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MAV Festival – Day 1-2

(Camposampiero, PD) – 15/08/2013

Giorno 1

Dopo un moderatamente lungo e dispersivo girovagare nella campagna padovana, giungo definitivamente al MAV Festival, accolto da un sole cocente e da suoni non propriamente definiti. Difatti sopra l'enorme palco della neonata manifestazione musicale, a scaldare gli animi dei pochi presenti trovo gli Psychofagist in chiusura della loro performance, i quali mi straziano amorevolmente con il loro jazz avant-grind nel già difficile pomeriggio di ferragosto. Passo il cambio palco a fare qualche saluto e nel frattempo cominciano il loro show i Bleeding Eyes, gruppo trevigiano dedito a uno stoner psichedelico sulla scia dei Kylesa, band interessante grazie all'inusuale cantato in italiano e a delle atmosfere meritevoli. Durante la loro esibizione sale sul palco un discutibile art performer traversito da diavolo (or simila), e che scoprirò più avanti avere una moltitudine di costumi dato che sarà presente con quasi tutte le band.

E' giunta l'ora dei Mothercare, e il gruppo thrashcore veronese da prova di tutta la propria esperienza in ambito live, conducendo uno show impeccabile intaccato però da dei suoni che non sono proprio il massimo, e da un pubblico poco partecipativo. Mentre aspetto i semi-conosciuti Bloodshot Dawn, ho tempo per girare per il festival che, ubicato in una pista d'atterraggio, si presenta veramente enorme (sarà stato 500m x 200m) e tristemente vuoto.

I Bloodshot Dawn vengono dall'Inghilterra, propongono un thrash melodico abbastanza tecnico dagli spunti death metal e hanno dei suoni a dir poco orribili. Nonostante le composizioni interessanti, sono fortemente penalizzati dall'audio scarso e dal fermarsi a parlare per cinque minuti dopo ogni canzone. Intanto il sole cala e comincia ad aumentare l'affluenza per i Diabolical, che si trovano davanti una quantità di pubblico appena decente, che probabilmente si aggirerà intorno al centinaio di persone. I Diabolical offrono un buon spettacolo, bei suoni, una scaletta movimentata e una grande tenuta di palco. Le tre chitarre non sono sprecate e le numerose voci si intrecciano perfettamente.

Il palco passa agli Hate, la band polacca figlia dell'omologato black/death nazionale e performa un concerto monolitico dal suono potente, ma appena ci si allontana dal palco i volumi scemano rendendo insignificante il loro atto. Il pubblico non sembra così eccitato però lo vedo improvvisamente moltiplicarsi e avvicinarsi piano piano al palco, come se (e so che per molti è stato così) fossero venuti solo per gli Eyehategod e tutte le altre band non li tangessero minimamente. Il combo dalla Louisiana presenta suoni sporchi a volumi sostenuti e gran parte del loro concerto è distinto dai fischi della chitarra e da un Mike Williams chiaccherino, incomprensibile a causa dell'accento del sud. Sotto il palco è la morte, seppur ci sia poca gente che si muove, ma alla fine sono testimone di un evento (poi ripetuto constantemente) che ho segnato come "l'episodio della giornata": crowd surfing instabile con protagonista una ragazza che nessuno placa dietro le transenne nonostante di bodyguard l'area sia piena. Ad ogni modo lo show degli Eyehategod è caotico, rumoroso, pieno della classica gioia di vivere di un alcolizzato senza alcool la mattina, e tutti noi ce lo godiamo tra qualche pugno e uno spintone, finchè ad un certo punto viene richiesto di interrompere la setlist; confusi i musicisti statunitensi non sanno se fare le ultime canzoni o andarsene, e si rimane per una decina di minuti a capire cosa stia succedendo.

Giorno 2

Il buongiorno si vede dal mattino, esattamente come la sofferenza e l'agonia del quieto vivere. Dopo una nottata passata a cercare la posizione ideale per coricarmi ascoltando il top del cantautorato italiano degli anni '70 da una macchina vicina al campeggio, la calura delle prime ore di sole mi sveglia in una spoglia distesa erbosa con una leggera brezza che mi permette di non soccombere alla sauna che si è creata dentro alla mia piccola tenda. Mi avvio verso il palco mentre i The Bleeding fanno il checksound, chiedendomi perchè si suoni a quell'ora e chi mai potrebbe esserci in questa giornata che di nomi blasonati non ce n'è manco l'ombra. Non saprei chi fosse il pubblico, chi dello staff e chi delle altre band ma sotto il palco a dieci non ci arriviamo. I The Bleeding ad ogni modo fanno un death metal old school, leggermente tendente al brutal, riff basilari con pochi fronzoli e tecnicismi, piacevole per cominciare la giornata.

Seguono gli Ivy Garden Of The Desert, band che ho scoperto anni orsono e che vedo raramente suonare, fautrice di un alternative rock della scuola di Seattle con tendenze stoner e grunge. Anche se davanti a pochissima gente, i tre trevigiani danno prova di una grande performance, con canzoni interessanti.

Arrivano i Samael's Falls e i Kill the Klown a tenermi compagnia durante questo interminabile supplizio e sfrutto il tempo a disposizione per questionare con alcuni membri dello staff riguardo gli aspetti organizzativi del festival. Il gruppo che deve cominciare le esibizioni pomeridiane sono gli Opera Al Nero, band indie rock locale che si trova in una situazione quasi identica a quella dei gruppi precedenti, a parte il fatto che il sole si è fatto più alto.

Nel pomeriggio comincia a manifestarsi qualche altra anima che permette allo scenario di rendersi più presentabile grazie sopratutto alle energiche performance dell'allegro thrash/death dei Samael's Falls e del potente ensemble thrash/metalcore dei Kill The Klown. Ed ora la parentesi più triste della giornata, poichè il gruppo successivo altro non è che una tribute band dei Ramones, non credo ci sia molto da aggiungere in un contesto come questo.

Viene il turno dei Joyless Jokers: seppur li conosca da tempo è un bel po' che non partecipo ad una loro esibizione live, ed io e i presenti abbiamo potuto assistere alle loro nuove composizioni, nettamente superiori compositivamente al loro ultimo "A Taste Of Victory".

Nel tardo pomeriggio le persone davanti al palco non superano la trentina, ma l'accoppiata formata in scaletta dal rockabilly dei Rock'n'Roll Kamikazes e dal garage rock dei OJM non si disillude ed anzi fa sfogare il pubblico in momenti di ballo ed euforia.

Con la sera comincia a farsi sentire la stanchezza e la temperatura cambia. Sul palco salgono i Node. Non vedevo la storica band milanese da un paio d'anni, nel frattempo la band è stata soggetta a numerosi cambiamenti che mi hanno fatto storcere il naso tra un tupatupa e qualche commento grillino del mastermind Gary, ad ogni modo la loro esibizione è d'esempio per tutte le neonate band che cercano di fare del metal in questo Paese.

Se con i Node si arrivava a una cinquantina di persone ora il pubblico si è triplicato e sono tutti sull'attenti davanti al palco ad aspettare i Destrage. Di occasioni per vederli ne ho avute parecchie e fortunatamente son sempre riuscito ad evitarli, ma adesso il dovere viene prima di ogni cosa e non potevo sottrarmi. La giovane band milanese mi ha sconvolto: tecnicamente eccelsi, tenuta di palco eccezionale, ma sopratutto volumi a livelli fastidiosi (se ieri con gli Hate bastava che mi allontanassi un po' per riuscire a parlare, con i Destrage non c'era luogo ove rifugiarsi), suoni impeccabili, ovvero il trionfo della plastica sonora, si poteva mettere su il disco e non sarebbe cambiato nulla. Ed aggiungeteci anche una setlist notevolmente estesa, con tanto di assolo di batteria triggerata.

Gioisco immensamente del cambio palco con la sua pace, e mi preparo per il leggendario cantante dei The Morlocks, Leighton Koizumi che suonerà con i Tito and the Brainsuckers. La sua esibizione è per me è un'incognita dato che non mi intendo minimamente di cultura garage, e difatti non rimango piacevolmente sorpreso. A parte il mio parere personale, il cantante statunitense riesce a tenere con enorme vigore il palco, anche se si lascia andare a lunghi dialoghi dove palesa la sua fissazione per la grappa, mentre il pubblico reagisce più che positivamente, cantando e ballando vivacemente per tutta la durata del concerto.

Non mi resta che raccogliere i miei resti e mentre straziato me ne torno a casa, tiro le somme di questa prima edizione del festival, ora non starò a dire i pro e i contro, cosa poteva (e doveva) essere fatto e cosa non, ma mi limiterò a riassumere come meglio posso tutto questo allestimento con il titolo di un noto film di Benigni e Troisi: non ci resta che piangere. (Kent)

http://www.mavfestival.com/