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martedì 3 aprile 2018

Cucina Sonora - Evasione

#PER CHI AMA: Elettro sperimentale, Kraftwerk, Aphex Twin
A beneficio di eventuali languori auricolari, è opportuno sapere che la specialità della casa offerta dalla Cucina Sonora consta di evoluzioni a trazione pianistica architettate sull'insistente ripetizione di arpeggi oppure giri di accordi (prestate orecchio al senso di incombenza generato dal semplice mood poliritmico in apertura di "Rianimazione", destinata poi a decomporsi in un dissonante monologo pianistico, oppure alla sensazione tecno-barocca emanata, per esempio, dai bridge di "Ring"). Spetta all'elettronica il compito di stuzzicare ulteriormente gli appetiti, emanando fragranze pump-up-the-vintage (ad esempio nel singolo "Evasione"), spacey ("Stazione Lunare" naturalmente), a tratti indomitamente prossime ("Dissolution", "Ignoranza" e di nuovo "Ring") a certa elettronica danzereccia di prominenza europea (penso a J-M-Jarre, gli ultimi Kraftwerk e ai penultimi Tangerine Dream) o a certo (evitabile) dance-pampsichismo etnico novenove/zerozero alla Claude Challe individuabile nelle atmosfere dichiaratamente lounge di "Cocktail", ma anche in "Startup" e ne "La Danza delle Rane"). Bene: gradite un dessert? (Alberto Calorosi)

(Toys for Kids Records - 2017)
Voto: 70

https://www.facebook.com/cucinasonora/

Roommates - Fake

#PER CHI AMA: Post Grunge/Hard Rock
Un southern voluminoso ma ispido, senz'altro devoto studioso di storia antica (Lynyrd Skynyrd, qualcuno si ricorda ancora gli Atlanta Rhythm Section?), sì, ma analogamente prossimo al più recente nichilismo alcaloide germinato in quel di Seattle nel primo lustro dei novanta (ritroverete la disperata profondità di suono degli ultimi Alice in Chains di Staley nelle due canzoni che aprono l'EP, "Light" e "Blow Away"; quando parte "Fakin' Good Manners" non riuscirete a non canticchiarci sopra "Nothingman" dei Pearl Jam) ma anche a un certo highway-punk americano metà ottanta ("Black Man Guardian") e a cert'altro sofficissimo e confortevolissimo face-between-your-tits-rock ("Empty Love"). Osserverete che la copertina unisce (neanche troppo) curiosamente un'estetica biker-rock a un logo eminentemente death metal. Chissà poi perché! (Alberto Calorosi)

(Nadir Music - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/RoommatesRock

Job for a Cowboy - Genesis

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death
Il debutto degli statunitensi Job for a Cowboy, 'Genesis', è stata una sonora mazzata nei denti. Era il 2007, quando la band di Glendale (Arizona) debuttò dopo l’EP d'esordio 'Doom', con un lavoro veramente cattivo. Dieci brevi tracce, per poco più di 30 minuti di musica, in cui i nostri cambiano rotta, dopo le sonorità deathcore degli esordi, purificando il loro sound in un ferale death metal tipicamente made in U.S.A. L’assalto sonoro comincia con “Bearing the Serpents Lamb” e prosegue attraverso tracce più o meno interessanti fino alla conclusiva “Coalescing Prophecy”. Abbandonata completamente l’influenza hardcore, il quintetto lancia un attacco violento, diretto e ultratecnico, palesando ad ogni modo un buon senso per la melodia (seppur estremamente limitata) unita ad una discreta dose d'imprevedibilità, in grado di conferire all’act americano una certa personalità, nonostante la giovane età. La produzione di 'Genesis', a cura del maestro Andy Sneap, è poi assai pulita e perfettamente bilanciata, fondamentale per donare all’intero lavoro quella potenza in più, a valorizzarne enormemente il risultato. La musica, mai banale o monotona, spinge che è un piacere, prodigando sfuriate death caratterizzate da una tecnica individuale di fondo superiore alla media: ascoltate la performance del batterista, oserei dire mostruosa, mentre la voce del vocalist si mantiene sempre su livelli growling simil cavernosi. Difficile identificare una band a cui il combo s’ispira, segno quindi di una maturità già raggiunta dopo un solo lustro di esistenza che preluderà alle grandi cose fatte poi nel futuro. (Francesco Scarci)

(Metal Blade Records - 2007)
Voto: 80

https://jobforacowboy.bandcamp.com/album/genesis

venerdì 30 marzo 2018

Drone - Head-on Collision

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Groove, Pantera, Fear Factory
Se non avessi letto la biografia, mai avrei immaginato che i Drone fossero tedeschi, dato che il loro sound richiama fortemente tutto il giro americano di band dedite al nu-metal, sporcato da un thrash molto "Panteroso". Egregiamente prodotti da Andy Classen, il quartetto teutonico ha rilasciato nel 2007 questo buon debutto: potenti ritmiche thrash metal costituiscono l’intelaiatura di 'Head-on Collision', accompagnate da sofisticati arrangiamenti e dall'eccellente voce (sia in versione clean che growl) di Mutz Hempel che, fatti suoi gli insegnamenti del vocalist dei Fear Factory, dà prova di essere un cantante già dotato di carisma e personalità. Tutti i pezzi mostrano una band dalle idee ben chiare, capace sia tecnicamente che dal punto di vista compositivo. Gli 11 brani hanno un elemento comune: oltre ad essere tutti belli incazzati, hanno una componente melodica, data da degli arrangiamenti, che stemperano questa furia e con le backing vocals di Marcelo e Martin che inevitabilmente ci invogliano a cantare con loro. Non posso non sottolineare poi la prova del batterista Felix, tecnico e fantasioso, abile a dettare i tempi per tutta la band e a garantire, con i suoi muscoli, un esito finale davvero soddisfacente. Se dovessi segnalare un brano, vi suggerisco “Jericho”, vero connubio tra la scuola thrash americana ed i suoni cibernetico-industriali dei Fear Factory. Dopo questo lavoro, la band sassone ha rilasciato altri tre dischi, che forse un ascolto lo meritano eccome. (Francesco Scarci)

(Armageddon Music - 2007)
Voto: 70

https://www.facebook.com/DroneMetal

Xiu Xiu - Forget

#PER CHI AMA: Experimental Electro Pop
Al di là del consueto elettro-trionfalismo industrial-messianico ("Queen of the Losers" e quasi tutte le canzoni successive) intriso di consueti white-rumorismi anni tardonovanta più ("Hey Choco Bananas") o meno ("Jenny Gogo") grattugiosi e dal consueto piagnucoloso vocione goth-wave ottantiano (ovunque, ma fin insopportabile in "At last, at Last" e "Jenny GoGo", la canzone che qualcuno in rete ritiene fantasiosamente dedicata alla fidanzata di Forrest Gump) non sempre (più precisamente quasi mai) opportunamente analgamati; al di là di tutto questo è possibile che gli sporadici momenti di attenzione siano catalizzati dai (consueti) sentori digital-softcore della introduttiva "The Call", (inconsapevolmente?) scanzonante i Prodigy e certi decadentismi dark-glam fine-novanta, e cantata da una specie di Mark Hollis con la faccia ficcata nel barattolo della maionese in duetto con una specie di Mark Hollis con la faccia ficcata nel barattolo della senape. Oppure dalla linea di basso indubbiamente badalamentiana, evidente reminescenza del precedente tributo a Twin Peaks, che introduce la canzone più intrigante e materica del disco, soprattutto per via del testo. Nell'opinione di chi scrive, il singolo "Wondering" ha la pretestuosità elettro-pop di una outtake dei Goldfrapp, ciò che dovrebbe fornire una precisa collocazione qualitativa, in considerazione della kelviniana opinione del sottoscritto nei confronti dei Goldfrapp. Ascoltate questo album e poi fate esattamente ciò che vi suggerisce il suo titolo. (Alberto Calorosi)

(Polyvinyl - 2017)
Voto: 50

http://www.xiuxiu.org/

Styx - The Mission

#PER CHI AMA: Hard Rock
L'ultimo album in studio degli Sty(ti)x (suvvia, il precedente 'Cyclorama' era del 2003) è un temerario sci-fi concept sulla prima missione umana su Marte, prevista, nell'opinione di Superpippo Shaw, nell'anno del signore 2033 (dilettatevi a individuare nei testi sbragonerie del calibro di "Hands on the wheel of my rocket mobile / and I'm a hundred million miles from home", dalla song "Hundred Million Miles From Home"). Quattordici stazioni narrativamente ultracanoniche a formare una specie di Via Martis motorizzata. Accensione dei razzi (una Asia/ticissima "Overture" power-prog), decollo (la Uriah-propulsiva "Gone Gone Gone", indovinato primo singolo), distanza da casa (il glam clap-clap di "Hundred Million Miles From Home"), paura di non farcela ("Trouble at the Big Show"), considerazioni (la gilmouriana "Locomotive"), cartoline dallo spazio profondo (i Queen-of-the-world ipermelodici di "Radio Silence"), esistenzialismo cosmico (la ponderosissima Queen-tale "The Greater Good"), un altro po' di esistenzialismo cosmico ("Time May Bend"), atterraggio/casini-col-motore/paura ("Red Storm"), no-ovviamente-è-tutto-a-posto ("All Systems Stable"), apertura del portellone ("The Outpost"), conclusioni/ faccenda-del-piccolo-grande-passo/ pippone-saluti/ ringraziamenti (una power-melo ancora più Asia/ticissima "Mission to Mars"). Il sedicesimo album degli Styx si colloca sulla rotta astral-melodic-hard-ruffianesimo tracciata tra il 1977 e il 1981 dagli alter-ego degli Sty(ti)x, i Prolyfix (quattro album in sei anni. Decollo: 'The Grand Illusion', atterraggio: 'Paradise Theatre'), senza utilizzare una singola molecola di propellente all'idruro di nostalgismo e destreggiandosi con consumata perizia e comprovata professionalità all'interno di una vera e propria tempesta di asteroidi del ridicolo. Vi pare poco? (Alberto Calorosi)

(UMe - 2017)
Voto: 75

http://styxworld.com/band

The Pit Tips

Felix Sale

Rapture - Paroxysm of Hatred
Et Moriemur - Epigrammata
Exalter - Persecution Automated
 

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Francesco Scarci

Arkona - Khram
Ketha - 0 Hours Starlight
Rivers of Nihil - Where Owls Know my Name
 

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Alain González Artola

Profundum - Come, Holy Death
Three Eyes of the Void - The Moment of Storm
Minneriket - Anima Sola

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Five_Nails

Horn - Retrograd
Amon Amarth - Jomsviking
Drudkh - Їм часто сниться капіж (They Often See Dreams About the Spring)

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Alejandro Morgoth Valenzuela

Absu - Absu
The Antichrist Imperium - The Antichrist Imperium
Averse - The Endesque Chants
 

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Michele Montanari

Atomic Mold - Hybrid Slow Food
Hell Obelisco - Swamp Wizard Rises
Netherlands - Hope Porn

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Matteo Baldi

Dumbsaint - Another Scene
Porcupine Tree - Deadwing
Boris - Noise

mercoledì 28 marzo 2018

Profundum - Come, Holy Death

#FOR FANS OF: Symph Black/Death
Profundum is a rather new project formed in the southern American city of San Antonio, Texas. This band is a side project of R and LR, pseudonyms of two quite active musicians who have several projects, all of them related to the extreme scene. In fact, R whose real name is Ryan Wilson, has a very interesting band called The Howling Void, which plays symphonic funeral doom. Other projects are nevertheless, more related to death and black metal. Profundum represents a combination of their previous projects though it remains firmly rooted in the black metal sound, with a strong atmospheric touch and including some other influences.

After a promising EP entitled 'What no Eye Has Seen', R and LR focused their efforts in order to give life to their first full album. It didn’t take too long until 'Come, Holy Death' was released by the German underground label Heathen Tribes in 2017. Profundum´s debut came in a nice digipak, sadly without booklet, and with an eye-catching artwork, which fits perfectly well the album´s musical concept. Without having the lyrics, I can hardly decipher their meaning, but the song titles have a sinister touch dealing with creation, void and darkness in general. The listener will realize that both music and lyrics are perfectly compatible. Musically, the album can be tagged as atmospheric black metal with a generous presence of the keys, which play a major role. Apart from that, it seems that both members try to import some influences from other projects. The use of powerful growls by LR is a good example of the death metal influence. Anyway, he also uses classic shrieks which also sound quite competent. It’s interesting to point out that the growls are usually accompanied by some slow moments which sound quite death-doom esque, making a great contrast to the usual fast pace that the majority of tracks have. In those sections both vocal styles are usually used. The album opener “Sentient Shadows” is a nice example and clearly shows how the band combines both resources in a very well executed way. The combination of fast black metal sections and beautiful and mesmerizing keys, with slow paced doom-death metal sections is something very habitually used in this record, and it works fantastically well.

All the tracks maintain a very similar structure and level, which I must admit is quite high, but my personal favourite is “Tunnels to the Void”. The track has a slow start including as usual some majestic keys. This section is abruptly finalized when the drums change the pace to a much faster one, nevertheless the grandiose keys still lead the pack and they truly sound magnificent. I personally consider this song a truly majestic and hypnotic experience. Production wise that R and LR gave the album a certainly old school touch. Like in the 90s', the instruments sound like it they were recorded far from the microphones, especially the guitars and drums. On the other hand, vocals and keys have a greater presence in the mix making a great contrast between the hypnotic and atmospheric side and the most brutal one.

In conclusion, Profundum released an excellent debut, which is a great piece of atmospheric black metal seasoned with some death and doom influences. These influences make the album even more interesting. As I have already mentioned, the keys play a major role and they are truly excellent and grand during the whole record, being the best ones I have listened to since a long time. A truly great start! (Alain González Artola)


martedì 27 marzo 2018

Horn - Retrograd

#FOR FANS OF: Pagan Black
Over a year since the release of 'Turm am Hang', Horn has returned in proper form with 'Retrograd', promising more incredible and inspiring black metal from a Westphalian bedroom. While this latest album is considerably shorter than the previous release from the dawn of 2017, the album's meatiest moments offer that familiar and glorious electric notation that rises to fury with its slamming snare to truly conquer realms and rule with an iron fist. Nerrath is no stranger to adopting the eclectic, beefing up his black metal ensemble with classical instruments and this comes across well as cello, violin, and folksy drumming introduce and march away with allusions to the intensity they bookend.

The title track comes with the fury of a storm as a howling gale of guitar calls out from drumming thunder to shred windsocks and sails alike, dooming hapless merchants with immense waves while casting their goods into the sea. Despite the misfortune of distant others, the king's flotilla has made landfall intact. On the shore comes the stomp and snare of a winding trail of warriors as Horn violently takes numerous villages, slaughters their inhabitants, and brings a new province into the fold. Glory is there in violin and lute to sing songs of the victorious dead while the reality is a smashing appraisal of the newly acquired realm despite the melancholy of interring the individuals unable to appreciate the riches of the fresh conquest for which they have fallen.

While a tempest conjures a beastly invasion on the coast, “Bocksfuss” sees the invaders and ousted defenders meet in barbaric battle deeper into the wilderness. Walls of spears and shields slam into each other with bone breaking thrusts that stab into each opposing line and are quickly repelled with swift sword swings and axe hacks. In harrowing climax the guitars issue blending notes, thick as blood pouring from mortal wounds as they redouble their efforts to shriek out of this press of battle and be heard above the wails of the defeated. As each side fights to exhaustion, the invaders dig in their back feet in preparation for a second wind of assault. The quick strike of a folksy lilt fires synapses as aching muscles are invigorated by the machinery of masterful men whose discipline drives this determined victory. “Garant” garrotes unit after unit as the conquering army's redoubt routs its foe, now turned into a paltry scramble of fleeing men as the field lies littered with the fallen and writhing with wounded warriors. While one side licks its wounds, punished for its audacity in attempting to defend its land from such an onslaught, “Die Einder” sees that a journey is not finished with a single victory. As Arthur Wellesley, the Duke of Wellington, declared, “nothing except a battle lost can be half so melancholy as a battle won”, and the melancholy of a victory at such expense as this would leave any force demoralized before it plunges onward into continuing its campaign.

Still, the deeper appreciation of such militaristic struggle within Horn could also be surmised by Maynard James Keenan who argued, in the song “Vicarious”, that “we won't give pause until the blood is flowing”. Horn is a band that appreciates the bloodshed necessary to achieve its aims and attempts to honor the victorious dead without forgetting the sorrow of loss that such victory inevitably entails. Unlike in 'Turm am Hang', each moment of celebration is met with sullen realization as this fresh force fights in foreign forests. This balance is met more melancholically in 'Retrograd' as venturing from a homeland hof into hostile territory prophesizes not only numerous dangers ahead but also forces conquerors into costly confrontations resulting in Pyrrhic pushes. (Five_Nails)

The Conformation Change - Far From Home

#PER CHI AMA: Alternative/Post Rock
I The Conformation Change (TCC) sono una band nata in una piccola località sul lago di Garda, un lampante esempio di come vivere in un paese non ha alcun effetto su una mente libera che ha voglia di scoprire e di osare artisticamente. Tristemente il progetto è finito appena prima di rilasciare 'Far From Home', un disco che sarebbe stato davvero molto interessante vedere diffusamente suonato live. Le influenze della band spaziano dai generi più estremi a quelli più introspettivi, a me vengono in mente i Massive Attack per la preponderanza di tappeti di bassi e sintetizzatori, ma anche i Cult of Luna nelle parti meno aggressive o i My Sleeping Karma per la misticità e la spazialità che i TCC riescono a raggiungere. Il disco si apre con "5:33", pochi sordi tonfi di cassa intermittenti per introdurre un ambiente dilatato e labirintico, in stile trip hop bristoliano. La musica descrive nella mente uno scenario impossibile come quello che suggerisce la copertina: le balene volano sopra i grattacieli come gigantesci dirigibili viventi che viaggiano lentamente tra le nuvole, sotto gli occhi per niente stupiti dei passanti. È tutto normale a quanto pare, ed è normale che non sia normale. Il disco presenta una varietà di stili e di concetti di canzone decisamente eclettica, tra tutte "Deeper" è forse il mio pezzo preferito. La profonda linea di basso la fa da padrona per buona parte del brano, abbellita da chitarre spaziali e riverberate che descrivono a grandi cerchi concentrici, un ambiente dalle caratteristiche familiari ma con qualche particolare che lascia spaesati, come a voler dire che non è tutto immediatamente evidente ma che è necessario osservare più intensamente per cogliere l’unicità di ogni cosa. Si continua con l’incredibile viaggio allucinogeno di "The Edge", il brano forse più complesso del disco con il più vasto spettro emozionale, ove si passa dal languido scrosciare di arpeggi al duro imporsi di riff sludge, fino a parti senza ritmica imbevute di strani suoni elettronici che fungono da perfetto collante alla moltitudine di strumenti in gioco. La canzone risulta spesso sospesa il che crea un effetto ipnotico, ma in realtà è proprio il modo in cui i TCC riescono a trasmettere queste parti ferme che rende interessante la composizione, una su tutte il cambio di intenzione a circa 4 minuti dove, dopo una pausa ritmica, entra il synth e il riff di chitarra, un esempio di come la band sia in grado di dosare le proporzioni tra gli ambienti e i cambi tra di essi. Nel pezzo di commiato “Backward”, il synth ancora una volta ha un ruolo fondamentale: la stesura di tappeti sonici sulla malinconica e ciclica ritmica di batteria fanno da sfondo a un intreccio di chitarre decadenti e sconsolate, una giusta chiusura all’intricato percorso di 'Far From Home'. I TCC sono riusciti a concentrare in una quarantina di minuti una notevole moltitudine di stili, tenendo sempre una linea propria e una buona dose di originalità. 'Far From Home' è alla fine come un quadro dipinto e ridipinto un milione di volte, gli innumerevoli strati si sovrappongono l’un l’altro in un'infinita danza di colori tutti tra loro complementari, nessuno potrebbe esistere senza gli altri e tutti insieme creano una profonda sensazione di pace e di equilibrio, sensazione che permea la musica dei TCC in ogni momento. (Matteo Baldi)

lunedì 26 marzo 2018

Hecate - Une Voix Venue d’Ailleurs

#PER CHI AMA: Black
Ecate, la dea madre, colei che regnava sui demoni malvagi, sulla notte, la luna, i fantasmi, i morti e la negromanzia. E su questi temi di miti, storia e letteratura, ecco insinuarsi la mefitica figura dei francesi Hecate proprio a ricordare la divinità greca, anche e soprattutto a livello di artwork. La musica poi dell'ensemble di Tours è votata ad un black primordiale, che lungo i sette brani di questo 'Une Voix Venue d’Ailleurs', trova modo di dar voce a una proposta arcigna, oscura che emerge veemente già a metà dell'opener "Silentium Dei", con un sound che non cede a troppi compromessi se non quelli di un corrosivo flusso black. "Consolamentum" apre con un bell'arpeggio, quasi una liturgia a onorare la dea madre e sulle cui note pizzicate di chitarra, s'instaura poi lo screaming fetido di Veines Noires in una traccia che corre malata con un approccio ferale vicino al post black, sebbene non manchino i cambi di tempo e le aperture melodiche in un caotico trambusto sonoro che non lascia troppo scampo. La furia del quintetto della valle della Loira viene mitigato solo nell'incipit della terza "Héraut Aux Balafres", un'altra song che di certo non vede deporre le armi da parte del combo transalpino, anzi sembra divenire sempre più battagliera. Un bel riffone dal sapore rockeggiante apre invece "Une Charogne", una traccia che trova poi modo di abbandonarsi al caos supremo. "Nous Enfants de Personne" è un altro brano che parte più delicatamente prima di trovare ampio sfogo nei vagiti sguaiati del frontman e in una porzione ritmica sempre estremamente serrata e veloce che strizza l'occhiolino ai mostri sacri del black svedese. Ancora tocchi raffinati di piano nell'inizio di "La Prunelle des Éveillés" (ma li troveremo anche al suo interno) e poi un caustico impasto sonoro che si dimena tra tiepidi rallentamenti e sfuriate assassine che si placano solo in un finale a cavallo tra suoni estremi ed orchestral-avanguardistici. Gli ultimi otto minuti sono affidati alle bordate di "Le Bruit du Temps", un pezzo che bilancia frustate black con passaggi più classici e dichiara finalmente la fine delle ostilità di questo secondo aspro lavoro degli Hecate, un viaggio di sola andata per l'aldilà. (Francesco Scarci)

domenica 25 marzo 2018

Etruschi from Lakota - Giù la Testa

#PER CHI AMA: Blues Rock, Rainbow
Il secondo indiavolato album degli Etruschi from Lakota propone un cozmik-folk rutilante e pireticamente imbevuto di danza barra militanza. Nel calumet, una devota e circostanziata attenzione nei confronti del rock italiano, tutto il rock italiano, eppure permeata da (mica tanto) sparute, stuzzicose velleità citazionistiche (Jimi Hendrix innanzitutto, "Hey Joe" nell'incipit di "Super", oltre alla dovecazzutamente devota "Jimi", ma anche i Rainbow di "Still I'm Sad" in "Stivale", o i Led Zeppelin di "Moby Dick" in "Super" e... beh, divertitevi a individuare le altre). Le canzoni si trovano all'intersezione di traiettorie musicali sovente diametrali, penzolanti e pericolosamente libere. Se vi aggrada, il gioco degli abbinamenti si fa mano a mano più ardimentoso. Beck vs. Pan del Diavolo ("Eurocirco"). Rainbow vs. Skiantos ("Stivale"). Dr. John vs. Lucio Dalla ("Giù la Testa"). Beck vs. Rino Gaetano ("Bidibi Bodibi Bu"), Portishead vs. Afterhours ("Quando Vedo Te"), Jimi Hendrix vs. Biglietto per l'Inferno (la super-lativa "Super"). C'è tanto altro nel disco. Ma svelare tutto qui sarebbe un vero peccato. (Alberto Calorosi)

(Phonarchia Dischi - 2017)
Voto: 80

https://www.facebook.com/EtruschiFL/

sabato 24 marzo 2018

Porno Teo Kolossal - Monrovia

#PER CHI AMA: Drone/Ambient
Pasolini dichiarò che con il suo film, Porno-Teo-Kolossal, scritto per Eduardo de Filippo, avrebbe concluso la sua carriera di regista. Ahimè, di quel suo progetto rimangono solo poche decine di pagine, a causa della sua prematura scomparsa. In tributo al poeta maledetto, ecco arrivare questa band torinese con un sound che avrebbe reso fiero l'indimenticabile intellettuale italiano. 'Monrovia' è il secondo cd rilasciato da questi folli musicisti, un trittico di pezzi di complessa assimilazione che narrano dell'Isolotto 5, un santuario poco distante dalla capitale della Liberia, Monrovia appunto, ove vivono 66 scimpanzé, sopravvissuti ad una serie di sperimentazioni attuate nel New York Blood Center e ora pensionati in questa sorta di Monkey Island. I 1401 secondi di "Trip to Monrovia" sono un ipnotico viaggio verso l'ignoto, sorretto da suoni ambient e drone ultra avanguardistici, che svelano la contorta natura di questi artisti e delle difficoltà che accompagnano l'ascolto di un simile lavoro. Un album che non è da vivere come un lavoro musicale, piuttosto direi un'esperienza sensoriale, un filmato senza immagini, un esempio di arte complessa in cui confluiscono non solo arti figurative, ma pure visive, ove l'unico suggerimento che mi sento di dare è quello di socchiudere gli occhi e vivere al 100% ciò che l'ascolto di simili sonorità può offrire. Dal coro litanico di bambini, alla tribalità di un drumming dal forte sapore etnico, alla tiepida comparsa di chitarre in acido per giungere ad atmosfere surreali che non possono che generare fenomeni catartici. Scrivevo all'inizio di un lavoro di difficile assimilazione, lo confermo dopo i 23 minuti della sua sperimentale opening track, una song che sembra provenire dai sogni più distorti e psichedelici dei Pink Floyd più visionari, in grado di minare la nostra salute mentale, con suoni alla fine quasi alieni. I successivi 1113 secondi della title track non sono da meno: sembra quasi essere giunti nel centro della capitale africana e lì abbandonarsi agli odori e suoni di una città in totale fermento. Peccato solo che quelle voci che si sentono in sottofondo siano in italiano, sarebbe stato forse più suggestivo udire magari vocalizzi africani. Ovvio, poi non sarebbe passato quel messaggio provocatorio che emerge durante l'ascolto della traccia, parole non gettate al vento ma messaggi chiari e mirati, inseriti in un contesto sempre più alienato ed alienante che trova modo di rigenerarsi in un break acustico prima di una seconda metà del brano in cui si spiega esattamente cosa fosse l'isola delle 66 scimmie e la metafora di quell'isola con il mondo attuale. Quello che poi ho trovato più potente e drammatico allo stesso modo è stata una frase "il futuro è il medioevo". Parole pesanti, presagio di un futuro non troppo distante da quello che sta accadendo al nostro mondo malato, che s'insinuano in un suono schizofrenico, imprevedibile e totalmente insano. Si giunge cosi stremati ai conclusivi 1049 secondi di "End of the Dark Side", una song che sembra, almeno in apparenza, avere una struttura ancorata al concetto di brano tradizionale, ma che dopo una manciata di secondi, appare chiaro che tradizione, normalità o quant'altro, non fanno parte del mondo stralunato dei Porno Teo Kolossal che si districano attraverso riverberi, propagazioni psych rock progressive, derive droniche e deformazioni spazio temporali che ci conducono indistintamente in ogni angolo del nostro universo. Alla fine 'Monrovia' è un'esperienza sonica, consigliata solo ad un pubblico adulto estremamente illuminato. (Francesco Scarci)

(Dischi Bervisti / Bam Balam Records - 2018)
Voto: 80

Sundran - S/t

#PER CHI AMA: Post/Techno Death
Il post metal non ha ancora esaurito tutte le sue cartucce. Dalle più svariate parti del mondo continuano infatti ad emergere nuove realtà devote a questo genere e ai soliti maestri Isis e Neurosis. La band di oggi arriva dal Canada, West Coast per l'esattezza. I Sundran sono infatti un trio di Vancouver, formatosi quattro anni fa e con all'attivo un EP, 'Another Place', e questo nuovo omonimo album di debutto. Partiamo subito col dire che, sebbene si citino Mastodon e Gojira tra le loro influenze, francamente poco o nulla di questi riferimenti ho trovato nella musica dei nostri. Si perché, "Diving" e soprattutto la seconda traccia, la title track, palesano nel loro "tiepido" incedere, influenze mai troppo celate provenienti piuttosto dai bostoniani Isis. Una ritmica lenta e fragorosa, stemperata da una musicalità sempre all'insegna di una ricercatezza melodica, urla potenti ed un'ambientazione costantemente cupa e misteriosa, con raffinati giochi di chitarra che potrebbero semmai richiamare i Tool nei loro chiaroscuri, costituiscono gli ingredienti chiave della musica dei Sundran. La voce del frontman si conferma uno dei punti di forza dell'ensemble canadese, cosi come le sezioni introduttive cosi atmosferiche di ciascun brano. "Vexed" è pezzo bello pesante: ritmica compassata, qualche cambio di tempo, soprattutto quello che interrompe con una deflagrazione post-black, l'avanzare angosciante dei tre musicisti. Buona l'idea di tenere incollati tutti i pezzi tra loro come se ci fosse un sottile filo invisibile che li tiene uniti l'uno all'altro. Ecco perché non mi accorgo neppure che nel frattempo sia esplosa nel mio stereo la psicotica "Scavengers", visto questo flusso continuativo del disco. Forse qui emergono alcune citazioni che riportano ai Gojira, con quelle sue chitarre sincopate e una veemenza generalizzata che avvolge l'intero lavoro e alla fine mostra ottimi spunti in un ambito che sembrava aver detto tutto o quasi. Il sound è qui davvero grosso, il classico muro imperforabile che ci introduce alla quinta song, "Impasse", una scarica adrenalinica di tre minuti di chitarre ribassate, un cartavetroso screaming che si alterna con un growling assai possente. Il sound si fa comunque sempre più poderoso e nella strumentale "The Fly", sembra essersi tramutato definitivamente in bordate death metal, a cui aggiungerei anche l'aggettivo techno. A chiudere il disco, ci pensa "Sink", l'ultima mastodontica traccia che si muove tra sonorità sludge, post-metal, black e techno death, che rappresenta la summa di un cd davvero intrigante che ha l'ultima sorpresa in serbo per noi, ossia la riproposizione di tutti i brani in formato strumentale. Come prima opera, direi decisamente ben fatto. Mi tengo però mezzo punto più basso, perché credo fermamente nelle potenzialità ancora inespresse di questi ragazzi. (Francesco Scarci)

(Self - 2017)
Voto: 75

giovedì 22 marzo 2018

Black Banana - The Great Wazoo

#PER CHI AMA: Psych/Hard Rock
I Milanesi (di provincia) Black Banana (BB) s'incontrarono qualche anno fa per dar vita ad un progetto scanzonato che trasuda hard rock vecchia scuola. Nonostante le evoluzioni dei generi, le contaminazioni con l'elettronica, folk ed altro, i BB hanno scritto dieci brani (più una cover) con l'obiettivo di creare un vademecum per nostalgici e novellini. 'The Great Wazoo' si presenta in un digipack semplice e curato, prodotto dalla Verso del Cinghiale Records, piccola etichetta indipendente che ha diverse band punk/rock interessanti nel proprio catalogo. "Stop Runnin'" ha la responsibilità di aprire l'album dei BB e si parte di brutto con chitarroni spavaldi, basso molesto e batteria pulsante per una brano veloce e pieno di groove. Il cantato in inglese regala l'atmosfera giusta, grazie anche alla grinta e con i cori che rafforzano là dove serve. Già in questi tre minuti abbondanti si sentono tutte le influenze che hanno forgiato i BB, il meglio dell'hard rock degli ultimi trent'anni soprattutto d'oltreoceano. "The Devil's Lips" parte veloce e gioca molto sugli stop & go che movimentano la struttura del brano, a cui vengono saggiamente aggiunti allunghi di ritmo, assoli e quant'altro. Anche il testo non si smentisce, restando sui temi cari dell'hard rock quali alcool, donne e tutto quello che fa bruciare una vita altrimenti scialba e piatta. Saltando qualche traccia si arriva a "Revelation" che ci mostra il lato più oscuro della band, un momento di riflessione per mettere sul tavolo le cose fatte, i progetti falliti e le vittorie portate a casa con i denti. L'inizio tenebroso è affidato alla chitarra grazie all'ebow che crea un layer continuo quasi fosse un sintetizzatore, poi basso e batteria danno il ritmo alle chitarre che possono cosi unirsi al crescendo. Il vocalist sussurra leggero all'orecchio dell'ascoltatore preparandoci all'esplosione rock che arriva prepotente non per i suoi suoni granitici, ma per il groove tanto spontaneo quanto curato nei dettagli. Lo stesso vale per gli arrangiamenti studiati nei minimi particolari, sempre ben curati ed azzeccati, questo per dire che i BB sono dei gran musicisti e meritano grandi cose nel loro prossimo futuro. La cover di "Iron Zion Lion" è una chicca assoluta, il rifacimento del celebre brano di Bob Marley è un perfetto connubio tra rock e reggae, dove i BB sono stati dei geni a fondere suoni e ritmiche in maniera perfetta. Il featuring con la brava Ketty Passa alla seconda voce corona un successo meritato perchè se si reinterpreta una cover con un tale risultato, vuol dire che si hanno le palle quadrate, quindi standing ovation. L'album chiude con "Wonder Drugs" che, nonostante sia l'ultimo brano, ha tutte le carte in regola per essere un singolo di tutto rispetto. Oltre alla consolidata profusione di rock, la band si diverte a giocare un po' sulle ritmiche e il cantato, quasi fossero alla fine di un concerto ben riuscito e il calo di adrenalina li fa osare un po' di più. Bravi, nella vita bisogna sapersi prendere in giro e non calarsi troppo nella parte dei duri e cattivi. Tirando le somme, ci troviamo di fronte ad una band ben preparata che produce rock di qualità, cinque musicisti che hanno ancora tantissimo da dare al pubblico. Questo 'The Great Wazoo' è un lavoro meritevole di attenzioni, quindi accaparratevelo senza indugi e lasciatevi trasportare dal rock nella sua forma più pura e longeva. (Michele Montanari)

(Il Verso del Cinghiale Records - 2017)
Voto: 80

https://soundcloud.com/marcello-gatti-1/sets/the-great-wazoo