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sabato 25 luglio 2015

Anathème - Fujon

#PER CHI AMA: Post Rock strumentale
In una sera qualunque d’un luglio greco, i francesi Anathème spezzano l’aria intrisa di scirocco e profumi caldi d’estate. Il post rock del gruppo di Nancy è particolare. La sottotraccia delle sonorità, lascia nel dubbio perpetuo che la loro composizione sia appartata, aliena e ricercata, senza perdere in spontaneità quanto mai carismatica. Camminate con me, armati d’aspettativa, lungo questo tunnel sotterraneo che è “Ruine”. Il brano è morbido. Accattivante. Carezzevole. Il sottofondo ricorda una vecchia puntina che corre in cerchio su un 33 giri sfatto. La melodia è dolce ed ipnotica. Un intro che con me ci ha saputo fare. Non chiudete gli occhi. Non ancora. Potreste essere bruscamente destati da questa “AgCat/VO”. L’esordio del brano soffia tutto d’un fiato nelle casse. Rock puro. Il proseguo richiama l’intro, ma i volumi dei pensieri sono distorsioni, che anziché cullare, creano disegni lisergici sospesi tra gli occhi e la mente. L’epilogo straccia la vitalità strumentale per ricreare lento lo stacco con il prossimo pezzo. “Baisers de Glasgow”. Ancora sinusoidi psichedelici. Lo stile non cambia. Chitarra, batteria convogliano in questo brano come egocentrismi sonori, che una volta al centro dell’attenzione, s’inchinano al passaggio della dama bianca, che è questa voce così femminile e suadente che ci accompagna quasi fino alla fine. Poi, in chiusura, tornano batterie e chitarre come paladini ruggenti ed imperiosi. “Ohka”. Eccomi al quarto brano. Lo stile degli Anathème si riconferma. E che abbiate voglia di volume caldo o tiepido, questa song vi farà da compagno di viaggio in un turbine sensoriale dai risvolti inaspettati. Abbiate ora un istante fluido come acque di fonte che scorrono a cascata sulla pelle madida di quest'estate. Chiudete occhi cuore ed anima. Lasciate spazio solo all’eleganza invadente di questa “U Govna!”. Non ve ne pentirete. Tinnuoli. Fragranze di peschi in fiore. Sorde involuzioni. Spazi tra il battere ed il levare di questo ritmo che avvolge. Gli Anathème con 'Fujon', si prenderanno cura delle vostre velleità musicali. Avranno spazi e tempi per ognuna delle vostre speranze disattese. Un album che dal primo all’ultimo pezzo vi travolgerà con stile e personalità. Buon viaggio ovunque gli Anathème vi portino. (Silvia Comencini)

(Self - 2014)
Voto: 80
 

Aether Drop - Mannequins

#PER CHI AMA: Alternative Rock/Nu Metal
Gli Aether Drop sono un quintetto romano nato nel 2012 e con all'attivo un EP uscito un anno dopo la loro formazione. Recentemente la band ha prodotto il full length 'Mannequins', distribuito dalla Agoge Recors, e contenente undici tracce pregne di sonorità alternative/nu metal cantate in inglese. La traccia che apre il cd è strutturata su voce, tappeto di synth e un loop di batteria, il tutto per fare da intro ad "Attitude", un brano potente e viscerale. I riff di chitarra sono ben fatti, mutevoli sia nell'arrangiamento che nella metrica, merito soprattutto della struttura ritmica sapientemente creata da basso e batteria. I suoni sono quelli che ci si aspetta dal genere, quindi moderni, compressi e per certi versi un po' piatti, comunque il brano è godibilissimo per tutti i quattro minuti di durata. Cambi di ritmo, break, accelerazioni e quant'altro richiamano i fautori del genere, ma non disdegnano qualche digressione prog metal. "Tyranny Child" mette in evidenza la grinta del vocalist che ha una timbrica squillante e doti non indifferenti, riuscendo a creare linee vocali ben strutturate e varie. L'assolo di chitarra a metà brano scarica la tensione del pezzo con un leggero rallentamento e il successivo break di chitarra acustica ci catapulta in una ballata rock per qualche secondo. Non si ha neanche il tempo di pensarci su se ci piace o no, che il brano cresce e torna alle sonorità metal. "Anger Grows" è probabilmente il pezzo più aggressivo e d'impatto, con ritmiche che s'intrecciano a suon di doppio pedale, cori e muri di chitarre che non lasciano alcun scampo all'ascoltatore. Un concentrato di rabbia, ben interpretata anche dal frontman che vela di oscurità il proprio timbro vocale per meglio adattarsi al mood del pezzo. A mio avviso alla fine da considerarsi come miglior traccia del disco che vede gli Aether Drop al top del proprio agio. Chiudiamo con "Made of Tears", dove ricompaiono i synth che avevamo incontrato nella traccia d'apertura, ma che sono stati poi messi da parte per tutto l'album (peccato). Un brano più disteso, introspettivo e carico, dove si apprezzano sempre le ritmiche ben studiate e gli arrangiamenti che mutano vicendevolmente durante tutta la durata del pezzo. Dopo qualche settimana di ascolto del nuovo album degli Aether Drop, posso dire che 'Mannequins' è un lavoro ben scritto, registrato e mixato. Anche i testi sono piacevoli, trattano tematiche attuali e non sono banali. La band romana vive delle grosse influenze del genere, ma può vantare una solida identità musicale che potrebbe sfociare in qualcosa di ancor più ricercato e intimo. Alcuni passaggi nei brani sono poco personali e legati forse alla voglia di piacere a tutti i costi agli ascoltatori, questa però è una scelta di percorso che lasciamo agli Aether Drop che intanto ci hanno dimostrato di avere tutte le carte in regola per fare buona musica. (Michele Montanari)
 
(Agoge Records - 2015)
Voto: 75
 

martedì 14 luglio 2015

M.H.X.’s Chronicles – Infinite Ocean

#PER CHI AMA: Swedish Death Metal/Heavy, Dark Tranquillity, Iron Maiden
MHX sono semplicemente le iniziali di Murillo Henrique Xavier, il musicista che ha dato i natali a questa band di San Paolo, Brasile. Murillo dopo un EP di debutto, si è circondato di altri musicisti, dando alle stampe a questo full length, ‘Infinite Ocean’. Il genere proposto? Beh direi che il riferimento al binomio Dark Tranquillity/In Flames ci sta tutto per descrivere le gesta del quartetto paulista, che dopo l’acquatica overture strumentale, detona con “Conquest of the Oceans”, nella loro personale rilettura dello swedish death. Chitarre melodiche sparate a mille, vocals stile Mikael Stanne, una mitragliata a livello di drumming, splendidi break melodici e assoli da capogiro, rappresentano a mio avviso, un biglietto da visita niente male per questi nuovi arrivati. “Castle in the Sand” sfoggia altre influenze che vanno dal metalcore all’heavy più classico (scuola Iron Maiden) passando addirittura per suoni progressivi e bombastici (Dream Theater e Children of Bodom), che delineano l’assoluta perizia tecnica di questi quattro ragazzi sud americani e anche una certa versatilità nel sapersi muovere attraverso più generi, peraltro mostrando anche una certa disinvoltura a livello vocale. “The Way Home” ha un che di malinconico, quel sound che si trovava un po’ ovunque nelle tracce di ‘Projector’ dei Dark Tranquillity, merito di un emozionante pianoforte in sottofondo e di un sound mid-tempo davvero convincente. Pianoforte che ritorna prepotente anche in “At the End”, sorretto da una timida chitarra in sottofondo, che pian piano cresce e guida la melodia portante del brano con un riffing secco e corrosivo, mentre le vocals passano con una certa agilità tra il growling e il pulito, mentre Michel e Murillo alle chitarre, tracciano solchi di melodie astrali. Il vento soffia in “Outcry”, la tastiera è l’elemento predominante nella matrice sonora dei nostri, l’approccio si fa più ruffiano, ammiccando ad un alternative rock malinconico, stile francesi Demians, con la componente death metal scomparsa quasi del tutto dai radar di questo brano. Niente paura, tanto con “Havet” si ritorna ai riffoni di scuola svedese, con la batteria che diventa ancor più annichilente. La song, carica di groove, torna a tingersi di richiami metalcore. Le cornamusa (o almeno qualcosa di molto simile) si palesano nella breve “Amazing Grace”, traccia comunque piacevole nella sua epicità che anticipa i quasi dodici minuti di “A Winter Song”, la canzone più complessa del lotto, complice anche la sua lunga durata, ma anche quella più melodica e vicina al metal degli HIM, a testimoniare ancora una volta l’eterogeneità che avrete modo di riscontrare durante l’ascolto di ‘Infinite Ocean’. Il pezzo è comunque una girandola emotiva in cui i nostri sapranno dar sfogo a tutte le loro passioni, toccando addirittura suoni ambient ed etnici. Chiude il suono del mare di “Moon and Sea”, traccia acustica che sarebbe bello suonare su una spiaggia, al tramonto, alla persona che amiamo. Esotici. (Francesco Scarci) 

(Self - 2015)
Voto: 80

domenica 12 luglio 2015

Interview with Ashtar

Follow this link for an interesting chat with the Swiss Black Doom metal band of Ashtar: 

http://thepitofthedamned.blogspot.it/p/interview-with-ashtar-july-2015.html




Pavillon Rouge - Legio Axis Ka

#PER CHI AMA: Black/EBM/Industrial, Blutengel, Suicide Commando, Aborym
Che la violenza regni sovrana: deve esser stato il motto dei francesi Pavillon Rouge quando hanno concepito questo nuovo, secondo capitolo, della loro discografia, intitolato 'Legio Axis Ka'. Nove sorprendenti tracce che si dimenano nell'ambito di un furente black industriale danzereccio. Certo, stride un po' scritto cosi, ma il quartetto di Grenoble ci attacca con un black efferato che trova nella programmazione del drumming il punto di contatto con la musica techno-industriale. Quel che è certo è che da quando "Prisme Vers l'Odysée" farà il suo ingresso nel vostro stereo sino al termine del disco, non troverete alcuna sosta nell'arrembante proposta dei nostri. Verrete infatti investiti da blast beats sintetici, da vocals ostili, da ipertrofiche velocità ritmiche e da splendide melodie di una band dalla forte attitudine industriale miscelata alla perfezione con l'iconoclastia del black. "L'Enfer Se Souvient, l'Enfer Sait", sebbene l'inizio dotato di una ritmica marziale, esplode nella rabbia distruttiva di un suono che potrebbe richiamare gli Aborym più elettronici, i Plasma Pool e i Mysticum. Un coro che sembra inneggiare al Sole apre "Mars Stella Patria", pezzo più controllato, quasi rock se solo non avesse l'immancabile componente elettronica in sottofondo e se nella sua seconda metà non invadesse nuovamente territori della dance music e dell'EBM. "A l'Univers" è il tipico pezzo che si potrebbe ballare in una discoteca hardcore con i beat che vanno a ritmi infernali, ed enfatizzano la veemenza della proposta di questi pazzi scalmanati. Se avete un'idea del sound di Suicide Commando ed Hocico, traslati in veste black, potrete intuire di che cosa stia parlando. "Aurore et Nemesis" è un pezzo oscuro che mi ha evocato nella mente i Samael della loro svolta elettronica, un brano dotato di un refrain accattivante che ho semplicemente adorato e che lo pone in cima alle mie preferenze di questo 'Legio Axis Ka'. Si torna ai beat discotecari "tuz tuz tuz" con "Droge Macht Frei", anche se poi un ottimo assolo rock distoglie la mia attenzione dalla disco dance incorporata nelle violente partiture industriali. "Kosmos Ethikos" (strumentale) e "Notre Paradis" sono un paio di pezzi interlocutori, accattivanti, ma piuttosto brevi che preparano piuttosto alla conclusiva "Kluz Santur", l'ultima efferatezza sonora di questo interessantissimo 'Legio Axis Ka'. (Francesco Scarci)

(Dooweet Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/LuxDiscipline

Ommatidia - Let's Face It

#PER CHI AMA: Dark/Alternative, Katatonia, Charred Walls of the Damned
Strana e affascinante creatura questa band francese che al suo secondo full lenght da indipendente, mostra capacità tecniche al di sopra della media e una professionalità di registrazione impeccabile. Musicisti transalpini provenienti da aree e stili diversi dell'universo metal si riuniscono sotto il nome di Ommatidia nel 2010, dando vita a questo progetto interessante e particolare. Il contenuto del disco è difficile da decifrare, anche se tutti i brani sono ottimi per costruzione ed esecuzione. Il sound della band è un groviglio di stili che pesca tra gli ultimi malinconici Katatonia, gli epici In the Woods, il progressive dei più recenti Queensryche ed il supergruppo Charred Walls of the Damned con una vena post grunge che ne aumenta il tiro. Intermezzi acustici rincarano la capacità melodica dell'album che non si sposta mai in territori troppo rumorosi od estremi, mantenendosi sempre sul confine malinconico/melodico/epico, sacrificando appena la tanto decantata inclinazione gothic metal che la band vorrebbe avere ma che non riesce ad esprime a dovere. In 'Let's Face It' troviamo in realtà un ottimo progressive metal, non incentrato tanto nei virtuosismi, piuttosto suonato benissimo, dalle sonorità pulite, patinate e potenti, che comunque non affondano mai nell'oscurità profonda e buia. Anche le parti più cadenzate risultano troppo prog per definirsi un prodotto gotico, cosa che, al contrario di ogni facile giudizio, risulta essere una menomazione molto positiva in questo singolo caso. La nascita inaspettata di una forma sonora originalissima ed equilibrata che dona una personalità alla band di tutto rispetto. L'atmosfera è incantevole e per tutta la durata del cd, grazie ad una produzione coi fiocchi, si ha la sensazione di ascoltare un prodotto mainstream e non indipendente. Assoli, chiaro scuri, aperture e un cantato molto presente, rendono 'Let's Face It' tanto omogeneo ed apprezzabile sotto ogni punto di vista. La band parigina non ha bisogno di essere inserita in una scena musicale precisa, poiché gode di tanto carattere che può tranquillamente essere semplicemente inserita nel calderone dell'alternative metal, sulla scia di band come Tool o Control Denied, anche se il suono degli Ommatidia è più consono e meno d'avanguardia. Decisamente inaspettato, 'Let's Face It' è un ottimo album contenente due brani splendidi, "Sunspot" e "Dark Swelling". (Bob Stoner)

Mother Engine - Absturz

#PER CHI AMA: Kraut/Stoner/Space Rock strumentale, Color Haze, Can
Sulla pagina Bandcamp dedicata ad 'Absturz' si legge: “Questo album è interamente registrato live dai Mother Engine mentre jammavano nella stessa stanza. Per riprodurre al meglio le dinamiche e il suono, vi consigliamo di suonare il disco […] al massimo volume possibile”. L’inizio è promettente: non molti possono permettersi di rinunciare ad editing digitali, sovramissaggi, aggiunte e rifiniture in post-produzione. In effetti l’attitudine alla jam del trio tedesco era già nota: allo Stoned From The Underground Festival del 2013 non erano in scaletta – ma si sono portati gli strumenti e hanno allestito un set live nel campeggio (geniale!), facendo il pienone e diventando gli idoli del pubblico. Preparatevi ad un viaggio spettacolare: a guidare la nave spaziale c’è il chitarrista Chris Trautenbach. Virtuoso ma senza esagerazioni, sempre in equilibrio costante tra grasse distorsioni fuzz e tonnellate di delay, flanger, wah ed effettistica vecchia scuola. È lui a tracciare le linee e il riffing di ogni pezzo: sempre originale nei suoni e nelle melodie – mai una sbavatura, mai una scelta banale, mai un passaggio noioso o scontato: non sentirete minimamente la mancanza di una voce. A co-pilotare la nave, Cornelius Grünert alla batteria (bravissimo con dinamiche, fantasia e tocco) e Christian Dressel al basso: sono loro a costituire di fatto il motore portante di 'Absturz', su cui la chitarra costruisce poi architetture strumentali sempre nuove. Grazie alla registrazione come jam in presa diretta, il lavoro è estremamente fluido: un vero viaggio tra atmosfere strumentali psichedeliche di delay e riff caleidoscopici e groovy (ascoltate la opening “Nebel”, come esplode dal minuto 4 in avanti; o le ritmiche veloci di “Relief”, soprattutto nel finalone da headbanging), tra arpeggi soffici e distanti, costruzioni prog, immense aperture di crash e distorsioni (“Wüstenwind”), lunghe improvvisazioni e calde sonorità avvolgenti. Indimenticabile il main riff di “Lichtung”, a costruire una connessione naturale tra la tradizione stoner americana (Karma To Burn, Pelican, ma anche certi Kyuss) e il kraut rock di Can e Color Haze. Misuratissimi i due interventi vocali da guest, nel finale di “Relief” e nella coloratissima “Sonne” – con una voce femminile che canta in lingua tedesca tra partenze e ripartenze della musica. Se anche voi rimpiangete una certa naturalità della musica, la capacità di far immaginare scenari solitari e viaggi spaziali, la tecnica finalizzata all’emozione, la dinamica e i lunghi delay, pur senza rinunciare all’aspetto più groovy, rock e ai riff spaccacollo – spolverate i vostri bong e non perdetevi questi 60 minuti di meraviglia tedesca.(Stefano Torregrossa)

(Gebrüllter Schall - 2015)
Voto: 90

https://www.facebook.com/MotherEngineRock

Xaxaxa – Sami Maži i Ženi

#PER CHI AMA: Alternative/Post-hardcore/Punk, Hüsker Du
Altra uscita e altro centro per la Moonlee Records, che continua imperterrita a dare spazio alle voci piú underground dell’ex Jugoslavia, senza distinzioni di sorta, alla faccia del becero nazionalismo (spesso condito da odio razziale) che siamo soliti associare a questi paesi dalla storia tormentata. È questa la volta dei macedoni Xaxaxa, band nata come costola dei Bernays Propaganda e, a quanto pare, sopravvissuta al gruppo madre, che mi risulta essersi sciolto lo scorso anno. Allo scorso anno risale anche questo 'Sami Maži i Ženi”, terzo album per il trio di Skopje, e vero e proprio disco della maturità. Questo lavoro, lo confesso, mi ha conquistato già a partire dall’artwork, che riporta una foto di gruppo di quella che, per la breve parentesi della sua esistenza, è stata la piú forte squadra di calcio che io ricordi, ovvero la Jugoslavia che conquistó la qualificazione agli europei del 1992 ai quali poi non partecipó per i motivi che sappiamo benissimo (qualche nome? Immaginatevi Savicevic, Stojikovic, Boksic, Suker, Prosinecki, Susic tutti assieme e ditemi voi se non era una cosa da perdere la testa). Con questo in testa, sono ben disposto all’ascolto di un lavoro che, rispetto agli esordi totalmente devoti all’hardcore punk dei primi Hüsker Du e dei Rites of Spring, risulta un po’ più curato, riflessivo, leggermente levigato in un suono sempre potente e aggressivo, ma meno ruvido e intransigente. Un suono che risente alresì delle influenze indie-rock e che sta a quello dei primi dischi come gli Sugar stanno agli Hüsker Du. Canzoni più melodiche e malinconiche, pur sempre in un ambito dichiaratamente punk-rock. I testi, ora arrabbiati, ora riflessivi, sono in macedone, ma questo non è un grosso ostacolo alla fruizione di un disco breve (meno di mezz’ora) e intenso, che non stanca davvero mai nel suo mettere in fila otto brani robusti e delicati allo stesso tempo. Chi ama i nomi di riferimento, non potrà rimanere indifferente di fronte a tanta sincerità. Qualche titolo su tutti: “2 Milioni Trkalački Kamenja”, “Radio Motorika", “Vlae Salep”, ma è difficile scegliere. E poi, quella foto... (Mauro Catena)

(Moonlee Records - 2014)
Voto: 70

https://xaxaxa.bandcamp.com/album/sami-ma-i-i-eni

giovedì 9 luglio 2015

Árstíđir Lífsins - Aldafödr Ok Munka Drottinn

#PER CHI AMA: Black/Viking/Folk, Einherjer, Primordial, Enslaved 
Non mi stancherò mai di ribadire come la Ván Records rappresenti un indiscusso sinonimo di eccelsa qualità. L’abbiamo visto recentemente con band del calibro di Macabre Omen, Sulphur Aeon o i nostrani Caronte, lo confermo oggi con il come back discografico degli impronunciabili islandesi Arstidir Lifsins e del loro terzo album, uno splendido doppio lavoro in formato digipack, dal semplicissimo titolo ‘Aldafödr Ok Munka Drottinn’. Il disco, che vanta anche un raffinato booklet interno tra testi in lingua madre e traduzioni in inglese, affronta le consuete tematiche legate alla mitologia nordica, che rappresentano la principale fonte di ispirazione del terzetto islando-germanico. Cinque le tracce comprese nel primo cd di questa eroica saga, che apre con la lunga “Kastar Heljar Brenna Fjarri Ofan Ǫnundarfirðinum” che narra la storia dei fratelli Hoskuldr e Sigfùss, muovendosi tra furibonde cavalcate black e intermezzi di epica narrazione, con le voci che si alternano tra un selvaggio screaming e un parlato narrativo che tornerà anche nei seguenti brani. Proprio all’inizio di “Knǫrr Siglandi Birtisk Á Löngu Bláu Yfirborði” infatti, vi è infatti un racconto introduttivo di Marsél Dreckmann (membro dei tedeschi Helrunar). Poi le spade vengono brandite al cielo, gli eserciti allestiti per la guerra e quello che posso immaginare nella mia fantasia, è il momento che anticipa la battaglia e gli inni che vengono intonati prima di essa, con la musica che si muove tra suggestioni cinematiche, scorribande black e frangenti ambient. Il fragore delle armi irrompe nella malvagia “Þeir Heilags Dóms Hirðar”, song black mid-tempo che ha modo di esibire fantastici intermezzi acustici che ne placano l’incedere violento e funesto, in una lunga evoluzione di quasi 14 minuti. Con “Úlfs Veðrit Er Ið CMXCIX” immagino di contare i morti sul campo di battaglia, complice l’avanzare greve all’insegna di un doom drammatico e solenne che da lì a poco evolverà verso lidi di rabbia furente, interrotta solo dal calar delle tenebre, che si manifestano con un ridondante suono di chitarra acustica e voci narranti in sottofondo che raccontano le gesta di antichi eroi. “Máni, Bróðir Sólar Ok Mundilfara” sembra suonare interlocutoria, quasi come un ponte che colleghi il primo disco al secondo che va a prepararsi. I cadaveri dei caduti vengono bruciati e le loro anime che si dirigono verso il Valhalla, celebrate con i canti folklorici di “Tími Er Kominn At Kveða Fyrir Þér”. Le ostilità riprendono con “Norðsæta Gætis, Herforingja Ormsins Langa”, song che mostra qualche richiamo ai Primordial e sembra dotata di un forte sentimento vichingo. Si continua a mantenere alta la tensione con “Bituls Skokra Benvargs Hreggjar Á Sér Stað”, altro esempio di come si possa combinare black, viking, epiche melodie, folklore e doom, senza rischiare di stancare l’ascoltatore. A chiudere ‘Aldafödr Ok Munka Drottinn’ ci pensa la mesta melodia di “Sem Lengsk Vánar Lopts Ljósgimu Hvarfs Dregr Nærri” che nella mia mente rappresenta il ritorno a casa dei pochi fieri sopravvissuti alla guerra. Arstidir Lifsins, un gradito ritorno. (Francesco Scarci)

(Ván Records - 2014)
Voto: 80

mercoledì 8 luglio 2015

Le_Mol - Kara Oh Kee

#PER CHI AMA: Post Rock, Mogwai, Godspeed You! Black Emperor, Neurosis
Prima di leggere quest’articolo ascoltatevi almeno un brano dei Le_mol e cercate di capire quanti elementi ha questo gruppo. Ora che lo avete fatto (o se gli spoiler non vi scalfiscono), siete pronti per scoprire che quest’incredibile orchestra di puro post-rock in realtà è un duo! Due giovani viennesi che riescono, grazie all’utilizzo di loop ed elettronica, a ricreare sonorità degne dei grandi di questo genere. L’album 'Kara Oh Kee', il cui nome ovviamente ironizza sulla presenza di soli brani strumentali, apre con “Time to Get Pumped, Robert Pattinson” il pezzo più lineare e corto dell’intera opera che fa da intro a “Majorities Finest Moments”, un crescendo di chitarre in loop, quasi cercassero di raggiungere un’opera di Glen Branca, arricchito da un pianoforte e dai sintetizzatori. Arriviamo quindi a “Esarintu”, uno dei pezzi più belli e interessanti del disco, dove pianoforte e chitarre si fondono in continui crescendo e un malinconico sax, ci prepara al consueto finale. “Am I Under Arrest?” e “Yeti Untitled” proseguono anch’essi con lo schema classico del post-rock che caratterizza la produzione del duo. Con “The Mountain Daisuke Inoue Never Sang About” la band ritorna a ironizzare sul titolo dell’album, poiché Daisuke Inoue è l’inventore della macchina del karaoke. L’album termina con “I Despise You, Butterflies”, canzone che si discosta dal resto della produzione, sia per durata (supera gli otto minuti) che per composizione: un lungo tappeto di “rumore” dove pianoforte e chitarra si alternano con malinconia e ci portano ad un’esplosione sludge nel finale. Nel panorama post-rock è difficile trovare delle novità interessanti che riescano a colpire l’ascoltatore ma, questo duo che sembra un’orchestra, o come si autodefiniscono loro una “loop orchestra”, ci ha regalato un disco che vale la pena ascoltare, un'ottima amalgama di post-rock e sludge con delle rifiniture drone. (Stefano Bissoli)

(Self - 2015)
Voto: 75