Cerca nel blog

mercoledì 24 settembre 2014

Disharmonic – Il Rituale dei Non Morti

#PER CHI AMA: Doom Progressive, Death SS, Paul Chain, Antonius Rex
Questa band italiana, nata nel lontano 1998 a Pordenone, dopo alcuni lavori e cambi di formazione, è riuscita nel corso di questo anno a dar vita a un 12” EP (uscito anche in cd) molto interessante, dato alle stampe dalla Beyond Productions, che fa seguito all'album del 2012 dal titolo 'Carmin Mortiis'. Il batterista Lord Daniel Omungus e il chitarrista Sir Robert Baal, con l'aiuto alla voce del Profeta Isaia e al basso del Barone Von Hayden, riescono nell'impresa di raccogliere l'eredità di band futuristiche un tempo ed ora divenute storia del dark metal e del prog italiano come Goblin, Antonius Rex e Death SS, senza dimenticare la vena psichedelica e cosmica del mostro sacro Paul Chain e un certo doom stile Skepticism. L'incanto è servito! Loro lo definiscono "Ritualistic Dark Doom Metal Opera" e mostrano un sound stregato carico di suggestioni macabre, prevalentemente dai ritmi rallentati e circondato da ombre e figure orrorifiche. In queste sole tre composizioni (per la durata circa di un quarto d'ora) vi è molta devozione verso una certa cinematografia horror vintage di serie B ma anche è l'amore per i sopraccitati miti del rock italiano e doom internazionale si sente un po' ovunque nel platter. I Disharmonic mostrano di aver imparato a dovere la lezione donandoci questa insana vetrina di suoni e umori noir che trovano un apice d'armonia tra lo spettro di uno splendido sax e il teatrale, maligno recitato (in lingua madre) del brano che conclude l'opera. Infatti, 'Il Rituale dei Morti' è una suite ritualistica divisa in 3 atti, dedita all'invocazione dei defunti, quindi non esitate a resuscitare facendovi aiutare da questo EP di gran classe. Progetto stravagante e di nicchia, ma splendidamente realizzato. Da ascoltare. (Bob Stoner)

(Beyond Productions - 2014)
Voto: 80

domenica 21 settembre 2014

The Matador - Destroyer

#PER CHI AMA: Post Metal/Hardcore
Il primo aprile 2013 parlai di questi ragazzi australiani come dei potenziali fuoriclasse nel filone post rock - metal. A distanza di quasi un anno e mezzo, eccoli tornare con un nuovo EP, dal semplice titolo 'Destroyer', che vede la band impugnare i propri strumenti e aumentare le frequenze della propria proposta. Del post rock - metal di 'Descent Into the Maelstrom' è rimasto solo il post, perchè oggi parlerei dei nostri come di una realtà più orientata sul versante post-hardcore. Per carità, molte volte il confine tra questi generi è assai labile, però è evidente quanto nei solchi di questo secondo lavoro, emerga la nuova strada imboccata dai nostri, pur non rinnegando il passato, sia chiaro. A fronte di una registrazione un po' più scarna, la band scatena immediatamente la propria frustrazione, senza tanti giri di parole, con "Rodinia", un pezzo che rimane in bilico tra richiami al passato e una nuova tendenza hardcore. Le chitarre ululano acidi e vertiginosi riffoni mentre il bravo Nathan alla voce, si dimena tra urla feroci e qualche raro profondissimo growl. Il sound è arricchito da una discreta dose di groove, ma è palese che qualcosa sia cambiato in seno alla band di Brisbane. La title track conserva quelle atmosfere cupe e ossessive del passato ma è innegabile come il sound dei The Matador si sia imbastardito, abbia perso un po' in profondità e calore, a servizio di una maggiore espressione della rabbia che verosimilmente era repressa nel precedente disco. Nella title track comunque c'è anche spazio per un breve break dai richiami a la Isis. "Ur" è il classico intermezzo che ci introduce a "Vaalbara", song che mostra il lato meditativo che maggiormente apprezzo del combo australiano: atmosfere più soffuse, vocals pulite che si incrociano con lo scream abrasivo di Nathan, senza ripudiare le scariche nevrotiche fin qui espresse. Ma è la maggior presenza di melodie in questa song mid-tempo a renderne un più facile approccio, soprattutto anche per una migliore cura a livello di arrangiamenti; poi il break post rock posto in mezzo alla traccia è miele per le mie orecchie. Con "Nuna" si ritorna sul binario dell'hardcore anche se le chitarre in taluni frangenti ricordano il passato amore dei nostri per Cult of Luna e Isis. A chiudere il lavoro (per ora solo digitale, aspetto fortemente il cd) ci pensa "Pangaea", brano dall'incedere assai ritmato che si interrompe in un break dal sapore notturno, in cui i nostri prediligono linee di chitarra malinconiche. Insomma 'Destroyer' è un lavoro che conferma quanto di buono ascoltato in passato ma che per quanto mi riguarda, segna un leggero passo indietro rispetto a 'Descent Into the Maelstrom' che tanto mi aveva ben impressionato in quel fantomatico primo aprile 2013. Da risentire con una nuova release, per capire quale sarà la definitiva via intrapresa dai The Matador. (Francesco Scarci)

DSW - Dust Storm Warning

#PER CHI AMA: Stoner, Kyuss
Ecco un'altra band stoner che ho potuto apprezzare con la fantastica 'Desert Sound compilation' del portale Perkele.it, fucina instancabile di band stoner/doom italiane. I nostri quattro eroi provengono dal profondo deserto pugliese (Lecce) e hanno iniziato l'avventura nel 2010. Dopo alcuni EP, hanno firmato per l'instancabile Acid Cosmonaut Record e da allora è iniziata la scalata al grande olimpo della scena stoner. Questo 'Dust Storm Warning' (ormai datato 2012) consta di undici tracce e si presenta in un bel digipack completo di libricino e relativi testi. Anche la grafica risulta curata e piacevola, con utilizzo di caratteri che richiamano memorie psichedeliche. Appena "Outrun" scandisce poi le prime note, subito si gode del timbro delle chitarre, proprio quello che ci piace tanto. Tante frequenze basse che fanno pompare i woofer come dovessero aspirare sangue dalle profonde vene della madre terra, il tutto ben supportato dal basso che nello stoner ha un ruolo determinante e fin troppo sottovalutato per dare la giusta botta sonora. Ritmo forsennato per oltre quattro minuti gentilmente offerto dal batterista che non si risparmia e concentra potenza e velocità per assolvere al suo dovere. Il vocalist sfoggia un timbro maturo e potente, alla John Garcia per intenderci ed in effetti l'influenza della Kyuss-school è palpabile in tutti i cinquantasei minuti del progetto. "666.1.333" parte con una risata che si tramuta in eccesso di tosse per poi dar sfogo ad un brano meno forsennato e più evocativo, quanto un canto indigeno gridato a squarciagola verso il cielo. Suoni sempre all'altezza della band, arrangiamenti e fraseggi impreziosiscono il tutto. Lo stacco a metà traccia rompe il precedente schema e lascia spazio all'assolo di chitarra che guida la traccia verso la fine. "Dune" viene introdotta da un riff psichedelico di basso che evoca una notte senza luna, profonda e accogliente allo stesso tempo, come unica salvezza dal torrido sole del deserto. Quasi otto minuti che mettono nero su bianco tutti i colpi a disposizione del revolver chiamato DSW. 'Dust Storm Warning' è un calderone rovente di bei suoni vintage sapientemente catturati a livello di registrazione e masterizzanti altrettanto bene. A chi chiede se i DSW fanno qualcosa di nuovo rispondo no, ma almeno fanno qualcosa di già sentito in maniera più che egregia. Album da avere anche in vinile IMHO. (Michele Montanari)

(Acid Cosmonaut Records - 2012)
Voto: 80

https://www.facebook.com/dswband

Shores of Null - Quiescence

#FOR FANS OF: Dark/Gothic Black Metal, Katatonia, Moonspell
This is quite an impressive effort for a debut offering which has a lot more going on than really expected. The riff-work throughout here is perhaps the biggest influence on this which is quite a bit more varied and dynamic here which is quite impressive. This manages to include the kind of varied riff-work that doesn’t seem to mesh well initially upon first impression, as this has the light, romantic strains reminiscent of Gothic Metal up against the darker strains found in Black Metal, yet plays them in the tempo of Doom and somehow makes this seem quite organic and original. The main impression is that Gothic Metal here for there’s a more conscious effort to place that type of rhythm up-front and center in the tracks by being frequently utilized as the main style throughout, either by used to set-up the other sections or by coming into focus after those other sections do the set-up for the track, and through either method remains the more common variety throughout here. This does give the album a warm, lush atmosphere here with the swirling guitars featured throughout here providing plenty of gorgeous arrangements and dynamic variations throughout which is quite easier to get into than the harsher strains of their other influences. This makes for quite an impressive showing that gives them a bit of an edge against the other bands of this type, but it also gives this one quite a disorienting and scattershot appeal that really belies their infancy in the genre. Not really knowing which direction to turn and throwing all their influences together does make for quite a zigzagging album that continually whips around into numerous feels that never makes for a coherent whole but this can be something that’s fixed in the future. After getting by instrumental intro ‘0x0000,’ which is a droning heavy dirge with sprawling atmosphere and heavy clanking throughout, proper first song ‘Kings of Null’ offers a fine sampler of what’s within as there’s plenty of romantic Gothic tones, complex progressive riffing and darker Black Metal energies used sporadically in the sprawling section for an overall enjoyable track. ‘Souls of the Abyss’ continues that with a lot more lighter moments against the darker Black Metal sections but maintains enough of a good pace to allow this plenty of enjoyable moments. The darker ‘Night Will Come’ features more of those traditional Black Metal riffs amid the Gothic-styled arrangements for a quite dynamic and enjoyable effort, which is continued along nicely in ‘Ruins Alive’ which also features more of the darker elements in play despite a lot of warm, lush Gothic arrangements. ‘Quiescent’ goes back into the Gothic realm with plenty of lush arrangements, a lessening impact of the darker influences and a slow pace to allow it all to shine through quite nicely, but is just a bit too slow for its own good. Flowing along quite wonderfully, ‘The Heap of Meaning’ manages to mix together those elements quite well with breathtaking cleans against the most raging Black metal present on the album and generates an easy highlight. Quite disappointingly, ‘Time Is a Waste Land’ starts off fine with the blasting drumming and tight riff-work of Black Metal taking shape throughout before turning into a series of quiet, plodding droning that takes up the final half and really knocks this one down a lot as it really demonstrates the aimless direction of its varied influences the best here. The overall bland ‘Pain Masquerade’ is pure Gothic Metal throughout and really doesn’t do much of anything here to really wow with what it does. The massive sprawling ‘Eudaemonia’ keeps things going in the slow, swirling pace that just keeps repeating it’s riff-work throughout which does tend to make for a troubling finale but does have enough other areas about it to not only make up for this but certainly allows this to be a band to watch in the genre. (Don Anelli)

(Candlelight Records - 2014)
Score: 80

https://www.facebook.com/shoresofnull

sabato 20 settembre 2014

Venus Victrix – Volume I

#PER CHI AMA: Occult Rock, The Oath, Blood Ceremony, Blue Oyster Cult
I Venus Victrix sono una band autoprodotta proveniente dal Texas, assecondata e ammaliata dalle luci psichedeliche dell'occult rock che di questi tempi sta tornando alla ribalta con l'interessamento di personaggi accreditati e di fama mondiale, come l'ex Cathedral Lee Dorian. che sforna retro rock con voce femminile in continuazione (Blood Ceremony, The Oath, Purson....). La band americana si esalta soprattutto nelle atmosfere più rarefatte, psichedeliche e doom come in "Tsukuyomi", dove la esile voce eterea di T. Marie si mostra più padrona della scena. Una musica che rievoca palesemente il sound vintage dei 70's in tutto e per tutto: la cadenza e il taglio caldo delle chitarre, i piatti sguaiati e una batteria dal suono scarno e naturale, giocano delle buone carte nella costruzione dei brani, il profumo di rock degli Humble Pie, un tocco psichedelico alla Captain Beefheart, le escursioni acustiche e l'immancabile cadenza oscura alla Black Sabbath, chiudono alla fine il cerchio magico. Una produzione non sempre all'altezza della situazione che avrebbe dovuto esaltare maggiormente la profondità e lo spessore del suono, non pregiudica affatto questo 'Volume I' e la ricerca sonora a ritroso della band anzi, in alcuni casi riesce a donare quel suono magico che caratterizzò i primi album dei Blue Oyster Cult. Il duo texano si divide i compiti a metà e vede KJLK suonare abilmente tutti gli strumenti mentre T. Marie, che risulta essere una voce stregata dalla luna, poco consona all'aggressività e morbida come una Carole King in versione "Candice Night" (vedi Blackmore's Night) che canta brani dei Fletwood Mac, assume il comando delle operazioni e ci traghetta nel versante occulto del rock anni settanta dei Venus Victrix, con luci e ombre che lasciano trasparire umori alterni, tra tutte le variegate note del disco. Troppo delicati per risultare doom, troppo elaborati per essere solo rock, il mondo esoterico dei Venus Victrix ha bisogno di una corsia preferenziale di pura esaltazione prog/psichedelica/sciamanica per entrare nella vostra testa ed essere concepito. Quindi aprite a dismisura le vostre menti e ascoltate questo lavoro! (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 70

Vrademargk - The Black Chamber

#FOR FANS OF: Melodic Death Metal, Dark Tranquillity, Arsis
Like the majority of bands in the Melodic Death Metal genre, the impetus here is on simply proving that the aggressive riff-work and dirty atmosphere of traditional Death Metal can be melded nicely alongside melodic tones, and that’s what this Spanish band ably attempts here. Bolstered by a tight, heavy chug that really revels in the mid-tempo paces, there’s a central focus on the aggression here that comes across quite well in these segments as there’s plenty of furious rhythms on display as a calculated dose of technicality is merged into those arrangements to make for an even more exciting display. That dose of technicality, strangely muted in the second half, makes the upper half tracks where it’s present far more dynamic and enjoyable with numerous tempo changes and furious riffing that makes for rather impressive foundations for the flowing melodies to get a chance to explore more innovative rhythms than just simply popping up in the middle of the track for no real reason. However, that does bring up the central underlying feature about the album in that it is clearly one-sided with the best tracks almost exclusively placed in the upper half of the running order while the second half is quite low on those elements. The upper half is dynamic, varied and quite enjoyable while the second half tends to meander around in mid-tempo paces and chugging rhythms that don’t build to any kind of energetic speed, enjoyable rhythms and just tend to wallow in sluggish paces that are not in the slightest bit interesting. This is a straight-up rule on the album that can be followed quite literally with one song on the first half not working well amongst a slew of energetic, enjoyable tracks while one on the second half sticks out for its enthusiasm and energy amongst the gathered number of sluggish, plodding pieces that surround it. It’s a little disconcerting to notice that as this essentially cuts the album in half with no difficulty at all and hinders the album a lot more than it really should with more explosive tracks throughout. After the intro ‘Into the Heart of Death,’ with its low rumbling noise and synthesized keyboards making for ominous gradual build-up, proper first track ‘Undesired Funeral’ best demonstrates the band’s ability to wrap tight melodies alongside aggressive patterns and pounding drumming for an outstanding highlight. The multifaceted ‘Fear Itself’ continues this stellar work with tight rhythms, plenty of aggressive riffing and a slew of dynamic tempo changes from raging mid-tempo to dynamic start/stop patterns and even minor hints of groove to make for a spectacular effort. Despite some impressive riffing, ‘Anima Invictus’ is a somewhat bland track that relies way too much on the mid-tempo chug-patterns rather than really utilizing the other factors in their sound for a decidedly decent effort. Thankfully, ‘Taste the Sin’ goes back to tight rhythms and melodic work-outs which provide this with another stand-out track. ‘Més Enllà de l'Abisme’ backs up more tight mid-tempo chugging with razor-wire riff-patterns and pounding drumming for another decent if slightly overlong track with the lengthy mid-section ambient interlude soaking up way too much time and not providing a lot else to like. ‘The Empathic Misanthrope’ starts out all right with plenty of tight rhythms and pounding drumming in the first half but it quickly loses the energy and becomes nothing but a plodding, sluggish crawl to the finish in the second half that struggles to end quick enough. The title track goes back to the start of the album with furious melodic patterns, tight chugging and plenty of tempo shifts that manage to store plenty of energy and intensity alongside the melodic leads which allows this to revert back to being an album highlight. Ending on a sour note, ‘Deathcell Migration’ manages to whip through a multitude of patterns and performances across the extended running time and certainly demonstrates plenty of fine technical displays but just doesn’t get the energy up enough to make the most of the sterling performances. Otherwise, there’s not too much really wrong here beyond the lack of energy throughout. (Don Anelli)

(Self - 2013)
Score: 65

Steny Lda - Beloe Bezmolvie / White Silence

#PER CHI AMA: Post/Sludge, Isis, Russian Circles
Cosa aspettarsi da un album intitolato “Silenzio Bianco”, da una band il cui nome significa “Muro di Ghiaccio”, e il cui, peraltro splendido, artwork mette in fila fotografie di mari ghiacciati e iceberg, rigorosamente in bianco e nero? Detto che ogni informazione supplementare bisogna sudarsela, essendo tutto (dal nome della band a i titoli dei brani e alle note di copertina) scritto in cirillico, vado in cerca di approfondimenti e trovo la recensione che il buon Franz fece dell’esordio del quintetto russo, datato 2010, allora promosso con riserva. Schiaccio play e vengo investito dall'equivalente musicale di una tempesta artica: muri di chitarre post hardcore e ritmiche serratissime, intervallate da momenti più riflessivi di stampo post rock e quindi nuove accelerazioni maestose, sottolineate da tastiere solenni e vocals sofferte e furibonde. Una bomba. Peccato che il resto del programma mantenga solo in parte le promesse fatte nei cinque minuti furiosi e drammatici del primo brano, “Fordevind”. Già, perché da qui in poi, gli Steny Lda propongono un post/sludge dalle forti componenti cinematiche ma che perde molto potenziale allorché decide, e lo fa per buona parte del programma, di rimanere soltanto strumentale. Come già rilevato nell'esordio, anche qui infatti l’impressione è che molte delle potenzialità della band vengano meno quando non supportate adeguatamente dalla voce. I tre brani successivi, infatti, mettono in fila in maniera diligente tutto l’armamentario classico del genere, come insegnato negli anni da gente come Isis e Russian Circles, il tutto incastonato sullo sfondo di quello che, come suggeriscono i titoli, sembra essere il tema portante del lavoro, ovvero il ghiaccio. Peccato che la personalità avvertita nel pezzo di apertura qui si perda e così diventa davvero difficile distinguere l’incedere lento dei 10 minuti di “Ice Storm, The Earth Ball” da quello di un qualsiasi altro brano prodotto da una delle tante band post/sludge strumentali. Quando sembra che le cose debbano incanalarsi per il peggio, ecco però che l’album sterza decisamente a partire dalla traccia numero 5 “Drifting Icebergs in the Fog, Causing Destruction and Destruction “ (metto solo la traduzione dei titoli, che già sono lunghi di loro...) che, guarda caso, vede il ritorno delle voci che innalzano immediatamente l’asticella dell’intensità emotiva. Intensità che i cinque riescono a mantenere alta più o meno fino al termine dei 12 minuti della conclusiva “Cold Earth” (quando si dice avere un chiodo fisso...), dove veniamo salutati dal suono di un vento gelido che spazza le lande desolate del nostro animo. Alcune cose ottime, altre decisamente meno. La direzione è giusta, adesso sta a loro imboccare con più decisione il bivio, sperando che facciano la scelta migliore. Adesso però vado a mettermi un maglione pesante. (Mauro Catena)

(Slow Burn Records - 2014)
Voto: 70

mercoledì 17 settembre 2014

Eternal Valley - Concealed in Nothingness

#PER CHI AMA: Suicidal Black
Era da un po' di tempo che non mi capitava di recensire una qualche one man band, eccomi quindi accontentato. Da Battle Ground nello stato di Washington, là in mezzo alle foreste, si cela Orszar, factotum del progetto Eternal Valley, che in questo 2014, ha fatto uscire ben 2 album e un EP, appunto questo 'Concealed in Nothingness'. Quattro i pezzi proposti, all'insegna di un black siderale, che si aprono con "As Shadows Look Away", contraddistinto da cupe atmosfere depressive disegnate da un flemmatico avanzare di chitarre, da voci disperate e da tenui luci autunnali, il suono perfetto per questo periodo dell'anno che va a sancire la fine dell'estate. 'Concealed in Nothingness' è un breve lavoro, che nonostante il suo approccio misantropico al limite del suicidal, suona comunque "caldo", come il sangue che esce da vene appena tagliate o come la lava che lentamente sgorga da un cono vulcanico. Immagini forti che rappresentano facce diverse della stessa medaglia, la prima la pericolosità della mente umana, mentre la seconda la furia della natura. Allo stesso tempo è forte e pericolosa anche la disperazione che emerge dai solchi di questo cd (attenzione, limitato a sole 100 copie): "A Hole to Die In" è la seconda traccia dal forte flavour burzumiano, quello più abile nel miscelare black e ambient, anche se di quest'ultimo non vi è traccia nel corso dei 18 minuti di questa release. "Morose" è una song furiosa, un thrash black vetusto, che trae ispirazione da molto lontano, e su cui si può anche sorvolare, per focalizzare meglio la propria attenzione sulla conclusiva "End This Life", titolo quanto mai esplicito. Davanti agli occhi mi ritorna l'immagine delle vene tagliate, il desiderio di farla finita e la malinconia trainante questo pezzo strumentale, risuona come un invito a calare il sipario sulle nostre vite. Dilanianti. (Francesco Scarci)

(Neckbrace Records - 2014)
Voto: 65

Ergholae Somptator – Raptus du Fanè

#PER CHI AMA: Experimental Black metal, Portal, Deathspell Omega, Tsjuder
Aprite le orecchie e votatevi a quest'album, azzerate le vostre visioni musicali, intrecciatele tra loro, mescolatele, rovinatele, perché questa band ha superato magnificamente il limite, costruendo un nuovo importante tassello per l'olimpo del metal estremo mondiale. Prendete dei riff thrash anni '80/ '90, mescolateli con la bizzarra controversa vena oscura dei Deathspell Omega, la forza degli Tsjuder, la violenza sonora ed il noise dei Portal (quelli di 'Vexovoid'), richiudetevi in una stanza senza finestre nel seminterrato e ascoltate il tutto, adorerete questo splendore underground. Psichedelia black metal, bagnata di postcore e furia grind lacerata e maciullata da una registrazione ai limiti della tolleranza in grado di devastare tutto quanto come se a suonare fossero i primi Atari Teenage Riot alle prese con i brani dei Taake. Violento, ferale, sulfureo, lugubre, spavaldo e pieno di sé, quest'album avanza con riferimenti musicali multipli tritati a dovere da una produzione underground implacabile e impietosa. La formula usata è geniale: si percepisce perennemente un senso di catastrofe e disastro che si espande nota per nota, riff dopo riff; cattiveria, mal di vivere, rumore nero imperversano nelle note di 'Raptus du Fanè'. Eccolo il metal deforme dei francesi Ergholae Somptator, che in questo album autoprodotto, dalle immagini di copertina astratte ed altamente artistiche, riportante i titoli dei brani, nome della band solo sul lato e i nomi dei due audaci autori (Jeròme Bouquet e Lèo Louis – Honorè) in un angolo, toccano vette che non si erano ancora raggiunte in fatto di sound sperimentale ed estremo. Molti odieranno questo lavoro per la sua attitudine divinamente low-fi, ma chi sta cercando un traghetto ed un nuovo Caronte per attraversare le fauci dell'inferno rimarrà ammaliato da cotanta creatività sonica. Come non amare la follia rumorosa e perversa di tracce killer come "Folie Comminatoire" e "Champs Absurde" o il taglio etnico rumorista di "Chantarellaceae", song ai confini con l'improvvisazione. Fingere di non provare piacere all'ascolto di "La Douleur est Mer" con i suoi riff rubati ai Sepultura per centrifugarli in un impazzito vortice black- industrial - noise – metal sarebbe come commettere un peccato gravissimo. Un perverso capolavoro!!! (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 90

Codex Alimentarius - The Hand of Apophis

#PER CHI AMA: Death melodico
Sono solo undici i minuti a disposizione dei Codex Alimentarius per farci assaporare la loro furia distruttiva e vi garantisco che bastano e avanzano per farsi una idea della band di Exeter. 'The Hand of Apophis', secondo EP dei nostri, si fa portavoce di un death abrasivo ma al contempo melodico e dalle venature a tratti sinfoniche, che certo saprà conquistare tutti gli amanti di sonorità estreme, me compreso. Dopo una breve intro, ecco esplodere "Trajectory" e il rutilante martellare del drummer Frank 'Bleeding' Dennis viene accompagnato da una sezione ritmica con i controfiocchi costituita da ben 3 chitarre e un basso che, ben bilanciati, vedono ergersi sopra le loro teste, il vocione apocalittico del bravo Ray. "Azimuth" è la seconda traccia, dallo vena deathcore, una song che riassume lungo i suoi quattro minuti e mezzo, lo spirito del 6-piece britannico: sonorità potentissime, ritmiche sincopate, rallentamenti magmatici, growling brutali, una buona dose di melodia e tanta tecnica. Risultato: eccellente. Gli arrangiamenti in questo disco non si sprecano di certo, tutto è curato nei minimi dettagli e "Impact" è l'ultima dimostrazione del dischetto anche se i minuti a disposizione rimangono solo tre. Ottimi riffoni che dettano un tempo quasi marziale controbilanciato da accelerazioni da urlo, il tutto enfatizzato poi da una produzione pura e cristallina. Ottimi laceranti assoli squarciano infine il brano in più punti, rivelando la natura orchestral brutal-melodica dei Codex Alimentarius. Bella scoperta, ma ora attendo un lavoro che confermi le qualità dei nostri anche sulla lunga distanza e ne faccia anche lievitare il voto conclusivo, tenuto logicamente più basso visti i soli 11 minuti messi a disposizione. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 70