasi quattro minuti), essenziale, che va al nocciolo della questione senza stancare. Le melodie si confermano piacevoli, e il lavoro alle tastiere si conferma di grande valore, dando maggior rilevanza alle atmosfere piuttosto che alle chitarre. Qualcuno storcerà il naso per questa mia affermazione, eppure francamente trovo 'Dread' un validissimo EP, anche laddove la band decide di riproporre le due song in versione strumentale e (ancor più) sinfonica, qualora ce ne fosse stato bisogno. Avrei evitato quest'esperimento un po' banalotto e riempipista per proporre un paio di song in più. Comunque attendiamo fiduciosi le prossime evoluzioni di questi misteriosi Scintillescent. (Francesco Scarci)

martedì 12 novembre 2019

N█O - Isolates

#PER CHI AMA: Black/Death
I N█O mi avevano piacevolmente colpito quando esordirono nel 2017 con il loro 'Adrestia'. Tornano a distanza di un paio d'anni con un EP, giusto per dire ai fan che la band ucraina è viva e vegeta e che sta lavorando a qualcosa di nuovo. La proposta del terzetto di Kiev prosegue sulla scia del debut con un post-black condito da contaminazioni post-metal. Se l'inizio di "Void" parte in sordina con un approccio mid-tempo, a metà brano la band scalda i motori, ingrana la quarta e inizia a pigiare sull'acceleratore con una bella scorribanda di oscuro post-black. I nostri sono imprevedibili, e forse per questo li avevo apprezzati, cosi a fronte dell'accelerata, assistiamo anche ad una bella frenata con tanto di testa a coda incluso, ossia un break acustico a cui fanno seguito le classiche melodie glaciali dell'ensemble, su cui vanno a piazzarsi le grim vocals del buon Andrey Tkachenko. Poi è solo una cavalcata verso l'infinito a chiudere questo primo pezzo. "The Room" è un angosciante intermezzo semi-acustico che ci conduce a "Dreamcatcher", una song che parte ritmata e prosegue con il medesimo piglio almeno fino ad un minuto dalla fine, quando gli strumentisti ucraini si scatenano per l'ultima furiosa scarica metallica. 'Isolates' alla fine non è altro che un discreto antipasto per tenere a freno gli appetiti voraci dei fan della band ucraina. (Francesco Scarci)
 
(BloodRed Distribution - 2019)
Voto: 65


https://bloodreddistribution.bandcamp.com/album/isolates

domenica 10 novembre 2019

FrostSeele - Kalte Leere

#PER CHI AMA: Melo Death/Post Rock, Insomnium
La one-man-band di quest'oggi l'avevo recensita in occasione del debut del 2012, 'PrækΩsmium'. Da allora il mastermind teutonico ha rilasciato uno split e un paio di EP, di cui l'ultimo è questo 'Kalte Leere'. Mi sono domandato come sia cambiata la musica del factotum di Baden-Württemberg dal 2012 ad oggi, e quindi eccomi a raccontarvelo. Il nuovo lavoro si apre con le tenui melodie di "Kalt", una sorta di lungo incipit acustico (almeno per i primi tre minuti) su cui poggiano le spoken words del carismatico leader, prima che negli ultimi 90 secondi si sprigionino le forze oscure della compagine tedesca. L'apertura di "In Traumhaft" mostra un beat simil-elettronico, che lascia presto il posto ad atmosfere più ragionate, soffuse e malinconiche, con la voce pulita di Mr. FrostSeele ad alternarsi con il gracchiare di Danny, l'ospite del disco. La linea melodica della song ha sicuramente una certa presa per il sottoscritto che per certi versi mi ha ricondotto all'arioso sound finnico di Throes of Dawn o Insomnium. "Der Dunkle Zenit" ha un incipit più alternativo, anche se poi il sound dei nostri si muove sempre verso coordinate che ormai si sono svuotate della loro componente black per assumerne una più votata ad un ipotetico ibrido tra post-rock e la freschezza del death melodico di matrice finlandese. Francamente, il risultato è più che soddisfacente, pur non facendo certo gridare al miracolo. "[ ]" è l'ultimo enigmatico pezzo, visto anche un titolo di questo genere: l'inizio sembra suggerire quasi un trip hop di scuola britannica, per poi muoversi su suoni tipicamente post-rock, forse la nuova direzione artistica intrapresa dal polistrumentista tedesco, per una nuova interessante tappa della discografia dei FrostSeele. (Francesco Scarci)

sabato 9 novembre 2019

Reido - Anātman

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Era novembre di otto anni fa, quando su queste stesse pagine, parlavo del secondo lavoro dei biellorussi Reido, un disco che vedeva il terzetto di Minsk virare da un industrial funeral doom, ad un più arioso (se cosi si può dire) post-metal/sludge. I nostri si sono presi un'altra breve pausa, di circa otto anni, hanno cambiato etichetta, approdando alla Aesthetic Death e finalmente, hanno rilasciato un nuovo album, 'Anātman'. Ebbene, l'inizio non è dei più promettenti visto che con "Deathwave", il combo sembra di nuovo essersi perso negli anfratti di un angusto funeral sound. In realtà, l'opener funge più da lunga intro prima di lasciare posto alla plumbea cortina fumogena innalzata da "The Serpent's Mission", una song di oltre undici minuti, lenta e affannosa, portatrice di una discreta dose di angoscia a causa di quel suo indolente incedere che conferma il ritorno alle origini da parte dell'ensemble biellorusso, sebbene ora sia deprivato della componente industriale. Già sfiancato dalla prima vera traccia, mi avvio all'ascolto di "Dirt Fills My Mouth", un pezzo che inizia più in sordina, con una voce sussurrante accompagnata da una tiepida chitarra che a poco a poco, cresce d'intensità, ma non troppo in coinvolgimento, almeno fino a quando il suono della sei corde si tramuta in deprimente assolo, che dona finalmente un certo mordente ad una song fin qui troppo anonima; da questo punto in poi, grazie ad un migliore utilizzo della componente atmosferica, il brano assume una sua personalità e con esso la band stessa. E per fortuna, visto che c'è un baluardo imponente da assaltare, chiamato "Liminal": quasi 17 minuti di sonorità non troppo affabili, per non dire decadenti, sempre sorrette dalle growling vocals di Alexander Kachar e da un riffing in sottofondo che evoca un che dei My Dying Bride. C'è da dire che da metà brano poi, la band si concede un lunga pausa ambientale che spezza un po' quella lugubre e sfibrante andatura del pezzo. La title track è un pezzo strumentale fatto di campionamenti a sfondo sci-fi, che ci introducono all'ultimo scoglio del disco da superare, ossia i 14 minuti di "Vast Emptiness, No Holiness", un'altra non proprio banale passeggiata da affrontare in scioltezza. Ritmiche logoranti, voci ringhiate e tutti i consueti elementi che contraddistinguono il funeral, per chiudere in bellezza un lavoro di certo di non facile assimilazione, almeno per chi non è un fan sfegatato del genere. Speravo francamente in qualcosa di più, il disco non è male, ma mi aspettavo una qualche progressione a livello di songwriting che ahimè è venuta a mancare, complice un'astinenza dalle scene davvero lunga. Un peccato. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2019)
Voto: 67

https://reido0.bandcamp.com/releases

Nouccello - S/t

#PER CHI AMA: Punk/Hardcore
Al giorno d'oggi è sempre più complicato scrivere le recensioni. Questo lavoro mi è arrivato infatti privo di qualsiasi informazioni, giusto un cd inserito in una foderina trasparente con una scritta sopra, Nouccello. "E chi diavolo sono questi" è stata la mia prima domanda? I Nouccello ("che razza di moniker è questo" è stata la mia seconda) è una band formatasi da un paio d'anni da ex membri di Straight Opposition e Death Mantra For Lazarus ("ma dove diavolo vivo che non conosco nessuna di queste band", il terzo quesito di oggi). La proposta musicale del terzetto pescarese è un hardcore cantato in italiano che si presenta con le note nevrotiche dell'opener "Piano B", una song oscura pervasa da un profondo senso di irrequietezza, che mi conquista immediatamente, sebbene quello proposto non sia proprio il mio genere preferito. "Vertigine" è più litanica a livello vocale; qui ciò che apprezzo maggiormente è il drumming, cosi tentacolare e presente, soprattutto nella sua marziale conclusione. Devo dire che a colpirmi è anche la facilità con cui il trio italico riesce a cambiare umore all'interno di brani cosi brevi (tra i tre e i quattro minuti di durata media) ma intensi. "Aternum, Pt. 1" è un pezzo strumentale che funge verosimilmente come sosta di ristoro prima di imbarcarsi all'ascolto delle successive e dinamitarde song. Arriva infatti "Lo Spettro" e vengo investito dalla violenza punk di voce e ritmica, in quello che è un pugno diretto e incazzato in pieno stomaco. "Episodio 5: Trappola in Mezzo al Mare" si srotola in modo narrativo con un melodia di fondo malinconica, pur mantenendo inalterato lo spirito ribelle della band. "Specchio Riflesso" si apre curiosamente con la voce di un ragazzino a dare istruzioni su come suonare "Tanti Auguri a Te" con l'armonica, poi è solo un'esplosione di pura violenza. Ancora stranezze nell'incipit di "Colpisci il Mostro", prima che la song si muova su direttive musicali più ritmate e bilanciate (ancora ottima la performance del batterista), ove sono ancora i cambi di tempo a colpirmi positivamente, perchè la sensazione finale è quella di aver ascoltato quindici brani anzichè otto. A chiudere, le note post-rock di "Aternum, Pt. 2", il secondo capitolo strumentale di questo lavoro omonimo, che mi ha fatto conoscere ed apprezzare una band, fino ad oggi a me totalmente sconosciuta. (Francesco Scarci)

(Vina Records/Scatti Vorticosi Records - 2019)
Voto: 74

https://www.facebook.com/nouccello/