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mercoledì 15 ottobre 2014

Dead Mountain Mouth - Viae

#PER CHI AMA: Avantgarde, Post, Arcturus, Devin Townsend
Torna la one man band francese dei Dead Mountain Mouth, che non solo avevamo conosciuto con il precedente album, 'Crystalline', ma anche con un altro progetto parallelo, quello dei A Very Old Ghost Behind the Farm. Il polistrumentista di Tolosa, Lundi Galilao, torna questa volta con un EP, ahimè in sola uscita digitale, di tre lunghi pezzi che confermano il sound vertiginoso del mastermind transalpino. Le danze si aprono con "Mortify", lunga song di circa 10 minuti che nel suo lento avanzare mi ha evocato le ultime cose dei nostrani Ephel Duath, anche se in una versione un po' meno jazz, ma più proiettata verso i lidi della delirante psichedelia degli Oranssi Pazuzu, che già avevo menzionato nella precedente recensione. Quello che mi spinge ad accostare il progetto dei DMM alla band di Davide Tiso, è il sound astrale e disarmonico delle chitarre, alla continua ricerca di un qualcosa di sfuggente anche per l'artista patavino. Il risultato che ne viene fuori, è comunque un qualcosa al di sopra della media, che combina sonorità scevre da ogni sorta di etichetta con influenze e retaggi post, space rock e progressive. Con "Lamb", Lundi si lancia in una propria rilettura del genere estremo in cui questa volta a fondersi nell'intelaiatura, in realtà non più tanto estrema dell'act francese, si ritrovano un pizzico di elettronica e suoni cyber industriali, anche se tuttavia relegati in secondo piano con pazzesche fughe in territori, ai più, sconosciuti. Le vocals si muovono tra il growl, lo screaming e sperimentazioni avantgardiane (simil Arcturus), mentre la musica nella seconda metà del brano, imbocca strade ancor più stralunate, tra il cinematico e l'ambient, abbracciando ancora una volta la follia di Devin Townsend e altre sperimentazioni di un mondo nascosto, che testimoniano l'eccelso lavoro del mago di Tolosa. "Science and Wilderness" chiude il trittico di song spettacolari che costituiscono questa release, che auspico possa trovare quanto prima una distribuzione fisica. Non posso infatti pensare di rimanere senza il cd di 'Viae', un lavoro che mostra anche nella sua terza epica traccia (con qualche eco dei Bathory più ispirati, incredibilmente mescolati con post e non so che), quanto spazio sia ancora disponibile per offrire sonorità inusuali, innovative e all'avanguardia, che possono proiettarci in nuovi mondi tutti da scoprire... Eccellenti! (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 85

The Hong Kong Sleepover - Bolscevik Firecracker

#PER CHI AMA: Thrash/Hard Rock, Metallica, Motorhead, Anthrax
Se c’è una cosa per cui sono grato a questi quattro ragazzoni di Macomb, Illinois, è di avermi portato a conoscenza della tecnica che dà il nome alla band, della quale pare fosse un appassionato anche il compianto presidente JFK. Lascio ai lettori il gusto di soddisfare la loro curiosità in merito. Per il resto, di novità, dentro il loro terzo album, ce n’è pochina. Se dovessi descrivere la musica degli Hong Kong Sleepover direi che potete immaginarvi una cosa come 'Garage Days Inc.' dei Metallica con Lemmy Kilmister alla voce, il tutto però non così raffinato... Del resto, già una prima occhiata all’artwork (un tuffo negli anni '90, mancavano solo le figurine di Ruben Sosa e del Cobra Tovalieri) è evidente la totale dedizione dei quattro a pochi e semplici principi base, ovvero birra, ragazze, stivali, in tutte le possibili declinazioni (ragazze con stivali, ragazze che bevono birra etc...). Tutto si puó dire fuorchè gli HKS non siano totalmente e completamente onesti. Onesto, infatti, è il termine che mi viene per descrivere queste canzoni senza fronzoli, dai riff serrati e groovy, la ritmica solidissima, le chitarre sature e sporche come si conviene, con gli assoli “giusti” e la voce roca e gorgogliante. In altre parole, un disco di classico, ruvido, metal americano, per di piú orgogliosamente DIY. Onesto, appunto. Disco che si snoda lungo 11 brani né lunghi né corti, né brutti né particolarmente belli, che si lascia ascoltare anche se, man mano che i pezzi sfilano ci si chiede che senso possa avere, dopotutto, un album del genere. E l’illuminazione arriva, inaspettata, al minuto 1:26 della traccia numero 7, “Draw the Line”, quando parte un ritornello che dice, piú o meno cosí: “hey, hey, hey, hey”. La visione che si staglia davanti ai miei occhi è quella di un raduno di bikers con baffi a manubrio, intenti a roteare un pugno in aria al ritmo di questo “hey, hey, hey, hey”, mentre l’altra mano stringe saldamente una bottiglia di Miller Highlife, rivolti verso il palco dove gli Hong Kong Sleepover ci stanno semplicemente, onestamente, dando dentro. Ecco, forse è questa la chiave: se siete biker dell’Illinois, se avete sempre voluto esserlo, o anche solo se ancora oggi vi capita di uscire di casa il sabato sera indossando un gilet di pelle, questo è il disco che fa per voi. (Mauro Catena)

(Self - 2014)
Voto: 65

Godhunter - City of Dust

#FOR FANS OF: Doom/Sludge
This work is highly political, reminiscent of the American protest folk music of the 1960s, such as Bob Dylan and Country Joe and the Fish. The subject matter of "City of Dust" focuses not on general social issues, but rather sharply on issues in the state of Arizona (primarily Tucson), which leads to the conclusion that this is where these guys are from--otherwise, why would they care, unless of course these issues they write about are things which have affected them profoundly and directly? My major complaint with most records in this genre is that they usually omit lyric sheets, leaving it up for the listener to try to and decode the message. I was most impressed in that not only did Godhunter include lyric sheets, but they've provided footnotes as well, that clearly point to the circumstances of inspiration for each piece, and what it's about. Collectively, the footnotes alone add up to a half a page just by themselves. This is a very politically and ecologically aware piece, which to my experience, is not very common subject matter for metal. As I alluded to in my opening, this kind of informed protest has traditionally been the realm of folk music. The included footnotes include several books the listener is recommend to read, to help develop a better understanding of the issues the songs on this release address. Here are the recommendations: "War is a Force That Gives Us Meaning" - CHRIS HEDGES; "Rats in the Walls" - HP LOVECRAFT (short story--also the title of the second song here); "Cadillac Desert" - MARC REISNER; "Hope Dies Last" - STUDS TERKEL; "Blood Orchid" - CHARLES BOWDEN; and "La Calle" - LYDIA R. OTERO. I can see why metal would provide a more emphatic form of protest than acoustic folk. Subtlety this days tends to get lost in the noise of all the TV soundbites and the 24/7/365 news cycle that we’re all immersed in today, that didn't exist in the 1960s. Information traveled a lot slower then, so people responded pretty well to, and actually understood wry sarcasm in music. Less so these days: besides, metal has always been the best musical medium for expressing frustration and anger at things, and this guys have got that going in spades. No posing here: No Venom-like pseudo-glam fake Satanism is used here for the sake of getting publicity. These guys are REAL: they are sincere and committed to their message, and deathly serious about what they have to say. Now enough on the inspiration and on to the music itself (and there's a lot more to be found in the references on the lyric sheets. Make sure that you have them in hand when listening to this). Godhunter gives us a doomy sludge sound worthy of 'Black Sabbath's Volume 4' with a bit of 'Down II' tossed in, a sprinkling of Sleep, and a vocal style which is a cross between that of the lead vocalist of Texas Hippie Coalition and Phil Anselmo. There are 8 tracks on "City of Dust" (subtitled "A Conversation Between Hope and Despair"): (1) "Despite All"; (2) "Rats in the Walls"; (3) "Brushfires"; (4) "Snake Oil Dealers"; (5) "Shooting Down the Sun"; (6) "Palace of Thorn" (yes, that's not a typo - it says "Thorn"--singular--sans "s"--on the lyric sheet); (7) "City of Dust" (the title track), and closing with (8) "Plague Widow". This is real shit these guys are writing about: no dragons, no knights, no cosmic catastrophes, but real-life, close to home issues that this band really cares about. And these are things that they want their listeners to care about, as well. A couple of the songs include spoken introductions. The album opens (in "Despite All") with an excerpt from a speech given by Chris Hedges under foreboding synth swells (see the reference to his book in the recommended reading list cited earlier in this review): "We live now in a nation where doctors destroy health; lawyers destroy justice; universities destroy knowledge; government destroys freedom; press destroys information; religion destroys morals, and our banks destroy the economy." Track 3, "Brushfires" starts with a speech on civil disobedience Howard Zinn gave in 1971 against the Vietnam War: "Learn to disobey. So you police and you FBI, if you want to arrest people who are violating the law, then you shouldn't be here--you should be in Washington! You should go there immediately: and arrest the President and his advisors, on the charge of disturbing the peace of the world." Of note, the pace changes with the fifth track, "Shooting Down the Sun", which is a dark, deeply emotive and soulful acoustic piece with great raw, melodic vocals. It’s very similar in feeling to Black Sabbath's "Planet Caravan" or "Changes", yet imagine Joe Cocker as a metal vocalist in place of Ozzy Osbourne. In short, if you like a mix of doom and groove metal, these guys will pull you right in, and not let you go. But after you’ve given it a few spins just absorbing the feel and the vibe, sit down with the lyric sheet, and explore the deeper meaning of the songs on "City of Dust.” You'll be glad you did. This is true "Metal with Meaning"--and that's not necessarily a bad thing, at least once in a while. (Bob Szekely)

(The Compound/Battleground Records - 2014)
Score: 90

domenica 12 ottobre 2014

Sedna - S/t

#PER CHI AMA: Post Black Sperimentale, Altars of Plagues
Eccoci finalmente alla resa dei conti. I Sedna li seguo da vicino da qualche anno: era infatti la notte di Halloween del 2011 quando li conobbi e ascoltai per la prima volta, in un piccolo locale nel bresciano. Da li a poco recensii il loro EP, li intervistai in radio e da quasi tre anni attendo con ansia il tanto agognato debutto su lunga distanza. Eccomi accontentato. I tre ragazzi di Cesena rilasciano, dopo qualche assestamento di line-up, un 4-tracks costituito da più di 50 minuti di musica cupa e malefica che incarna l'anima dannatamente maledetta del trio romagnolo. Sarà verosimilmente una certa affinità musicale con i defunti Altars of Plagues, o la vena marcatamente diabolica che ristagna nel sound dei nostri, ma il self/titled dei Sedna è un qualcosa che s'imprime nella testa e marchia a fuoco come l'indelebile segno del diavolo. Ma mettiamo un po' d'ordine a tutte queste frasi che introducono 'Sedna'. Dicevamo delle quattro song che costituiscono il cd, che tra l'altro vanta un artwork in bianco e nero squisitamente angosciante. “Sons of the Ocean” apre il disco con i suoi quasi 20 minuti di sonorità tetre e caliginose: sembra infatti il suono di una nave, nelle nebbie di un porto di mare, quelle che si percepiscono nell'incipit della song, prima che le strazianti chitarre di Crisa prendano il sopravvento e ci conducano nella bolgia infernale. Le ritmiche, soffocanti e serrate, corrono veloci, ammantate da un'aura di tormentata malinconia, che sembra trovare pace, almeno per una manciata di secondi, in un break dai vaghi contorni post rock, spezzato dallo screaming efferato del polivalente Crisa. Il ritmo però va lentamente smorzandosi, sprofondando nei meandri assurdi di un cerchio dantesco, probabilmente l'ottavo, dove dimorano maghi e indovini e dove sonorità al limite del drone, fumoso e psichedelico, potrebbero farne da ideale colonna sonora. L'atmosfera è a dir poco spettrale e nel suo irriducibile climax di risalita, la tensione creata è sicuramente di forte inquietudine. L'epilogo acustico ci introduce a “Sons of Isolation”, traccia il cui inizio mi fa pensare a campane che suonano a morte. Potete ben capire lo stato di angoscia persistente che si è instaurata nel mio io, ormai turbato. E dire che non siamo, per lo meno ancora, al cospetto di sonorità depressive-sucidal, ma i giochi di chitarra e basso (a cura della brava Elyza Baphomet), mettono a nudo l'essenza della mia anima, scaraventandomi in un turbinio di ansie e paure, eccitate come elettroni impazziti, dal sound mefitico dei tre, che arriva da li a poco, a toccare il funeral doom, almeno per pochi istanti. Non temete perchè la furia omicida, dettata dal vibrante drumming di Mattia, instaura la sua feroce dittatura, lanciando i nostri in una cavalcata che ondeggia tra il post hardcore teutonico, lo sludge e il black metal cascadiano. Davvero, niente male. Se poi considerate che un incedere marziale (dal flavour leggermente shoegaze) subentra a mischiare le carte in tavola, potrete ben capire la portata di questa esplosiva miscela raggelante. A grandi passi, come quelli inferti dal drummer sul finale del brano, arriviamo alla psicotica traccia “Life_Ritual” in cui compare, in veste di guest, la litanica voce di Stefania Pedretti, meglio conosciuta per le sue performance negli Ovo e nei BTOMIC. L'effetto sul tappetto ambient drone del brano, è come quello di una strega atta a lanciare il suo peggior maleficio. In “Sons of the Ancients”, in aiuto dei nostri arriva Michele Basso (alias Mike B) dei Viscera///. L'incedere è ancora una volta funesto, ossessivo, macabro pur rivelandoci il lato più intimista dei nostri, che ben presto sfocerà in suoni altalenanti e idiosincrasici, sviscerando l'odio dei Sedna attraverso le vetrioliche vocals di Mike e conducendoci nella nona bolgia, quella dei seminatori di discordia. In definitiva, 'Sedna' è ciò che stavo aspettando da tempo dal trio di amici della Romagna, una miscela di corrosivo ed elegante post black sperimentale. Detto questo, vi lascio ai vostri incubi e io torno nel mio loculo per incontrarli, qui all'interno del Pozzo dei Dannati. (Francesco Scarci)

(Drown Within Records/Unquiet Records - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/Sedna.O?sk=wall

Acarus Sarcopt – Tarnation

#PER CHI AMA: Death, Asphyx, Morbid Angel, Death
Questa band francese supera i dieci anni di attività e con un curriculum invidiabile per prolificità, approda al nuovo album con uno smalto invidiabile ed una carica tutta da assaporare. Uscito per la Armée de la Mort Records nel 2014, cosi come accadde per il precedente lavoro, il cd è composto da ben quindici tracce di cui due bonus live, per una durata complessiva di circa un'ora di buon selvaggio death metal old school. La band dimostra d'aver classe fin dalle prime note, sputando riff spaccaossa a ripetizione. Il suono è tipicamente death con spunti ricavati dai superclassici Asphyx, Death e Morbid Angel. I brani scivolano veloci e piacevoli, impatto e violenza non declinano l'invito e supportati da un growl perfetto e uno screaming che rimanda ai vecchi fasti black della band, chiudono un cerchio pressochè perfetto. Troviamo tutto al posto giusto, coordinato da una buona produzione che valorizza ogni cosa, innalzando il valore della proposta musicale. Il massacro continua e vede il suo apice nel singolo che accompagna il video e condivide il titolo con l'album ("Tarnation"). Ottimi musicisti per una esecuzione più che perfetta anche se vecchia scuola e magari porterà poche novità ma decisamente un gran bell'album, ragionato e pur nella sua brutalità, ricercato e tanto sofisticato, compatto e pesantissimo, intento a mantenere il legame con le origini del genere e capace di renderlo ancora interessante e vitale. Gli Acarus Sarcopt meritano grande rispetto, conquistato sul campo e questo loro nuovo lavoro li colloca in una realtà metal francese che negli ultimi tempi, in fatto di musiche estreme, non è inferiore a nessuno. Instancabili fanatici del death metal, questo album è per voi!!! (Bob Stoner)

(Armée de la Mort Records - 2014)
Voto: 70

https://www.facebook.com/ACARUS.Official

sabato 11 ottobre 2014

Levities - Dead Bouquet

#PER CHI AMA: Punk
Se il rock non morirà mai, anche il punk sembra non voler mollare. La scena portoghese (Lisbona) si arrichisce di un'altra band e precisamente due ragazzi e due ragazze, i Levities. Nati nel 2011, rilasciano 'Dead Bouquet' all'inizio di quest'anno sotto la Ethereal Sound Works, etichetta indipendente portoghese. Ben quattordici pezzi in puro stile punk, quindi veloci e altrettanto brevi, giusto per omaggiare band come The Stooges e Pixies. I pezzi sono molto simili tra loro, quanche intro potrebbe essere considerata grunge, ma poi suoni e arrangiamenti non lasciano dubbi circa l'indole della band. Il vocalist sfoggia un bel timbro, sufficientemente maturo e poco fastidioso, inoltre si prodiga anche come chitarra solista. Non aspettatevi prodigi iper tecnici, che nel punk sarebbero anche sprecati. La sezione ritmica sostiene il tutto, senza tanti fronzoli e sfruttando le sonorità adatte, il tutto miscelato anche in maniera dignitosa. "Slit My Tongue" e "Metal Chain" si fanno ascoltare, vuoi per qualche richiamo ai primi Nirvana, come il cantato e la rabbia dei riff, secchi e mediosi come andava negli anni '90. "Little do They Know", da cui è stato tratto un discreto video, fa assaporare a pieno le sonorità dei The Stooges, a cui probabilmente i Levities si ispirano maggiormente. Meno di tre minuti che volano via leggeri e senza impegno. Alla resa dei conti 'Dead Bouquet' non è male, musica che potete ascoltare anche senza particolare concentrazione e che vi può accompagnare in macchina, sia che siate nati negli anni '90, sia che li abbiate vissuti da adolescenti. (Michele Montanari)

Chasms - Subtle Bodies

#PER CHI AMA: Dark, Psichedelia, Shoegaze
L'estate è ormai un lontano ricordo, e i Chasms anticipano l'inverno, cogliendomi di sorpresa con un album dai toni freddi e oscuri, dall'anima estremamente malinconica. “N.V.S.” apre l'album ma credo funga più da intro che come brano vero e proprio, ma mi sbaglio. La successiva “Riser” infatti conferma l'anima dark dei nostri, con una musicalità lenta e ossessiva, che sprigiona un fiume emozionale per chi apprezza Dead Can Dance e affini. Le litanie dei Chasms rappresentano la colonna sonora che mi può accompagnare in quei momenti in cui desidero isolarmi dal mondo e vagare solo con la mia mente, come in questo sabato sera di metà ottobre. Eteree voci femminili, sonorità celestiali, riverberi che sembrano appartenere ad un altro mondo, costituiscono la matrice di 'Subtle Bodies'. “Soft Opening” è una stranissima song che si muove tra il noise/drone e il dark wave. Decisamente non il genere adatto da essere ascoltato in spiaggia sotto il sole cocente, sarebbe meglio una stanza buia con le pareti nere come la pece e circondato dal nulla. “When It Comes...” riprende quasi il canonico concetto di canzone, ma le sue linee melodiche, lo stralunato battito del drumming e le sue vocals, non riescono proprio a far breccia dentro la mia anima dai tratti dannati. Lo stesso dicasi per le rimanenti due tracce (di cui sottolineerei la durata di undici minuti della conclusiva e strumentale “Dissolution Into Clear Light”) che propongono il medesimo canovaccio e finiscono solo per annoiarmi. (Francesco Scarci)

(Sleep Genius - 2014)
Voto: 55

https://www.facebook.com/oooCHASMSooo

Quercus - Sfumato

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Esoteric, Skepticism
I Quercus arrivano dalla Repubblica Ceca e vantano anni di esperienza e uscite discografiche. Quest'ultimo album esce per l'etichetta underground MFL records, un'etichetta fondata da musicisti russi facente parte della "Mosca Funeral League", nata per sostenere bands dedite al funeral e al doom metal. In attività dal 2002, i Quercus mostrano oggi una tecnica compositiva fantasiosa e originale carica d'atmosfera e variegata, toccata dalla genialità e pregna di personalità. Ispirata all'arte del grande talento artistico Leonardo, l'album assume una classe, un'intensità sulfurea ed una carica esoterica focalizzata sulla scuola di tutti quei nomi mitici che hanno reso la musica del destino una musica di culto e che la band ringrazia nel booklet interno. Possiamo affermare entusiasticamente che i Quercus sono una doom band fuori dagli schemi, che la loro proposta musicale incrocia in questo lavoro, l'animo dei primi Paradise lost ('Shades of God'), con le movenze gelide ed astrali degli Skepticism, suonano come i Katatonia ma sfoderano la classe degli Swans nel creare un mondo sonoro carico ed introspettivo. Difficile dunque catalogarli e questa è la cosa migliore, poiché l'album è una continua scoperta, dove la cadenza è si doom ma senza dimenticare una buona dose di psichedelia cosmica e un sanguigno sound moderno figlio degli Esoteric ed una espressività epica eccelsa di scuola In the Woods. Pesantezza e fantasia compositiva, registrazione perfetta, suoni calibratissimi e buone doti tecniche, rendono il disco inaspettato e delizioso, in un continuo movimento creativo e mai ripetitivo, omogeneo e dal tocco altamente artistico, tra violento deragliamento emotivo, chitarre gotiche, funeral metal, incursioni jazz ed un growl narrante memorabile. Preparatevi ad incontrare non il solito doom, ma musica metal riflessiva decisamente d'avanguardia, composta da tre ottimi brani molto lunghi, per un totale di cinque pezzi racchiusi in circa cinquanta minuti di musica di alto livello. Il doom incontra l'avanguardia, un sodalizio perfetto, dove i suoni rubati al post grunge si muovono lenti ed oppressivi, deambulano astratti e profondi, grondanti lacrime di speranza e delusione. L'infinito vi attende! Non fatelo aspettare... (Bob Stoner)

mercoledì 8 ottobre 2014

Deconstructing Sequence - Access Code

#PER CHI AMA: Progressive Death-metal, Avantgarde, Industrial
Due tracce da circa 8 minuti ciascuna. Un artwork da fantascienza vintage, con una gigantesca nave squadrata che incombe sul pianeta Terra, su un cielo rosso sangue. Una strumentazione (chitarra, basso e batteria, ma anche synth e programming) che promette grandi cose e una produzione di prima classe. Non da ultimo, l’esperienza di un precedente EP ('Year One', 2013) e gli anni di militanza nei polacchi Northwail. L’opera si apre con la celebre frase “My god: it’s full of stars…” da '2001: Odissea nello Spazio'. È il primo verso di molti, lungo tutto il lavoro, a raccontare un concept: la metafora del viaggio nella gelida desolazione dell’universo come viaggio nella disperazione interiore. Le coordinate musicali dei Deconstructing Sequence, invece, sono più complicate da tracciare: ci sono elementi degli Arcturus più sperimentali, degli Emperor, di Ayreon, persino dei Gojira. Ma è tutto modellato in un’ottica talmente personale che il risultato supera la semplice somma algebrica delle parti. “A Habitable World is Found” mette subito tonnellate di carne al fuoco: c’è il riffing prog intelligente e furioso (ascoltate la splendida intro), ci sono le cavalcate death di doppia cassa e blast beat, le aperture sinfoniche di synth, gli inquietanti arpeggi di chitarra pulita, la decostruzione ritmica del math metal e persino un accenno di industrial in alcuni passaggi più elettronici. La seguente “We Have The Access Code” apre con un piccolo capolavoro di batteria, che sfocia con rabbia in una canzone veloce, oscura e violenta. Mentre i testi raccontano di una nave persa nello spazio che l’equipaggio, disperato, continua a pilotare verso il nulla, la canzone implode in sé stessa, diventando un lento e melanconico respiro dell’universo; salvo poi tornare ad evolvere in un prog-death da antologia fino all’esplosivo finale. Le voci contribuiscono a dare colore e personalità alle diverse parti del brano: growl e harsh da un parte, spoken-words con effetto radio dall’altro, piccoli e misuratissimi gli accenni melodici. L’impressione – resa splendidamente – è quella di un continuo e disperato dialogo tra la terra e la nave, o tra la nave e lo spazio stesso. Tanta personalità creativa e un tale livello di forza narrativa di musica e testi sono davvero rare in una band emergente. Resta da vedere se, alla prova del primo full-lenght, sapranno mantenere le ottime premesse di questo piccolo gioiello del metal contemporaneo. (Stefano Torregrossa)

(Self - 2014)
Voto: 80

martedì 7 ottobre 2014

Luna – Ashes to Ashes

#PER CHI AMA: Symphonic Funeral Doom, Ahab, Thy Catafalque
La one man band di Kiev, formatasi nel 2013 e capitanata dal polistrumentista DeMort, si manifesta con un album carico di maestosità sinfonica, dalle linee pesanti e al contempo ariose, dalla gravosa ombra dell'opera classica riletta in chiave funeral doom con innesti death metal, in poche parole una perla per chi la saprà apprezzare. 'Ashes to Ashes' è un'opera apocalittica dal valore esagerato e dalle potenzialità enormi, una sola composizione lunga quasi un'ora, frutto di una personalità ricca di tecnica e buone idee costruttive, un musicista dotato di elevata sensibilità, che l'ha portato a creare un album d'infinita bellezza. In questo lavoro troviamo la drammaticità delle classiche intro da teatro dell'orrore alla maniera dei Cradle of Filth, con l'impasto sonoro che si accosta alle cose più sofisticate degli Emperor, anche se il suono è più pesante e profondo, meno black e più orchestrale, gutturale, cupo, dal sapore tragico, una eclissi sonica eterna che crea un legame tra Ahab e Thy Catafalque. Un monumento di emotività oscura, musica strumentale, concettuale carica di visionaria introspezione, la perfetta colonna sonora epica e isolazionista, la misantropia, una visone romantica del lato oscuro dell'infinito, l'eterno. Una colossale e potentissima parata di ombre pronte a toglierci il respiro e a donarci l'oblio. Licenziato via Solitude Prod., 'Ashes to Ashes' dei Luna potrebbe divenire il vostro incubo migliore. Divinità d'altri tempi. Ascolto obbligato! (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 2014)
Voto: 75