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venerdì 27 ottobre 2017

Wolf Counsel - Age Of Madness / Reign Of Chaos

#PER CHI AMA: Doom, primi Cathedral
Pronti ad immergervi in soffuse atmosfere sludge doom con gli svizzeri Wolf Counsel? Freschi di uscita con questo terzo album, 'Age Of Madness/Reign Of Chaos', la band di Zurigo torna con un nuovo intrigante lavoro, forti sempre del supporto della Czar of Bullets alle spalle. Sette brani, per una quarantina di minuti a disposizione, per abbandonarsi ad un sound che ci riporta ai vecchi classici del genere, Black Sabbath in testa, senza però scordarsi i più recenti, si fa per dire, Cathedral. I Wolf Counsel non sono certo dei pivelli e lo dimostrano le architetture sonore innalzate ad esempio nella lunghissima, funerea ed ipnotica title track, song che delinea l'animo nero come la pece del quartetto elvetico, di cui mi preme sottolineare la performance vocale del bravo Ralf Winzer Garcia e dello splendido assolo conclusivo (di chitarra, basso e poi batteria), che sottolinea la vena musicale dell'ensemble votata agli anni '70/80, da brividi e palma come mia song preferita. In "O' Death" compare la voce di una gentil donzella, Daniela Venegas, con una timbrica vocale che si avvicina a quella di Anneke van Giersbergen, ex dei The Gathering, che duettando con Ralf, ci regala quattro minuti di musica vibrante, emozionale che prende un po' le distante dalle altre tracce. Esperimento decisamente riuscito. Si torna ad un riffing più compassato con "Eternal Solitude", in cui la voce del buon Ralf, sembra il perfetto ibrido tra Ozzy e Lee Dorrian. L'ultima curiosità per l'album è relativa al testo di “Coffin Nails”, una sorta di campagna antifumo che sottolinea come i nostri siano anche attivi da un punto di vista sociale. Insomma, 'Age Of Madness/Reign Of Chaos' conferma l'ottima verve musicale di questi ragazzi zurighesi e l'oculata attenzione di un'etichetta, la Czar of Crickets e consociate, che sta crescendo giorno dopo giorno a vista d'occhio. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/thewolfcounsel

giovedì 26 ottobre 2017

Cepheide - Saudade

#PER CHI AMA: Black Depressive
Seconda comparsata dei francesi Cepheide all'interno del Pozzo dei Dannati: era il 2014 infatti quando recensii il demo 'De Silence et De Suie', che ci mostrava come i nostri armeggiavano abbastanza bene un black atmosferico dal forte piglio depressive. A distanza di tre anni da quel lavoro e con un EP nel frattempo in mezzo, ecco finalmente giungere l'agognato album d'esordio per il quartetto parigino, intitolato 'Saudade'. Sapete bene come questo termine in portoghese indichi una forma di malinconia, una specie di ricordo nostalgico, di un bene speciale che è ora assente, accompagnato da un desiderio di riviverlo o ripossederlo. Potrete pertanto immaginare come quest'emozione si rifletta di conseguenza nel sound dei nostri, in una proposta musicale che non si discosta di un millimetro da quel cd di cui vi ho già raccontato. Cinque tracce che si lanciano alla ricerca dello spleen, la tristezza meditativa che venne resa famosa durante il decadentismo dal poeta francese Charles Baudelaire, e che era stato utilizzato anche anteriormente nel Romanticismo. Ora, i Cepheide mettono in musica tutto questo senso di disagio esistenziale già dalle note della lunga "Une Nuit qui te Mange", dieci minuti di black melodico intriso di un potente mood nostalgico che si palesa attraverso epiche cavalcate e sconfinate atmosfere strazianti, corroborate dallo screaming nefasto del frontman Gaetan, mente peraltro anche degli Scaphandre. Lo stato di cupa angoscia e depressione presente, prende ancor più forma nell'infinita desolazione di "Madone", la seconda traccia, che si lancia in furibonde accelerazioni black, e in cui la voce del vocalist risulta più confinata in secondo piano. Anche a livello lirico non siamo di fronte a testi cosi allegri e il titolo della terza "La Lutte et l'Harmonie", credo lo dimostri ampiamente. La miscela sonora della band transalpina prosegue con la stessa formula musicale, un blackgaze stemperato da rallentamenti atmosferici e da quel pesante senso di malinconia che avvolge in modo persistente l'intero album ma che fondamentalmente attenua un sound che forse ai più risulterebbe caustico nelle sue taglienti chitarre, nei suoi cambi di tempo e in quelle sgroppate dal forte sapore post black. La quarta tiratissima song è "Le Cinquième Soleil", che per atmosfere mi ha rievocato un che dei Burzum di 'Hvis Lyset Tar Oss', anche se qui le voci belluine trovano il modo di cedere il passo ad un cantato più corale. 'Saudade' alla fine è un disco abbastanza convincente, come testimoniato anche dall'ultima "Auréole" (song che si mette in luce peraltro per una migliore stratificazione delle chitarre), che tuttavia necessita ancora di qualche aggiustamento per consentire alla band francese di emergere dalla massa informe di band che inflazionano il panorama black internazionale. (Francesco Scarci)

Saiva - Markerna Bortom

#FOR FANS OF: Folk Metal
Another one-man band from Sweden, Saiva is the product of Andreas Petterson, a once corpse painted black metal warrior who has appeared with numerous underground acts before settling into the more folk influenced periphery since hanging up his screaming face. With Saiva there is as much to be expected as there is in Grift. Saiva's sound is music to thresh wheat to, to stare at trees to, and to hang outlanders from those trees to as much as Grift's music is to sulk, question, contemplate, and commit suicide to.

Throughout Saiva's 'Markerna Bortom' is a general air of ancient and timeless chanting to quiet and toned-back minimalist guitars picking their way around softly rippling cycles. Distant cries can be heard from Grift's Erik Gärdefors in “Där Vindar Vänder” among other collaborations that round out an album enhanced by the contributions of Panopticon's Austin Lunn and Juha Marklund of Tervahäät. These additions surely do embrace that idea of 'solidarity in solitude' through an isolating experience between the shakes of the strings while the imposing ensemble can conjure the anxiety of being stalked by phantom fears behind every tree.

“Varsel I Vildmark” has harmonizing calls that leap with a bark as the guitars wrap around themselves through the dreamlike end of the song, predicating the yelping accents throughout the vocal harmony in “Nordan”. Most distinctive however, is how “Nordmarkens Älvar” and “Där Vindar Vänder” create an endless flowing sound with their calming guitars. While the river calmly bubbles along in “Nordmarkens Älvar”, the flood of a full compliment inundates the second progression in “Där Vindar Vänder” as chanting, a second guitar, and pounding drums submerge stone and shoreline with icy intensity.

The quivering lilting in the guitars makes for a quintessentially black metal offering of twisted harmonies as a second set of strings stands hairs on end and sends shivers down your spine. Even when taken down to its most basic tones and without the raging resonance expected in voluminous reverberations, the tone of this album retains its foreboding atmosphere. This is especially found in the second movement of “Nordan” where the gritty riffing growls behind an ever suffocating wall of imposing treble sounds to create a claustrophobic atmosphere before the wave breaks. Though the aggression of 'Markerna Bortom' is understated and far less apparent than the average screaming black metal band, the mesmerizing atmosphere and steadily growing sound with all its guitar additions, chants, martial drumming, and chest-clenching uproar finds its own delirious place in the mysticism of black metal's disorienting wilderness. (Five_Nails)

(Nordvis Produktion - 2017)
Score: 75

https://saiva.bandcamp.com/album/markerna-bortom

mercoledì 25 ottobre 2017

Heir - Au Peuple de l'Abime

#PER CHI AMA: Black Thrash Sperimentale
Poco più di un anno fa, recensivo lo split cd degli Heir, allora in compagnia di Spectrale ed In Cauda Venenum. La band di Tolosa arriva finalmente al full length d'esordio per la sempre attiva Les Acteurs de L'Ombre Productions. Il black incendiario dei nostri si conferma anche nei 40 minuti di questo 'Au Peuple de l'Abime' e nelle cinque lunghe tracce contenute, che si aprono con la furia inarrestabile di "Au Siècle des Siècles", una song diretta che a poco a poco evolve in un sound assai ostico da ascoltare, a causa anche di una registrazione non proprio straordinariamente pulita. Un altro squarcio di impetuoso frastuono e poi ecco quello che non ti aspetti in un simil contesto, un break atmosferico, quasi sognante, qualità che comunque avevamo già avuto modo di apprezzare in "Upon the Masses", contenuta nello split dello scorso anno. Un intro etereo inganna non poco sulla valenza dell'esplosiva "L’Heure D’Helios", in cui il thrash si miscela al black, ma che in un batter di ciglia si dilegua in un'epifania sludge, addirittura post rock, grazie a quegli arpeggi delicati di chitarra, di cui subisco non poco l'ambiguo fascino. Il sound degli Heir è volutamente provocatorio, si passa da un'infernale colata di lava post black a passaggi più intimistici e raffinati, che hanno il chiaro scopo di disorientare l'ascoltatore. Spaventoso a tal proposito una sorta di assolo di batteria posto nella seconda metà di questa traccia che poi cede il passo a momenti più melodici in un ascesa ritmica da brividi. Spoken words aprono "Meltem", tortuosa e contorta nel suo spaventoso incedere, orrorifica nel suo break centrale e tremendamente rozza nelle sue parti veloci e schizofreniche, cosi come pure nel suo finale ammantato da un manto doom. Gli Heir hanno una duplice anima, questo è chiaro e palesato anche nelle successive "L’Âme des Foules" e "Cendres", in cui il quintetto transalpino ha ancora modo di deviare la mente inerme di coloro che li ascoltano, ormai immobilizzati dal terrore disturbante elargito da questi musicisti. Una furia tempestosa esplode nella prima delle due tracce, prima che suoni dissonanti si facciano beffe del sottoscritto e mi rivoltino il cervello come un guanto. L'ultima song conferma quanto descritto sopra, ossia la difficoltà ad approcciare e digerire una band come gli Heir, sicuramente dotata di ottime potenzialità (splendido a tal proposito il finale della song), la cui proposta musicale non è certo delle più immediate da recepire, a meno che non si riesca a fare uno sforzo mentale davvero notevole. (Francesco Scarci)

(LADLO Prod - 2017)
Voto: 70

martedì 24 ottobre 2017

Mesembria Magog - MK Ultra

#PER CHI AMA: Cyber Electro Punk
Il noise otto bit che introduce la schitarronante "Against Everything" si propaga freaticamente nel sottosuolo della canzone attraverso il plin-plin di pianoforte che di tanto in tanto emerge a inumidire i testicoli, (s)confortato da estemporanei innesti goth che esprimono un spleen tipo Pacman acchiappato dal fantasma. Ulteriormente teutoniche la successiva "Hey Baby", una sorta di Rammstein-fronted-by-Falco-Hölzel introdotta da un tiro di batteria foneticamente lars-ulrichese, e "Jump It", una specie di Midge Ure sbronzo all'Oktoberfest di Monaco che fa l'imitazione di un Trent Reznor sbronzo al Canstaetter di Stoccarda che fa l'imitazione dei Gravity Kills sobri bloccati alla frontiera con la Svizzera. La cover truzzo-synthpop di "Rebel Yell" di Billy Idol in chiusura è senz'altro pregevole per fattura e persino un tantino spericolata, perlomeno negli intenti, ché a pompare un pezzo come "Rebel Yell" poi è facile che inavvertitamente salti tutto per aria. Non che sia per forza un male, beninteso. (Alberto Calorosi)

(Nadir Music - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/MesembriaMagog/

Evil - Rites of Evil


#FOR FANS OF: Black/Speed/Thrash, Sarcofago
Evil hail from Japan, but don't think of friendly tourists who smile permanently while taking nonstop pictures. These guys are in a bad mood. Their kind of blackened speed/thrash metal rumbles down the road without being interested in any extraordinary features. Evil have the guts to concentrate on pure metal, although this is not the most vehement record of the genre. The fourth track, "Yatsuzaki" for example, offers an almost melodic solo. Generally speaking, the guitars are cutting rather than harmonious. This is not the soundtrack for the birthday party of a seven year old girl. Okay, if Godzilla has a daughter of this age, she might be an exception, but I don't want to digress.

The simple compositions shape a very homogeneous work. Nobody needs to fear any kind of bad surprises. The Japanese horde has found its niche without taking care that many bands have already exploited this niche beforehand. The roots of this 'Rites of Evil' can be traced back to Bathory's famous debut. But for those who are less interested in historical milestones, one can say that Evil's work can be compared with outputs of groups that prefer a simplistic, rather minimalist approach that tries to pick the best of different worlds. While the guitar work builds a bridge to the old days of speed metal, for example during "Sword of Stupa", the raw barking of the lead vocalist has nothing in common with the high-pitched screaming of the early vocal artists. His pretty monotonous, sometimes nearly punk-like voice does not push the music on a higher level, but it also does no harm.

Evil do not lack energy and power, but it is also true that they have not been able to pen one or two earworms that keep sticking in the listener's mind immediately. Some riffs shake up the audience while evoking associations to (early) Venom or lesser known bands such as Quintessenz from Germany. The opening riff of "Eternal Hell", the ninth track, points into this direction, but at the end of the day, this mid-tempo stomper does not exceed standard requirements. It seems as if these dudes are not excessively talented in terms of song-writing. On the other hand, they avoid asinine, inappropriate sections and I am sure that they have the heart at the right place. As much as I hate to say it, this alone is not enough for the creation of a genre classic. I miss songs that develop their own personality.

The production scores with a certain sharpness. The guitars dominate a slightly sinister sound that finds the right mix between transparency and a certain amount of filth. Thus, the guys have no serious technical problems. They just need to put more effort into their compositions. Easier said than done (my first song is still not finished, since 1985 I am working on it...) Therefore, I am happy that at least my first review for The Pit of the Damned is complete now. (Felix 1666)
(Nuclear War Now! Productions - 2017)
Score: 65

https://nuclearwarnowproductions.bandcamp.com/album/rites-of-evil

domenica 22 ottobre 2017

Lustre - Still Innocence

#FOR FANS OF: Black Ambient
Sometimes it's a nice change of pace to listen to something airy, inoffensive, and so unusually out of place that it inhabits a world of its own. Nachzeit's one-man offering of a pretty atmosphere through 'Still Innocence' is just that sort of float of a feather down a chasm of sunlight that embraces the serenity of its delicate descent into the shadows.

Through lovely and ethereal waves of ambient noise with drums hidden behind quiet keyboard synth in “Dreaded Still”, a calming meditative track paints happy clouds of humming atmospheric fuzz across a full and entrancing soundscape, open to a calm and sweet whistling tune as it softly steps its way through the winds. Sometimes a sound can easily become the theme to a season and I can already sense this song becoming a major contender for what my mental jukebox will spin in this autumn's retrospect.

There is truly somber and melancholic beauty in each song. Guitars are held so far back in the mix that they sound like distant pulsing waves of rainfall, ushered by heaves of wind to hammer a puddle before allowing the noise to give way to steady and sometimes interminable drips. Even more distant, whispers and drowning screams can barely be heard as they gently breathe between squalls of grain-falls. This album is sappy and weepy, nostalgic and mesmerizing, lonely and longing, and all encapsulated in simply beautiful sound that, sadly, overstays its welcome.

While “Dreaded Still” can catch the ear, the compositional style shows its standardization quickly enough by the second track, “Nestled Within”. Lustre shows its quality production and maintains a momentum that can go easily ignored as background music in “Let Go Like Leaves of Fall”. Still, this music is entrancing while simultaneously unimposing and a calming accouterment to a solitary walk or to rainy day spent immersed in a book. While the opening of the album with “Dreaded Still” is energetic enough to be reimagined as a techno song, by the time you get to “Reverence Road”, the soundscape has turned into elevator music playing in a 1980s shopping mall at the height of Madonna's fame. I like the moments that remind me of immersive role-playing video games, like the Final Fantasy style opening to “Without End”, but at the end of the day this album of sappy sounds runs its course long before the music ends. Lustre holds its atmospheres hostage when they could have been allowed to run free through the listener's memory before becoming an annoyance. Instead these lingering songs refuse to leave, losing their luster to the apathy of a listener that is left begging for the album to end rather than begging for more.

As the music seems to offer more than it needed in respect to song length, the droning melodies and repetitious drum beats become a halfhearted white noise. I was hoping that maybe there would be some explanation of the songs, some literature to expound upon what may be in Nachzeit's head while composing this music, but there are only snippets of scant stanzas to bring reason to this repetition. The stanzas for “Dreaded Still” and “Nestled Within” aren't very alluring. The wordplay to the stanza for “Reverence Road” is nice enough, but again this is such maddeningly unintrusive substance that it has me asking why the rest of this album even exists after the opening track.

I'm left scratching my head as to just what any of this album was supposed to accomplish and how this lines up with any characteristics of black metal other than a nearly inaudible hiss of what may be guitars in the background. I don't hate this music but I've quickly become bored of it. I'm left a little confused as to where to place this album, but the worst that I could ever react to this is with ambivalence. Lustre's 'Still Innocence' is a meditation tape or white noise sleep album, it's the speck of dust illuminated by a ray of sunshine that passes unnoticed until that certain hour of the afternoon, and that's just fine enough when you're not hoping for much more. (Five_Nails)

(Nordvis Produktion - 2017)
Score: 65

sabato 21 ottobre 2017

Oddfella - AM/FM

#PER CHI AMA: Dark/Gothic, Paradise Lost
È una one man band quella portoghese degli Oddfella, formata dal solo João Henriques che ci propina undici tracce di sonorità ahimè strumentali, che peccato. Un peccato perché la musica dell'artista di Lisbona mi piace parecchio, con quel suo sound darkeggiante, carico di groove, con ottime melodie, ma dannazione privo di una voce che ne penalizza notevolmente l'esito finale. Forse sono anche parecchi gli undici pezzi contenuti per non arrivare a stufarsi già a metà, ma in realtà si tratta di tracce abbastanza brevi, squisite nel loro approccio strumentale: dalla delicata "Steam Driven Passion", opener di 'AM/FM', alla più rabbiosa ma per certi versi più oscura, "Puching Mirrors", passando attraverso la più eterea ed elettronica "The Great Simple Things". I pezzi più riusciti sono però "Geisha", dove s'incuneano sonorità anni '80 con richiami western, e largo spazio viene lasciato ad un riffing robusto e convincente, sorretto da splendide melodie tastieristiche e "D.D.B.R." grazie a quel suo rifferama accattivante che mi ha ricordato i Paradise Lost di 'Draconian Times'. Altrettanto interessanti sono poi la più ruffiana "Never Look Back" e "A Wiser Looser", dove gli accostamenti ai Paradise Lost, ci portano questa volta nei pressi di 'One Second'. Se Nick Holmes avesse prestato la voce su questo 'AM/FM', potremmo addirittura parlare di un signor album targato dalla band di Halifax, invece per ora accontentiamoci di questi Oddfella con una raccomandazione, se nel prossimo disco non vedo la presenza di un cantante, mi asterrò dalla recensione. (Francesco Scarci)

(Ethereal Sound Works - 2017)
Voto: 65

https://oddfella83.bandcamp.com/album/am-fm

venerdì 20 ottobre 2017

Nudist - Bury My Innocence

#PER CHI AMA: Sludge/Post-Hardcore/Doom, Torch, Converge
I Nudist sono una band che sta contribuendo in modo molto pesante a creare cultura e a diffondere la musica estrema in Italia. Non si parla solamente di una proposta artistica ma anche della presenza sui palchi (recentemente si sono esibiti con nomi che pesano tonnellate come Ornaments e Lento) e del marchio Nude Guitars, creato dal chitarrista Gabriele Fabbri nelle sue sinistre Officine del Male nei pressi di Prato. Le Nude, ispirate a brand come Travis Bean ed Electrical Guitar Company, si confermano una delle migliori soluzioni per chi ama vedere i propri coni vomitare ruggine e decibel ad alta radioattività; non per niente si possono ammirare tra le mani di aguzzini del suono come Naresh, degli Hate&Merda e di Zano dei Demikhov. Come se non bastasse, anche il suggestivo e apocalittico artwork di 'Bury My Innocence' affonda le sue radici in profondità nella scena, l’artefice è infatti Luca di SoloMacello, uno staff che tutti dovremo ringraziare ogni giorno per le band che porta in Italia e per la cultura che continua a promuovere. Un mare di lava ed un unico scoglio su cui si staglia un profilo semiumano deforme contro il cielo notturno dimora di neri corvi giganti, questo è quello che si vede tenendo in mano questo LP ed anche all’ascolto, la sensazione che se ne ricava non è poi così diversa. 'Bury My Innoncence' è una miscela super concentrata di punk, post-hardcore e sludge condita da una buona dose di disagio, rabbia, voglia di alzare la voce e di trasmettere sonorità accostabili ai Torch, anche vicine ai Converge per l’attitudine utilizzata e a tratti scorgo potenti lampi di Melvins. Il suono è ruvido e diretto, guidato da una voce oscura che porta parole ancor più nere e sfiduciate. La poetica è anch’essa parte importante dell’opera, una frase tra tutte che mi ha dato i brividi, e tratta dalla vulcanica title track, è stata: “bury my innocence under your faithless ignorance”, una sorta presa di coscienza del fatto che l’ignoranza uccide la purezza dei sentimenti, che è cosa rara perché il mondo ci esorta in tutti i modi a uccidere il bambino che c’è in noi, per farci stare più concentrati, per lavorare e obbedire agli ordini, quando in realtà l’unica cosa veramente importante sarebbe ascoltare quella voce, la stessa voce che ha suggerito ai Nudist di scrivere questo pezzo. La composizione del disco è poi encomiabile sulla scelta delle note e delle metriche; uno dei miei brani preferiti è l’apertura affidata a “Streghtless”, che inizia con un dispiegamento di accordi distorti disposti in modo irregolare su una ritmica quasi militaresca per poi infrangersi contro una rete di arpeggi dissonanti e infernali. Anche "Bloody Waters" con il suo incedere singhiozzante e spietato è sicuramente un’altra prova della capacità compositiva della band. Una menzione va a "Dead Leaves" che porta con sé parole ciniche e disilluse sulla condizione dell’esistenza umana: “we are dead leaves dragged and hurled by the storm” La chiusura è affidata al brano "Drift", il pezzo forse più atmosferico del disco. 'Bury My Innocence' è come l’eruzione di un vulcano, è imprevedibile, brucia in fretta e distrugge qualsiasi cosa si trovi sul suo cammino. (Matteo Baldi)

(Argonauta Records - 2017)
Voto: 75

Stone of a Bitch - S/t

#PER CHI AMA: Alternative Pop Rock
Dei Stone of a Bitch si trovano poche notizie sul web, sappiamo che è un duo francese e che questo è il loro primo album, sotto l'egida della sempre verde Dooweet Records. Dieci brani splendidi, prodotti assai bene con quel gusto e con quelle sonorità che fecero grande la musica alternativa degli anni '90, rinvigoriti in questo disco con nuovo smalto. Nasce così, tra una copertina che in maniera evidente non mi aiuta di certo ad identificarli musicalmente e una formula sonora centratissima, il mio amore per questo bellissimo lavoro. Tra un balzo musicale e l'altro, mi godo lo spassoso remix di alternative rock, punk, pop, elettronica e acoustic rock sparato dritto nei denti dal rumoroso duo transalpino. Nessun rimorso, a muso duro, perché i nostri due musicisti hanno le idee chiare, spiazzare l'ascoltatore con la bellezza di brani indie confezionati a regola d'arte, un miscuglio tra melodia e rumore, e con canzoni accessibili a tutti, mai banali e impossibili da disprezzare. Ecco che tornano alla mente le americane Sleater Kinney e i mai dimenticati post-hardcores Girls Against Boys, passando per il garage e l'indie scozzese dei The Delgados, i The Pastels e gli albori di Beck. A questo, aggiungete giusto un tocco di minimale elettronica per rendere il tutto più moderno, ad accompagnare una splendida voce femminile (Chris Go) disciolta tra urlati punk e sensualità alla Kim Deal delle The Breeders, tra chitarre noise rock (dove Lois D è autore di tutti i brani), atmosfere romantiche e trasversali, tra accenni di pianoforte e aperture stralunate, rumori, voci di fondo ("Wolves") che vanno a completare la tela. Prendete "TnBrS" e provate a non innamorarvene, ascoltate l'iniziale "That's a War" o l'hit da alta classifica "Caribbean Dive" che strizza l'occhio a Blondie e alle Bangles. Parlano di strane, contorte ed oscure storie della mente nei loro brani gli Stone of a Bitch e la musica le riflette con tutta l'energia del rock visto da mille angolazioni diverse. Un album che merita tantissimo, il cui ascolto è semplicemente obbligatorio! (Bob Stoner)

(Dooweet Records - 2017)
Voto: 80

martedì 17 ottobre 2017

Ketch - The Anthems of Dread

#PER CHI AMA: Sludge/Doom
Devo ammettere che la cover del digipack dei Ketch mi aveva fuorviato non poco verso lidi black sinfonici: 'The Anthems of Dread' è invece un discreto esempio di alchemico sludge/doom che segna il debutto sulla lunga distanza di questo quintetto del Colorado, uscito originariamente nel 2016 autoprodotto e riproposto nel 2017 in questa versione targata Aesthetic Death, che include peraltro l'EP omonimo dei nostri rilasciato nel 2014. Un bel minutaggio quindi a disposizione la band statunitense (circa 66 minuti) per poterne apprezzare al meglio la propensione musicale. Si aprono i battenti con "Fertile Rites by Sacrifice", una song che parte piano ma poi si muove piuttosto linearmente a livello ritmico, ove poggiano le ruggenti screaming vocals del frontman Zach. Non mancano i momenti rallentati, come nella seconda parte della opening track, cosi come è non strano trovare un riffing oscuro ed ipnotico, caratterizzato comunque da un rutilante incedere (basti ascoltare la seconda "Distant Time"), in cui le vocals del cantante assumono forme diverse, dal tipico urlato ad un growl soffocato. In "En Nomine Dei", emerge il retaggio death doom dei nostri, in una traccia che tuttavia fatica a mostrare i caratteri distintivi per la band, che sembra ancora indecisa su quale forma di musica proporre, viste le derive post metal della successiva "The Monsters of this World", che propone un'altra visione del sound dei Ketch, soprattutto nell'arrembante finale che sciorina un bell'assolo su di una tellurica base ritmica. Un interludio acustico ed è tempo di "Detached and Conquered", song che si fa ricordare per lo più per un uso del basso per certi versi simile a quello di "Heaven and Hell" dei Black Sabbath, in un pezzo comunque caustico a livello vocale e che musicalmente vive di chiaroscuri atmosferici e ritmici, in quello che alla fine risulta essere il mio brano preferito del cd. Con "Shimmering Lights" esploreremo da qui in avanti, l'universo primordiale dei Ketch (l'EP di debutto) in una traccia decisamente più votata ad un doom lugubre e marcescente, complice un impianto ritmico militaresco nel suo flemmatico incedere sludge ed un growling cavernoso. "Counting Sunsets" prosegue su questa linea monocorde permeata di una controversa marzialità che alla lunga rischia di annoiare, soprattutto nelle conclusive ed ormai inerpicabili "Chemical Despondency" e "13 Coils", le ultime fatiche a cui esporsi prima di espugnare il fortino dei Ketch. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2017)
Voto:65

domenica 15 ottobre 2017

Diana Rising - Stars Can't Shine Without Darkness

#PER CHI AMA: Deathcore/Metalcore
I Diana Rising sono un'altra band proveniente d'oltralpe, dedita questa volta ad un metalcore colmo di groove che rischierà di piacere un po' a tutti, giovani e vecchi, amanti degli estremismi sonori ma anche chi certe sonorità cosi corrosive, non le digerisce particolarmente. Una breve intro ci consegna il primo pezzo di questo 'Stars Can't Shine Without Darkness', "Piece by Piece", una song che mostra una struttura tipicamente metalcore a livello ritmico, ma che nelle sue ariose aperture melodiche, si rende appetibile appunto un po' a tutti i gusti. Non necessariamente un difetto sia ben chiaro, ma forse nemmeno un pregio perché alla fine rischia di non accontentare nessuno, se non i soliti fan del metalcore più intransigente. Io mi diverto però, mi faccio coinvolgere dalle ottime melodie dei nostri e anche da una pulizia tecnica affatto male. Il deathcore si mischia al sound dei nostri nella seconda "Get up and Try Again", con i suoi riffoni gonfi di rabbia, ma poi la seconda chitarra si lancia nell'elaborazione di melodie ancora una volta accattivanti e sempre pregne di energia. Poi ecco arrivare i classici ritmi sincopati, i rallentamenti da manuale e le accelerazioni spasmodiche in grado di generare un feroce mal di testa. Fortunatamente, i pezzi non durano poi molto, siamo su una media di tre minuti, quindi ci si può fare anche il callo di lasciarsi investire da un'onda anomala di suoni, atmosfere, montagne di riff, vocioni growl e urlacci hardcore, synth cibernetici e tonnellate di sagaci melodie. Notevoli in tal senso "Infinite Dimensions", la strumentale "The Void" che ci libera dall'eccessivo cantare del frontman (da migliorare questo punto, mi raccomando) e la più oscura e orientaleggiante "Cursed", le tre song che ho individuato all'interno di 'Stars Can't Shine Without Darkness', come le mie tracce preferite. I francesini ci sanno fare, ma suggerisco di staccarsi dai cliché di un genere che tende troppo ad autoreferenziarsi, si corre il rischio di essere troppo ridondanti. (Francesco Scarci)

(Self - 2017)
Voto: 65

Next Step - Legacy

#PER CHI AMA: Alternative/Hard Rock, Alter Bridge
I Next Step sono un quartetto di Madrid che ha debuttato il 17 Marzo di quest'anno con l'album 'Legacy' per la label Rock Estatal Records. La band nasce però nove anni fa, quando i quattro elementi erano adolescenti ed il progetto era suonare cover divertendosi senza pensare troppo al futuro. Dopo qualche anno però, come spesso accade, la voglia di scrivere pezzi propri diventa forte e nel 2011 autoproducono il primo EP che riscuote un buon successo. Seguono due singoli, tra cui "Eternal", da cui è stato tratto un video che ha regalato visibilità ai Next Step che nel frattempo sono cresciuti musicalmente e non solo. 'Legacy' ha quindi la grande responsabilità di proiettarli verso la fama e notorietà oppure di affondarli e farli cadere nel dimenticatoio. La line-up ha subito nel frattempo vari cambiamenti ma il frontman Guillermo e la chitarrista Irene hanno mantenuto saldo il loro ruolo di mente e cuore del progetto. Il primo degli undici brani contenuti nel jewel case è "Wounds Become Scards", un brano convincente che si muove tra sonorità alternative/hard rock dalla ritmica pulsante e dotato di riff potenti. L'arrangiamento è ben fatto e ne scaturisce un brano solido e bilanciato tra allunghi e break dove non manca l'assolo di chitarra a coronare il tutto. La somiglianza con band del calibro di Alter Bridge e Black Stone Cherry è innegabile e ci fa capire l'amore della band spagnola per il filone rock americano. "Echos of a Life" si tinge di nero e tira fuori il lato più tenebroso del quartetto che si lancia in atmosfere post-grunge alla Puddle of Mudd e Creed, con il vocalist che dimostra il suo alto livello artistico. Guillermo infatti si destreggia benissimo grazie ad una buona estensione vocale e una timbrica fresca e grintosa in grado di trasmettere al meglio l'energia del brano. La sezione ritmica svolge appieno il suo ruolo regalando pattern coinvolgenti e allunghi che danno respiro alla canzone che può elevarsi verso l'alto fuggendo dalle atmosfere opprimenti. 'Legacy' rispolvera le radici hard rock della band di Madrid con passaggi acustici di chitarra che si alternano ad un ritornello graffiante e orecchiabile. Come detto prima, il lavoro di arrangiamento è ben fatto e l'utilizzo di accorgimenti come doppie voci non fa che confermare le impressioni iniziali su questo album. Irene si destreggia con stile e cognizione di causa con assoli da manuale che si sposano perfettamente con la sezione ritmica dell'eclettico frontman. Infine, la bonus track "Eternal" si merita di chiudere questo full length grazie al ruolo decisivo che ha avuto nel consolidare la posizione della band nella scena rock spagnola. La qualità audio del cd è molto buona ed insieme ad un mix in stile americano ci regalano un album che vale la pena di ascoltare, a conferma che il duro lavoro spesso ripaga. Anche se bisogna aver pazienza e dedizione. (Michele Montanari)


(Rock Estatal Records - 2017)
Voto: 80