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martedì 29 settembre 2015

Apneica - Pulsazioni... Conversione

#PER CHI AMA: Post Metal/Death Doom
L'underground italiano c'è ma non si vede. Sebbene la scena sembri alquanto statica, vuoi per l'assenza di locali, vuoi perchè le poche case discografiche preferiscono puntare su band straniere, c'è ancora chi crede nelle realtà di casa nostra. Da sempre la My Kingdom Music (e ora la sua sottoetichetta Club Inferno Ent.) tiene le antenne alzate e oggi pubblica il secondo lavoro degli Apneica, un 4-track EP interamente cantato in italiano che propone un death doom di caratura internazionale che sembra fondersi con un genere alquanto distante, il post metal. Strano infatti respirare le atmosfere rarefatte del doom dei My Dying Bride con l'alternanza vocale pulito-growl che trova modo di muoversi attraverso ritmiche che sembrano prese in prestito dai Cult of Luna. Cosi si presenta infatti "Alba Artificiale", pezzo evocativo dove mi suona parecchio strano sentire un growling minaccioso interamente cantato in italiano e dove a tratti mi sembra anche di risentire i Klimt 1918 degli esordi che si mischiano con gli Isis. Strano no? Interessante quindi questo connubio, a cui inevitabilmente dovrò farci l'orecchio per l'accostamento alquanto anomalo. E "Assenza di Gravità" segue a ruota, con Ignazio Simula dietro al microfono che, in versione pulita, sembra avere ancora ampi margini di miglioramento, mentre in versione gutturale dà prova di grande maturità. Ma è la musica a destare il mio più vivo interesse, visto che si muove sinuosa tra territori doom e divagazioni post, non dimenticandosi peraltro di una certa componente malinconica in pieno stile Katatonia, come palesato nell'incipit di "In Orbita". Poi qui si piomba nelle tenebre di un sound minimalista che sfocierà in un death doom melodico meditativo e intenso, grazie ancora alla performance oscura del bravo Ignazio, che nelle clean vocals si sforza di emulare quella di Aaron Stainthorpe, frontman dei My Dying Bride. La conclusiva title track è un pezzo strumentale, retaggio di ciò che erano gli Apneica agli esordi, una realtà dedita a introspettive sonorità strumentali. Esperimento riuscito. (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music - 2015)
Voto: 75

Manitu - Raw

#PER CHI AMA: Grunge/Hard Rock
Dal cuore della Svizzera, i Manitu sfornano il loro, se non erro, terzo album, con un titolo che è un manifesto programmatico. 'Raw', ovvero grezzo, selvaggio, poco incline alla morbidezza. Dieci brani per circa 40 minuti di rock duro, dal respiro decisamente internazionale. Quello che spicca prima di ogni altra cosa è la voce e la personalità di Manna Lia, una ragazza che ci sa fare e sa come catturare l’attenzione e tenerla desta lungo tutta la durata del disco. In realtà la cantante non è esattamente alle prime armi, avendo alle spalle diverse esperienze anche oltreoceano. La sua innegabile energia, unita ud un timbro che ricorda ora Alanis Morrisette, ora una sorta di versione femminile di Eddie Vedder, sembra contagiare i suoi compagni di avventura (David Grillon alle chitarre, Lionel Ebi al basso, Fabio Duro alla batteria) che risultano convincenti nel loro declinare un rock fortemente influenzato dagli anni '90, a metà strada tra il nu-metal, il grunge piú metallico di Soundgarden e Alice in Chains, e il rock da stadio di Foo Fighters o Skunk Anansie (paragone plausibile non solo per il fatto di avere una cantante donna). I Manitu piacciono quando spingono sul pedale dell’acceleratore, come nella trascinante opening track “What you Realize”, o in “Blind” dove fa capolino anche un’interessante vena protopunk alla Stooges, e si dimostrano capaci anche di inaspettate aperture melodiche di grande respiro e potenziale come nel chorus di “The Edge”. Ma i momenti in cui si fanno preferire, quelli in cui riescono a sfoderare una personalità piú definita, sono quelli in cui i ritmi rallentano e la componente emotiva reclama piú spazio: “24/7”, “Another Lie” o i saliscendi della conclusiva “Mary”. Nulla di nuovo sotto il sole quindi, tuttavia 'Raw' è un lavoro sincero e appassionato, che potrà sicuramente guadagnare ulteriori punti nella sua riproposizione live. (Mauro Catena)

(Self - 2015)
Voto: 70

domenica 27 settembre 2015

Hollow Haze - Countdown to Revenge

#PER CHI AMA: Power Sinfonico
I vicentini Hollow Haze, capitanati dal chitarrista fondatore Nick Savio fin dal 2003, hanno da poco pubblicato il loro sesto album in studio, ‘Memories of an Ancient Time’, il quale sta riscuotendo un discreto successo. Tuttavia, quello di cui andiamo a parlare oggi è il precedente full-length della band, quel ‘Countdown to Revenge’, pubblicato nel 2013, che forse rappresenta il loro lavoro migliore. La formazione degli Hollow Haze del 2013 vede dietro al microfono il signor Fabio Lione, veterano della scena power italiana (Rhapsody of Fire, Vision Divine, Labyrinth), che sicuramente rappresenta una spinta in più per il gruppo veneto. Punto di forza di ‘Countdown To Revenge’ è la collaborazione anche con la Wintermoon Orchestra di Simone Giorgini, che apporta una interessante innovazione nel sound della band, amalgamando la potenza delle composizioni di Nick Savio ad azzeccate orchestrazioni sinfoniche, le quali fortunatamente non rubano mai la scena, ma vanno ad inserirsi nel sound dei nostri senza appesantirlo troppo. Lo si può percepire già dalla cavalcata iniziale “Watching in Silence”, che si presenta con un pomposo intro orchestrale fino all'ingresso della band che ci travolge con la sua accelerata, a cui partecipa anche l'orchestra che sembra non mollare mai la presa, andando a creare uno dei passaggi più belli del disco. Le atmosfere sinfoniche ci accompagnano fino alla fine del brano (e anche per tutto l'album), in cui possiamo apprezzare anche un ottimo assolo di chitarra, che mette in luce le doti tecniche di Savio. Il disco prosegue con il tipico sound power-moderno dell’ensemble veneto, sempre accompagnato dalla Wintermoon Orchestra e arricchito dalla voce del grande Fabio (che qui si è occupato anche della stesura dei testi) che ci accompagna fino all'interessante suite che dà il nome all’album, per poi concludere con la strumentale “The Gate To Nowhere” che ci riporta alla dimensione iniziale. Un altro ottimo passaggio a favore per la formazione vicentina, che con quest'album mette a segno l’ennesimo colpo per farsi largo nella scena, valorizzati peraltro dal sempre ottimo lavoro di produzione da parte di Sascha Paeth, sicuramente uno dei produttori in circolazione più in gamba in assoluto che rende questo disco uno spettacolo di suoni. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Scarlet Records - 2013)
Voto: 80

http://www.hollowhaze.com/

sabato 26 settembre 2015

Hamleypa - Im Morgen von Einst

#PER CHI AMA: Post Black Atmosferico, Deafheaven, Austere
Partito come un progetto di due musicisti nel 2007, la band di Norderstedt ora consta addirittura di sei loschi individui che si celano dietro le sole iniziali dei loro nomi, dietro il monicker Hamleypa e il titolo di quest'album che tradotto starebbe a significare "La mattina di Einstein". Oltre a questo non riesco a spingermi e la curiosità di sapere cosa risiede nei testi di quest'act teutonico si fa molto forte. Nel frattempo vi posso spiegare che cosa potrete attendervi dalle note di 'Im Morgen von Einst' ossia quattro lunghi brani di sofferente black atmosferico. Il disco esordisce infatti con il sound crepuscolare di "In Tausenden Flüssen" (la traduzione di "in migliaia di fiumi") che lascerà ben presto spazio alla furia iconoclasta del suo riffing zanzaroso black (scuola Austere) su cui si staglia lo screaming, non proprio raffinato, del suo frontman. Per fortuna lungo gli undici minuti di flusso sanguinoso, il sound secco della band trova modo di adagiarsi in arpeggi acustici, aperture malinconiche e velenose epiche cavalcate. Peccato che la produzione non proprio impeccabile, penalizzi il suono globale, rendendolo talvolta un po' troppo impastato in cui si fa più fatica a riconoscere i singoli strumenti piuttosto che le vocals belluine del cantante. Con "Endlos" (infinito) la musica non cambia e ci abbandoniamo pertanto alle violente percussioni dei nostri che si intrecciano con le rasoiate delle sei corde e il feroce cantato dell'oscuro vocalist, ma non temete perché nell'arco dei suoi quasi dieci minuti, la song troverà anche il modo di dare spazio ad aperture dal lontano sapore shoegaze cosi come pure a nevrotiche spinte di black funesto o a delicati tocchi di piano che delineano uno dei pezzi più ad alta tensione di questo debut album. "Diese Welt, das Was War, die Erinnerung an Dich, Unser Werk War es und Unseres Allein" è interessante per il suo lungo ed enigmatico titolo e altrettanto per il contenuto che non si discosta, strutturalmente parlando, dalle precedenti song, con l'alternanza tra foga black e passaggi atmosferici. A chiudere 'Im Morgen von Einst' ci pensa la demoniaca (almeno a livello vocale) "Algol", song che conferma la bontà della proposta del combo teutonico, ma sul cui sound suggerisco qualche miglioria a livello vocale e a livello di produzione, per poter presto sfondare con un nuovo lavoro che consenta ai nostri di stare accanto a fenomeni del calibro dei Deafheaven. (Francesco Scarci)

(Throats Productions - 2015)
Voto: 70

https://www.facebook.com/Hamleypa

Clouds Taste Satanic – Your Doom Has Come

#PER CHI AMA: Doom/Stoner
Torna una delle più belle realtà stoner/doom degli ultimi anni con un secondo album autoprodotto di qualità superiore. Nelle sei tracce medio lunghe della band strumentale di Brooklyn si trovano mille sfaccettature e varianti sonore tutte gravitanti attorno la vasta orbita dello stoner rock. Dalle cadenze rallentate del doom alle allucinazioni cosmiche dello space rock, le tipiche cavalcate stoner ed il tocco vintage a ricordare che il tutto nacque dai mitici Black Sabbath. Potreste dire che fino a qui è tutto normale ma in realtà 'Your Doom Has Come', pur non contenendo innovazioni musicali, risuona fresco e tonante, ricco di personalità, prodotto divinamente, senza lacune ne plagi. I Clouds Taste Satanic suonano come i Monster Magnet dell'ultimo album 'Last Patrol' ma più arcigni oppure come i mai dimenticati 7zuma7 e condividono con queste due leggende la stessa visione della musica suonata come rituale, un mantra che inebria e allarga la mente, un vortice di suoni e ritmi visionari, selezionati e calcolati a dovere per ottenere l'effetto psichedelico dovuto. Nulla è lasciato al caso, l'attitudine ipnotica, costantemente virata ai 70's ma senza imitarli, li rende unici ed anche quando si atteggiano a fare i doomster, riescono a far uscire il loro lato più rocker senza risultare banali e ripetitivi. Potremmo paragonarli ai primi Karma to Burn ma sono più acidi e meno heavy, avvicinarli ai primi esaltanti 35007, immaginando il glorioso combo olandese ovviamente con un suono più a stelle e strisce, magari per chi se li ricorda, riallacciarli al capolavoro dei geniali Core in 'Revival' del 1996 in una forma più attuale. In realtà, i quattro musicisti americani mostrano talento, orgoglio, creatività e voglia di esplorare nuove vie per un genere che il più delle volte negli ultimi tempi ha offerto solo patetici cloni. Sanno scrivere brani avvolgenti e cavalcano l'onda con abilità, mostrando anche una sensibilità ipnotica di tutto rispetto, compreso l'artwork creato sul capolavoro di Peter Bruegel, 'The Fall of the Rebel Angels' che si raccorda alchemicamente al mitico 'Forest of Equilibrium' dei Cathedral. Se amate il vintage ma non volete ascoltare delle false imitazioni e lo cercate proiettato nel futuro, più potente, rivisitato, allucinato e catartico, abbracciate questo album e fate di questa band il vostro oggetto di culto! Adorabili! (Bob Stoner)

Interview with Shepherds of Cassini

Follow this link to know who are the guys of Shepherds of Cassini, authors of the new album 'Helios Forsaken', an interesting mix of Porcupine Tree, Tool and King Crimson:



venerdì 25 settembre 2015

Mare Infinitum - Alien Monolith God

#FOR FANS OF: Atmospheric Doom/Death Metal, Morgion, Shape of Despair
As has become quite common-place recently, Russia has spewed forth an impressive collection of Doom/Death Metal bands that offer sprawling, majestic paces mixed with melody and aggression, and much like those bands this three-piece effort offers a crushing display of that style on this second full-length. The whole idea here is glacial-slow paces, built around thudding bass-lines and plodding, simple drumming with a fine mix of churning, low-end guitar riffing compiling some of the heaviest rhythms possible at such a finite tempo to produce a fine Doom/Death Metal base while the rather pleasing addition of clean vocals and celestial keyboards provide this with some rather pleasing atmospheres, and the whole affair is effectively dripping with a kind of quality one expects from the recent explosion of Russian acts attempting similar styles. In fact, the pace and vibe here borders on Funeral Doom Metal at times in terms of tempo but still keeps this one more firmly rooted in the Death Metal realms which is quite enjoyable at times even if responsible for making this a little slower than would be expected from such a genre, and as a whole the album is quite enjoyable. Opening track ‘The Nightmare Corpse – City of R’lyeh’ turns from light lilting guitars to a steady mid-paced crunch and follows through nicely as the mix of cleans and harsh growls compliment the raging tune nicely as this kicks off the album in fine fashion. ‘Prosthetic Consciousness’ also follows suit with a similar opening style that again turns into a simplistic, plodding series of crushingly heavy rhythms and plenty of stylish patterns that do keep the atmosphere going while never quite doing much of anything to get the pace going as this is just too slow and plodding to mean much of anything here against the other tracks. The epic title track is another massively slow-burning effort filled with plodding tempos and a series of fine celestial-inspired keyboards coursing through the middling pace as the heaviness is substituted very nicely for melody instead as the massive arrangements move into a light, relaxing celestial journey that makes for quite a moving experience here, and while it could’ve been trimmed up a bit still ranks as one of the highlights. ‘Beholding the Unseen Chapter 2’ attempts to change that up with a more pronounced and explosive series of truer Doom/Death Metal stylings with a rather discernible emphasis on a heavy rhythm and rather bombastic series of keyboards amidst the thumping riffs that make for another strong highlight offering. Lastly, ‘The Sun That Harasses My Solitude’ offers a strong, lilting piano intro with atmospheric keyboards through the plodding, celestial tempos crashing along with the Doom rhythms and a grandiose, majestic finale that makes for a great conclusion here. They do this style quite well, and are certainly enjoyable enough overall even if they can do with some shortening up from time-to-time. (Don Anelli)

(Solitude Productions - 2015)
Score: 80

mercoledì 23 settembre 2015

Deluge - Æther

#PER CHI AMA: Black/Post Hardcore
Tanto per usare un termine calcistico, la cantera transalpina produce ogni giorno una serie infinita di fenomeni, dei Messi, Xavi o Iniesta in erba. Ovviamente traslate il tutto in termini musicali, e non stupitevi se la Francia raccoglie nei propri confini tra le migliori band estreme in circolazione: Alcest, Blut Aus Nord, Deathspell Omega, Dirge o Hacride sono i primissimi nomi che mi sono venuti in mente mentre ascoltavo la prima corrosiva song dei Deluge, una new sensation appunto, proveniente da Metz, inglobata da poco nel mondo Les Acteurs de l'Ombre Productions. La band irrompe selvaggia come non mai, senza filtri, senza intro smelense o accattivanti, un attacco all'arma bianca fatto di irruenti ritmiche viscerali, che miscelano la velocità del black con la caustica melodia del post-hardcore. "Avalanche", la opening track di 'Æther', mi convince istantaneamente, per la sua innata capacità di far coesistere generi cosi distanti tra loro ma mai cosi vicini come in questo caso. Un'eccelsa produzione poi fa il resto, esaltando i suoni e le criptiche atmosfere in cui ai nostri piace cosi di frequente celarsi. "Appât" dà un altro scossone, nemmeno ce ne fosse stato bisogno, con il tonante suono di una batteria impazzita, più vicina a un terremoto dell'ottavo grado della scala Richter piuttosto che a uno strumento musicale. Terremotanti, eccolo l'aggettivo giusto da affibbiare ai Deluge, anche se nel corso del brano non mancheranno rallentamenti post sludge a rendere il suono accattivante. Più suadente appare invece il prologo di "Mélas|Khōlé", prima che una pericolosa deflagrazione sfoci in una mostruosa combinazione di riff nevrotici e drumming schizofrenico, che troverà la pace interiore nel suono conclusivo di un temporale. Si sa che tuoni e fulmini non portano nulla di buono ed ecco che in "Naufrage" esce ancor più forte l'acredine hardcore della band francese, con il suo vocalist, dallo screaming urticante, a vomitare il proprio livore. Il temporale non accenna a placarsi e su distorte linee di chitarra, lo si sente presente in sottofondo ad accompagnare la progressione di "Houle", un'altra song burrascosa in cui le melodiche linee dei Deluge, fanno più fatica ad emergere, lasciando che l'assalto sonoro ci dilani le carni. Ci provano i Deluge a darci un attimo di respiro, ma poca roba, l'annichilimento sonoro risulterà completato già sul finire di questa traccia. Con le ossa ormai rotte, mi avvio ad ascoltare la seconda metà del cd, che esordisce con i nove minuti e mezzo della strumentale "Klarträumer" e prosegue con l'interlocutoria "Vide", di cui francamente se ne poteva anche fare a meno. Il temporale è incessante in sottofondo e introduce con rarefatti tocchi di chitarra, l'inizio di ogni brano. Sembra che lo spirito battagliero della band vada via via assopendosi lungo il disco, almeno nelle battute iniziali di ogni traccia, per poi venir rivelato nel corso delle seguenti vetrioliche tracce che terminano con la finale "Bruine", a suggellare la performance di un'altra, l'ennesima, entusiasmante realtà musicale, proveniente dalla vicina Francia. Un ultimo plauso va all'attività di scouting della Les Acteurs de l'Ombre Productions, sempre più attiva in casa propria a cercare le migliori band. Un po' come dovrebbe capitare in Italia, paese sin troppo esterofilo, ricco tuttavia di ottime band e anche di giovani campioni nel calcio. Meditate gente, meditate! (Francesco Scarci)

(Les Acteurs de l'Ombre Productions - 2015)
Voto: 75

domenica 20 settembre 2015

Luna – On the Other Side of Life

#PER CHI AMA: Funeral Doom/Gothic
Risuona come un presagio plumbeo il nuovo album della one man band ucraina Luna. Uscito per la Solitude Prod. in questo 2015, il disco mostra tutta la sua devozione alla musica del destino, con tastiere epiche ed immortali, una cadenza lenta ed esplosioni dal suono metallico, granitiche e possenti. Le uniche due lunghe tracce che compongono l'album sono monolitiche e solenni, in puro stile Skepticism anche se Luna tende a mantenere sempre un legame viscerale con certe sonorità death e gothic molto radicate nella sua costruzione. L'album è di pregevole fattura, sale di intensità continuamente e si inserisce bene nella media dei lavori inerenti al doom/ funeral/ambient metal, che richiedono una preparazione tecnica elevata e una certa sensibilità compositiva al di sopra della norma per non creare lavori ripetitivi e noiosi. Con un artwork pregevole ed insolito ricavato dalle opere di Munch e Demort, la mente dei Luna, intende ritagliarsi uno spazio nel tempio del doom che conta, offrendo un prodotto dalle atmosfere surreali, oscure, ampie e drammatiche, un flusso continuo di energia grigia che esalta ed estranea l'ascoltatore portandolo in un mondo desolato atto ad indurlo ad una riflessione infinita. Due tracce affascinanti, intense, dove il secondo brano, che dona anche il titolo all'album, spicca per la sua inusuale vena decadente e romantica, piena di speranza. Una composizione sinfonica più che perfetta, 33 minuti di malinconica melodia dove l'autore sarà in grado di amplificare la sua anima gotica ed eterea, sacrificando leggermente il lato più doom del sound, senza perdere la caratteristica tensione, avvicinando infine la propria proposta ad una imperiale colonna sonora dall'evoluzione progressiva. Album da ascoltare tutto d'un fiato e in completa solitudine! (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 75

sabato 19 settembre 2015

Potmos Hetoimos - The Paragon Trisagion

#PER CHI AMA: Death/Black/Progressive/Post Metal/Sludge Opera
Che sia un viaggiatore nella vita, è noto da tempo. Altrettanto mi piace fare nella musica: un giorno sono in Nuova Zelanda, il seguente in Polonia e poi ancora in Sud Africa o in Argentina. Oggi il mio viaggio fa tappa in US, Baltimora, per scoprire l'ambizioso progetto di Matt Matheson, la sua one man band Potmos Hetoimos e l'infinito album (solo in termini di durata, per cui non so neppure se arriverò al termine) 'The Paragon Trisagion'. Il lavoro, che vede la partecipazione di una innumerevole serie di ospiti, consta infatti di 21 brani con delle durate che oscillano tra i 4 e gli 11 minuti, con la vetta massima di "Wayward Stars", che dura la bellezza di 55 estenuanti minuti. Ecco facendo due conti, 'The Paragon Trisagion' è un'opera monumentale che si aggira sulle 3 ore e venti di musica che inizia con "Light Wells" che vede Matt muoversi su un territorio assai vicino ad un sound progressive, anche se nelle note della traccia è facile imbattersi in influenze sludge. Notevole l'apporto del sax e di percussioni tribali che continueranno anche nella successiva "Synthetic Eclipse", traccia dal lento incedere, ove compare, in veste di guest, Teemu Mäntynen voce dei Crib45. La song palesa comunque una certa umoralità di fondo che rende il risultato assai vario e mutevole lungo i suoi 10 minuti abbondanti di durata. Un break cibernetico ed è il momento di "Amethyst" in cui, dietro al microfono ecco vedersi Andrew Millar dei Patrons of the Rotting Gate, che abbiamo avuto modo di conoscere anche qui nel Pozzo, il cui furioso spirito battagliero si riflette nelle note di questa song black/death mid-tempo. "Strawgod" ha il piglio malinconico, lo percepisco già dalla melodia di quella che sembra essere un'arpa, per poi evolversi in un altro lungo e tribolato cammino in cui affiorano tutte le influenze del bravo Matt: ambient, post rock, sludge e death coesistono egregiamente in un pezzo, il cui solo limite potrebbe essere costituito da una produzione non sempre all'altezza. "Cherubae" è una traccia strumentale delirante che si muove tra ombre progressive e noise. "Fear and Bright" affonda pienamente le sue radici nel folk. Difficile star dietro all'eccletismo sonoro dei Potmos Hetoimos, perchè da un pezzo all'altro, i nostri subiscono drastici cambi di fisionomia: non stupitevi pertanto se "Queen of the Fire" appaia di primo acchito, un pezzo di black grezzo; avrà comunque modo di rifarsi con splendide chitarre dal sapore cascadiano che inneggiano agli Agalloch. Credo alla fine sia proprio la peculiarità di 'The Paragon Trisagion' quella di apparire come un diamante grezzo che debba essere lavorato e reso più puro. Ma forse sta proprio qui il limite di quest'incredibile opera, che prosegue con la psichedelica ferocia di "Heliamartia" e l'onirica "Adamah, Anima", che mostra forti richiami al rock progressivo anni '70. Si torna a sognare con "Fallow Soil" anche se le sue plumbee atmosfere non mettono decisamente a proprio agio; ma quando sono le chitarre acustiche ad affrescare l'etere, qui accompagnate anche da percussioni tribali, sembra addirittura di trovarci in un mercato di un qualunque paese esotico. Nella rockeggiante "The Devil's Miracles" ecco un altro ospite, Carlos Lozano dei Persefone a regalarci un prezioso assolo in un'altra lunghissima e mutevole canzone che si muove tra suoni mediterranei, fraseggi acustici ed irruenze metalliche. La classe di Matt e dei suoi ospiti emerge forte anche nelle successive tracce grazie ad una musicalità multicolore che continuerà a spaziare tra post metal, ambient, rock e doom, e in cui gli estremismi sonori si ritrovano solo nei vocalizzi gutturali del mastermind statunitense. Mi soffermo infine sui 55 minuti di "Wayward Stars" che fondamentalmente fa da colonna sonora a una breve epica storia che verrà fornita a chi acquisterà la release digitale di questo incredibile musicista, un vero pozzo di idee che nel suo epilogo toccheranno il punto più alto della sua immaginazione e dove convoglieranno tutte le influenze dell'artista del Maryland. Che altro dire se non che 'The Paragon Trisagion' sia il disco più ambizioso che mi sia mai capitato di recensire negli ultimi vent'anni. L'unica nota di demerito per Matt è il fatto di non aver spezzato questo lavoro in tre release separate in termini temporali, cosi da renderle disponibili anche in formato fisico e non solo digitale. La grande abbuffata rischia infatti di far passare in sordina siffatto capolavoro. (Francesco Scarci)

Septic Mind - Rab

#PER CHI AMA: Funeral Doom/Avantgarde
C'è qualcosa di indescrivibile in questo terzo album assai inspirato dei russi Septic Mind. Un universo di sfumature oscure che toccano un'infinità di generi che si trasformano in magia sonora traccia dopo traccia. Una sonorità fredda che potrebbe simulare i mitici Fields of the Nephilim, viene riplasmata con influenze d'avanguardia inaspettate tipo Spherical Unit Provided, venature dark/black metal, inserti d'elettronica minimale e altre diavolerie varie, improbabili chitarre acustiche dal lontano sapore di folk e rumoristica varia. Ad estrarli definitivamente dal calderone funeral metal, è un'attitudine glam esuberante ben radicata nel duo, che rende il loro suono esageratamente attraente, una qualità che non tutte le band odierne possono vantare. Il suono del duo di Tver è tipicamente derivato dal doom metal ma caratterizzato da una vena molto dark che sembra uscire dalle migliori band death rock con un velo 80's di tutto rispetto, con riverberi esagerati di batteria, tappeti di tastiera incantati, chitarre taglienti e voci cavernicole intriganti, sensuali, perverse e dal fascino luciferino, una sorta di Ex-VoTo in salsa Incantation. Le tracce sono variegate e ben prodotte (la mia preferita è la lunga "Na Poroge Peremen" che chiude il disco con un sound sperimentale, psichedelico spiazzante, decisamente originale), piene di escursioni e rimandi sonori a più entità del passato tra cui Swartalf, Atrocity, Rapture, e con una certa propensione ai Shape of Dispair che fa da legame su tutto. 'Rab' (in cirillico 'Раб') è alla fine un album ostile, ottimo per ascoltatori amanti della ricerca sonora, chicca per estimatori della sperimentazione tra generi e del funeral doom più contaminato e ricercato, quello che non si presta ad omologazioni e di difficile catalogazione, per quei suoi connotati progressive e d'avanguardia. Quattro lunghi brani licenziati sul finire del 2014 via Solitude Prod. che innalzano ulteriormente il valore delle sempre più ricercate uscite dell'etichetta russa. Una band notevole! (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/SepticMind