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lunedì 22 agosto 2016

Haiden - S/t

#PER CHI AMA: Progressive Sludge, Mastodon, Russian Circles
Primo lavoro per gli Haiden, un EP della durata di poco più di venti minuti, in cui questo trio belga propone un post-metal strumentale, anche se mi viene leggermente forzato definirlo tale poiché il sapore che deriva dall'ascolto di questo lavoro omonimo risente molto del polveroso sound desertico statunitense e di una certa vena progressive. Al primo ascolto infatti, il lavoro dietro alle pelli mi ha ricordato quel prog anni '70 tipicamente italiano che si mescola al funky-jazz, di cui possiamo trovare il suo apice nelle colonne sonore dei film polizieschi. Inutile dire che i due chitarristi seguono strade dicotomiche. Le composizioni, a differenza di altri loro colleghi dediti a questo genere strumentale, non sono lunghe, ripetitive o strazianti, ma sorprendentemente eterogenee sia come struttura che come idee. Idee, che forse risulteranno fin troppe nell'evoluzione del dischetto; e anche se alcune davvero buone, faticano talvolta nell'amalgamarsi tra loro alla perfezione. Ad ogni modo, il risultato che ne deriva è decisamente ammirevole per un EP di debutto orientato a sonorità già esplorate e sfruttate fino allo sfinimento. I primi secondi di "Harae" aprono il disco con riffs ridondanti e sonorità calde, graffianti, sature, tipicamente stoner. La seconda, "Chabe", si distingue invece per l'iniziale cavalcata sottovoce alternata a bruschi cambiamenti di dinamica e ritmo, mentre le successive "Valken" e "Mimas" giocano, rievocando i Neurosis, su ritmi tribali e chitarre a tratti noise e dissonanti. L'ultima song, "Hekla" (chissà se il titolo si riferisce al nome del vulcano islandese/ndr), è la traccia più particolare del disco, e lungo il suo scorrere possiamo trovare ampie bordate sonore, eclettici arpeggi, fulminei cambi di tempo. In pochi minuti, questo debut ci propone una rassegna di pensieri frizzanti e vivaci, nonostante la patina data in sede di mastering sia volutamente cupa e chiusa. Tecnicamente, il gruppo di Gent avrebbe ancora molte cose da dire e potrebbe di certo dare ancor di più; non ci resta che aspettare un full length in cui sono certo che il psichedelico trio raffinerà non poco la propria proposta. (Kent)

giovedì 4 agosto 2016

Veuve - Yard

#PER CHI AMA: Psych/Stoner, OM
Lo stoner spopola e la scena italiana sta vivendo un momento particolarmente produttivo, nonostante sia in largo ritardo rispetto a quella americana e svedese. Oggi parliamo dei Veuve, un trio friulano che si butta a capofitto nel mondo fatto di sabbia, cactus e acidi con il loro primo full length, 'Yard' appunto. L'etichetta e studio di registrazione The Smoking Goat Records ha ottimo fiuto e ha pensato bene di reclutare i nostri tre impavidi eroi del fuzz sotto la loro ala e noi non possiamo che essere contenti che il loro incontro abbia dato la luce questo digipack contenente otto tracce che colano stoner vecchia scuola unito a sonorità shoegaze, soprattutto dovute a un cantato che richiama atmosfere etere e spaziali. Il bello dei Veuve infatti sta nell'ottimo impatto sonoro caratterizzato dalle distorsioni solide e ruvide del genere, in contrasto ad una timbrica vocale inaspettata. "Days Of Nothing" è l'esempio lampante di questo sodalizio curato e sviluppato con saggezza dall'act friulano. Basso e batteria sono incalzanti sin dall'inizio, i riff di chitarra sono puliti e non si affidano solamente al muro sonoro, cercano piuttosto fraseggi e melodie per catturare l'orecchio smaliziato dell'ascoltatore. Ovvi rimandi ai Dozer e ai Truckfighters sono facilmente identificabili, ma se si guarda lontano, i Veuve trovano un loro stile che diventa presto trascinante. Il mood etereo del cantato si trasmette anche agli assoli di chitarra e crea un'amalgama bilanciata e credibile, come accade in "Mount Slumber" dove la band rallenta il ritmo e si concentra su atmosfere spirituali, puntando sulla ripetitività dei riff e su una ritmica ossessiva. In questi sette minuti abbondanti verrete accompagnati dal groove degli OM appesantito il giusto dalle sapienti mani dei nostri musicisti. L'assolo post rock finale poi è la goccia che farà traboccare il vostro equilibrio mentale e farvi cadere nell'oblio assoluto. "Pryp'jat'", ovvero la città fantasma nata dall'incidente nucleare di Cernobyl, è la traccia che chiude questo ottimo lavoro. Corrosiva, polverosa come le strade di quel luogo dimenticato da Dio, la canzone scarica un elevato quantitativo di decibel, grazie anche agli intrecci di chitarra che grazie alla sovra-incisione, si può permettere maggior libertà sonora. Il basso non spicca in termini di frequenze, ma è l'elemento determinante a creare il suono che contraddistingue i Veuve, cosi come la sezione ritmica che trasuda groove ad ogni pattern. Sul finale percepiamo un sintetizzatore che ci porta indietro agli anni ottanta e sembra essere stato messo alla fine di tutto per avvertirci che in futuro potrebbe tornare. Noi lo speriamo, perché questo album è veramente ben fatto e ci aiuta ad aggiungere un'altra band alla nostra collezione. Se i Veuve faranno tesoro del lavoro fatto per 'Yard', il prossimo album sarà spettacolare, ci scommetto una buona birra fresca. (Michele Montanari)

(The Smoking Goat Recording - 2016)
Voto: 75

https://veuve.bandcamp.com/album/yard

The Pit Tips

Francesco Scarci

Toska - S/t
Negative Voice - Cold Redrafted
(EchO) - Head First Into Shadow

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Don Anelli

Mortillery - Shapeshifter
Defiled - Towards Inevitable Ruin
Horror Chamber - Eternal Torment

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Kent

Have a Nice Life - Deathconsciusness
Asylum Party - Borderline
One Life - The Crowning

SUMMER CONTEST



VUOI VINCERE IL NUOVO SPLIT ALBUM DI IN CAUDA VENENUM, HEIR E SPECTRALE, EDITO DALLA EMANATIONS RECORDS? 

RISPONDI A QUESTA SEMPLICE DOMANDA E PARTECIPA ALL'ESTRAZIONE DI UNA COPIA DEL CD E 3 COMPILATION DELLA LES ACTEURS DE L'OMBRE PRODUCTIONS

QUAL'È IL COMUNE PAESE D'ORIGINE DELLE TRE BAND?

RISPONDI ENTRO IL 26 AGOSTO A: 
thepitofthedamned@gmail.com


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WOULD YOU LIKE TO WIN A COPY OF THE SPLIT ALBUM OF IN CAUDA VENENUM, HEIR AND SPECTRAL, RELEASED BY EMANATIONS RECORDS?

ANSWER TO THIS SIMPLE QUESTION AND PARTICIPATE TO THE DRAW OF A COPY OF THEIR SPLIT ALBUM AND OF 3 COMPILATIONS MADE BY LES ACTEURS DE L'OMBRE PRODUCTIONS

WHICH IS THE COMMON HOME COUNTRY OF THESE THREE BANDS?

ANSWER BY AUGUST 26th TO: thepitofthedamned@gmail.com

Interview with Toska


Follow this link to know much more about the mysterious Icelandic blacksters Toska:

Asylum Pyre - Spirited Away

#PER CHI AMA: Power/Prog, Amaranthe
La Francia si rivela ancora una volta terra fertile per le branchie più melodiche, ormai definibili in una nuova vera e propria corrente power, con caratteristiche comuni e radicate nell’ultima decina d’anni. Questa volta la band in questione arriva dalla capitale Parigi, con il terzo full-length in studio, dopo 8 anni dall’uscita del primo demo della band. Esperienza ed evoluzione sonora portano il loro dovuto contributo e si avverte fin da subito che 'Spirited Away' presenti una marcia in più, per quanto riguarda la produzione, rispetto ai due precedenti lavori ('Natural Instinct' e 'Fifty Years Later'). La formula sviluppata dagli Asylum Pyre è la classica riscontrabile in gran parte degli esponenti del movimento francese (vedi Benighted Soul): un power melodico con l’aggiunta di elementi di provenienza diversa, dalle influenze prog agli elementi elettronici e sinfonici. La voce femminile, cristallina e pop-eggiante, è arricchita da una buonissima interpretazione da parte della cantante Chaos Heidi, sempre articolata su forti melodie a sovrastare i riff di chitarra e i tappeti di tastiere, che in certe occasioni ricordano quelli dei più navigati Amaranthe. Un pianoforte apre e chiude questo lavoro dall’intro di "Second Shadow" alla lenta dissolvenza di "Fly". Fra di esse invece troviamo le ricercatezze melodiche dell’ensemble parigino, fra la potenza della vocalist, che apprezziamo particolarmente nelle prime tracce dell’album "Only Your Soul" e "Unplug My Brain", le quali si prestano per caratteristiche anche a diventare dei buoni singoli. Successivamente incontriamo varie sfumature, dagli stacchi che sanno di prog (parte centrale di basso nella seconda traccia), alla lenta ballad "The White Room", fino a sezioni decisamente più potenti come nella più lunga e articolata "Soulbrust" o in "Shivers", nelle quali interviene anche il chitarrista Johann Cadot con le sue vocals più aggressive. Buona prova per la band d’oltralpe che mostra una naturale maturità rispetto ai precedenti lavori. Non si tratta certamente di qualcosa di eccezionale o innovativo, anzi si colloca proprio nei canoni del movimento. Certamente però rappresenta una nuova conferma del fatto che negli ultimi anni la Francia stia sfornando una notevole corrente power-melodica, destinata di certo ad evolversi ulteriormente. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(Massacre Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/asylumpyre/

Heimsgard – Ordrag

#PER CHI AMA: Pagan/Folk Metal
Uscito nel 2015 per la Epictural Productions e distribuito dalla leggendaria Season of Mist, l'album di debutto della one man band francese capitanata dal tutto fare Raido, già chitarrista dei Malevolentia, Karne e Ferriterium, sfodera una dignitosa prova districandosi nel ricco ed inflazionato sottobosco guerriero del fiero pagan folk metal. La combinazione di epic/speed/black metal con influenze folk provenienti da molte parti d'Europa, danno un'impronta di ampio respiro al cd, sottraendolo al facile dimenticatoio in cui finiscono poi molte band che propongono questa particolare commistione sonora. L'album ha un buon tiro e suona assai professionale, con una certa cura per i dettagli, per composizione e bilanciamento. 'Ordrag' alterna slanci epici ad innesti folklorici di matrice celtica, aggiungendo alcune galoppate nordiche tipiche dei territori finnici, ma anche suoni cari ai Cruachan, composizioni da colossal e musica sinfonica alla Bal Sagoth, anche se tutto l'insieme suona arcigno e guerrafondaio, ispirato dai canti gloriosi degli Ensiferum e dai cori battaglieri dei mitici Falkenbach. In tutto e per tutto devoto al verbo del folk senza compromessi, il disco non sposta mai l'ago della bilancia verso altri generi non allineati o consoni. Le cornamuse e l'apertura di "In the Shadow of Great Men" devono essere considerate come una gemma nel repertorio del musicista transalpino, in un brano che mette in risalto tutte le virtù di questo tipo di metal estremo. Il poliedrico brano permette all'ascoltatore di passare in scioltezza da un intro ambient dal tocco ancestrale ad una cavalcata mozzafiato di ispirazione Finntroll, con tanto di assolo in velocità, cori, voce e sezione ritmica con istigazione alla battaglia, tutto in una sola traccia, ove ben presto ci si rende conto di essere di fronte ad una vera e propria delizia. Aiutato da Max alla batteria e Robin al basso, il nostro oscuro bardo, suona egregiamente una miriade di strumenti provenienti dall'ambito etnico e in "Flavour of Victory" trova un equilibrio a dir poco perfetto, una simbiosi tra velocità e melodia che la dice lunga in fatto di fantasia compositiva e sensibilità sonora. "Wanderer Song" ci lancia fieri verso la ricerca di nuove lande da conquistare, mettendo in risalto un'orecchiabilità fluida all'interno di una compattezza sonora estrema, ove ogni nota infonde orgoglio e per cui non si ha mai la sensazione che qualcosa sia fuori posto. Concepito come un'opera sinfonica, il metal espresso dagli Heimsgard è accostabile per attitudine alle migliori creazioni dei Northland, ragionate però in un'ottica musicale ampia e orchestrale, dove il sound pagano si fonde con l'opera classica, maestosa e magistrale. L'album richiede tuttavia un ascolto impegnato e una buona conoscenza del genere per essere gustato appieno, per capire l'enorme sforzo creativo di questo artista e il valore della sua opera. La chiusura è affidata ad un outro dal sapore cortigiano che segna degnamente la fine di un lungo viaggio di conquista e la chiusura di un cd tutto da assaporare ad alto volume e ad occhi chiusi, lasciandosi trascinare in sentimenti antichi e guerrieri che il mondo di oggi non conosce più e neppure osa immaginare. Digipack dalla bella e suggestiva grafica, album notevole. Consigliato l'ascolto! (Bob Stoner)

(Epictural Productions - 2015)
Voto: 80

https://www.facebook.com/heimsgard/

Le Scimmie - Colostrum

#PER CHI AMA: Stoner/Psichedelia/Doom, Ufomammut
Oscurità, psichedelia, sonorità distorte e avvolgenti. Le Scimmie sono gli Ufomammut sotto acido: cinque brani che mescolano sapientemente stoner, doom, metal e ambient. I quattro brani che compongono 'Colostrum' – terzo lavoro del trio italiano, dopo 'Dromomania' (2011) e 'Habanero' (2012) – sono costruiti su riff granitici e ossessivi, che si sommano ridondanti, generando enormi architetture sonore, vere e proprie cattedrali oscure e magnifiche. I 14 minuti della opening e title-track "Colostrum" ruotano attorno ad un riff massiccio e potente ripetuto fino allo spasmo, su cui l’ottima batteria costruisce interessanti variazioni, sostenuta da un synth inquieto e surreale, che apre e chiude il brano. Segue "Crotalus Horridus", l’episodio più breve e veloce del disco, che rimanda a sonorità stoner. Infernale e onirica, "Triticum" è sostenuta da un compatto giro di basso, su cui una batteria a tratti tribale costruisce una progressiva esplosione. Chiude "Helleborus", violenta e tesa, disturbante nelle sue vene industrial centrali che spezzano i granitici pattern – non dimenticherete facilmente il geniale riff di apertura – su cui l’intero pezzo si regge. 'Colostrum' è un disco nero come il più buio angolo dell’inferno, una creatura enorme e abominevole, che rotola sulla terra radendo al suolo ogni cosa e sbriciola le menti più deboli con l’ossessiva ripetizione e le sue inaspettate aperture ambient. Un lavoro che – pur registrato con qualche pecca di produzione – lascia speranze per la scena più scura della musica italiana. (Stefano Torregrossa)

(Red Sound Records - 2016)
Voto: 80

https://lescimmie.bandcamp.com/

Vredehammer - Violator

#FOR FANS OF: Black/Death, Krigere Wolf, Nordjevel
Originally conceived as a studio solo project, Norwegian black/death metal stalwarts Vredehammer have since grown into a fully-fledged unit and have given us a solid and highly enjoyable second album. Essentially this here is a strong and imposing effort that manages to mix together the traditional old-school second-wave of Norwegian black metal with a strong, defining death metal crunch that produces some devastating results here, giving this the steady tremolo-picked rhythms and majestic mid-tempo sprawling sections loaded with atmosphere prevalent in numerous black metal bands of that time while mixed together with the deep churning rhythms of death metal. This is a fantastic mixture that gets some devastating work out of it, and is one of the better parts here, as the more relentless tracks are furious and boundless yet still retaining a few select appearances of melodic sprawling to offset the chaos. This gives this some really enjoyable tracks here. The opener ‘Light the Fucking Sky’ rips through deep, churning riffing and devastating drumming into a ferocious mid-tempo march with plenty of swirling tremolo riffing and ferocious drumming pounding along throughout the tight final half for a spectacular opening effort. ‘Spawn Tyrant’ features tight, blistering rhythms and swirling tremolo riffing with a ferocious, mid-tempo gallop and utterly relentless drumming carrying the deep, swirling riff-work along into a slight sprawling section that leads back into the vicious finale for another strong highlight. The title track takes deep, swirling riffing and tight, blasting drumming that carries along with a steady full-throttle series of churning riff-work that takes a long, extended sprawling break in the mid-section before leading back into the charging final half for another strong stand-out. ‘Deadfall’ immediately blasts through tight, pounding drumming and steady, swirling mid-tempo series of jangled, discordant patterns featuring the steady mid-tempo paces with the screeching-filled sprawling section that slows the pace down as the jarring rhythms continue into the finale for a decent-if-unspectacular effort. ‘Ursus’ features jangly, discordant riff-work over pounding, blistering drumming that runs through a steady, swirling tremolo-filled mid-range chug that leads along into the sprawling section and bringing the swirling tremolo leads into the steady chug of the final half for a solid, enjoyable effort. ‘Cyclone’ uses a deep, heavy blistering crunch with pounding drumming and steady swirling riff-work that whips along at a majestic mid-tempo gallop filled with deep, churning rhythms and stylish technical chugging with fiery tremolo patterns leading into the sprawling fadeout finale for a standout highlight. Lastly, album-closer ‘Blodhevn’ utilizes blistering traditional tremolo riffing and churning drumming that settles on a steady, blistering mid-tempo gallop full of churning patterns and steady tremolo patterns that carry on into the atmospheric sprawling section and carrying on through the final half for a strong ending impression. Overall that’s a lot to really like here with this one and is quite enjoyable. (Don Anelli)

(Indie Recordings - 2016)
Score: 85

https://www.facebook.com/Vredehammer/

Prisoner Of War - Rot

#PER CHI AMA: Death Old School, Incantation
Il disco di quest'oggi ci conduce direttamente dall'altra parte del mondo, a scoprire una band che il sito Metal Archives mette già "On hold" con le attività, sebbene 'Rot' ne costituisca il debutto in questo 2016. Il terzetto neozelandese si diletta con un sound death metal spaccaculi, con tematiche legate alle Guerre Mondiali. Lo si deduce non solo dal loro monicker ma anche dal titolo della prima traccia, "Slow and Painful Death by Gas", che verosimilmente tratta il tema della morte lenta e dolorosa indotta dal gas nervino nei campi di concentramento nazisti. Queste tematiche forti sono poi accompagnate da un sound altrettanto brutale che ha modo di sfociare anche in territori più thrash metal orientated. "Evil Sky" mostra chitarre taglienti già dal suo incipit, che hanno modo di offrire sprazzi di melodia fin qui tenuti più in secondo piano, per far posto invece a ritmiche serrate, di cui sottolineerei la roboante prova dietro alle pelli di tal MG-42 (anche qui si sprecano i riferimenti all'industria bellica nazista e alle loro mitragliette) e a delle normali growling vocals. I tre di Auckland proseguono a colpire come forsennati anche nelle successive song, delineando un sound che si muove tra partiture più ragionate e mid-tempo con accelerazioni più efferate e brutali, come nella breve e caotica "Twisted Mass of Burnt Decay" o nella title track. 'Rot' è alla fine un disco (in formato 12") di per sé genuino, ma che poco ha da dire ad un mercato sempre più saturo per ciò che concerne le uscite in ambito estremo. Per pochi nostalgici del death metal degli anni '90. (Francesco Scarci)

Light of the Morning Star - Cemetery Glow

#PER CHI AMA: Dark/Doom/Heavy
Sono poche le informazioni disponibili sul web a proposito di questa band: si sa che sono londinesi, questo è il loro EP di debutto, trattano tematiche vampiresche e necromantiche e poc'altro. Partiamo allora con l'inquadrare il sound della band inglese visto che la cover cd mi indurrebbe a pensare a suoni funeral, magari sarà utile per capire qualcosa di più di questi misteriosi Light of the Morning Star: la melodia iniziale di "An Empty Hearse" sembra lasciar presagire a sonorità estreme, tuttavia la performance del vocalist tradisce le mie aspettative visto che propone invece un cantato più votato al gothic, un po' come se i Fields of the Nephilim si mettessero a suonare black metal, suonerebbe strano, anche se sicuramente intrigante. E cosi nel sound nero e circolare della opening track, provano ad emergere anche sonorità più classiche, che accompagnano un cantato che di estremo continua ad aver ben poco. Doom, heavy, gothic e dark si abbinano in modo sinistro alla ritmica glaciale che guida il brano. Dicasi lo stesso per la seconda "Black Throne Ascension", più densa di atmosfere cariche di groove. Le linee di chitarra della finale "Wraith" mischiano ancor di più le carte in tavola: si parte da malinconiche melodie stile Rapture, per poi abbandonarsi in oscuri anfratti doom, passando attraverso sonorità occult horror, grazie ad un utilizzo sapiente dei synth. Alla fine 'Cemetery Glow' è un EP che rischia di rivelarsi addirittura coinvolgente, peccato solo duri una manciata di minuti (12), troppo poco per dare una valutazione definitiva alla proposta del combo inglese. Da rivalutare più dettagliatamente sulla lunga distanza. (Francesco Scarci)

Nominon/Sabbat/Blaspherion - Trident of the Macabre

#FOR FANS OF: Swedish Death/Black/Thrash
The new split release bringing together Swedish deathsters Nominon, Japanese black/thrash maniacs Sabbat and Texas death metal revivalists Blaspherion on one platter is a wholly enjoyable sampling for each of the bands presented. For Nominon, the name of game is straightforward Swedish death metal and they’re not fooling anyone with the opening notes signaling their intention of paying homage to those greats from the start. Deep, churning chainsaw-flavored grooves and that rattling old-school production are in full-effect and not for a second are dropped throughout here as the up-tempo rhythms are at the forefront of their attack and it’s just simple, straightforward efforts. This straightforward attitude might wear on some, but the competence of their attack more than makes up for it. ‘Release in Death’ takes raging rhythms galloping along through a bouncy mid-tempo pace with plenty of swirling rhythms and dynamic drumming keeping the jagged patterns along through the sprawling mid-section and on into the blistering riff-work raging through the final half for a superb opening effort. ‘Mountain of Hate’ features tight, thumping and blistering rhythms through the intense drum-work that keeps the furious, frantic rhythms carrying along throughout the straightforward and pounding grooves grinding away into the finale for a fun and enjoyable effort. ‘Son of Doom’ uses the sampled intro into tight, pounding rhythms and plenty of deep grooves swirling away into the frantic up-tempo rhythms as the mild mid-tempo sprawling section gives way to blistering rhythms and drumming into the final half for a strong effort. Finally, ‘Rigor Mortis’ rips through a series of raging drumming and deep churning grooves taking a series of frantic rhythms along through the deep series of churning and tight raging riff-work that bounces along through the fiery patterns into the finale for a fun and enjoyable conclusion to their side. The Japanese entity Sabbat, known for their productivity and ardent work-ethic, offers a simplistic and slightly rawer take on the old-school black/thrash style as the central riffing is built around simplistic plodding thrash arrangements with plenty of weirdly-accented vocals that adds a wholly appealing dynamic to their sound. They’re ultra-simplistic and even somewhat sloppy in their arrangements, but those weird vocals over the raw rhythms make it a slightly more appealing take with these creating such a different stylistic take compared to the more death metal-oriented groups surrounding them on the split. The rawness and simplicity might be too much for some to take, but they’ve been around this long for a reason. ‘The Egg of Dapple’ slowly works through a simple churning riff with plodding rhythms slowly carrying the simple, discordant melody along through the overlong, plodding series of simplistic notes into the final half for a mostly unimpressive start. ‘Mion's Hill (20th Epic Gezol Version)’ features a plodding mid-tempo series of swirling rhythms and tight drumming that continually churns along through the majestic marching and swirling riff-work carrying on throughout the extended finale for a highly enjoyable effort. ‘Sabbat’ uses a ferocious charging series of rhythms and raw riffing to blast through a ferocious assault with the tight thrashing riff-work and blistering, pounding drumming taking on plenty of tight, frantic patterns throughout the charging, utterly schizoid final half for a savage, feral attack. Lastly, the epic ‘Harmageddon’ charges for with simple punk-ish riffing and straightforward blasting drumming with plenty of up-tempo rhythms and straightforward thumping drumming carrying the frantic mid-tempo sections through the extended series of psychedelic-styled swirling riffing leading into the raging finale for a grand and enjoyable effort to finish their side. Lastly, Blaspherian is a rather curious case with their old-school Incantation-worshipping style that comes straight from their playbook. From the tight, swirling riffing and rather brutal attack, there’s a simplistic approach to their attack that’s given all the more life here based on their production style that effectively matches that dirty, droning style so prominent in that approach. It’s all quite obvious and apparent of this influence as the choppy swirling rhythms and propensity for including sprawling sections of extended laid-back tempos, yet this works for their favor by allowing for plenty of easy-access to their sound by being this familiar to their chosen approach. ‘Praising Impurity’ goes from the spoken-word intro into a tight, swirling series of riffing and plenty of wholly vicious swirling rhythms alongside the deep, churning patterns charging into the tight, frantic final half getting this off to a nice start. ‘In the Shadow’ takes a slow, simple sprawling pace with frantic swirling riff-work before turning into a series of frantic rhythms with plenty of blasting up-tempo rhythms carrying the fine up-tempo paces charging along into the finale for another rather fine effort. ‘Lies of the Cross’ slowly works through the swirling paces into a series of blistering and frantic rhythms holding the series of deep, churning patterns swirling along throughout and leading along into the straightforward fade-out final half for a decent-if-unimpressive effort. Finally, a live version of ‘The Blessings of Sanctity Rescinded’ effectively captures the savageness and brutality of their regular work with a tight-ness and intensity that’s carried over nicely even if the slowed-down tempos come off even more obvious with the restrained tempos and feedback ensuring the live version is apparent throughout. Overall, though, this is still a highly enjoyable split release. (Don Anelli)

giovedì 28 luglio 2016

Ithaqua - The Black Mass Sabbath Pulse

#PER CHI AMA: Black Ellenico, Rotting Christ
Non conosco l'esatto motivo, ma in estate mi sembra di avere per le mani un maggior numero di EP, soprattutto targati Iron Bonehead Productions, forse una coincidenza, mah... Quello di oggi è il 7" di debutto dei greci Ithaqua, un lavoro i cui suoni mi riconducono indietro nel tempo di oltre vent'anni, 23 per la precisione, ossia quando uscì 'Thy Mighty Contract', album immortale dei connazionali Rotting Christ. Un vero back in time per il sottoscritto in quanto "The Black Mass Sabbath Pulse" e "Walpurgis, The Flight Of Spectral Witches", i due brani ivi contenuti, pescano a piene mani proprio dal quel masterpiece. Sedici minuti che si rifanno alle antiche tradizioni e all'occultismo di scuola ellenica che ha dato regali natali a band quali Thou Art Lord, Septicflesh,Varathron e Kawir (di cui Echetleos peraltro, il chitarrista della band, ne è membro). Le atmosfere, i giri di chitarra, le flebili tastiere e le aspre growling vocals incarnano appieno quello spirito di metà anni '90, quando la scena greca era forse assai più florida di oggi. Se il side A riflette pedissequamente quei suoni, il lato B del dischetto aggiunge alla componente black anche un che di heavy doom classico, soprattutto a livello di suoni di chitarra nella prima metà. La seconda no, non potete sbagliare, puzza lontano anni luce di quell'odore di zolfo che impregnava indelebilmente tutti i dischi nati in quella fetta di Mediterraneo. (Francesco Scarci)

mercoledì 27 luglio 2016

The Basement Paintings - Mystic

#PER CHI AMA: Post Metal/Ambient, Isis, Russian Circle
Quando penso al Saskatchewan, mi vengono in mente gli indiani d'America, mi piace come suona questa parola, trovo che abbia un che di mistico. Da oggi però legherò il nome di questo grande stato canadese anche a quello del quartetto dei The Basement Paintings, e al loro nuovo album, il terzo, intitolato 'Mystic'. La band, proveniente dalla città di Saskatoon, condivide nell'ora a loro disposizione, la propria visione musicale, all'insegna di uno strumentale, atmosferico e cinematico post metal, che vede tra le proprie influenze act quali Godspeed You Black Emperor, Isis, Russian Circles e perché no, anche Pink Floyd. È proprio dalle visioni più oniriche e psichedeliche di quest'ultimi infatti, che prendono forma le prime due tracce del disco, "Nomad" e la lunga "Veda", diciassette minuti totali di musica ispirata, che fonde al suo interno panorami ambient/drone con suggestioni progressive assai ipnotiche che chiamano in causa, nelle oscure linee di basso, anche i Tool. Raffinati devo ammetterlo, però (c'è sempre un però), se ci fosse stata una voce (un qualcosa alla Steven Wilson per intenderci), staremo parlando di una release bomba. "River" è una breve traccia ambient che ci introduce a "Portal" e ai suoi astrali riverberi notturni cosi evocativi a livello di chitarre ma anche cosi carichi di alte dosi di groove. "Cave Dance" è un'ipnotica danza attorno alle cerimoniali fiamme di una qualche festa indiana, ma voi potreste sentire (e vedere) sicuramente dell'altro grazie a quel tribale battito di tamburi che va lentamente affievolendosi lungo l'evolversi del brano, lasciando spazio ad eteree chitarre ancestrali che evocano nuovamente i primordiali vagiti dei Pink Floyd, sebbene il finale si conceda una scarica elettrica dal flavour decisamente post metal. Ancora sospiri d'ambiente con "Pensive", prima della maratona conclusiva affidata ai 13 minuti di "Oneiros" che, come si evince dal titolo, riflettono paesaggi trascendentali e immaginari che contribuisco a sottolineare le eccelse qualità tecnico-compositive del combo canadese, capace di dispensare musica sopraffina, che trova il suo epilogo nella title track, posta come ultimo atto di questo mistico lavoro. "Mystic" è l'atto meditativo finale, la catarsi, l'ascesa verso il Grande Spirito Wakan Tanka. Sciamanici. (Francesco Scarci)

martedì 26 luglio 2016

lunedì 25 luglio 2016

Vira - S/t EP

#PER CHI AMA: Math/Stoner
Inizio questa recensione, citando il sito bandcamp del duo bolognese dei Vira: questo pezzo si basa sulla struttura dell'antica tragedia greca i cui personaggi condannati tipicamente passano attraverso tre fasi nel loro viaggio verso la rovina. Queste erano: ATE (Cecità) in cui il personaggio tragico commette involontariamente il suo errore fatale. HUBRIS (Arroganza) in cui il personaggio tragico offende gli dei con la sua arroganza. NEMESIS (Divine Retribution) in cui il personaggio tragico è severamente punito dall'ira degli dei. L'EP omonimo dei Vira è un'unica traccia digitale, scaricabile gratuitamente dal loro sito, che ingloba, lungo i suoi sperimentali e strumentali 23 minuti, proprio le tre fasi sopra descritte, in una song dal lungo incipit dotato di un incedere marziale, "Ate" appunto. Dopo quasi sei minuti finalmente, il sound dei due musicisti di Bologna, inizia a prendere lentamente forma, accelerando il proprio ritmo, ma solo per pochi istanti, prima di ripiombare in uno stato di venata malinconia che verosimilmente riflette la fase di drammaticità iniziale prevista dal canovaccio greco. Chitarra e batteria si impossessano della scena in "Hubris", in una circolare linea melodica che in taluni frangenti prova ad uscire dagli schemi, con un math ricco di venature blues rock, ma che prova a calcare anche alcune acide linee stoner/hardcore, in un turbinio sonoro alla fine non proprio semplice da etichettare, ma affetto, a mio avviso, da un unico problema, ossia risultare glaciale e asettico. Alla fine dell'ascolto del lavoro infatti, mi ritrovo perplesso e con un forte senso di vuoto dentro: ho ascoltato musica più che discreta, addirittura originale ma ahimè non ho provato emozione alcuna, anche durante i successivi ascolti, se non avendo apprezzato l'ultimo minuto e mezzo di "Nemesis". Non sono riuscito ad instaurare con i Vira alcuna empatia (sebbene l'ispiratissima cover del disco) e questo giustifica il mio basso voto. Tuttavia questo non presuppone che anche voi non siate in grado di entrare in sintonia con l'ensemble dell'Emilia Romagna; trattandosi di musica di fruibilità gratuita, un ascolto lo raccomanderei comunque. (Francesco Scarci)

domenica 24 luglio 2016

Elusive Sight - Beyond Light

#PER CHI AMA: Death/Doom/Gothic, My Dying Bride, Anathema, Madrugada
I polacchi Elusive Sight sono una sorta di magia del sottobosco musicale estremo europeo. Autoprodottisi in maniera spettacolare, il quartetto polacco ha tutte le carte in regola per saltar fuori dalla media delle release europee degli ultimi tempi, esasperando un suono che sbandiera nomi di band di culto, impegnate in vari e differenti generi, tra cui My Dying Bride, In The Woods, Anathema e i rockers norvegesi Madrugada. Tutti questi modi differenti di far musica estrema vengono convogliati e interpretati in 'Beyond Light' con una maestria tale che nulla possiamo dire alla band proveniente da Leszno Górne cosi come nulla che possa scalfirne la raggiunta maturità. Dopo un buon album di debutto, con l'utilizzo prevalente di una voce gotica femminile, datato 2013, la band, nata solamente un anno prima, modifica la propria formazione portando il vocalist Gordon in pianta stabile dietro al microfono: mai scelta fu cosi azzeccata per il sound del gruppo. Una voce straripante, drammatica, padrona assoluta della scena, tesa all'inverosimile e al contempo malinconica, avvolgente, poetica nel suo rendere ogni nota cupa e senza via di uscita. Il parallelo con i Madrugada di 'Industrial Silence' è d'obbligo, anche se qui si parla di musica decisamente propensa al metal d'avanguardia, oscura con punte volte al gothic e al doom più arido. La chitarra di Jarosław Mendrek poi rende tutto così astratto e delicato con il suo modo così inconsueto di intendere il doom che anche le parti più dure mostrano una malinconia al di fuori del già sentito, una realtà tagliente e dura, aspra, un continuo senso di ricerca interiore e un isolazionismo ricercato. Un album tanto bello quanto pericoloso, un disco che spinge su tutti i brani verso il crollo verticale dei sentimenti. Il modo anticonvenzionale di intendere il doom da parte degli Elusive Sight e quella loro innata verve depressiva piena di energia, ha creato nove splendide gemme, dal suono moderno, glaciale e stimolante sulla scia di band come i Lifelover ma rivolti più alla profondità e all'introspezione, con brani che sfiorano l'apoteosi della sofferenza e il mal di vivere, come l'iniziale "Of Heremit and the Absence of Light" o la centrale "To the Mountains". La splendida ballata "Haven" sembra rubata dal repertorio dei Madrugada, per essere resa dannata e immortale grazie alla voce sofferente di Gordon che, salmodiante, ci spiazza e rende inermi dinanzi a tale illuminato rock occulto. Gli Elusive Sight non hanno un nome scenografico e anche graficamente il cd potrebbe passare inosservato, ma la realtà è ben diversa, in quanto questi ragazzi hanno creato una sequenza di brani stratosferica, di qualità superiore, un disco che deve essere considerato in assoluto tra le migliori uscite underground del 2016. Una band dal potenziale incredibile e dalle doti compositive che colpiscono per un sound rigoglioso di oscurità e profondità, musica estrema per riflessioni interiori, per cadute senza fine. Non un capolavoro, il capolavoro! (Bob Stoner)

(Self - 2016)
Voto: 90

Negative Voice - Cold Redrafted

#PER CHI AMA: Death/Doom/Prog, Agalloch, Katatonia, Opeth
La sinergia tra Hypnotic Dirge Records e Solitude Productions inizia a sortire ottimi risultati. Ne è l'esempio lampante il nuovo album dei russi Negative Voice, il secondo per il quartetto moscovita, intitolato 'Cold Redrafted' e vera sorpresa per il sottoscritto, che aveva sottovalutato i nostri nel 2013, quando uscì 'Infinite Dissonance'. Ascoltato il nuovo lavoro, mi sono dovuto ricredere invece sulle potenzialità, all'epoca forse totalmente inespresse, dei nostri. Signore e signori, 'Cold Redrafted' è quello che giudico un gran bell'album, maturo, fresco, squisitamente melodico, ma carico di energia, in grado di regalare emozioni in quantità e di qualità. Otto i brani contenuti e quasi tutti sorprendenti, sin da "Limitation", che mi ha conquistato sin dal primo assolo che si delinea nel primo minuto e mezzo del brano, al suo intero evolversi. Splendido, tutto qui, non serve aggiungere altro. Poi solo una cascata emotiva che mi trascina in un vortice di sensazioni che spaziano dalla malinconia alla gioia, quella vera, capace di regalare lacrime copiose agli occhi. I quattro ragazzi, migrati ora nella capitale russa, regalano un death doom atmosferico in grado di scomodare gli Agalloch, gli Opeth ma anche i Novembre e i Katatonia, per un condensato notevolissimo di musica di ottima fattura che farà la gioia di coloro che amano la drammaticità del doom, ma anche di quelli che non disprezzano le cavalcate post black ("Nightmare Everlasting"), le sinistre atmosfere ("The City of Decaying Gaze"), o i tecnicismi del progressive ("Lighthouse"), per un pot pourrì di assoluto valore che non deve passare inosservato, per alcun motivo. Questa è la musica che amo, in grado di trasmettermi cosi forti emozioni, che mi guidano nella scrittura di queste mie parole, addirittura ad occhi chiusi, godendo della delicata raffinatezza di questi ragazzi, saggi nel saper quando colpire con irruenza, ancor di più nel selezionare i momenti per un break acustico, l'utilizzo di clean vocals piuttosto che del growling assai convincente di Evgeniy Loginov. Classe cristallina, che viene messa al servizio anche solo nell'aprire un brano come "Instant", una song più nervosa e meno lineare rispetto a quelle apprezzate sin qui, in quell'incredibile trittico di pezzi che apre il disco. "Instant" è sicuramente più criptica, cupa, nostalgica e ricercata, forse anche per questo la più complicata da assimilare, ma comunque splendida. Torno a citare invece i Katatonia (del periodo intermedio) per quel riguarda le linee di chitarra quando a scorrere nel mio stereo è "Impasse", un'altra piccola gemma da non perdere. Con "Karmic Pattern" si torna a sprofondare nel doom abissale, anche se nella sua seconda metà, gli echi degli Opeth tornano a farsi sentire. Per certi versi questa uscita dei Negative Voice potrebbe essere accostabile al nuovo lavoro dei loro compagni di etichetta (EchO), e come per gli amici bresciani, la band si dimostra già matura per il grande salto in una big label. 'Cold Redrafted' è infatti un ottimo lavoro, dotato di un certo carisma e di una spiccata personalità, che auspico venga sapientemente convogliata nella giusta direzione anche in futuro, perché probabilmente sentiremo parlare dei Negative Voice per lungo tempo. (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music/Hypnotic Dirge Records - 2016)
Voto: 85

sabato 23 luglio 2016

Krigere Wolf/Waldschrat/Notre Amertume/Antiquus Scriptum - The Beginning of the End

#FOR FANS OF: Black/Death/Viking/Pagan
Gathering four bands together, this new split effort containing Italian black/death upstarts Krigere Wolf, Austrian black/folk metal newcomers Waldschrat, internationally-based atmospheric black metal group Notre Amertume and a lone track from Portuguese black/Viking metallers Antiquus Scriptum for a wholly enjoyable mixture and variety present. Starting with Krigere Wolf, their pummeling mixture of frantic tremolo-picked black metal with the dexterous tempo-changes and rather pounding rhythms here makes this quite a ferocious beast, making their swirling tremolo patterns at the forefront to create a dynamic and wholly-enjoyable up-tempo assault that rattles along at consistent speeds for maximum impact and devastation while still managing to successfully incorporate the sprawling majestic melodies in the appropriate manners for the perfect augmentation to the ferocity presented elsewhere. This is easily the best band on the split and really has a lot to like with their three blistering tracks. ‘War's Ancestral Prophecies’ uses an atmospheric intro that gives way to furious swirling riff-work and pounding drumming holding the frantic tempos along throughout the extended rhythms with sprawling atmospheric patterns off-set with the crashing drumming into a majestic epic makes for a fine opener. ‘Come to Die with Us’ takes rattling drumming and intense swirling riff-work pounding along through a series of frantic and intense rhythms pounding along through the tight rhythms full of swirling tremolo patterns and pounding drumming for a wholly dynamic and engaging highlight. Their last effort, ‘Supreme Energy of the Universe’ slowly moves through a sprawling opening into a frantic full-throttle series of blasting drumming and ferocious swirling patterns in the riff-work for a rather tight, ferocious series of patterns for a great conclusion to their efforts. With Waldschrat, again the omnipresent use of swirling tremolo patterns is at the forefront though instead there’s a far more pronounced blend of folk-influenced arrangements for the riffing. This still carries itself along quite well with plenty of strong and truly ferocious rhythms presented here, but the blasting tendencies are cut in favor of melodic swirling patterns and rather looser-fitting arrangements that are given a raw edge to the overall work with some great harmonic lines throughout which helps this out infinitely more to give another dynamic impact to the music. Some of the longer sprawling sections seem to go on far longer than they really should but overall there’s a lot to like here.‘Wer Wind sät…’ features tight, raw swirling tremolo patterns and utterly relentless drumming carrying the bouncy tempos along through the raging riff-work blending a series of ferocious patterns along into the frantic pounding tempos and charging tempos for a rather impressive highlight. ‘Die Ruhe vor dem Sturm’ uses a lighter series of rhythms and tight drumming to blast away at a fine mid-tempo charge with the more fervent melodic riff-work and lighter drumming making a far more relaxed and folk-leaning series of rhythms in a highly enjoyable effort. ‘...wird Sturm ernten’ crashes into a melodic mid-tempo series of swirling patterns and tight drumming careening along with majestic melodies and a series of frantic, simple drumming that brings the rawer riffing into play during the rather extended sprawling sections for another strong effort. Up next is Notre Amertume and the international project is the clear weak-link in this offering. The simplistic, sluggish nature of their tracks is hardly impressive next to the other works, and their cliched use of celestial-influenced arrangements, plodding drumming and lethargic doom-like sprawling sections predominant in their music isn’t that enjoyable with numerous other bands attempting those elements at far more pronounced and enjoyable mixtures. The main impetus holding them back is the lethargic, lifeless doom-like paces that don’t really give them much room to really express their atmospheric patterns and in the end their three contributions are on the whole eminently skippable. ‘Cella Serpentibus’ slowly works through a simple series of grand majestic patterns and heavy thumping rhythms that sluggishly lurch along to the melodic celestial swirling riffing with plenty of strong, heavy lines throughout leaving it a decent enough offering. ‘Tartaros’ features a simple, crushing pace with celestial swirling patterns and tight sluggish paces with plenty of simple rhythms carrying alongside the rather lame spoken-word section and letting the sluggish patterns continue on into the finale for a decent effort. ‘Le Sand d'Ouranos’ features a far stronger and tighter series of thrilling arrangements that keeps a far heavier and more dynamic series of riffing along the beginning before lowering into the rather lame spoken-word section and bringing the crushing doom-like paces along for a somewhat fun if again overall decent effort. Finally, Antiquus Scriptum contributes just a lone track, which is a highly enjoyable one even with all the different elements thrown into it. There’s symphonic keyboards, medieval-sounding horn-blasts, swirling tremolo riffing and more in the near-twenty-minute effort, and it does seem like overkill given the track has no need to go that long and really could’ve been trimmed down into a more digest form. Still, the generally up-tempo pace and convergence of influences makes for an overall fun time here and overall there’s a lot of rather enjoyable work here as there’s at least one or two sections present to appeal to most fans.‘Primordium / The Skeptic Beholder’ blares along with triumphant horn-blasting and pounding drumming that turns into utterly relentless tremolo riffing and full-throttle blasting drumming with a tight, heavy crunch and simplistic rhythms that continually swirl along into the epic lengths for an overall fun time here. (Don Anelli)

(Fallen-Angels Productions - 2015)
Score: 80

giovedì 21 luglio 2016

Celestial Grave - Burial Ground Trance

#PER CHI AMA: Black Sperimentale, Oranssi Pazuzu, Horna
Con i Celestial Grave ci trasferiamo in Finlandia per un po' di insano e oscuro black metal, con questo sconosciuto duo, che arriva all'esordio in digitale e in cassetta, grazie alla teutonica Iron Bonehead Productions. Tre le tracce contenute in 'Burial Ground Trance', per un totale di poco meno di un quarto d'ora di musica da godere tutto di un fiato. Se l'apertura "The Heartbeats Drum" sembra di primo acchito consegnarci uno scontato black old school, col passare dei secondi si percepisce, nel ritmo infernale imposto dai due musicisti, una forte vena epico malinconica che esalta la seppur primitiva e semplicista proposta del combo. Melodie lineari, un po' ridondanti, un largo uso di blast beat e di chitarre ronzanti potrebbero ingannare chiunque, ma quando poi uno splendido assolo elettrizza l'atmosfera contenuta nella opening track, un sussulto mi scuote dalla sedia. L'originalità della scuola finlandese si ritrova alla fine anche nel demo più underground che mi sia passato tra le mani nell'ultimo periodo e si conferma con la ritualistica e occulta seconda traccia, "The Bearer Of Death", pregna di melodie glaciali ma anche di tetre atmosfere, contrappuntate dallo screaming malvagio del vocalist. Sinistri e stravaganti seppur propongano black metal, ma si sa che quando si parla di band finlandesi c'è da aspettarsi di tutto, quindi nell'ultima title track non stupitevi di incontrare una ritmica punk (di reminiscenza Impaled Nazarene), stoppata da un break doom e un incandescente finale post black in una malatissima proposta che miscela straordinariamente il sound di Horna, Oranssi Pazuzu e Wolves in the Throne Room. Da seguirne attentamente l'evoluzione. (Francesco Scarci)

Faith & Spirit - Glorious Days

#PER CHI AMA: Hard Rock/Blues, Led Zeppelin
I "giorni gloriosi" per la band francese dei Faith & Spirit sono quelli che hanno visto l’egemonia del rock blues sulla scena musicale internazionale. Che siano quelli lontani dei Led Zeppelin e degli Stones o quelli più recenti e di tendenza di gruppi come Black Keys e White Stripes poco importa. 'Glorious Days', il loro nuovo secondo EP, si muove appunto sulla scia dei citati illustri colleghi. Cinque brani originali sono un assaggio ben calibrato delle potenzialità della band capitanata da Vivien Thielen, voce e chitarra ritmica nonché autore di tutte le canzoni. Il disco si apre con “I’ll Be Your Man”, una cavalcata ritmica dove tastiere e chitarra dialogano in perfetta sintonia, scaldando l’ambiente per il secondo brano, stesso titolo dell’album, in cui i toni partono ruvidi e si fanno via via più dolci, grazie al sapiente intreccio di tastiere, chitarra e voci femminili. Un buon inizio, non c’è che dire, ma la sorpresa arriva dritta alla terza canzone: “Everybody Gets It Wrong” è una ballata acustica che ha tutte le caratteristiche del classico, secondo le coordinate espresse all’inizio di questa recensione. In sintesi, questo è il loro piccolo capolavoro. L’EP prosegue rialzando il tono del groove con “Black Moon”, pezzo potente e quadrato e si chiude con “Down the Road”, dove organo hammond e armonica fanno vibrare le casse in un crescendo che culmina con un solo di chitarra suonato con il più classico dei wah wah. La produzione del disco è solida e ben bilanciata, sicuramente frutto di una conoscenza e di una forte passione per la scena rock blues sia vintage che moderna. Nessun imbarazzo nella voce del leader, che risulta calda e sicura nella pronuncia. La musica dei parigini Faith & Spirit può tranquillamente varcare i confini francesi. Il mio consiglio è uno solo: cercateli in rete e aprite le vostre orecchie per un ascolto accurato. (Massimiliano Paganini)

mercoledì 20 luglio 2016

Blood Red Throne - Union of Flesh and Machine

#PER CHI AMA: Death Metal, Cannibal Corpse
I Blood Red Throne da sempre rappresentano sinonimo di qualità tecnica messa a servizio della brutalità. Il nuovo 'Union of Flesh and Machine', ormai ottavo album per i veterani della scena death norvegese, non si discosta più di tanto dai precedenti capitoli e prosegue imperterrito nella propria mission di proporre atterrente death/thrash metal. Undici brani trita budella che non rinunceranno però a conquistarvi con un bella dose di groove che affiorerà già dalle note di "Revocation of Humankind", song bella dritta, con riffoni ultra distorti, i consueti cambi di tempo, ma che nel suo finale, ha anche modo di partorire (udite udite) delle parti melodiche. Melodia che viene subito spazzata via dalla tempesta sonica di “Proselyte Virus”, traccia in cui a mettersi in mostra, accanto ai biechi latrati di Bolt (efficace sia in fase growl che nei più rari urletti scream), c'è soprattutto la prova imperiosa del batterista Freddy. "Patriotic Hatred", la song che ha fatto da apripista all'album è famosa, oltre che per il suo incipit in parlato, anche per il lyric video che compare su youtube (dategli un occhio), ove la traccia è stata utilizzata come soundtrack per il videogame 'Hatred'. La song poi, come d'altro canto le successive (di cui vorrei citarvi la killer "Martyrized", la mia preferita), si muovono su di un rifferama che non viaggia quasi mai ad altissime velocità (fatto salvo per le crivellate del drummer in alcuni episodi sporadici), con il quintetto di Kristiansand che continua ad offrire asfissiante death metal fatto di articolati cambi tempo, ferali vocals, acuminati e granitici riff di chitarra, qualche spruzzata di groove (nella title track ad esempio), qualche isterica galoppata ("Legacy of Greed"), qualche assolo qua e là (nella già citata "Martyrized" e in "Exposed Mutation") fino a proporre la cover dei Judas Priest, "Leather Rebel", riletta ovviamente in chiave estrema, ma che comunque lascia trasparire quelle che erano le caratteristiche originali del brano contenuto in 'Painkiller'. 'Union of Flesh and Machine' alla fine è l'ennesimo album che non deluderà di certo i fan del combo norvegese, ma che sicuramente non aprirà a nuovi iniziati, se la band non farà leva su una proposta più fresca e meno ripetitiva. (Francesco Scarci)

(Spinefarm/Candlelight - 2016)
Voto: 70

https://www.facebook.com/pages/Blood-Red-Throne-Official

lunedì 18 luglio 2016

Elio Rigonat - EgregoЯ I

#PER CHI AMA: Death/Thrash, Carcass, Arch Enemy
I confini del Pozzo dei Dannati si allargano sempre più: oggi ci conducono alla scoperta della one man band serba capitanata dal polistrumentista Elio Rigonat, che propone un roboante death melodico. 'EgregoЯ I' rappresenta l'album di debutto per l'artista di Belgrado, il cui risultato non è affatto male. Dieci i pezzi a disposizione (in realtà "Alpha" e "Omega" rappresentano intro e outro del cd) per poter catturare la vostra attenzione, convincervi della bontà della proposta, e poi abbattervi come alberi nella Foresta Amazzonica o se preferite, più ecologicamente, come birilli in una pista da bowling, grazie ad un sound potente che mostra i propri muscoli nell'onda d'urto prodotta dalle sue chitarre thrash (eloquente a tal proposito "Chaos Factory"), con vocals che si assestano tra il growl e lo scream, ma soprattutto una componente solistica davvero invidiabile, che forse ne fanno il punto di forza del musicista serbo. "I Am the Reason" ha uno sviluppo molto classico del brano con le componenti strofa-ritornello-strofa messe nel punto giusto che si riflettono in un riffing sincopato di scuola "carcassiana" ma che ancora una volta sorprendono per l'esito esaltante a livello di assoli, che esaltano le capacità tecnico-compositive del bravo Elio. Se l'album scorre via in modo molto lineare (senza particolari sussulti) nella sezione ritmica, richiamando alternativamente Carcass e Arch Enemy (indovinate qual è il punto di contatto tra le due band), sarà poi avvincente godere delle affilate stoccate di Elio in chiave solistica. Da brividi le evoluzioni sonore dell'axeman in "Rise", song che poggia su un tappeto chitarristico ribassato, ove il folletto serbo ci delizia con primizie appena colte. "Stitching My Soul" è palesemente debitrice ai gods sopraccitati, talvolta si sfiora il plagio e questo mi innervosisce non poco, ma quando è la chitarra indemoniata di Mr. Rigonat a prendersi la scena, la mia rabbia scema e mi lascio andare alle estasianti melodie heavy rock della otto corde di Elio. "Death Incarnates" parte piano, per poi lanciarsi in un'altra cavalcata di death melodico, dove il groove colante dai suoi arrangiamenti, preparano il terreno a quello che arriverà da li a breve: un bell'assolo rock. Erano anni che non sentivo ululare le chitarre in quel modo e il bravo Elio mi ha ricondotto indietro nel tempo di una ventina di anni (escludendo l'ultimo capitolo della saga Carcass). Nella cupezza sonora di "4th Dimension" sembra esserci spazio per una forma personale di metal anche a livello ritmico, in una song al limite del black, contraddistinta da tratti schizofrenici e altri al limite dell'ambient, con un finale affidato a sferzate di scuola Children of Bodom. Con "Remodeled" e "Norther", i Carcass tornano ad essere il punto di riferimento primario per il mio nuovo guitar hero, che si nasconde con le sue lame affilate, dietro al robusto riffing di accompagnamento. Insomma, direi che 'EgregoЯ I' è un bel biglietto da visita per Elio Rigonat, autentica sorpresa di questo luglio, non troppo infuocato, del 2016. (Francesco Scarci)

domenica 17 luglio 2016

Interview with Process of Guilt

Follow this link to know much more about Process of Guilt, the Portugese death doom band: 



The Charles Ingalls - S/t

#PER CHI AMA: Stoner Rock
Ecco ciò che questo quartetto francese originario di Chamesol, riporta per descrivere se stesso e la propria musica: "I The Charles Ingalls (chissà se il moniker fa riferimento ad uno dei protagonisti de "La Casa nella Prateria" ndr) sono una band proveniente dalla Francia orientale, ai confine con la Svizzera, persa tra i boschi e i monti nebbiosi, una terra di boscaioli coraggiosi. Il nostro "woodrock" è influenzato da Black Sabbath e dall’heavy metal di fine anni 70”. Mi verrebbe di chiudere qui la recensione, perché c’è davvero ben poco altro da dire su un EP di quattro brani e 17 minuti di durata in cui i transalpini fanno la loro cosa esattamente come te la aspetteresti avendo letto la definizione qui sopra. Tanto cuore, tanta passione, come traspare anche dall’artwork curato e da un aspetto da cui cui si intuisce che non siano esattamente di primo pelo, e una devozione sincera per i modelli di riferimento, ma non molto di più. Il loro è uno stoner saturo e pestone di grana piuttosto grosso che nulla aggiunge al genere e a quanto detto mille altre volte e mille volte meglio da tante altre band in giro per il mondo. Detto questo, è innegabile che i brani siano in fondo piacevoli coacervi di stereotipi rock'n'roll (di Sabbath ce ne sono pochini, giusto nello pseudo doom di, appunto, "Thulsa Doom") che possono divertire e intrattenere senza offendere le orecchie, e che probabilmente la dimensione migliore per apprezzarli è quella live. Troppo poco per ora per dare un giudizio che non sia per forza di cose parziale, la sufficienza se la sono comunque guadagnata e pure un qualcosa di più, di incoraggiamento, per la simpatia e la passione. (Mauro Catena)

At the Graves - Cold and True

#PER CHI AMA: Post Rock/Metal, Solstafir, The Black Heart Rebellion, Neurosis
Inizierei col chiarire che la band del Maryland di oggi non va confusa con l'omonimo ensemble dedito ad un melo death ma proveniente dalla Pennsylvania. Ben Price, la mente, il factotum che si cela dietro agli At the Graves, suona infatti uno sludge/post rock contaminato assai accattivante, ricco in termini di groove e carico di una forte componente emotiva. 'Cold and True' è il secondo album (il primo in cui Ben si cimenta completamente da solo in tutti gli strumenti) dopo 'Solar' datato 2012; in mezzo e prima, una sfilza di ben cinque EP. Veniamo comunque a questo nuovo capitolo della discografia della one man band di Arnold, che ci viene introdotto dalla delicata vena melodica di "Viscous State" che sottolinea quelli che sono i capisaldi dell'At the Graves sound: sognanti atmosfere post rock che poggiano su di una ritmica post metal di scuola Cult of Luna in una versione più meditabonda, per un risultato in grado di stamparsi nella mia testa con una certa facilità, grazie a delle soffuse linee di chitarra che facilitano non poco l'approccio alla musica dell'artista statunitense. Con "Fulgor" le cose non cambiano e lo stile, ricercato, colpisce sicuramente per l'immediatezza della proposta, qui resa ancor più onirica e protesa a dare ampio respiro alla componente strumentale, con un'eleganza di fondo impostata dai delicati tocchi alla sei corde di Ben (peraltro vocalist caleidoscopico ed assai originale) e da un drumming fantasioso costantemente in primo piano. Il disco (o se preferite la cassetta, fate pure la vostra scelta) prosegue dilettandosi tra le lugubri, distorte e tribali melodie di "Between Two Thirds", che potreste immaginare come una danza sciamanicadi una tribù indiana attorno al fuoco, con i sensi che lentamente abbandonano la realtà. Il colpo di grazia viene inferto però dalla successiva "Repress I", che contribuisce, nonostante la sua brevità, a palesare le visioni lisergiche del bravo Ben. "Shimmer" continua nella sua opera di destrutturazione del sound degli At the Graves, con alcuni frangenti che strizzano l'occhiolino addirittura al grunge rock, pur mantenendo un'atmosfera decisamente noir che comunque, attraverso la mutevole voce di Ben, ha modo di spaziare all'interno di più generi, tutti caratterizzati da una profonda dose di emotività. La title track potrebbe essere assimilabile ad una versione più nera dei Neurosis, seppur mantenga i contorni delicati del post rock e incanti per la distorsione delle sue linee di basso, il suo essere ridondante e per le corde vocali di Ben, qui bagnate di whisky, che chiamano in causa gli islandesi Solstafir. Lentamente arriviamo alla conclusione di questo spettrale lavoro: "As a Dirt" ha il compito di trasmettere le ultime malinconiche note di dolore di 'Cold and True' e direi che assolve pienamente al suo compito. Un'altra band nel frattempo mi è venuta in mente mentre ascoltavo e riascoltavo questo disco: i belgi The Black Heart Rebellion nel loro capolavoro 'Har Nevo' e la definizione che inquadrava quell'album, blues apocalittico, che ben calzerebbe anche per gli At the Graves. Insomma, 'Cold and True' è un riuscitissimo lavoro di sperimentazione sonora in cui convogliano un sacco di influenze e idee stravaganti, per cui sarebbe davvero un peccato negare la vostra attenzione. (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 80