Varese è una città strana. Posta ai margini delle grandi vie di comunicazione, da Varese non ci passi, né ci capiti per caso. A Varese ci vai solo se ci vuoi andare. Questo, assieme alla sua tradizionale ricchezza industriale, e un certo snobismo borghese ad essa collegata, ne ha fatto per anni una sorta di realtà isolata in qualche modo impermeabile, ancorché situata a un tiro di schioppo da Milano, metropoli da cui ha sempre cercato di prendere le distanze. Eppure gli ultimi vent’anni hanno visto crescere un sottobosco musicale fiorente e quantomai variegato, oltre che in qualche modo pionieristico (gli Asphodel - poi confluiti nei Bartok – per l’alternative e gli OTR per l’hip hop) raccoltosi per lo piú attorno all’etichetta Ghost Records che ha messo in fila negli anni un serie di ottime uscite oltre che movimentare le tradizionalmente paciose estati cittadine con concerti d’eccezione (tra gli altri Sophia, Zu, The Ex, 16 Horsepower, Karate). È da questo sottobosco che sono emersi i Downlouders, collettivo di musicisti provenienti da svariate esperienze con diverse band locali, dedito ad un “laboratorio di ricerca basato sull’improvvisazione e la sperimentazione”. Dopo una serie di album e session estemporanee (ascoltabili e scaricabili dal loro sito http://www.downlouders.com/ ) è appena uscito per la Lizard Records il loro nuovo disco 'Arca', un bellissimo viaggio di space rock psichedelico che guarda tanto ai classici degli anni '70 quanto a certo posto rock contemporaneo. Come i precedenti, anche 'Arca' è stato registrato durante una session di una settimana in un casolare isolato. Per l’occasione, i Downlouders arrivavano a ben nove elementi: Andrea Cajelli (batteria, percussioni,), Andrea Manenti (basso elettrico, vocals), Enrico Mangione “Mr. Henry” (chitarre, synth, fx, tromba, vocals), Giandomenico Fraschini (piano, rhodes, batteria), Marco Sessa (synth, loops, fx ), Yed Viganò (chitarre), Matteo Laudati (chitarre), Massimo Martinenghi (vocals), Andrea Tomassini (artwork). Di questo, di improvvisazione, menti collettive e altro ancora abbiamo parlato con il batterista e fondatore Andrea Cajelli, che ringraziamo per la disponibilità. Non ci resta che rimandarvi alla recensione di 'Arca' e consigliarvene caldamente l’ascolto.
Ciao Andrea, prima di tutto, due parole sulle origini del progetto Downlouders. Una decina d’anni fa si parlava molto, anche sulla stampa nazionale di settore, di una scena varesina, nata e raggruppatasi attorno all’etichetta Ghost Records, anche grazie ad una, a suo modo, storica compilation ('Ghost Town: 13 Songs From the Lakes Country') che metteva in fila una serie di nomi che, chi piú chi meno, hanno fatto un po’ la storia della scena indipendente italiana degli ultimi dieci anni (Bartok, Midwest, Encode, Mr. Henry). Alcuni di voi erano già in quella compilation embrionale, per cui mi viene da chiedervi, i Downlouders nascono da lí? Come avete deciso di dare vita a questo laboratorio di improvvisazione? E, piú in generale, cosa pensate della famigerata scena varesina?
I Downlouders sono nati ufficialmente nel 2009, dopo la prima vacanza musicale che cinque amici trascorsero in un casolare tra le colline di Arezzo. L'idea fu di Stefano Bruno, membro dei Freelance Co. Insieme a Andrea Manenti e a me, e doveva essere semplicemente una vacanza basata sull'idea di chiudersi in un posto e suonare il più possibile, senza l'intenzione di fare una band o un disco. Furono coinvolti anche Giando Fraschini e Mr Henry, amici della nostra stessa compagnia. Una volta lì però scoprimmo che il vulcano di idee che era scaturito dai primi due giorni necessitava di essere in qualche modo salvato, e così con mezzi di fortuna registrammo il disco 'Haustillio'. Dopo la vacanza iniziammo a incontrarci con sempre maggiore regolarità in sala prove per suonare e improvvisare, e venne fuori che alla fine eravamo una band. Stefano, tuttora membro Downlouders, viveva a Basilea e quindi non poteva essere coinvolto nella cosa con continutà, ma ci consideriamo un collettivo aperto più che una band, quindi abbiamo sempre fatto le prove e i concerti con formazioni differenti e amici che vanno e vengono. Per quanto riguarda la scena varesina, dieci anni fa ci fu quella compilation, più che di una scena si parlava di un gruppo di band che si conoscevano e condividevano serate e molte di esse gravitavano intorno allo studio La Sauna, che era appena nato. La compilation fu un tentativo di dare voce a queste band, e riuscì soprattutto grazie a Francesco Brezzi, che addirittura fondò un'etichetta, la Ghost Records, per l'occasione. Bartok e Midwest godevano di attenzione nazionale, quindi fecero da traino per il progetto. La scena varesina di oggi è si estende fino a Busto Arsizio, dove troviamo i There Will be Blood, e Luino, con il Triangolo, ed è bello pensare che queste due band che al momento sono le più in vista di questa zona escano entrambe, ancora, per Ghost Records. Ci sono poi una serie di gruppi interessantissimi (The Unsense, The Wyns, Hot Complotto, Belize) che speriamo possano trovare l'attenzione che meritano.
Mi dici di piú sul concept di 'Arca' (tra l’altro, complimenti per il bellissimo artwork) ovvero sulla storia di un’immaginaria nave stellare biomeccanica, progettata ispirandosi all’organismo dei capodogli? Quello che preconizzate è uno scenario apocalittico, da quali considerazioni nasce? Perchè il capodoglio?
'Arca' è il frutto della nostra quarta e finora ultima vacanza musicale, passata nelle Langhe. Per ogni vacanza (eccetto la prima che era senza regole) ci siamo posti un regolamento da seguire nell'inventare la musica per il relativo disco. Nel 2010 in Normandia la regola era: “disco in italiano che parla di robot”. Ne uscì 'Asimov', il nostro disco “sperimentale”, inteso come sperimentazione di territori mai esplorati da noi, cioè musica pop cantata in italiano. Nel 2011, in centro Italia, fu “disco possibilmente ballabile e basato sull'elettronica, ma tutto suonato”, ma quel disco non uscì mai. Per 'Arca' la regola era semplicemente di fare un disco strumentale space rock / psichedelico, per dare compiutezza alla direzione che nel frattempo avevamo delineato in due anni di prove e concerti. L'idea del capodoglio meccanico è nata durante la vacanza, durante i pranzi, le cene, le sigarette fumate sotto la veranda di questa villa bellissima e sperduta sulle colline, da sei amici abituati a passare insieme le serate a sparare cazzate. Il capodoglio è un animale straordinario che detiene più di un record nel mondo naturale. Per esempio il suo schiocco è in grado di surclassare a livello di decibel un 747 che decolla. Appartiene al nostro immaginario per via di storie di baleniere, Moby Dick su tutte, e già la fantascienza l'ha preso in considerazione in “Guida Galattica per autostoppisti”, nella famosa scena nonsense in cui un capodoglio cade dal cielo. Una volta definita la storia di base, più che altro il canovaccio, abbiamo iniziato a ragionare e ordinare i diversi spezzoni di improvvisazione secondo una scaletta che seguisse un ipotetico percorso dell'astronave capodoglio in viaggio nello spazio profondo. Questo fu d'aiuto anche per scremare il materiale registrato nei primi tre o quattro giorni della vacanza, che era davvero vastissimo. Una volta a casa con il disco quasi pronto per essere mixato, il nostro amico Andrea Tomassini, in arte Tsuna, illustratore e disegnatore di grande talento, che già per noi aveva curato l'intero artwork di 'Asimov' (il disco dei robot), interpretò da subito alla perfezione l'idea del capodoglio biomeccanico e realizzò tutto il concept partendo da quello. Con gli scarti delle sessioni di 'Arca' abbiamo poi composto una suite di 16 minuti che pubblicammo indipendentemente l'anno scorso, dal titolo "Sambuco Nero". Come il capodoglio, anche lo stesso concept della fuga nello spazio è abbastanza caro all'immaginario prog / psichedelico, non è niente di nuovo. Abbiamo voluto dare la nostra interpretazione con la sfida di raccontare una storia senza usare parole. Siamo tutti appassionati di letteratura e cinema di fantascienza, quindi è stato naturale per noi pescare in quell'immaginario.
Come funzionano le vostre session? Come fissate le regole di base? Esiste un canovaccio armonico a cui decidete di attenervi? C’è una leadership, una sorta di direttore musicale, o il tutto è lasciato alla piú totale libertà?
Ci affidiamo all'improvvisazione modale. Le regole che ci diamo sono di due tipi, armoniche e contenutistiche. Prima di ogni prova definiamo il modo in cui suonare e l'idea da tenere in mente mentre si suona. Essa può consistere in un'immagine (es.: “mare”) o in un contesto preciso (es.: “volo in aereo”) e si sviluppa su una serie di progressioni principalmente dinamiche a cui abbiamo dato nomi di animali, tipo (guarda caso) capodoglio, cammello, tartaruga. Non esiste un direttore musicale fisso, possiamo diventarlo tutti a turno e spontaneamente oppure lasciare andare la musica per diversi minuti senza restrizioni. Veniamo tutti da un'esperienza ventennale con band canoniche, dove si provano i pezzi e che poi si suonano durante il concerto. Quello che cerchiamo ora è la libertà totale, temperata però da qualche piccola sovrastruttura che permetta di non trasformarla in delirio senza senso o, peggio, puro esercizio di stile. E' molto divertente e il divertimento è l'unico motivo per cui esistono i Downlouders.
Una cosa che mi incuriosice è il motivo per cui, avendo a disposizione uno degli studi di registrazione migliori in Italia (tu sei il titolare dello studio La Sauna di Varano Borghi), avete deciso di registrare in un casolare. Perchè? Come si sono svolte le session?
Siamo sempre andati via per registrare. Ci sono tre fonici nella band e mettendo assieme le macchine e qualche soldo abbiamo approntato un set di registrazione mobile di tutto rispetto. Alla Sauna poi finalizziamo il lavoro con il mix e il mastering, a volte con qualche registrazione aggiuntiva. Ma ci piace isolarci in vacanza in un posto sempre nuovo anche per coglierne le “vibrazioni”. La scelta del luogo è sempre difficile perchè il requisito è che sia grande e isolato, perchè siamo in tanti e vogliamo avere la possibilità di suonare a qualsiasi ora del giorno e della notte senza dar fastidio a qualcuno; ma finora siamo stati fortunati e abbiamo sempre trovato location incredibili, soprattutto l'ultima (dove è stato composto 'Arca') e quella in Normandia del 2010. In entrambi i casi abbiamo parlato di fantascienza, sicuramente perchè l'ambiente sperduto e bucolico ci ha portato per contrasto in quella direzione
Ascoltando il disco, si rimane colpiti dal suono e dalla ricerca che sembra esserci dietro alla timbrica di ogni singolo strumento, e il risultato è di fatto difficilmente collocabile in un genere e in un’epoca precisa. Personalmente amo quei dischi a cui è impossibile dare un’età, come certe cose dei Pink Floyd o di Robert Wyatt. Avevate in testa qualcosa di preciso nel momento in cui avete pensato Arca? Avete seguito dei modelli?
Siamo tutti molto fissati sul suono degli strumenti. Il risultato ottenuto parte da lì. Per il disco Giando aveva a disposizione due Clavia Nord Electro, Marco usava tre Moog Little Phatty collegati in midi tra loro e una pedaliera da chitarrista con un sacco di delay e effetti di modulazione. Andrea (Manenti) ha messo il marchio al disco - più o meno volontariamente all'inizio, ma in modo sempre più sistematico e consapevole con il progredire della lavorazione - utilizzando quasi sempre un delay sul suo basso. C'erano due o tre chitarre (Henry, Yed e Matteo) che entravano in una varietà infinita di pedalini e la batteria era costantemente accordata, riaccordata, coperta con stracci, suonata con diversi tipi di bacchette, spazzole, mazze etc.. Un altro elemento importante per il sound del disco è che più volte è capitato di scambiarsi gli strumenti. Questa cosa ha portato ad alcune parti totalmente imprevedibili, impensabili da parte del musicista normalmente addetto a quel particolare strumento. Per quanto riguarda l'immaginario, non è stato definito a tavolino, se non appunto attraverso la vaga idea di utilizzare atmosfere space / psichedeliche. Abbiamo tutti un'idea diversa sia di psichedelia sia di space rock, ma una volta confluite nell'improvvisazione (alimentata da mesi di prove per consolidare l'affiatamento) queste idee si sono amalgamate subito in modo naturale, spostando spesso il suono verso direzioni che non immaginavamo. Questo è uno degli aspetti più affascinanti dell'improvvisazione.
Come riuscite a coniugare le vostre diverse influenze musicali? Essendo in nove immagino che ognuno porti esperienze d’ascolto e di sensibilità musicale piuttosto differenti. Vi siete in qualche modo preparati utilizzando un terreno comune?
La preparazione di una band con un repertorio è volta ad ottimizzare la resa live delle canzoni. Per noi invece si tratta di un lavoro quasi psicologico, cioè cercare di creare una specie di “mente collettiva” che ci permetta di tenere in piedi venti, trenta minuti di suono senza avere punti di riferimento se non vaghi accenni. Va detto che non suoniamo mai in così tanti: al massimo siamo in sei, con almeno la sezione ritmica che è abbastanza invariabile. Veniamo sì tutti da esperienze musicali e ascolti molto diversi ma i Downlouders sono una specie di zona franca, un terreno comune dove ognuno mette in gioco il suo lato più creativo.
Ti va di consigliare ai lettori del blog qualche album che negli ultimi tempi vi è piaciuto in maniera particolare?
Un po' di titoli sparsi e diversissimi tra loro: Disappears – Pre Language; Fire! Orchestra – Exit!; Amon Tobin - Dark Jovian; Björk – Vulnicura; The Necks – Open; Arthur Russel – Another thought. Per stare in Italia segnaliamo 'Magnifier' dei Giobia e il disco dei The Winstons.
Grazie mille ragazzi per questa insolita chiacchierata...
(Mauro Catena per Il Pozzo dei Dannati)