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martedì 7 maggio 2024

Mòr - Hear the Hour Nearing!

#PER CHI AMA: Black Metal
Direttamente dalla Normandia, ecco approdare nel Pozzo dei Dannati, i Mòr, nuova creatura su cui la Les Acteurs de l'Ombre Productions sembra puntare molto. Da scoprire ora se l'etichetta parigina ci ha visto lungo un'altra volta, oppure ha preso il più classico degli abbagli. Quanto contenuto in 'Hear the Hour Nearing!', è un sordido e brutale black metal che vuole evocare i sacri crismi dell'old school norvegese, tra chitarre ronzanti, vocals iper caustiche, e un sound che sembra avvolgere l'ascoltatore in una nube di caos primordiale, da cui uscirne sembra essere missione impossibile. Questo è quanto si evince dall'ascolto dell'opener "The Vanishing of Matter", visto che con la successiva "Eden", le cose sembrano addirittura peggiorare in fatto di violenza, con il rifferama del duo di Rouen che sembra farsi più pesante oltreché più minaccioso. Le velocità si confermano assai sostenute, con un lavoro alla doppia cassa davvero poderoso, le vocals arcigne, e gli armonici che paiono ululare come lupi nella foresta al chiaro di luna. Più compassata "Third Path", che esibisce una buona linea di basso in sottofondo, un accenno melodico un filo più marcato rispetto all'opener (ma questo si era già reso evidente nella seconda traccia) e un feeling maligno che fa emergere una voglia di rievocare suoni spettrali di metà anni '90. Sicuramente piacevole, interessante per le nuove leve che si avvicinano per la prima volta al genere, un po' meno per chi come me, è cresciuto a pane, Burzum, Gorgoroth e Immortal. Trovo diversi elementi infatti che accomunano il nostro duo odierno con alcune delle band capisaldi della scena norvegese, in primis quella che fu la band di Abbath e Demonaz, ma anche episodi, come nella già menzionata terza song (peraltro strumentale), che mi hanno richiamato i Dimmu Borgir di 'For All Tid' o il buon Count Grishnackh, soprattutto nelle porzioni più desolanti e ipnotiche dei brani (la glaciale "Cave of Shadows"). Il classico tuffo nel passato per i nostalgici di un tempo che fu e che oggi è incarnato nelle corde di pochi sopravvissuti di quell'epoca. Il disco scorre via fondamentalmente su questi binari, alternando parti furiose (come nella lunga "The Letter of Loss") ad altre più atmosferiche, senza inventare nulla di nuovo o particolarmente coinvolgente. Per me, un discreto lavoro che segna l'ingresso dei Mòr, a dieci anni esatti dalla loro fondazione, nel mondo complicato del music business. (Francesco Scarci)