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domenica 10 novembre 2013

Deeds of Flesh - Portals to Canaan

#FOR FANS OF: Brutal Death Metal, Technical Death Metal
Having been somewhat inactive the past five years, California's brutal death metallers Deeds of Flesh roar back to action on their eighth full-length, 'Portals to Canaan', and it is every bit as vicious and pummeling as their past works. Filled with over-the-top technical riffing that seems impossible to create in such a short space being buffeted against the previous rhythm creating a suffocating atmosphere of non-stop unrelenting guitar work and over-the-top drumming that has long been associated with the band, the songs are packed with lots of energy and rarely falter from an up-tempo pace that really lets the guitars focus on executing fascinating riffs throughout. This is best viewed on "Rise of the Virvum Juggernauts", where the guitar patterns are just mind-blowingly complex and technical throughout yet due to the nature of the blasting drumming it becomes a brutal onslaught of riffs that overwhelm the listener. Elsewhere, tracks like "Entranced in Decades of Psychedelic Sleep", "Hollow Human Husks" and the title track the brutality is lessened slightly to make for a more overall technical presentation, where the different patterns and riff variations employed are more the favor of the track rather than the relentless drumming, which adds a different flavor to the album overall. Still, the overwhelming vibe taken from this is the more brutal moments, where tracks like "Amidst the Ruins" and "Xeno Virus" run rampant with simply pummeling rhythms dished out by guitarist Craig Peters who shows a fine sense of keeping both areas in check with each other and when to forsake the brutality in letting the more technically-precise riffs in focus. If one is to find fault with this one, it’s the monotony that comes in rather constant form when dealing with this brand of death metal, for it’s almost impossible to say that this kind of music will be noticeable and distinctive the deeper into the album it gets. There’s only so many ways you can write riffs in this style without coming up with the same structure and pattern numerous times over, and while the band does do a decent job of making the songs stand-out in some sense, the fact that they can blend together is something of a hurtle to get over. The one lone needless track is the brief instrumental collage of ambient noise mid-way through, which does break up the monotony of the songs but just serves odd as a mid-album breather rather than a final fade-out outro, but nonetheless these two qualms aren’t enough to stop this from being one of the better DM releases of the year. (Don Anelli)

(Unique Leader Records - 2013)
Voto: 85

http://deedsoffleshmetal.com/

sabato 9 novembre 2013

Synopsys - Timeless

#PER CHI AMA: Post Metal/Post Rock, Isis, Cult of Luna
Abbiamo avuto modo di conoscere i francesi Synopsys in occasione del loro primo demo cd di due pezzi; li ritroviamo oggi in una versione ben più matura con questo EP di quattro song, intitolato “Timeless”. Confronti col passato? Presto detto: songwriting decisamente migliorato, suono corposo in cui post rock e post metal si sposano alla perfezione in una catalizzante progressione di umori e atmosfere. “Red Stars” parte piano: solite luci soffuse, neanche fosse un intro di un qualche brano dei Pink Floyd, voci pulite e nel frattempo il sound va in un crescendo vorticoso fino all'esplosione delle chitarre e del belligerante growling del buon Vincent. Il risultato è davvero buono, decisamente una spanna in più rispetto al passato. “We Have Still the Sun” ha un ottimo inizio, mi vengono in mente alcuni pezzi sparsi dei Muse, non tanto per le vocals ma per quell'uso arpeggiato della chitarra e quel feeling maledetto che irradia. “Naive” è un lungo brano di quasi 11 minuti. L'oscurità regna sovrana nel suo incipit con tre minuti affidati al rullare di un tamburo, poi l'inquietudine si trasforma in pace con una musicalità fluente che sembra pescare dalle cose più tranquille degli Isis dell'ultimo lavoro. Il risultato che ne viene fuori, per quanto possa apparire derivativo, mi soddisfa abbondantemente. Nella seconda metà della song, prevale poi la componente elettrica: bella l'effettistica nelle pesanti linee malinconiche delle 6-corde, le vocals pulite trasmettono un pizzico di nostalgia, infine il clima si fa più rovente, i toni si accendono e si entra in una dimensione di desolazione molto più vicina alle ultime performance dei Cult of Luna. “Drops of Fire” chiude brillantemente un dischetto che ha il solo difetto di durare troppo poco per i miei standard (28 minuti): questo è post nella sua più pura configurazione con il sound dei maggiori esponenti della scena che confluiscono nella proposta dei nostri. Che altro dire se non confermare quanto scritto nella precedente recensione “ne sentiremo delle belle...”. Eccomi accontentato. Vibranti. (Francesco Scarci)

(Self - 2013)
Voto: 75

http://www.synopsys-project.com/

venerdì 8 novembre 2013

Keyarzus - .​.​.​the Day the Trees Began to Fly

#PER CHI AMA: Black/Folk, Agalloch, Summoning
Peccato, peccato che l'EP in questione duri cosi poco; nei suoi 13 minuti infatti si respirano le gioie e malinconie del suo ideatore, Marius. Trattasi ancora una volta di una one man band tedesca che ci propone un assaggio del proprio sound attraverso un intro dal sapore neofolk, a cui fa seguito la rasoiata della sua title track. E proprio qui vorrei soffermarmi, visto che la conclusiva “Remains” è di fatto un outro. E allora torniamo ai 7 minuti abbondanti di “...the Day the Trees Began to Fly”: un black metal bello tirato, arioso e atmosferico. La ritmica è serrata, le vocals seppur gracchianti (stile Attila Csihar) risultano intellegibili. Assai carino l'ormai immancabile break centrale: chitarre acustiche, atmosfera bucolica, voci epiche, suoni sinfonici e l'utilizzo di un flauto e altri inserti “naturalistici” a completare egregiamente il pezzo. Niente male affatto. A chiudere l'EP ci pensa il soffio del vento che accompagna una chitarra acustica e le ripetitive vocals di Marius che omaggiano la natura, quasi con un mantra sacro. In attesa di una nuova uscita discografica dei nostri, mi vado a ripescare il full lenght dello scorso anno, 'Changes: Our Reflections in the Sky', ho come la sensazione che verrò piacevolmente sorpreso dalle sonorità stile Agalloch di questi interessantissimi Keyarzus. (Francesco Scarci)

(Self - 2013)
Voto: 70

http://www.facebook.com/Keyarzus

GrimFaith – Preacher Creature

#PER CHI AMA: Gothic Rock Avantgarde, Him, 69 Eyes, Cradle of Filth, Lacrimosa
I GrimFaith sono una band ucraina attiva sin dal 2002 con 2 EP e due full lenght in bacheca. Quest'ultimo secondo lavoro completo è uscito quest'anno per la BadMoonMan Music. La musica dei nostri ruota negli emisferi plurimi del rock gotico sotto svariate e infinite direzioni, in modo tanto diversificato che all'interno di queste dodici tracce troviamo rimandi ai The Mission, agli Him fino ai Cradle of Filth più accessibili, passando per il gusto cabarettistico dei Soft Cell e Lacrimosa, Draconian, Type of Negative e in parte Katatonia. Una lunga fila di paragoni da prendere come esempio ma con le pinze, poiché il rock di forte impronta gotica dei GrimFaith è molto originale e ben fatto, stranissimo, complicato e orecchiabilissimo, dal forte "Sense of Humor", nerissimo come la pece, sfottente come solo i Damned di metà anni ottanta ("Pantasmagoria") riuscivano a essere e cinematograficamente dannato come solo i 69 eyes potevano nel brano "Devils" (ascoltatevi la splendida cover di Mick Jagger - "God Save Me" o "Preacher Creature" o "Dead in Soho"), glam come le band del movimento visual kei... Le composizioni si snodano in stili completamente diversi tra loro anche all'interno dello stesso brano mantenendo sempre un'ottima qualità e un valore d'ascolto notevole. In due tracce troviamo ospiti Anders Jacobsson e Lisa Johansson dei Draconian a rinforzare le fila già ben collaudate di questa stravagante band. Un collettivo che ha le idee chiare, un background di tutto rispetto e soprattutto la vincente visione di un gotico altamente teatrale, tecnicamente fantasioso e pieno di fresche nuove trovate, suoni che si rifanno alla new wave degli 80's e chitarrone rock, distorte e modernissime, una voce che passa dai registri degli Spandau Ballet (modello 'To Cut a Long Story Short" del 1980) alle intonazioni da rocker del miglior Billy Idol fino ad arrivare al growl e allo screming più drammatico e violento. Un album che non appare mai troppo cupo, intelligentemente perverso e con un sarcasmo macabro degno di un bel film ambientato nella fumosa Londra del signor Jack the Ripper, un album che traccia dopo traccia diventa sempre più avvincente ed interessante. Create un altare di velluto rosso sangue a questo piccolo gioiellino, gustatelo più volte in un calice d'oro con del buon vino rigorosamente rosso sangue, sfoderate il nero mantello e in compagnia di una stupenda dama nera visitate il gotico castello di 'Preacher Creature'. (Bob Stoner)

(BadMoonMan Music - 2013)
Voto: 75

http://www.grimfaith.com/

mercoledì 6 novembre 2013

Eight Bells - The Captain's Daughter

#FOR FANS OF: Psychedelic rock, Progressive rock, Post metal
As it is, I listen to a lot of music. When I am not sleeping, working or taking in the proper nourishment to sustain me on a daily basis, you can bet that something is playing in the cd player, spinning on the turntable or leaking out of my computer speakers from my itunes. Sometimes this happens even when I am doing those three things. Point is, that I enjoy listening to music,do it every chance I get and have a wide range of tastes. When a friend asks me the question "What is it?" I usually have an answer with one of the thousands of genres and sub-genres. However, sometimes there is that band or album that defies classification. Thus is the case with Portland, Oregon's Eight Bells. This three piece create some of the most unique and interesting sounds around. So, when the question is asked to me 'what is it?" I will answer "get your label maker out and categorize it as psychedelic/dark/doom/heavy/post/prog metalrock" Eight Bells was formed by Melynda Jackson after the disbanding of SubArachnoid Space. Fellow SubArachnoid Space band mate Christopher Van Hussel is on drums and Haley Westeiner handles the six string bass and vocals. The trio produce some of the most eclectic music you'll hear, jumping and melding genres without ever being confined to one. The focal point of the band is Jackson's experimental and heartfelt guitar work. You can imagine each note pouring out of her heart and soul and into her fingers as they dance over the fret board with some kind of otherworldly controlled recklessness. The rhythm section of Van Hussel and Westeiner do not disappoint either. Van Hussel pounds away at the drums like a man possessed. The passion and feeling that he plays with is very apparent. Westeiner's smooth bass lines just flow seamlessly throughout each of the four tracks. These folks play with heart and so much passion, it just makes the listen that much more enjoyable. Although the vocals are minimal on this release, "Fate and Technology" showcases Haley Westeiner's ability as a vocalist. The song begins with Piggy-esc dissonant chords which smoothly transition into a slow and calming melody Westeiner's beautiful and haunting voice is perfect here. Jackson also adds vocals to this song in the form of some blacked screams which is proceeded by rolling thunderous drums and followed by a nice little stop-start riff. The title track, which is the longest song, clocking in at over 12 minutes, is obviously the center piece of the album. The song twists and turns through lavish landscapes of psychedelia. As much as I love "Fate and Technology" this may be my favorite song here. Right around the 8 minute mark after all the chaos, it settles into Jackson playing slow, single drawn out notes. The tone of the guitar here resembles that of In The Woods on their masterpiece 'Omnio' and some vocals are splashed in here, not in the form of words, but rather some dark and foreboding "ahhh's" which only add to the already dark atmosphere of this song. Eight Bells have remained under the radar since this album was released back in February. This is a shame, because this is some of the best and original music I have heard this year. This album is for anyone who enjoys great musicians that play with heart and craft amazing songs. This album was a pleasure to listen to and I will continue to listen to it for years to come. If there is one complaint that I have about "The Captain's Daughter", it would be that it is too short. Clocking in at around 32 minutes, it seems to fly by and leaves me hungry for more. (Brian Grebenz)

(Seventh Rule Recordings - 2013)
Score: 90

http://www.eightbellsband.com/

Wormlust - The Feral Wisdom

#PER CHI AMA: Black, Aborym, Deathspell Omega
Della furia iconoclasta degli islandesi Wormlust, sentirete parlare a lungo. “The Feral Wisdom” è un disco di quattro lunghi pezzi che si apre con la feralità intransigente di “Sex Augu, Tòlf Stjörnur”, un assalto di dieci minuti fatto di urla disumane, ritmiche completamente impazzite che violano le leggi della fisica in fatto di velocità (menzione d'onore ai blast beat infernali) e atmosfere che oscillano tra la glacialità, il terrore e l'incubo. Se dovessi trovare un termine di paragone per il sound dei nostri, penserei agli Aborym più estremi e schizoidi che fanno una jam session sulla scena di un film di Dario Argento. Difficile però dare una definizione più specifica al genere proposto da H.V Lyndgal, la mente malata che si cela dietro il monicker Wormlust. Potrei sicuramente parlare di unhortodox black metal, ma anche di sperimentazioni industrial-noise che si palesano nella matrice tissutale di questo apocalittico viaggio senza speranza. Con “Djöflasýra” il ritmo, per lo meno inizialmente, si mantiene più compassato, anche se i vocalizzi del musicista islandese, sono veramente inquietanti, spaventosi e assai originali, con la musica del combo nordico (ampio merito va alle linee di chitarra totalmente deviate e dissonanti) che propaga folate di odio come mai avevo sentito prima d'ora. Fortunatamente, un quanto mai inatteso break centrale tra l'ambient e l'etereo, mi concede il tempo di rifiatare e ghermire lo scudo prima di un nuovo assalto furibondo dei nostri. Tali sonorità sono una novità per me, mai avevo provato un cosi grande senso di inquietudine durante l'ascolto di un disco, ma dovete credermi che “The Feral Wisdom” rappresenta un episodio unico nella mia sconfinata discografia. Come prevedevo dopo la quiete la tempesta, ed ecco scatenarsi l'inferno sulla terra con vocalizzi non di questo mondo terreno e suoni che solo il diavolo in persona può aver musicato. “Á Altari Meistarans” mi conduce direttamente tra le anime dei dannati: l'atmosfera è sulfurea, la temperatura molto calda e il ritmo molto lento e seducente, anche se in lontananza si percepisce la sofferenza di quei condannati all'eterno dolore. Chiude questo enigmatico disco “Idur Úti” altro pezzo che esordisce con un ambient criptico a cui segue una breve sfuriata black prima del conclusivo e bestiale inno al maligno. Menzione finale per lo splendido artwork dell'opera e per l'azzeccata scelta, ancora una volta, da parte della Daemon Worship Productions, di mettere nel proprio roster questi pazzi visionari. (Francesco Scarci)

(Daemon Worship Productions - 2013)
Voto: 80

https://www.facebook.com/wormlust

martedì 5 novembre 2013

The Water Witch - The Heavens in Traction

#PER CHI AMA: Black Avantgarde, Blut Aus Nord, A Forest of Stars
Ero curioso di capire che strada avesse preso Jon Cumiskey dopo la dipartita dai “suoi” Forest of Stars, band che ho adorato sin dai suoi esordi. Ebbene, la nuova reincarnazione, The Water Witch, non tradisce assolutamente le mie aspettative, muovendosi fra sonorità black e puro e sano sperimentalismo sonoro. Non avevo dubbi a tal proposito e quando ad aprire il disco “Winter's Burden” si muove, danzando tra crepuscolari atmosfere e un riffing serrato e malefico, non posso che godere come un riccio. Il buon Jon è tornato per spaccare culi come al suo solito, frastornando le nostre menti con suoni deliranti ma sempre esaltanti, in cui ad emergere oltre a taglienti linee di chitarra, vi è un maligno basso e delle vocals di grande impatto sia in formato scream che pulito. Il risultato è eccellente sotto tutti i punti di vista e la pelle d'oca che si manifesta sul mio corpo al termine della prima traccia ne è la riprova. Godo, non lo nascondo. Inizio acustico per “The Soul of the World” (inizialmente intitolata “Illuminance”) e poi scariche grondanti di cupa e scura elettricità che toccano terra seminando terrore, disperazione e paranoia. La seconda traccia è un esempio di black mid tempo in cui a mettersi in mostra è nuovamente il basso slappato e l'incredibile voce di Jon, in una song dal forte ritmo claustofobico. “Akasha Aflame” è un intermezzo noise che ci prepara alla title track, gemma di un black d'avanguardia, assai sperimentale che richiama la vecchia band del carismatico e talentuoso leader inglese e in cui mette a ferro e fuoco il nostro ascolto, ormai incredulo. Non posso far altro che osannare la bravura del combo albionico e sottolineare la prova dei nostri sotto tutti i punti di vista: compositivo, lirico e concettuale. La melodia scorre a fiumi in questo lavoro, mantenendo tuttavia intatto lo spirito maligno che permea l'intero album. “Wilderness” è un'altra perla musicale: noise, suoni tribali, ambient generano ansia, frustrazione e paura. Quando le chitarre decollano e le sirene avvinghiano la mente e l'anima, turbando il mio subconscio, capisco la grandezza di questa nuova creatura creata dal mastermind britannico. Per chi come me, ama i Blut Aus Nord, qui troverà cibo per la mente. Ipnotici, suggestivi, intercorporei (cosi come suggerito dal buon Jon), i The Water Witch sono la vera sorpresa di questo mio autunno incolore. Non abbiamo ancora finito perché in “Teeth of Oak” trovano posto anche accanto agli estremismi black, suggestioni epic folk che sanciscono la grandiosità di una band che fa della propria assurda creatività, il vero punto di forza. “Asomatous Reawakening” chiude questo strepitoso album che solo pochi mesi fa è incredibilmente riuscito a trovare una distribuzione fisica. E allora care etichette discografiche, anziché perdervi nella produzione di roba da quattro soldi, aprite occhi, cuori e menti, per dare modo di esprimere il proprrio talento sconfinato a band di valore come i nostri The Water Witch. Geniali! (Francesco Scarci)

(Akashic Records - 2012)
Voto: 85

https://www.facebook.com/AndTheMistOfTheWerra

Seelengreif - ...Zum Tode Betrubt

#PER CHI AMA: German Black Metal
La Obscure Abhorrence ci ha abituato ad uscite come queste e sembra intenzionata a farle divenire un marchio di fabbrica. Cantato in tedesco, durissimo e nevrotico, drammatico e teatrale, sofferto e ostile, una musica figlia legittima del black metal che pur mantenendo la spinta iniziale del genere originale ha influenze e suoni più accessibili. Questa musica presenta sistematicamente atmosfere claustrofobiche e non è un caso che anche questa band sia di casa in Thuringia e che si stia parlando di German Black metal, una frangia del black con caratteristiche ben definite come quelle descritte in precedenza. Il sound è aspro ma ben definito e in alcuni momenti più orientato al classic metal, comunque un ibrido, con la chitarra classica nelle parti più d'atmosfera a fare in modo che il sound risulti all'ascolto malato, pieno di odio e malsana virtù. L'interpretazione vocale non può essere catalogata tanto è la sua tetra irruenza e l'espressività che punta sempre alla disperazione più profonda. La costruzione dei brani in genere è scrupolosamente ben assemblata ma non particolarmente complessa e punta a sostenere una lugubre marcia di morte che a nostro parere funziona a meraviglia. Le parti atmosferiche e doom come l' inizio di "Blanker Hass" hanno un loro blasfemo effetto e le accelerazioni, anche se non di grande innovazione, sono ben fatte e funzionali. Le canzoni sono intense, piene di foschia, nebbia e rabbia malata, di sicuro effetto gli archi e il violino di fondo che aumentano la tristezza su tappeti ritmici lanciatissimi. Di seguito, i poco più di tre minuti del malinconico solitario arpeggio classico di "Gleich der Dunklen See" creano un ponte divino e spezzano con stile il cd. Si riparte! altro brano che emula lo stile della band con screaming lancinanti e cavalcate chitarristiche in stile 80's e ancora arpeggi e atmosfere mozzafiato, sospese e diaboliche. I Seenlengreif con questo primo e unico full lenght dal titolo '...Zum Tode Betrubt' del 2011, aprono un varco e firmano un album estremo, drammatico, devastante e originale, un album che degnamente si può definire in pompa magna German Black Metal. Un lavoro inquietante, dai suoni estremamente violenti e limpidi, così velenoso sotto tutti gli aspetti che possiamo giudicarlo imperdibile!. Un lavoro che lascia se non il segno …una profonda cicatrice! (Bob Stoner)

(Obscure Abhorrence Productions - 2011)
Voto: 75

http://www.myspace.com/seelengreifband

sabato 2 novembre 2013

Milanku - Pris à la Gorge

#PER CHI AMA: Post-metal, Isis, Cult of Luna, *Shels
Era da parecchio tempo che non ascoltavo qualcosa di veramente interessante in ambito post-metal. I canadesi Milanku mi sono venuti in aiuto e poco importa se “Pris à la Gorge” sia uscito nel 2012, io li ho scoperti ora. Si comincia timidamente con “La Chute”, song più orientata al versante post-rock del genere, per quelle sue atmosfere soffuse, i suoi frangenti acustici, le luci tenue (stile *Shels) che mi permettono di rilassarmi e mettermi a mio completo agio, prima che irrompano nel tessuto musicale, i portentosi riffs di chitarra e la violenza quasi hardcore del vocalist. Song perfetta, meriterebbe un 10 e lode. “L'inclination” apre con il sound tribale del drumming, le luci si confermano flebili, ampio spazio viene concesso alla componente strumentale. Quando entrano in scena i pesanti riffs e le arcigne vocals, i nostri mi rievocano le ultime cose dei Cult of Luna, peccato che i Milanku abbiano creato queste song un anno prima della “saga” “Vertikal”. Potrete pertanto capire il mio stupore di fronte a questo sound, considerato che sono un grande fan dei gods svedesi. I Milanku hanno già pienamente conquistato il mio fedele supporto. Ancora post-rock in apertura di “Inhibition”, il quartetto di Montreal fa decisamente sul serio, di classe ce n'è da vendere e se questo è il loro debut, i presupposti per diventare leader mondiali in questo genere, sono davvero elevati. Echi dark che si rifanno addirittura ai Cure, affiorano deliziosi nelle note di questa splendida traccia per tre quarti strumentali, prima della violenza conclusiva. Sempre più esterrefatto dalla proposta del combo del Quebec e dubbioso su quale voto finale concedere, mi lancio all'ascolto di “Antalgìe”. Il brano, abbastanza minimalista, sprigiona fiumi di malinconia dal suo incedere quasi marziale, fino alla consueta esplosione configurata dal roboante suono delle chitarre e dalle urla selvagge del suo vocalist, qui alle prese anche con vocalizzi posti in sottofondo. È il turno de “La Nausée”: l'atmosfera è cupa, compassata, è la classica quiete prima della tempesta che si appresta ad abbattersi violenta sulle nostre teste. La tensione palpabile sale progressivamente, e non preannuncia sicuramente nulla di buono, ma continua a rimanere strozzata nei loop di chitarra acustica e batteria, senza mai colpire realmente. Quasi intorpidito passo a “Dopamine”, che in realtà non mi convince appieno, un po' più piatta rispetto alle altre. Con “Hypomanie” mi aspettano 10 minuti di catarsi sonora da affrontare: avvio ambient, i richiami agli Isis non mancano, il mio cuore inizia a batter forte come i colpi inferti dal drummer. Poi una meravigliosa struggente melodia avvinghia i miei sensi, penetrando nelle mie orecchie, cortocircuitando le mie sinapsi e innescando profonde scariche elettriche che raggiungono tutti i rami più periferici del mio corpo. Eccolo l'apice emozionale di questo disco racchiuso in questa stupefacente song. “Antigone” è l'epilogo del disco a cui non presto neppure tanta attenzione in quanto dentro di me risuona ancora l'eco imperturbabile della penultima traccia, che pone i Milanku in cima alle mie preferenze di questo finire di 2013. (Francesco Scarci)


(Tokio Jupiter - 2013)
Voto: 85

https://www.facebook.com/milankuband

Waning - Feeding of Fragments

#FOR FANS OF: Melodic Black metal, Dissection, Abyssos
Sweden's Waning have released their "Feeding of Fragments" EP earlier this year in September. This coming after 2 full-length releases, 2008's "Population Control" and 2012's "The Human Condition". The four song EP is a precursor to the upcoming, yet to be titled third full-length due at the end of 2013 or early 2014. Waning play a type of melodic black metal reminiscent to that of Dissection and Abyssos. Although, not as melodic as the aforementioned bands, the similarities can be drawn. Where it differs is in the over all cold and desperate feeling. "Feeding of Fragments" opens with the blazing "When Spawned". Fast paced and very melodic from the start, it hits it's peak between 1:34 to 2:20 when the melody varies and the vocals go from high pitched screams to a gurgling death metal style approach. The best track on the EP is "Not Among Them". This song shows the full potential of the band. A slower to mid-paced tune that displays that cold and desperate feeling I mentioned earlier. There is also the varied vocal approach here as Robert Arntsen moves from his common high pitched shrieks to a lower, not quite death metal growl (think Gorgoroth). As the song moves along it picks up momentum as it crescendos into fury of sick and twisted faster riffs. This track is also the longest of the four. That makes me think they knew they had something a little more special here. "With a Back of Sorrows Bent" is pretty standard issue and quite boring. The final track "Faceless in Line" which starts out with a nice little dissonant riff, meanders off into just ordinary black metal. I had high hopes for this when it started but it left me feeling like they just gave up on the song. Waning's strengths are guitarists Anders and Andreas. They compliment each other well and play some of the coldest and bleakest riffs that the genre has to offer. In genre where cold and bleak are staples, they succeed and exceeded my expectations. Their melodies keep this EP listenable throughout. The weakness of this band are the vocals. At times Robert Arntsen shows that he has the ability to do great things, however he seems to get stuck in the all too ordinary high pitch shrieks that take away from the music. Over all "Feeding of Fragments" isn't bad, but it does fall short of greatness and there is nothing here that's groundbreaking. If you enjoy melodic black metal with a slight, and I mean slight hint of post black metal, then this worth checking out. I hope that on the upcoming full length they write more songs like "Not Among Them" which is easily the stand out here and shows that these guys have the ability to craft original and memorable songs. (Brian Grebenz)

venerdì 1 novembre 2013

The Pit Tips

Filippo Zanotti

Maeth – Oceans into Ashes
Endorphinia – Follow the White Rabbit
In Lingua Mortua – Salon Des Refuses
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Francesco “Franz” Scarci

Milanku - Pris à la Gorge
Blindead - Absence
Anathema - Universal
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Roberto Alba

Oranssi Pazuzu - Valonielu
Necrophobic - Womb Of Lilithu
Inquisition - Obscure Verses For The Multiverse
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Alessio Skogen Algiz

Throne of Agaz - Nifelheim
Tymah - Transylvanian Dreams
Forest of Souls - Contes et Légendes d'Efeandayl
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Michele “Mik” Montanari

Pearl Jam - Lightning Bolt
Orchid - Heretic
Black Mountain - Year Zero
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Mauro Catena

Pearl Jam - Lightning Bolt
Fine Before You Came - Come Fare a Non Tornare
Anders Parker - Songs in a Northern Key
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Kent

Dismember - Like an Everflowing Stream
Tons/Lento - Split 12'
Harakiri For The Sky - Harakiri For The Sky
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Brian Grebenz

Blood Ceremony - The Eldritch Dark
Steven Wilson - The Raven that Refused to Sing (And Other Stories)
King Diamond - Them
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Claudio Catena

Motorhead - Aftershock
Monster Magnet - Lost Patrol
Carcass - Surgical Steel

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Bob Stoner

Grimfaith - Preacher Creature
Monster Magnet - Last Patrol
Tengger Calvary - The expedition

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Maeth - Oceans into Ashes

#PER CHI AMA:  Post/Stoner/Sludge, Cult of Luna, Isis, Pelican
Entusiasmo, punto. Non serve spendere altre parole per questa band del Minnesota. Bastano le note marine della spendida intro "Prayer", quindi l’attacco e la disarmante melodia di "The Sea in the Winter" a fare da ponte verso la monumentale "Nomad" (forse il miglior capitolo dell’abum)... cosa posso dirvi: tutto è perfettamente incastrato, armonico, dinamico, un macchinario dall’anima morbida e suadente, ma vivace allo stesso tempo, pronto ad inghiottirvi in un sol boccone, e siamo solo al terzo brano! Credetemi, una volta entrati nel mondo dei Maeth non se ne esce più, così come il loro disco che sta compiendo innumerevoli giri nel mio autoradio è destinato a rimanervi ancora per molto, perché ad ogni ascolto emerge qualcosa di nuovo, non notato in precedenza, mentre la sensazione di estasi aumenta nota dopo nota, riff dopo riff. Intendiamoci, i padroni di casa non hanno inventato nulla di nuovo, ma sono riusciti a fare quello che molti altri non hanno potuto o voluto, vale a dire trovare la perfetta quadratura del cerchio, rimodellando e plasmando la grandissima lezione lasciata da Isis, Cult of Luna, Pelican (data l’attitudine alle composizioni per lo più strumentali, dove la voce compie rare ma azzeccatissime incursioni, sia sporche che di grande coralità come nell’attacco di "Eulogy") e regalandoci qualcosa che suona terribilmente post, ma con tutta l’accezione positiva del termine: forse oserò troppo, ma mi piace pensare che i Maeth ci stiano regalando tutto quello che avremmo voluto sentire dai gruppi succitati e che per svariati motivi non sia mai uscito dai loro strumenti, qui evoluto e portato sino alle più alte sfere del sublime sonoro, con sprazzi di psichedelia arricchita da momenti ambient e tribali, popolati da tamburi e flauti notturni, a dare il personale tocco che rappresenta ormai un vero e proprio marchio di fabbrica (basti dare un ascolto all’altrettanto valido e magnetico EP d’esordio "Horse Funeral", altro must have). Insomma, resta solo da chiedersi cosa ci daranno in pasto in futuro, perché esordire col botto a volte può rivelarsi una lama a doppio taglio, ma in tutta onestà sono convinto che, quando si trasuda qualità e talento a tali dosi, la percentuale di insuccesso si attesti su valori molto bassi. Per intanto godiamoci questo capolavoro. Bravissimi! (Filippo Zanotti)

The Canyon Observer - Chapter II: These Binds Will Set You Free

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Sludge, Post Metal
Ecco l'album perfetto d'ascoltare la notte di Halloween. Che maestosa sensazione infilarsi le cuffie, spegnere la luce e ignorare quei bambinetti che suonano alla porta con il loro fastidioso ritornello “dolcetto o scherzetto?”. Meglio abbandonarsi alle tenebre sonore generate dal sound degli sloveni The Canyon Observer. Funeral, sludge e doom ovviamente a deliziare le mie orecchie, il tutto spruzzato di venature post. “Part I: As We Surrender to Lust” è un delirante viaggio nella notte: atmosfere rarefatte, chitarroni ultra ribassati e lenti su cui poggiano le acidissime e corrosive vocals del cantante. Con “Part II: And the Pleasures of Pain”, sprofondiamo negli abissi: da brividi l'atmosferico incipit, un po' stile Neurosis ma con maggiori influssi funeral, dovute ad un ritmo che stenta a decollare e che rende l'ascolto particolarmente asfissiante. Poi un bel giro di chitarra/basso, corredato da vocals malefiche, spezzano il loop malsano che lentamente mi stava prendendo la testa e ricama misantropiche melodie. Con “Part III: We Can Descend Into the Unknown” i nostri non si perdono tanto in chiacchiere: il ritmo è più spedito, uno squarcio di luce inizia ad emergere nelle note, e il post metal/sludge assume una maggior preponderanza sui suoni funeral iniziali. Le vocals oscillano tra il growling profondo, le urla disumane e il clean, mentre uno splendido break centrale dalle tinte post rock, assume il comando delle operazioni da qui alla fine del pezzo, cullandomi con i suoi delicati suoni. “Part IV: And Drift Away” chiude paurosamente la mezz'ora di ottima musica messa in scena dai nostri nuovi amici sloveni, con una song dal forte feeling malinconico. Ottima scoperta questi The Canyon Observer, da tenere assolutamente monitorati in futuro. (Francesco Scarci)