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giovedì 4 aprile 2019

Monarch - Sabbat Noir

#PER CHI AMA: Sludge/Drone
Se qualcuno (come il sottoscritto) si era perso 'Sabbat Noir', quinto album del 2010 dei francesi Monarch, andato sold-out, niente paura, ci ha pensato la Zanjeer Zani Productions (in collaborazione con la Necrocosm) a restituirgli vita e dignità. I Monarch (per cui non è raro vedere il loro moniker scritto anche un ! alla fine) sono una band sludge doom drone francese che francamente non conoscevo, nata dalle parti di Bayonne e responsabile del rilascio di ben otto album e ben nove, tra split, compilation ed EP. Non male come biglietto da visita. E per chi vuole sapere cosa realmente si sia perso da questo 'Sabbat Noir', mi verrebbe da citare le parole del sommo poeta e dirvi "lasciate ogni speranza o voi che entrate". Il disco è un'unica traccia di 29 minuti (ma suddivisa in due parti) di dronico sludge che rievoca proprio la discesa agli Inferi del buon Dante in compagnia del fido compagno Virgilio. Perchè questa similitudine? Presto detto: a parte il riffing ultra mega ribassato e in slow-motion del folle quintetto transalpino (che nelle sue fila vede peraltro un membro dei Year of No Light), anche una serie di voci, sussurri e addirittura ululati, che sembrano proprio rievocare le grida dei dannati nei vari gironi danteschi. Bene, tutto chiaro no? La prima raccomandazione è di starvene alla larga se non siete proprio dei fan del genere, rischiereste di venire asfaltati o peggio risucchiati dalla provocante ed alterata proposta della band. Se poi siete dei curiosoni e poco timorati di Dio, prego fatevi avanti e lasciatevi condurre nelle viscere della Terra per farvi disturbare il cervello con simili sonorità (io, dopo la recensione non mi sono ancora ripreso). Se invece amate il genere o siete dei temerari, beh lor signoria si faccia avanti, si goda il sound asfittico e a rallentatore dei Monarch!, soprattutto nella seconda parte, dove i nostri esibiscono il meglio della propria torbida proposta dove accanto al pestilenziale buio della notte e alle grida lancinanti che ne rompono il silenzio catacombale, riesce addirittura a fare capolino una parvenza di apocalittiche melodie corrotte da Satana in persona. Paura ed orrore nelle vie dell'Inferno. (Francesco Scarci)

(Zanjeer Zani Productions/Necrocosm - 2019)
Voto: 72

https://necrocosm.bandcamp.com/album/sabbat-noir

Heaume Mortal - Solstices

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Sebbene uscito da pochi giorni per l'etichetta Les Acteurs de l'Ombre Productions, 'Solstices', atto primo dei parigini Heaume Mortal, include brani in verità scritti tra il 2011 e il 2014. L'espressione musicale della band guarda al versante black, il genere prediletto ormai dalla label francese, come punto di riferimento per i nostri. L'ensemble, che peraltro include membri di Eibon e Cowards, due realtà che abbiamo già avuto modo di recensire su queste pagine, offre il classico sound dissonante, divenuto quasi marchio di fabbrica per la scena estrema transalpina. Lasciatevi investire quindi dalla furia sbilenca dell'opener "Yesteryears", una lunga suite di oltre 13 minuti che nel suo corso vedrà la compagine cedere anche a spartiti post-rock e sludge. Con questa verve cosi eterogenea, la proposta degli Heaume Mortal non si rivela affatto male, soprattutto perché i tre musicisti riescono a coniugare con una certa maturità (ma l'avevo detto che non sono gli ultimi arrivati), il post-black con sonorità più melmose, il tutto sorretto da voci al vetriolo. Forti di una produzione potente che esalta il suono di ogni strumento, la band ci dà in pasto alle proprie visioni destabilizzanti: strana a tal proposito la scelta di avere una song breve ma ficcante come "South of No North", due minuti in cui anche sonorità industriali sembrano convogliare nella musica degli Heaume Mortal. Ma che il sound dei nostri sia particolare, lo si deduce soprattutto da "Oldborn", una traccia che mostra il lato più deviato del trio, con reminiscenze avanguardistiche che riconducono ai Ved Buens Ende, grim vocals che sembrano ispirarsi ad Attila Csihar, momenti noise che probabilmente derivano dall'esperienza nei Cowards di vocalist e chitarrista. L'impianto ritmico è quello tipico del post metal, con dei lenti riffoni stratificati che addensano un sound già di per sé iper-saturo; e a chiudere, ecco un discreto assolo in tremolo picking. A metà disco una sorpresa, la sofferente ed ipnotica cover "Erblicket die Tochter des Firmament" dei Burzum, estratta dal controverso 'Filosofem', a raccontarci qualcosa in più in fatto di influenze della band; io ne avrei fatto volentieri a meno. Meglio invece quando la spettrale "Tongueless (Part III)" inizia a risuonare nelle mie cuffie, con il suo incedere imponente a metà strada tra Void of Silence e Cult of Luna, spruzzati di un forte alone black, a rappresentare probabilmente l'apice musicale di questo 'Solstices', che almeno per il sottoscritto finisce qui. L'ultima strumentale "Mestreguiral" ha qualche analogia con "Tomhet" di Burzum: ricordate quel brano elettronico, ipnotico e alla lunga noioso, che chiudeva 'Hvis Lyset Tar Oss'? Ecco, il paragone credo che sia quanto mai azzeccato, e come nel capolavoro del Count Grishnákh, forse si poteva ridurre di gran lunga la durata, se non addirittura farne a meno. Diverse luci e qualche ombra per il debutto degli Heaume Mortal quindi, un ascolto però è quanto mai dovuto. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2019)
Voto: 74

https://ladlo.bandcamp.com/album/solstices

domenica 31 marzo 2019

Colossus Morose - Seclusion

#PER CHI AMA: Funeral Doom, primi Anathema
Continua il nostro tragico percorso lungo i deprimenti lidi del funeral doom. Quest'oggi ci avviciniamo al debut album dei Colossus Morose, una band che raccoglie sotto lo stesso ombrello, nomi della scena tedesca (C.J. dei Transnigth) ed elvetico/norvegese (J.C. dei Black Sputum). 'Seclusion', tanto per cambiare edito dalla russa Endless Winter, contiene sei brani di catacombale funeral doom, quello che ormai ha ben poco da aggiungere ad una scena alquanto stantia negli ultimi tempi. Questo per sottolineare che quanto incluso in questo disco non è altro che una ripresa di suoni dei primi anni '90 (gli albori di Anathema e My Dying Bride), ravvivati da un piglio più moderno, che talvolta abbraccia anche il death metal e poc'altro. Non che 'Seclusion' sia un brutto album sia chiaro, gli amanti di simili sonorità anzi ne andranno certamente ghiotti. Il sottoscritto invece, che negli ultimi 30 giorni ha avuto modo di passare in rassegna decine e decine di band funeral doom, magari si trova un po' troppo saturato mentalmente da simili uscite proprio perché non trova più elementi caratterizzanti. E non è certo una gara a chi regala il riff più abissale, la voce più animalesca (e nella lunga "Catatonical Embrace", J.C. non si tira certo indietro per quanto riguarda le growling vocals) o la melodia più straziante. Il problema è questo genere di sonorità, le ho sentite ormai tonnellate di volte e avrei bisogno di una maggiore freschezza a livello compositivo per decretare davvero vincente un disco funeral. La proposta del duo internazionale poi è ancor più ruvida rispetto a quella di altrettanto esimi colleghi. La salvano le melodie retrò di "Tarnished" che peraltro chiude con una dissolvenza troncata in modo imbarazzante; poi è il turno della ferale "Perpetually Enthralled", in cui il growl del frontman rischia di sfociare in un suino slam. Fortunatamente le linee di chitarra di primissima scuola Paradise Lost, riescono nel compito di tenere su la baracca, altrimenti il rischio di un tracollo era davvero dietro l'angolo. La performance dei nostri sta in piedi anche e soprattutto grazie a "Six", un brano un po' più ricercato tra insormontabili montagne di oscuri riffoni death doom, altri riff melodici e porzioni arpeggiate. Interessante anche la conclusione affidata a "The Spiral Descent", almeno fino a quando il vocalist non emana il suo primo vagito, da rivedere assolutamente la componente vocale. Alla fine 'Seclusion' è un album di onesto death funeral doom che probabilmente poco ha da offrire ad un pubblico divenuto ormai più esigente. (Francesco Scarci)

sabato 30 marzo 2019

Aethyrick - Praxis

#PER CHI AMA: Black atmosferico, primi Katatonia
Mentre sto qui a scrivervi di 'Praxis', sappiate che è già uscita una compilation a raccontarci qualcosa di più degli Aethyrick e dei due demo che ne hanno aperto la carriera. A parte questo, del combo finlandese si sa ben poco, se non che si tratti di un duo le cui facce, nelle foto ufficiali, rimangono celate. Largo spazio allora all'ispirata proposta dei nostri e a quello che sembra un black metal dalle forti tinte malinconico-atmosferico, come già si evince dall'opener "Protectress", che sfoggia notevoli melodie e un sound che mi ha evocato un qualcosa dell'esordio dei Thy Serpent di 'Forests of Witchery'. Sensazione confermata anche dalla seconda e arrembante "Reverence", che ci martella e non poco, con quella sua ritmica scarna e le sue grim vocals, il tutto corredato da una buona dose di melodie che ne stemperano la durezza e l'aggressività di fondo. La proposta del duo formato da Gall ed Exile, sembra abbracciare un black ancor più atmosferico, a tratti sognante, con "Pilgrimage" dove a parte i synth, sembra farsi largo un bel basso tonante e un tifone sonoro a livello di batteria. La song però ha modo di rallentare negli ultimi due minuti e concedere largo spazio ad un riffing in tremolo picking, atto ad incrementare l'impatto emotivo del disco. Non pensate però che 'Praxis' sia un disco per mollaccioni, sebbene "Quietude" vada alquanto a rilento con il suo black mid-tempo strumentale, è solo un modo per farci rifiatare e ripartire con "Wayfarer". La quinta traccia riparte là dove ci eravamo lasciati con la terza song e quindi una proposta di black sempre controllato, abbastanza melodico, che concede forse qualcosina a livello di originalità, ma che comunque sa il fatto suo su come catturare l'attenzione di chi infila le cuffie per la prima volta e tasta il polso alla proposta degli Aethyrick. Un po' più storta nel suo incedere "Adytum", lenta e sulfurea nel suo proporre un suono che qui sembra essere più evocativa, pur non inventandosi nulla di che, anzi ammiccando non poco ai Katatonia di 'Brave Murder Day'. Il finale è affidato a "Totems": chitarra zanzarosa, ritmica lenta e sinuosa, piglio depressive, buon comparto chitarristico, discreta dose di melodie autunnali a sancire la conclusione dell'atto primo dei finlandesi Aethyrick. Nulla di nuovo sotto al sole, ma quello messo in scena mostra per ora un promettente futuro. (Francesco Scarci)

(The Sinister Flame - 2018)
Voto: 74

https://aethyrick.bandcamp.com/album/praxis

Devcord - Dysthymia

#PER CHI AMA: Death Progressive, Opeth
Del fenomeno delle one-man-band abbiamo già discusso ampiamente e ormai si è allargato a macchia d'olio in tutto il mondo. La new sensation al singolare di quest'oggi ci porta questa volta a Spillern, non troppo lontano da Vienna, con i Devcord. La band austriaca è l'entusiastica creatura di Peter Royburger, uno che deve essere cresciuto nel mito degli Opeth e che dopo accurato studio di pregi e difetti dei gods svedesi, ha pensato di dire la propria nell'ambito del prog death. Ecco come si presenta 'Dysthymia', l'album di debutto del bravo Peter, che già nell'iniziale "The Mortician" rivela il proprio piano diabolico che vede l'esplosione di chitarre e growling vocals di chiara matrice "opethiana". I punti di congiunzione con il sound di Mikael Åkerfeldt e soci, emerge più forte che mai quando le vocals pulite prendono il sopravvento e le chitarre del polistrumentista austriaco iniziano ad ammiccare più pesantemente con quelle delle asce svedesi in una cavalcata dalle forti tinte progressive, ove si colloca anche una portentosa linea di basso, che diventerà ancor più preponderante nella seconda "Agonal Breathing", una traccia estremamente varia in cui le growling vocals vanno a braccetto con linee di chitarra veementi mentre le voci pulite occupano lo spazio più etereo del sound del mastermind austriaco. Poi il canovaccio è in linea con quanto fatto dagli Opeth nel loro periodo di mezzo, a sottolineare che le similitudini fra le due band sono assai importanti. Detto questo, bisogna prendere una decisione, stroncare clamorosamente il disco per le grandi affinità con i godz scandinavi o godersi appieno la proposta del musicista austriaco. Io francamente propendo per la seconda, soprattutto alla luce della strada imboccata dai new progsters svedesi. Finalmente abbiamo una più che valida alternativa agli Opeth, Peter suona bene, ha un buon range vocale e tanta voglia di proporre la propria reinterpretazione dei dettami imposti dal genere. La title track ha un piglio più tranquillo, mantenendo pur intatta la ricerca per parti raffinate: arpeggi, parti orchestrali, tocchi di pianoforte, voci pulitissime creano insieme una splendida suggestione atmosferica che va a scomodare altri mostri sacri della scena prog, penso ad esempio ai Porcupine Tree. Di sicuro Peter è dotato di grande inventiva, perizia tecnica e ottimo gusto per le melodia e di questo gliene dobbiamo dare atto per quanto talvolta possa sembra un emulo dei big. Però lasciatemi dire che quando si lancia nelle sue fughe chitarristiche, un po' di godimento lo si prova eccome. Ed è proprio per questo che preferisco far finta di niente, tralasciare paragoni e confronti vari, focalizzandomi esclusivamente sulla proposta del frontman di Spillern, che evidenzia comunque una certa ricercatezza e una classe non indifferente. Un breve intermezzo malinconico-rilassante ("Melancholia" giustappunto) per ricominciare con il riffing di "Raw Meat" che sembra provenire da un disco dei System of a Down, prima di incanalarsi prima in meandri death, e poi cambiare subitamente registro e tornare a fare quello che Peter sembra far meglio. Ma il brano è cosi altalenante che torna a proporre uno strano ibrido alternative death che devo ammettere non aver avuto grossa presa sul sottoscritto, nemmeno nella sua conclusiva parte tribale. Molto meglio "Omega" che torna a collocarsi nei binari del progressive con una traccia interamente acustica che prepara il terreno per la lunghissima "Reaper's Helpers", un brano di oltre 10 minuti, ma i cui due minuti iniziali di suoni e urla varie avrei probabilmente fatto a meno. Poi ecco palesarsi nella prima metà un impetuoso death thrash metal, che a livello vocale sembra richiamare Chuck Billy dei Testament, ma anche King Diamond in una traccia che fa dell'imprevedibilità il suo punto di forza, provare per credere. La seconda parte rallenta paurosamente, gli Opeth dei primi brani sembrano solamente un lontano ricordo, qui c'è dell'altro: oltre al prog, techno death, ci sono fughe jazz, momenti horror e chissà quali altri sfumature che io magari mi sono perso. Sono all'ottavo brano, abbiamo scavallato i 50 minuti di ascolto e ne rimangono altri 16 in cui il factotum austriaco ha ancora modo di combinarne di tutti i colori. Se con "Fade" assistiamo increduli ad un pezzo dal tipico flavour anni '70 con tanto di voci femminili e virtuosismi dal gusto retrò, con la conclusiva "Jerk Pitch Rape" si torna a strizzare l'occhiolino agli Opeth, regalandoci gli ultimi vibranti attimi di un disco davvero interessante, assolutamente da non bollare come mera copia dei master svedesi. Meglio ascoltarlo più volte per non arrivare ad una conclusione troppo affrettata. Fidatevi. (Francesco Scarci)

(Lonelyroom Records - 2018)
Voto: 78

https://devcord.bandcamp.com/releases

giovedì 28 marzo 2019

Asmodée - Aequilanx

#PER CHI AMA: Black Old School
Dopo averci presentato qualche giorno fa il debut degli svedesi Faruln, quelli della Battlesk'rs Productions, devono essere andati a ripescare dal cassetto dei ricordi il demo dei francesi Asmodée, datato 1997 e intitolato 'Aequilanx'. Sebbene il flyer informativo riporti il desiderio di svelare la supremazia del black metal francese degli anni '90 (io non me la ricordo), francamente mi sento di dissentire da questa scelta. Per quanto bazzicassi l'ambiente black a quei tempi, non ho mai sentito parlare della band di Nantes, ed un perchè ci deve pur essere, visto che quanto contenuto nelle quattro tracce di quel lavoro, non è nulla di comparabile a quanto il mondo stesse osservando arrivare dalla Scandinavia. La registrazione poi non rende assolutamente giustizia a tracce come "Great Final Justice", l'ovattata opening track che sembra essere stata registrata con una puntina da disegno piantata su di un vinile. Il genere ovviamente è black metal nella sua forma più primordiale che tra assalti feroci, stop'n go, screaming e growling vocals, diciamo che ha poco da offrire di realmente eccezionale o mai sentito. Se non fossi cresciuto a pane, Nutella, Mayhem, Immortal, Darkthrone (e potrei continuare un bel po'), direi di trovare la proposta degli Asmodée intrigante, sfortuna loro è che con il black old-school ci ho passato i miei anni del liceo, apprezzandolo in tutte le sue sfaccettature. Ritrovarmi un pezzo rozzo come "Black Revelation" oggi nell'era dei suoni patinati e perfetti, dove la tecnica talvolta ha la meglio sulle emozioni, mi fa un po' specie. Posso sicuramente apprezzare le sperimentazioni minimalistiche per l'epoca con le tastiere, i giri di chitarra che chiamano in causa il black scandinavo, ma poco altro perchè la registrazione casalinga mi spinge piuttosto a spegnere la musica dei nostri o sostituirla con un vecchio disco di Burzum, i miei sensi ne sarebbero di sicuro più allietati. Tutto questo non vuol dire che la proposta degli Asmodée faccia pena, vuol semplicemente dire che se l'avessi ascoltata sulla più classica demotape 25 anni fa, probabilmente l'avrei anche apprezzata, lamentandomi comunque di una registrazione penosa (ricordate le tracce più grezze di 'Vinterskugge' degli Isengard? ebbene siamo su quei livelli). Se "Caïn's Black Spells" fosse stata registrata oggi, probabilmente staremo parlando di un buon pezzo black che si muove tra i suoni dei primissimi In the Woods e i primi Gehenna, con qualche sperimentazione addizionale in sottofondo che faccio però fatica a decodificare. Se la riesumazione doveva avere un senso, io avrei ri-registrato l'album e l'avrei offerto ai posteri con una veste migliore visto che di versioni successive a quella del 1997, ne esistevano già. Un peccato si, veniale. (Francesco Scarci)

(Battlesk'rs Productions - 2018/1997)
Voto: 56

https://www.youtube.com/watch?v=vj6BnGHwv34

Sunless Dawn - Timeweaver

#PER CHI AMA: Prog Death, Opeth
Da quando gli Opeth si sono dati al rock progressivo, il prog death ha visto un più grande sviluppo nell'ultimo periodo, quasi la band di Mikael Åkerfeldt e compagni rappresentasse un ostacolo un po' troppo ingombrante per la crescita di altre realtà musicali. L'ultima mia scoperta arriva da Copenaghen e si chiamano Sunless Dawn, e 'Timeweaver' rappresenta il loro album di debutto. E che debutto. La band, che ha vinto il concorso Wacken Open Air Metal Battle nel 2016, propone un qualcosa davvero fresco che fin dall'opener "Apeiron" alle tracce successive, lascia intravedere le molteplici influenze dei nostri. Nella breve opening track ci sento una versione estremizzata di Devin Townsend, suonata con classe e cura certosina. Questa mia percezione positiva si conferma anche con la successiva"Aether", un brano che evidenzia il bagaglio tecnico di cui è dotato l'ensemble nordico fatto di cambi di tempo, ottimi assoli e melodie, senza dimenticare la prova convincente alla voce (costantemente in growl) di Henrik Munch ad impreziosirne i contenuti. Devo essere sincero però che una versione pulita di Henrik avrebbe reso ancor meglio l'output musicale di questo 'Timeweaver', ma sono quasi certo che dal prossimo disco ci sarà qualche novità da questo punto di vista, è fisiologico. "The Arbiter" sciorina una bella ritmica di scuola Opeth e un approccio solistico intrigante (sono pazzo o ci sentite anche voi un che degli Amorphis?). Con la strumentale "Biomorph I: Polarity Portrayed" si apre una sorta di mini concept all'interno del disco: il brano è raffinato, delicato, e apre a deviazioni sperimentali in stile greci Dol Ammad. Con "Biomorph II: Collide into Being" si torna invece a veleggiare nel death "opethiano": interessante qui il bridge iniziale ma in generale sono gli arrangiamenti a fare la differenza e poi beh, quell'assolo a metà brano è semplicemente da applausi e da solo vale l'acquisto del cd; poi il celestiale chorus a fine brano individua probabilmente quella che sarà il mio pezzo preferito del disco. Ma le sorprese sono dietro l'angolo perché strani cori aprono anche la terza parte "Biomorph III: Between Meadow and Mire", in una song dal funambolico incedere black melodico, preso in prestito da altri mostri sacri, i Ne Obliviscaris, a farmi probabilmente cambiare idea sulla mia song favorita. Ragazzi che bomba di album, qui ce n'e davvero per tutti i gusti (anche per chi apprezza gli Scar Simmetry o i Raunchy), soprattutto andando verso il finale della traccia dove la sezione ritmica ne pensa una più del diavolo e a mettersi in luce non sono solo le due asce, ma anche il basso tonante di Eskil Rask. Classe sopraffina confermata anche da "Grand Inquisitor", un pezzo più classico e tortuoso, ma che ha ancora modo di riversare tonnellate di riffs (soprattutto nel finale) e quintalate di groove, grazie all'apporto azzeccatissimo di synth mai invasivi. "Erindringens Evighed" al di là dell'eccelsa qualità musicale che ormai non fa più notizia, la citerei piuttosto per l'utilizzo a livello lirico della lingua madre dei nostri; però visto che ci siete ascoltatevi attentamente anche il finale mozzafiato della song che ci conduce a "Sovereign". Questa è la canzone che era stata scelta come singolo nel 2016, quindici minuti che sublimano il concetto di musica death progressiva, attraverso una scoppiettante prova, corredata da una complessità musicale davvero elevata, in cui mi sembra di percepire a livello di chitarre anche un che degli Edge of Sanity di 'Purgatory Afterglow'. Non so se siano clamorosi abbagli dovuti all'entusiasmo scatenato dall'ascolto di 'Timeweaver', ma ragazzi, un unico consiglio, fate vostro questo disco, non ve ne pentirete assolutamente, soprattutto se siete fan di Opeth, Ne Obliviscaris, Enslaved, Amorphis, Ihsahn, Porcupine Tree, Devin Townsend e compagnia, insomma quanto di meglio la scena abbia da offrire. Che altro state aspettando? (Francesco Scarci)

Moodie Black - MBIII

#PER CHI AMA: Noise/Experimental/Hip Hop
Pensavo che l'hip hop avesse le strade chiuse di questi tempi, le idee fossilizzate, un futuro poco costruttivo, una morte imminente dopo tanti anni dalla sua nascita, fino a quando non ho ascoltato 'MBIII', nuovo EP dei Moodie Black, band losangelina piena di fantasia e di geniale abilità nel ridare lustro a questo genere. Il duo presenta, esasperando e rinvigorendo lo stile tipico che lo contraddistingue (una tipologia di suono di rottura, spesso non apprezzata dalle comunità hip hop più tradizionaliste), quattro tracce dall'incedere lento, sulla base del trip hop, reso agghiacciante e drammatico, grazie alla scelta ingegnosa di usare sonorità vicine all'ambient noise e all'industrial più sperimentale e tanto lontane dal tipico sound, commerciale, pop e metropolitano. La voce profonda si muove tra spoken word e rap, lacerata di continuo da una serie di distorsioni che la fanno apparire inumana e fantascientifica, una litania aspra e dura, un sermone acido, seguito da musiche rigurgitate dopo un'overdose di rumori glaciali, divisi tra digital hardcore e il Gary Numan di 'Jagged', inoltre posso aggiungere che, inverosimile ma vero, queste melodie industriali potrebbero andare a braccetto tranquillamente con gli ultimi Godflesh (ovviamente immaginati in veste hip hop), mostrando fieramente la poca attinenza con i padri luminari della scena e puntando ad una genuina quanto incisiva forte personalità. Quindi, immagini violente, cupe, notturne, rigide riflessioni e sofferenza, sono la chiave di lettura di questi quattro brani dalla potenza inebriante, brani al vetriolo che superano la soglia del sentito fino ad ora, fatti per alzare l'asticella della qualità e portare in alto la voce dell'hip hop sotterraneo, al di fuori degli schemi, mischiandolo con improbabili sonorità, proprio come a suo tempo fecero i Cypress Hill in maniera impeccabile. L'impegno per la causa transgeder (LGBTQ), che vede coinvolto di persona il frontman Chris Martinez (alias Kdeath), ha permesso a questa band di portare in musica una serie di problematiche, paure ed emozioni, spaccati di vita vissuta, in maniera artistica esemplare, componendo un album durissimo ed intenso, certamente degno di nota, un disco traboccante di originalità e veramente estremo. Ottima release! (Bob Stoner)

The Pit Tips

Francesco Scarci

Saor - Forgotten Paths
Paara - Ritti
Phlebotomized - Deformation of Humanity
 
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Five_Nails

Chapel of Disease - . . . and as We Have Seen the Storm, We Have Embraced the Eye
Frost Giant - The Harlot Star
Disencumbrance - The Betrayal

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Alain González Artola

Rotting Christ - The Heretics
Sacrificia - Pestilencia
Proceus - Maharaja

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Dominik

CBF - Malvarma
Sacristy - Masters of Baphometic Devastation
Grafvitnir - Venenum scorpionis