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mercoledì 5 settembre 2018

Obsolete Theory - Mudness

#PER CHI AMA: Black/Doom, Septic Flesh
Il debut dei milanesi Obsolete Theory ha tutte le carte in regola per essere un album con i controcoglioni: dalla produzione a carico di Øystein G. Brun dei Borknagar all'artwork a cura di Jeff Grimal dei The Great Old Ones, il tutto sotto l'egida della nostra My Kingdom Music. Il risultato? Alquanto ambizioso, oserei dire. 'Mudness' consta di cinque tracce della durata media di 10 minuti che sapranno condurvi nei meandri black doom di questo sestetto milanese devoto a H.P. Lovecraft, e alle reltative atmosfere orrorifiche ed occulte. Il tutto è già certificato dall'opener "Salmodia III", un pezzo ritmato dalla produzione bombastica, dall'aura minacciosa che esplode solo a pochi metri dal traguardo. Prima assistiamo ad una preparazione con atmosfere decadenti in cui si fa notare l'eclettica performance al microfono di Daevil Wolfblood, ma la musica francamente stenta a decollare. Ci riesce fortunatamente la seconda "Six Horses of Death" che irrompe con una bella melodia di fondo e poi di nuovo una ritmica quasi militaresca sulla quale si innescheranno raddoppi vocali, orecchiabili refrain di chitarra che rendono la proposta dei nostri decisamente accessibile, con rallentamenti in stile 'Shades of God' dei Paradise Lost. Death, black e doom s'incontrano nelle linee di chitarra di questa seconda traccia, avvalorando una proposta che sembra carburare sempre con estrema lentezza. Ma il diesel degli Obsolete Theory scalda i motori certamente in "Sirius' Blood", la quarta traccia, dove il flebile suono di un glockenspiel si scontra con un basso pulsante e la marzialità del drumming possente di Sa' Vaanth in una song spettrale, pregna di una certa orchestralità, ma anche di una violenza di fondo che prende il sopravvento attraverso ritmiche tiratissime e una performance vocale spiritata, con gli arrangiamenti in sottofondo che fanno certamente la differenza. Influenzati un po' dai Septic Flesh, irrobustiti da un tocco dei Behemoth e resi drammatici da quel pizzico di My Dying Bride che c'è nelle loro vene e l'affresco partorito dagli Obsolete Theory è delineato. Interessante in ultimo la sezione solistica del brano, ove le linee melodiche si sprecano e la song ne trae sommo giovamento candidandosi a miglior brano del lotto. Se la gioca infatti con "The God With the Crying Mask", brano lento e malefico, forse per la voce del frontman, qui ancor più maligna (e talvolta sussurrata e pulita) che poggia dapprima su un lento rifferama doom che esploderà da li a poco, in un serratissimo riffing black. Tra i brani, non ho ancora citato "Dawn Chant", il terzo episodio del disco che vede i toni compassati sposarsi con le vocals pulite del cantante in una traccia che ancora una volta, vede il brano crescere progressivamente a livello ritmico, imbastendo una notevole veemenza black death nella sua seconda metà. Alla fine 'Mudness' è un sicuramente un buon esordio, con i suoi punti di forza e di debolezza che dovranno essere inevitabilmente smussati col tempo. Per ora va bene cosi, ma dal futuro, mi aspetto molto ma molto di più, perchè i margini di miglioramento sembrano enormi. (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music - 2018)
Voto: 75

https://obsoletetheoryband.bandcamp.com/releases

martedì 4 settembre 2018

Newspaperflyhunting - Wastelands

#PER CHI AMA: Psych/Prog/Post Rock
Ci ho impiegato un bel po' di tempo per approcciare i polacchi Newspaperflyhunting, non tanto musicalmente più che altro da un punto di vista vocale. 'Wastelands' è il loro terzo lavoro, un album di otto pezzi che ha provato in ogni modo a catturarmi con una proposta musicale a tratti stuzzicante che tuttavia mi ha fatto storcere il naso invece per la voce del loro frontman. Andiamo però con ordine: si parte con la breve "We Used to Wander", che mette in luce le peculiarità dell'ensemble di Białystok, nel proporre un rock compassato e malinconico, ricco di synth e suadenti melodie, rovinato ahimè (e qui sta il problema principale) dalla pessima voce di Michał. La lunga e strumentale title track ha un'apertura onirica che poggia su melodie astrali di stampo shoegaze/post-rock che inevitabilmente inducono ad un abbandono totale, in una song che piano piano inizia a decollare su riff più elettrici in tremolo picking che ne esaltano l'aura melanconica. Si torna su una song di più breve durata, "A Question", in cui a presentarsi dietro al microfono, c'è questa volta la voce di una gentil donzella (non proprio all'altezza a dire il vero) la cui psicotica performance segue la schizoide frenesia musicale di un brano che poteva uscire solo dalla mente di Bjork. I nostri provano a rifarsi con la successiva "Down the Steps", anche se alla fine risulterà troppo statica, fatto salvo per l'ultimo minuto che sembra completamente prendere le distanze dalla prima parte del pezzo. Difficile comunque calarsi all'interno delle sonorità alquanto difformi di questo disco: "Sleep" ci riprova con la voce femminile, ma la scelta di utilizzare Gosia alla voce (lei è la bassista) non è troppo azzeccata. Lo stesso dicasi per "Hours Pass" dove Gosia prova ad emulare Dolores O'Riordan, con risultati alquanto distanti dall'originale. "Equal to None" sembra voler chiamare in causa Neil Young, mentre la lunghissima "Solaris" (quasi 17 minuti) si nasconde in forse troppo prolisse melodie post rock, peraltro cantate in lingua madre, aumentando quel senso di frustrazione nell'ascoltare la musica di questi Newspaperflyhunting. Insomma, 'Wasteland' è un album con più ombre che luci, che forse potrà ingolosire i fan della band, e pochi altri amanti di sonorità prog anni '70 che sapranno andare oltre alla fastidiosa performance vocale dei due cantanti. Io francamente, non ne sono stato in grado. (Francesco Scarci)

Oddfella - S/t

#PER CHI AMA: Dark/Alternative Rock
Li avevo recensiti lo scorso anno in occasione del loro primo full length, 'AM/FM'. La one-man-band portoghese degli Oddfella, sempre guidata da João Henriques, torna ora con un secondo EP eponimo, che conferma pregi e difetti del loro debut album. In quell'occasione ne esaltavo infatti la musica darkeggiante, ma criticavo aspramente l'assenza di una cantante. Eccomi accontentato visto che quando "Born Again" entra con quella sua vagonata di groove, facciamo la conoscenza anche dei vocalizzi un po' ruffiani dell'artista lusitano (che in rari frangenti mi ricorda Mike Patton), che si collocano su quel tappeto melodico che scorre con lineare semplicità grazie ad un sound che in taluni momenti ammicca anche alle sonorità di Ganesh Rao in "Empyrean". "Swimming Angels" ha un fare più delicato ed oscuro, quasi ad evocare musicalmente i Moonspell di 'Opium', ma con una performance dietro al microfono che stempera l'oscurità in cui si potrebbe piombare all'ascolto del brano, dirottando i miei paragoni con band dal tiro più alternativo. Poco male, perchè il cd si lascia ascoltare e segna comunque una buona progressione (ma non ancora del tutto convincente) rispetto agli esordi dell'artista portoghese, che ha tempo addirittura di lanciarsi in un interludio trip hop. Gli ultimi due pezzi a disposizione per João sono "Bridges", un brano accattivante di musica rock, forse un po' troppo leggerino per i miei gusti, ma che comunque torna a citare i Paradise Lost più elettronici. "Drowning Angels" è l'ultimo episodio dell'EP: suono profondo, caldo, sinuoso, con la voce ora che assurge a ruolo di assoluta protagonista, fatto salvo poi aggiungersi un ottimo lavoro al basso e pregevoli linee di chitarra, che sembrano richiamare quegli arzigogolii tanto cari agli Amorphis. Disco riuscito ma gli spazi di miglioramento sono ancora notevoli, soprattutto se si lavorerà in futuro su una migliore calibrazione vocale. (Francesco Scarci)

(Ethereal Sound Works - 2017)
Voto: 70

https://oddfella83.bandcamp.com/album/oddfella-ep

lunedì 3 settembre 2018

Void Rot - Consumed By Oblivion

#PER CHI AMA: Death/Doom, Hooded Menace
Se pensate che a Minneapolis dopo la morte del compianto Prince la musica si fosse spenta, dopo aver ascoltato il nuovo EP dei Void Rot (conterranei del ben più famoso folletto), uscito per l'ottima etichetta bresciana Everlasting Spew Records, vi dovrete ricredere. 'Consumed By Oblivion' è il loro debut ma qui non parliamo certo di pop, tanto meno di funky, ma di fronte a questa creatura mostruosa con tentacoli che toccano il death metal, quanto il doom, con una sonorità così grave e lacera, che al primo ascolto vi sembreranno i nipoti dei mitici Cathedral di 'Forest of Equilibrium' in una variante accelerata, vi inchinerete e sarete catapultati in scenari inquietanti, bui e neri come la pece. Superba la scelta vocale e la veste sonora ribassata ed ancestrale, dall'effetto caverna oscura: aggressività e nera profondità si sommano nei tre brani che formano il dischetto dei Void Rot che propongono un sound corposo, sludge e lugubre all'inverosimile per questo quartetto dall'intrigante gusto oppressivo, batteria death in velocità e accordi lunghi accompagnati da un insano presagio cosmico, perchè alla fine i nostri cosmonauti oscuri, sanno benissimo come cavalcare il serpente della psichedelia pesante. Un album death/doom diverso per attitudine e capacità di penetrazione nei sentimenti, dotato di un sound violento, intelligente e ricercato all'inverosimile. Difficile paragonarli a qualcuno ma di sicuro sono un'ottima realtà ricca di originalità, una band da seguire sicuramente. Ottimo debutto, splendido lavoro, breve ma intenso. (Bob Stoner)

Pardans – Spit and Image

#PER CHI AMA: Post Punk/No Wave, Morphine
E come un fulmine a ciel sereno arriva quest'album ad allietare le mie giornate. Credetemi, questo disco (che uscirà per la Tambourhinoceros and Third Coming Records ad inizio ottobre) vale come oro colato in tempi moderni, poichè la band di Copenaghen dei Pardans, è un vero e proprio spasso da ascoltare, cosi irruenti, trasversali, malati ed esplosivi. Avevo già apprezzato il precedente lavoro divenendo un loro estasiato seguace e devo ammettere che con il nuovo album, mi ritrovo ad adorarli ancor di più. Atemporali e moderni allo stesso tempo, intellettuali e selvaggi alla stessa maniera, in poche parole, letteralmente fuori moda ma estremamente cool e underground. 'Spit and Image' sprigiona ribellione ovunque, propone una produzione divina, uscita dal Woodhouse Recording di Copenaghen e mixato dagli stessi Pardans in compagnia di Neil Roberto Young e masterizzato da Emil Thomsen. Questo lavoro riecheggia i deliziosi fasti della no wave di fine anni '70, l'avanguardia che rese indimenticabili band come i Contortions di James White o i Teenage Jesus and the Jerks di Lydia Lunch, ma scavando in profondità, si può trovare di più tra le note della loro musica. I Pardans osano calcare anche le orme dei Morphine, grazie al sapiente uso del sax e al violino, spingono l'acceleratore sull'aggressività dei primi Birthday Party, quando il vocalist sale in cattedra emulando un Nick Cave in erba, conservando anche una sfumatura swing e gitana alla Django Reinhardt. La vena drammatica e nevrotica che sorvola il suono della band danese esalta la potenzialità di tutti i brani; l'attitudine divisa tra post punk, jazz e rock in opposition è una vera e propria manna, l'originalità è di casa pur mantenendo legami fortissimi con i maestri del passato. Non posso dire quale sia il brano migliore, perchè tutti offrono spunti eccezionali, che a parlare sia il jazz ubriaco alla Tom Waits o l'isteria dei The Ex, magari con Tom Cora, il dark romantico, depressivo e schizofrenico dei primi Iceage, tutto risulta delizioso e contorto, dissonante drammatico e tagliente, un punk/jazz disturbante, schizoide, oserei dire esaltante. Guardate il video loro live session su youtube e vi renderete conte che la follia di questi splendidi giovani musicisti è un arte superiore non accessibile a tutti. Antieroi geniali e virtuosi, pura arte della follia! (Bob Stoner)

(Tambourhinoceros/Third Coming Records - 2018)
Voto: 90

https://pardans.bandcamp.com/album/spit-and-image

Nagaarum - Apples

#PER CHI AMA: Avantgarde Metal, Thy Catafalque, Fleurety
Nagaarum atto diciassette: tanti infatti sono gli album del mastermind ungherese in soli sette anni. Dagli esordi ambient elettronici di 'Űrerdő', passando per pulsioni sperimentali più orientate al versante black con album quali 'D.I.M.' o 'Homo Maleficus' che mi hanno fatto avvicinare a questo ecclettico musicista, fino ad arrivare a quest'ultimo 'Apples' (un concept sugli aspetti spirituali della scienza dalla mela caduta in testa a Isaac Newton a qualcosa di assai più profondo), una sorta di compendio di tutti i generi musicali concepiti da Mr. Nagaarum. E l'inizio noise della prima parte del disco ("Middle Age" che apre la sezione identificata come "Spiritual Birth") lo dimostra. Si sprofonda successivamente in territori doom sperimentali con "Isaac", ove fa la sua comparsa la voce assai convincente (in versione pulita) del factotum originario di Veszprém, coadiuvato anche dalla narrazione di Roland Szabó, in una song che ha da offrire una seconda metà maestosa, tra stacchi black e fughe sinfoniche che possono ricordare un'altra realtà ungherese, i Thy Catafalque. Suoni dronico celestiali con "Celestial Mechanism", ma con un titolo del genere, cosa pretendevate? Altri sperimentalismi sonori forse? Beh, "Prism" vi potrà sicuramente accontentare con soluzioni delirante tra bordate in stile ultimi Fleurety, linee di chitarra sghembe, suoni psichedelici, vocalizzi urticanti che si intrecciano a voci lisergiche, in un pastone sonoro di difficile catalogazione. Che goduria per le mie orecchie, visto anche un imprevedibile finale ambient. Folgorazioni estreme per "Robert", dove le chitarre si avvitano su se stesse in deflagaranti esplosioni sonore che ci conducono in territori quasi brutal death, qui il caos regna sovrano, dove il growl e il clean si sovrappongono in modo bizzarro prima di disinnescarsi a vicenda e riprogrammarsi in territori electro-post rock. Chi è in cerca di emozioni forti, qui ne troverà a bizzeffe. Giusto il tempo di riposare le membra con un altro fuori programma sintetico ("Hermit") ed entriamo nella seconda parte del disco ("Become a Savant") con la narrazione in apertura di "Nullius in Verba" e le ambientazioni lugubri e decadenti del brano che ci accompagnano fino a quando una soave voce femminile (quella di Betty V.) si prende la scena in "Edmond", una song che potrebbe evocare i Green Carnation più delicati che si miscelano con i The 3rd and the Mortal o i Tristania degli esordi, ancora i Within Temptation o i Trial of Tears, in una song che mi ha davvero conquistato, cosi come tutto il resto del disco d'altra parte, che ha ancora voglia di inglobarci nelle maglie ambientali e cibernetiche di "Revelations" (attenzione che anche qui le sorprese sono sempre dietro l'angolo) o nella tumultuosa tempesta cinematografica di "New Tone". Difficile catalogare questo disco con un genere, visto il suo essere un caleidoscopio di suoni più unici che rari. Fatto sta che 'Apples', nel suo essere lungo e complicato, affascina non poco e il prog rock di "Modern History" è lì a dimostrare che nulla è scontato al suo interno, nemmeno l'oscuro epilogo ambient di "Royal Society". Nagaarum atto diciassette: approvato alla grande! (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2018)
Voto: 80

https://ngcprod.bandcamp.com/album/apples

giovedì 30 agosto 2018

Empty Chalice - Ondine's Curse

#PER CHI AMA: Industrial/Ambient/Dark
L'oscuro progetto sonoro dell'italiano Antonine A., già autore di numerose uscite sotto differenti moniker (qui come Empty Chalice), conta un nuovo capitolo nella propria discografia, 'Ondine's Curse'. Una profondità criptica, buia ed introspettiva come base sonora fa capo ad un industrial dai toni solenni ma non gelidi, taglienti altresì avvolgenti, un rumore mai nemico dell'anima anzi, il suono si trasforma in sciamano per redimere lo spirito e penetrarlo nel più profondo del suo incanto, portandolo là dove la psiche diventa più contorta e sconosciuta. Un viaggio a vele spiegate verso il confine labile situato tra la follia e il buio, lontano dai soliti canonici tappeti della drone music, vicino a certe intuizioni ambient/rumoristiche moderne, in linea con gli umori degli Swans e alle atmosfere disarmanti della colonna sonora 'Loin Des Hommes' di Warren Ellis e Nick Cave, alla stratificazione del suono multiforme, come il colore di una tela dalle mille sfumature oscure e tetre, i rumori e l'attitudine verso certo un funeral metal più oltranzista e ancestrale. Nella scaletta, che consta di cinque titoli che affrontano il tema della Sindrome di Ondine (una grave apnea del sonno) troviamo un risveglio, tre capitoli e un addormentarsi nei pressi di un bosco fitto e buio, un giaciglio insano su cui poggiare la testa e dove un brano dalla lunga durata quale "IV" (a mio avviso il meglio riuscito), ci prende per mano e ci conduce per contorti pensieri in una meditazione arcaica. Un duro e moderno suono adatto alla poesia, un sound che supera il concetto del dark ambient rendendolo limitato, un tuffo in un mare incantato di leggende alchemiche governate dal mito delle Ondine (il mito alla base del disturbo respiratorio qui narrato), l'estensione emozionale di un industrial ambient che si riappropria della sua umanità, ritrova quell'anima che proprio alle Ondine serviva per aspirare al paradiso. L'album ha dalla sua una forza espressiva enorme, è curato e ben prodotto. Un disco alla fine decisamente ben assemblato. (Bob Stoner)

This Ending - Inside the Machine

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Swedish Death
Dalle ceneri dei A Canorous Quintet, death metal band svedese che ha avuto una certa notorietà in ambito underground negli anni ’90, sono nati i This Ending. E la proposta del quintetto scandinavo, identico nella line-up alla band originale, rigenerato dalla cura Metal Blade, in questo debut album non ha prodotto nulla di nuovo rispetto al passato. I nostri hanno cambiato nome, dopo una serie di esperienze con altri gruppi, ma il genere proposto risulta sempre lo stesso: il classico swedish death metal, riletto, se vogliamo, in chiave più moderna e tecnologica. Suoni bombastici, riffoni su basse tonalità, un growling cupo alternato ad uno screaming nervoso, una batteria bella corposa e sincopata grazie a interventi in blast-beat, ove nei frangenti più grind oriented risulta poco brillante (nonostante dietro le pelli sieda Fredrik Andersson, ex-batterista degli Amon Amarth), linee di chitarra melodiche ma non troppo, qualche vago inserimento industrial, giusto per modernizzare il sound, e il lavoro è completato. I dieci brani che compongono 'Inside the Machine' viaggiano tutti su mid tempos ragionati e calibrati, senza disdegnare in qualche frangente, fughe in territori più estremi, dove mi pare intuire, la band sembra trovarsi più a proprio agio. Il disco alla fine è piacevole, forse un troppo monolitico, con idee non del tutto originali e che alla lunga rischia di stancare l’ascoltatore. Tuttavia gli amanti del genere, un ascolto lo diano pure, potrebbero riscoprire qualcosa di interessante. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2006)
Voto: 65

https://www.facebook.com/ThisEndingband/

martedì 28 agosto 2018

Elderwind / Sorrow Plagues / De la Nostalgie / Dreams of Nature - Mater Natura Excelsa

#FOR FANS OF: Atmospheric Black Metal
It’s pretty usual in the black metal scene to release a split album among different bands in order to release new songs and gain some attention, while they can share the cost of cd producing. I must admit that I am not such a fan of those releases, but sometimes the quality of the involved bands makes the listen a must. 'Mater Natura Excelsa' is in fact one of those cases as the bands involved, no less than four, are top-notch in the atmospheric black metal scene. Elderwind is a Russian band which plays a beautiful atmospheric black metal, its debut album 'The Magic of Nature', is a gem which became a classic release for the fans of the genre. Slightly similar to this band but with a notorious influence from the Swedish band Lustre is the project Dreams of Nature, which has carved a cult status thanks to some great releases. The other two bands are more post-black metal oriented but still they share many musical characteristics with the former two. Sorrow Plagues comes from the UK and has released two excellent albums, while De la Nostalgie (from Venezuela!) released in 2017 an impressive debut, which it is perhaps more focused on ambient black metal.

Taking into account the aforementioned characteristics of the involved bands, it was clear that this split should be a fine collection of long compositions with an intense atmospheric touch, and believe me, it is. Every band delivers what we could expect from them. Stylistically they don´t go too far from what they have offered in their own full lengths. Each band has composed two songs and the album has a length of almost 80 minutes, so don´t expect short tracks, lasting the shortest of them no less than 6 minutes. Sorrow Plagues starts the split with two excellent tracks: “Vista” is a song which sums up all the characteristics which define the trademark sound of the British project. Fast paced tracks enriched by slowest sections where simply yet beautiful melodies, played by keys or acoustic-esque guitars, have a major role. One of the most relevant aspects of this band is how good the guitar solos are, they truly shine, especially in a genre where are not so common. De la Nostalgie also loves to create long compositions and the two tracks on this split are not an exception, clocking both of them around 11-12 minutes. Being the tracks that long there is room to compose quite rich songs with great atmospheric introductions and De la Nostalgie truly knows how to build a song which catches our attention. “Insomnia” for example, is a slower track if we compare it to what Sorrow Plagues has offered to us. It’s a long mid-paced song with catchy keys, which make the song sound intense yet emotional. As it happens in this genre, one of the things I really enjoy are those breaks, when the band focus on purely ambient sections, where the talent of this guys truly shines. The return of the guitars and of screams, which break the peaceful section, is also great, as it makes this heavier section sound, and for some reason, even better. In a similar way to its magnificent debut, the Russian Elderwind delivers two great tracks, “Temple” and “Fires of Autumn”. Little folk touches are mixed with absorbing keys in a mainly mid-paced song. Guitars sound a little bit “doomish” to me, which increases the melancholy of the track. The fast sections feature guitars which sound a little bit more post metal influenced, which fits perfectly well those speedier parts. As it happened in the debut both tracks sound beautiful with an ethereal touch. The honour to close this great split falls on Dreams of Nature. As I have already mentioned this band has a great Lustre influence, though it manages to forge its own distinctive sound. Dreams of Nature creates minimalistic and slower paced tracks which have an unique sense of beauty and melancholy. Anyway, a track like “Infinity”, for example, is far from being monorithmic, having occasional faster sections which make the song sound a little bit rawer. The closing track, “When the Leaves Fall”, is 100% Dreams of Nature, that is a hypnotic pace and minimalistic keys which sound simple awesome.

In conclusion, these great bands have released a long yet brilliant split album, which is undoubtedly a must for every atmospheric black metal fan. Expect no less than tons of ethereal and majestic keys, which will make the listener have a mystic travel through the forest. (Alain González Artola)

(Avantgarde Music/Flowing Downward - 2018)
Score: 90

https://avantgardemusic.bandcamp.com/album/mater-natura-excelsa

Contradiction - The Warchitect

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Thrash, Sodom, primi Kreator
Recensire questo genere di album è sempre stata una passeggiata per il sottoscritto: in poche parole riesco a liquidare gruppi che hanno poco o nulla da dire. I Contradiction non sono esenti da questo genere di recensione, data la pochezza delle loro idee. Arrivano dalla Germania con la loro fondazione addirittura nel 1989 e il loro suono risulta influenzato dal death/thrash teutonico di anni ’80 che si rifà inevitabilmente a Kreator e Sodom. Il dramma è che nel 2006, quando uscì questo 'The Warchitect', quei suoni puzzavano irrimediabilmente di vecchio e stantio. Considerato il fatto che questa rappresenta la loro quinta release ufficiale (all'attivo altri due album nel 2009 e nel 2014), mi domando come abbiamo fatto a tagliare questo storico traguardo. Sicuramente saranno popolari in patria, certo è che non mi sento assolutamente di consigliare questo cd: chitarrone thrash che ripetono all’infinito gli stessi accordi dal primo all’ultimo brano, una voce growl aspra e fastidiosa ringhia tutto il proprio dissapore per la società. Sicuramente ben prodotti, le undici tracce (più l’orrida cover “Rock’n’Roll” dei Motorhead) non giustificano però l’acquisto di un prodotto che non avrebbe certo sfigurato di stare sugli scaffali trent’anni fa, non ora... (Francesco Scarci)

(Armageddon Music - 2006)
Voto: 50

https://www.facebook.com/contradictionmetal

Motorpsycho - The California EP

#PER CHI AMA: Psych Rock
Dipanati sulle quattro facciate giallocanarino di questo ruffianissimo tarallucio discografico, un rocchettino dritto-al-punto collocabile tra certo flower-rock fine '60 e i Motorpsycho del periodo flower-rock-fine '60 vale a dire quelli inizio '00 di 'Barracuda' e 'Phanerothyme' ("Quick Fix" vs. "High Times"), una specie di surf-blues lo-fi early '70 apparentemente fuoriuscito dai "Frammenti Motorpnakotici" ("Granny Takes a Trip" vs. "One Way or Another") seppur blandamente tower/izzato (il flauto...), e una confortevole indie-ballad mid-90 con un tocco (più che un tocco, uno spintone direi) apertamente cali-sixites ("California, I'am [sic] So Cold", per l'appunto). "Alain / The Messenger" è soltanto l'embrione di un'idea semplicemente troppo scarsa per meritare di essere sviluppata, e una facciata intera è decisamente troppo, anche se si tratta di una facciata seven inches a quarantacinque di un tour EP. Come 'Here Be Monsters Vol. 2' integrava minuziosamente l'esplorazione musicale del precedente 'H-B-M', addirittura spostando avanti di qualche misura l'asticella dell'ambizione, così questo 'The California' EP ritrae programmaticamente, e persino meglio di quanto accada su 'The Tower', il soleggiato mood jam-ottimismo-birretta-serale delle registrazioni. Ma se là, la caratura appariva almeno paragonabile, questa qui è una di quelle cose che uno come Mr. Sæther riesce a escogitare nell'esatto tempo che intercorre dall'istante in cui strappa uno strappino di carta igienica dal rotolo all'istante il cui lo strappino sporco di cacca tocca l'acqua del water. (Alberto Calorosi)

(Motorpsycho Archives - 2017)
Voto: 60

https://www.facebook.com/motorpsycho.official/

lunedì 27 agosto 2018

End of Green - The Sick's Sense

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Depressive Rock, Type O Negative
Il sesto album degli alfieri teutonici del "depressed subcore" (sic), un sottogenere languidamente mogio del gothic metal, vi sembrerà un po' un disco strimpellato dai Type O Negative a una convention emo, cantato dal tipaccio dei Seether mentre fa pulizia etnica di nutrie nella sua cantina e composto da Lydia Deetz nel giorno del suo ciclo mestruale. Cos'altro potevate aspettarvi da un mamlone di Stoccarda di uno e novanta che si fa chiamare Michelle Darkness (sic)? Con l'eccezione di un paio di chitarrismi alla Justice-for-raffiche (l'opener "Dead City Lights"), il resto dell'album si disperde freddo come una pozzanghera di sangue sul pavimento, tra melodie alla Mission, vocioni e tiritere pling-noise mid/ottanta ("Die Lover Die"). Ascoltate questo disco mentre vi recate al compeanno di vostra nonna indossando una t-shirt di rete a maglie larghe ostentando un anellino al capezzolo. (Alberto Calorosi)

(Silverdust Records - 2008)
Voto: 45

https://www.facebook.com/endofgreenofficial/?ref=ts

Sólstafir - Masterpiece of Bitterness

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Experimental Black Metal
Nell'ultradinamica e quintessenziale epica "I Myself the Visionary Head" (al termine della quale la band deve essere stata senz'altro frustrata, appagata e sfinita almeno quanto i Pink Floyd al termine di "Echoes") si riassumono i temi della rivoluzionaria (white) diffrazione (black) metal operata definitivamente dalla band islandese. Abbrivio ferino, pestaggio veloce e basso incalzante, vocalismi da plantigrado affamato. Prosieguo elementale. Terra: il drumming concreto e tagliente di Pálmason; acqua: il tumultuoso basso di Svabbi Austmann, bollenti vapori sotterranei, gelide creste ondose che erodono la costa; aria, il guitar riffing nebuloso di Pjuddi Sæþórsson; le lingue di fuoco Addi Tryggvason, sempre meno a suo agio con lo screaming. E poi, la dirompente ma obsoleta chiusura speed/tk-tk-tk. Dall'altra parte, la modulare e consapevole "Ritual of Fire", prossima e lontana da certo teutonic-wave. Le due epiche sono i fuochi nodali da cui scaturirà l'intera successiva produzione della band, senza dimenticare i rigurgiti black/lagunari di "Bloodsoaked Velvet" e l'epic thrash atmosferico (e amplissimo) di "Ghosts of Light" e "Nature Strutter", che completano mirabilmente questo straordinario e prodromico album. (Alberto Calorosi)

(Spikefarm Records - 2005)
Voto: 80

https://www.facebook.com/solstafirice