Interviews

mercoledì 30 giugno 2021

Mesarthim - Vacuum Solution

#PER CHI AMA: Electro/Cosmic Black
Il misterioso duo australiano dei Mesarthim torna con una nuova release che va a renderne più cospicua la discografia. Sempre sotto la guida esperta della nostrana Avantgarde Records e con un concept perennemente ispirato alla cosmologia, la band ci propone un sound ancora una volta intrigante, in grado di miscelare cosmic black con elettronica e space rock, in un favoloso mix di melodie che si esplicano alla grande lungo le cinque tracce qui incluse. Quello che più ho apprezzato di 'Vacuum Solution' è sicuramente l'utilizzo dei synth nella memorabile title track posta in apertura, che è impossibile non memorizzare e arrivare quasi a fischiettare. Non me ne vogliano i due musicisti australiani, ma questa rischia di essere una delle canzoni più melodiche della loro discografia, sebbene le screaming vocals provino a mantenere un ancoraggio con le produzioni precedenti. Certo che quel finale quasi EBM rischia di stravolgere (positivamente sia chiaro) il pensiero che mi lega da sempre ai Mesarthim. Con "Matter and Energy" le cose sembrano complicarsi ulteriormente, lasciandosi penetrare sempre più dal beat techno elettronico, con il solo cantato black a mantenere un ponte di connessione con la musica estrema. Con "Heliocentric Orbit" ci manteniamo in territori affini, con i due che provano a unire quel sound techno dei Samael di metà carriera con la musica trance e le ultime invenzioni vocali (quasi anime giapponesi) degli azeri Violet Cold. Audaci. Impavidi soprattutto in "A Manipuliation Of Numbers", un pezzo che prende in prestito le tastierine del dungeon synth e le mette a servizio di un sound più etereo che comunque riflette il trademark dei nostri. A chiudere, ecco "Absence" con il suo ambient nudo e crudo, una sorta di colonna sonora di film stile "Interstellar" o "Gravity", che chiude l'ennesimo viaggio nello spazio di questi due sognatori australiani. Ah, una piccola curiosità: l'artwork di copertina è realmente una foto della Nasa. (Francesco Scarci)

martedì 29 giugno 2021

Belëf - Infection Purification

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Death, Behemoth
Spesso accade che dalla sola copertina di un disco sia possibile risalire al genere musicale, quanto mai scontato, e talvolta sia possibile saggiare anche la qualità di una band. È il caso di questi francesi Belëf, e al loro esordio, rimasto poi tale, su lunga distanza, dopo sette anni spesi di gavetta e un mcd all’attivo ('Deathwind Legion'), sfruttando un’ottima chance concessagli dalla Candlelight Records. Il quartetto transalpino, capitanato da Adramelech (chitarre) e Mordred (voce), propina 56 minuti di estenuante black metal di ben poco valore. Già dall’iniziale “Brutal Destruction” (che dura ben 12 minuti!!) si capisce che non abbiamo a che fare con dei geni della musica. I quattro ragazzi s’impegnano alla ricerca di un proprio sound, per uscire dal marasma raw black metal. Cercano (raramente) di abbinare alla furia tipica del genere anche qualche soluzione vicina ai primi lavori degli Emperor. Se proprio volete farvi un’idea un po’ più chiara di quello che suonano i nostri, potreste immaginare un ibrido tra i Behemoth (quelli death), i primi Marduk, gli Zyklon e le dissonanti armonie dei Ved Buens Ende di 'Written in Waters', il tutto condito da forti inflenze death/thrash tipiche dello stile americano. Vocals gracchianti, batteria stile mitragliatrice, chitarre marce e piatte, che rappresentano i punti di forza di 'Infection Purification'. Negli ultimi due minuti di “Immortal Abomination” si cela una traccia nascosta (come se ce ne fosse stato bisogno), una scheggia breve ed impazzita di inaudita violenza. Per me, un album semplicemente da dimenticare. (Francesco Scarci)

(Candlelight Records - 2005)
Voto: 45

https://www.metal-archives.com/bands/Bel%C3%ABf/13777

lunedì 28 giugno 2021

Six Feet Under - 13

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death, Cannibal Corpse
La collaudatissima macchina di morte di Chris Barnes e soci usciva nel 2005 con un nuovo dirompente album di brutal death metal. Fuori come al solito per la Metal Blade, la band dell'ex vocalist dei Cannibal Corpse voleva dimostrare con questo '13' che il precedente 'Bringer of Blood' (tralascio l'imbarazzante 'Graveyard Classics 2') era stato solo un errore di percorso. Questo lavoro sembra presentarsi già bene con un artwork molto inquietante ma la proposta musicale alla fine non si discosta più di tanto da quella dei lavori precedenti. Registrato come sempre ai Morrisound Studios di Tampa (Florida), e prodotto dallo stesso Chris, questo disco riparte però da dove aveva interrotto 'Bringer of Blood' e il risultato è un copia incolla del precedente: riffs granitici supportati da una batteria rutilante e dal growling caratteristico di Barnes sempre in primo piano, testi e titoli super splatter (mi basti citare “Decomposition of the Human Race” e “Wormfood”), rallentamenti continui, assoli taglienti e “melodici” sulla scia di quanto fatto dagli Slayer. Con '13', i Six Feet Under continuano imperterriti sulla loro strada, senza spostare di una virgola il proprio baricentro, fregandosene di tutto e di tutti, riuscendo a creare, seppur nella sua brevità (circa 35 minuti), un disco comunque compatto e granitico, un vero tuffo nel passato glorioso del death metal degli anni ’90. Non credo che '13' abbia deluso i fedeli seguaci della band, anche se sono convinto che questo come molti dei dischi successivi, non abbia procurato nuovi proseliti. (Francesco Scarci)

(Metal Blade Records - 2005)
Voto: 62

https://sixfeetunder.bandcamp.com/album/13

domenica 27 giugno 2021

Akvan - City of Blood

#PER CHI AMA: Ethnic Black
Credo sia risaputo quanto il sottoscritto sia alla costante ricerca di band provenienti dagli underground più stravaganti del mondo. Questi Akvan arrivano da Teheran (anche se il mastermind dietro a questa creatura, Dominus Vizaresa, è nato negli U.S. e poi si è trasferito in Iran) e sotto l'egida della Snow Wolf Records ma pure della nostrana Subsound Records, per ciò che concerne l'edizione in vinile, eccoli ritornare con questo nuovo 'City of Blood'. La peculiarità della one-man-band iraniana è quella di proporre un black alquanto primordiale, contaminato però da melodie etniche provenienti dalla tradizione persiana. Certo, l'opening track "Vanquish All" è prettamente un pezzo black grezzo, con tanto di produzione assai scarna, chitarre zanzarose e screaming vocals, molto '90s per intenderci nei suoi contenuti. Tuttavia, alcuni giri di chitarra o alcune melodie punteggiate peraltro da strumenti della tradizione locale, sembrano proprio condurci in quei luoghi cosi carichi di fascino e mistero. E il risultato alla fine ne beneficia alla grande, perchè non vi dirò che gli Akvan sono dei banali persecutori della tradizione black degli anni '90, ma in realtà propongono un sound carico di malinconia, cosi sognante a tratti ma comunque ben caratterizzato a livello musicale e pure a livello solistico. "Hidden Wounds" irrompe con un tremolo picking tipicamente black ma dopo due secondi si capisce che si tratta di melodie tipiche della tradizione mediorientale, che prendono le distanze da quanto proposto da altri esponenti della scena per certi versi affini, come Melechesh o Arallu. Qui ci sento infatti un qualcosa di più integralista, più vero, con le radici ben affondate nella cultura persiana. E fa niente che poi quello che ci ritroviamo fra le mani sia black a tutti gli effetti, le atmosfere che respiro e vivo durante l'ascolto di questo pezzo, cosi come soprattutto nella seguente "In Narrow Graves", pezzo strumentale di tradizione persiana senza chitarra, basso e batteria, mi regalano qualcosa di importante e profondo. La conclusiva "Halabja" è l'ultimo vorticoso capitolo di questo EP, che delinea lo stato di grazia, l'ispirazione e l'originalità di Dominus e dei suoi Akvan. (Francesco Scarci)

(Snow Wolf Records/Subsound Records - 2021)
Voto: 74

https://akvan.bandcamp.com/album/city-of-blood-3

sabato 26 giugno 2021

Soulfly - The Song Remains Insane

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Groove/Nu Metal
Non sono mai stato un fan dei dvd, perchè ritengo non siano in grado di trasmettermi le stesse emozioni che invece può suscitarmi il semplice ascolto di un disco. Veniamo ora alla prima (e per ora unica) release ufficiale video per Max Cavalera e i suoi Soulfly, rilasciata dalla Roadrunner Records nel 2005, in occasione dei festeggiamenti del 25° compleanno di vita dell'etichetta olandese. A livello contenutistico, 'The Song Remains Insane' è ben fornito: include infatti più di un’ora di Max e soci live, catturati in giro per il mondo, durante le loro esibizioni, con tutti i pezzi migliori, da “Prophecy” a “Eye for an Eye”, “Living Sacrifice” e molti altri. Sono poi disponibili tutti i video prodotti dalla band carioca (“Bleed”, “Back to the Primitive”, “Seek’n’strike” e “Prophecy”). Un Max Cavalera a 360°, accompagnato dagli altri membri della band, ci parlano poi di musica, amicizie, famiglia, curiosità varie, dei fan, del periodo di militanza di Max nei Sepultura, arrivando a chiacchierare anche dell’ultimo (a quel tempo) brillantissimo “Prophecy”. All’interno di questo lavoro sono inoltre presenti tre bonus clips, gli studio report e tracce audio inedite. Che dire, questo dvd accontenterà sicuramente i fan della band brasiliana, che da quasi cinque lustri, è sulla scena con il suo caratteristico sound, fatto di chitarre abrasive, ritmiche sincopate e crocevia di stili più disparati, dal thrash all’hip-hop, passando attraverso il reggae e la musica tribale. 'The Song Remains Insane' offre uno spaccato della vita on the road dei Soulfly, rappresentando al meglio la band, la sua musica e la sua filosofia. Il dvd è interessante, ben curato in ogni sua forma e ricco di materiale. L’unico rammarico potrebbe essere rappresentato dall’assenza di uno show integrale che possa realmente trasmettere, ad ogni fan, tutte le emozioni di uno spettacolo dal vivo, dall’inizio alla fine. La durata complessiva è di circa 90 minuti, forse un po’ pochi per una band come i Soulfly. Mi sarei aspettato qualcosina in più da Max Cavalera, lui che è sempre cosi ispirato e ricco di creatività, ma in attesa di qualcosa di nuovo e più attuale ci si accontenta ripescando dagli archivi questo piccolo cimelio. (Francesco Scarci)

(Roadrunner Records - 2005)
Voto: 75

https://www.facebook.com/SoulflyOfficial/

Zeal and Ardor - Wake of a Nation

#PER CHI AMA: Black/Gospel
Una delle band più interessanti uscite negli ultimi anni è rappresentata dalla creatura elvetico-americana dei Zeal & Ardor, capaci di mixare il black metal con gospel e soul tipici della cultura afro-americana. L'ultima uscita della band è 'Wake of a Nation' (a parte il singolo "Run" uscito un mese fa), nata come risposta alle proteste del Black Lives Matter legate alla morte di George Floyd. E la band basata a New York lo fa regalandoci sei splendidi pezzi, dal gospel iniziale della mansueta "Vigil" al black mid-tempo della seguente "Tuskegee", dove allo screaming feroce di Manuel Gagneux, i nostri rispondono con i vocalizzi puliti dello stesso ben più caldi e dove le linee di chitarra oscure come la morte vengono ammorbidite da sensuali break acustici. "At the Seams" apre con la voce suadente del frontman in primo piano in un pezzo che sembra scaldarci il cuore, ma è solo apparenza perchè i toni si fanno più accessi (ma solo a tratti) nella seconda parte del brano. "I Can't Breath" può solo rievocare quelle scene atroci viste alla tv durante l'uccisione di George Floyd e lo fanno inevitabilmente con un testo duro da digerire. "Trust No One" segna ancora una forte mix tra black e gospel, in un connubio sonoro che ha reso grande e originale questa band nella scena metallica mondiale. E il battito di mani finale, le voci afro-americane, fa pensare allo schiavismo, ai campi di cotone, alle proteste dei neri contro i bianchi, il tutto in un contesto sonoro tribal-percussivo di gospel e industrial che rendono questo 'Wake of a Nation' un lavoro a dir poco unico. (Francesco Scarci)

Pantera - Far Beyond Driven

#PER CHI AMA: Thrash Metal
This is probably my favorite Pantera release of all time! I love the riffs on pretty much all of the songs, those only 1-2 tracks that I'm not fond of but overall I thought this a more than average perhaps one of the most memorable Pantera releases in their entire discography for me! This album is just charged with energy as well! These guys were pretty heavy on here...guitar wise and the bass is loud enough to hear I like the vocals as well. Everything seemed to mesh in here for a good portion of the tracks. I like the solos too, they were another highlight. Some of the best riffs that Pantera had ever come up with were on here!

This release came out when I was in High School, I had it on cassette. I didn't mind playing it often since I was heavily into the guitar. Dimebag was a big influence on me back then. Now 27 years later I'm still digging the music but I've abandoned the guitar. Or it abandoned me. In any case, these songs weren't the easiest to play, they were quite challenging. And the leads were out of this world. Some of the greatest groove metal riffs I've ever heard! They just got it down in terms of the music and Phil does a great job on the vocals. The whole band contributed to making this a mountainous masterpiece!

It sucks that Vinnie Paul and Dimebag are gone. They made Pantera and they can (I don't think) ever duplicate this lineup. It's useless to ponder because it's true. Anyway, the music is entirely original and catchy. Songs like "Strength Beyond Strength", "Shedding Skin" and "Slaughtered" are my favorites. But as I said, most of the songs I liked, just those three I like the most. Dimebag was one of a kind with the riffs and leads no one can replace him! It's a sad fate for Pantera but they made good albums despite them losing their lives. I like their previous releases as well. Just this one is my favorite.

The production quality captured everything. The guitars, bass, drums and vocals were all mixed in well. And if you don't have this release yet, get it! There's just so many milestone moments on here. It's one not to pass up in showing support to the music scene and lengthening your CD collection! Some great moments, well actually many different moments! The guitar and vocals were phenomenal! I liked this the whole way through just take out some of the useless songs and it'll just be perfect. Own it! (Death8699)


(EastWest - 1994)
Score: 90

https://pantera.com/

The Pit Tips

Francesco Scarci

Slice the Cake - Live at Home
Mesarthim - Vacuum Solution
Multiversal - The Beast of Nod

---
Alain González Artola

Hanternoz - Au Fleuve de Loire
Fear Factory - Aggression Continuum
Frozen Wreath - Memento Mori

---
Death8699

Cardiac Arrest - Haven For the Insane
Devourment - Obscene Majesty
Kurnugia - Forlorn and Forsaken

Merger Remnant - Dregs

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Da Falun, Svezia, ecco arrivare una nuova intrigante creatura, i Merger Remnant. 'Dregs' è l'EP di debutto del duo scandinavo che include Björn Larsson dei God Macabre, e comprende quattro tracce dedite a un black doom atmosferico. Il tutto è certificato dall'opener "All-out Violence Upon Life" e dalle sue ritmiche compassate che ne segnano il passo e da interessanti arrangiamenti che ne gonfiano il sound, mentre Björn si mette in luce con la sua voce a cavallo fra growl e scream. Poi a scatenarsi è il caos con un arrembante bridge pregno di melodia a cui segue un altro notevole rallentamento con tanto di voci salmodianti in sottofondo. Tutto decisamente ben curato e di un certo impatto esoterico. Peccato le chitarre siano forse troppo lineari (stile Amon Amarth) e manchi qualche spunto solistico, altrimenti staremmo forse parlando di un gioiellino. Con la successiva "Cosmos Posthumously Ending Itself", percepisco echi epico-pagani nel sound dei due musicisti, quasi lo spettro dei Bathory aleggi nelle note di questo brano. Si confermano superbe le parti atmosferiche, cosi come pure le linee di chitarra, sempre piuttosto ispirate. "The Cold Earth Slept Below" è la cover completamente stravolta degli statunitensi Judas Iscariot, e da quanto ho capito, con un testo però riproposto da Björn: l'intro è quasi pink floydiano e l'intero pezzo rimane scolpito nella mente con le sue splendide melodie e orchestrazioni e la voce dello stesso Björn qui pulita, insomma nulla a che fare con il raw black dell'originale. In chiusura la title track, il pezzo più veloce del lotto e per questo forse il più anonimo, almeno fino a quando compaiono esotiche parti mediorientali ed altri frangenti atmosferici che ne risollevano enormemente le sorti. Insomma, 'Dregs' è a mio avviso un buon biglietto da visita che mi permette di dirvi di segnarvi questo nome per future uscite discografiche. (Francesco Scarci)

(De:Nihil Records - 2021)
Voto: 74

https://mergerremnant.bandcamp.com/album/dregs-ep

venerdì 25 giugno 2021

Gonemage - Mystical Extraction

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Da Dallas, ecco arrivare una nuova one-man-band, capitanata da Garry Brents, in arte Galimgim, uno con una paccata di band sulle spalle tra cui i Cara Neir, forse quella più famosa. In questi nuovi Gonemage, Garry prende le distanze dalle sonorità black (grind)-hardcore della sua band principale e propone, in questo debutto intitolato 'Mystical Extraction', un sound che sembra quasi uscire da un videogioco (un qualcosa tuttavia già palesato nell'ultimo EP 'Phase Out Original Game Soundtrack' dei Cara Neir), una sorta di nintendo-black metal a dir poco ubriacante sin dalle note iniziali di "The Gullying and the Purple Hoax", la folle traccia d'apertura di questo controverso lavoro. Scariche laviche di black e poi d’emblée ecco comparire quelle sonorità tipiche da videogioco anni '80 (la famosa chip music) stagliarsi sotto il maligno tappeto ritmico eretto dal mastermind texano. Assurdo, soprattutto nel finale quasi il musicista statunitense stia giocando a flipper e nel frattempo ci piazzi un pezzo di chitarra blues rock in un arrembante scarica di violenza elettronica. Il black miscelato alla chiptune prosegue ovviamente nelle song successive: "Chained Castle", un po' meno la selvaggia "Dust Merchant", la post-punk "Dream Moat" e via dicendo, avrebbero potuto essere tranquillamente le colonne sonore di una marea di giochi con cui mi dilettavo negli anni '80 con il mio Commodore 64 o con le consolle stile Atari. Ovviamente il feroce screaming magari non avrebbe fatto parte del pacchetto, a meno che non stessimo parlando di giochi stile 'Ghosts 'n Goblins', o di un più recente 'Resident Evil'. La struttura delle song è più o meno simile ovunque, con un'architettura black corrosiva su cui si impianta lo screaming selvaggio di Mr. Brents e tutta l'effettistica synth che potrebbe ricordare ad esempio un altro classicone, 'Pac-man'. Il disco non mi dispiace affatto, vuoi anche per l'aura malinconica di "Uncast" o la furia iconoclasta della conclusiva "Ipinta", che chiude degnamente, con le sue folli modulazioni di frequenza, questa prima stralunata fatica firmata Gonemage. (Francesco Scarci)

giovedì 24 giugno 2021

Moongates Guardian - Broken Sword

#PER CHI AMA: Epic Black
I Moongates Guardian sono un oscuro ma assai produttivo duo originario di Kaliningrad dedito ad un black dalle forti connotazioni tolkiane nei loro testi. E per questo, perchè non miscelare la fiamma nera con il medieval sound? Andatevi ad ascoltare la ricca discografia dei nostri e se intanto volete partire da quanto di più nuovo prodotto dai due russi, eccovi accontentati con un EP nuovo di zecca con tre pezzi, di cui uno, la cover degli AC/DC "For Those About To Rock", scelta quanto mai discutibile. Eppure, l'opener di 'Broken Sword' è un tipico pezzo marchiato a fuoco dai nostri, in cui abbinare ad un black nudo e crudo melodie folkloriche ed harsh vocals, con tanto di parti acustiche che sorreggono la loro primigenia forma musicale per un risultato epico. La seconda traccia è appunto la cover dei canguri australiani, in una versione completamente stravolta, con ottime e pompose orchestrazione, dove vagamente si può intuire il rifferama della song originale (soprattutto a livello solistico), ma dove il cantato in screaming ne altera completamente il risultato finale. Bell'esperimento ma francamente non avrei mai coverizzato una band come gli AC/DC. La terza traccia è affidata invece all'acuminata title track: chitarre zanzarose, batteria parecchio inascoltabile, vocals urlate, il tutto proposto a tutta velocità, con le solite e solide parti sinfoniche a dare brio ad una proposta che rischierebbe invece di (s)cadere nell'anonimato più totale. Insomma, un EP interlocutorio che non mostra le potenzialità della band russa, ma che può essere un buon punto di partenza per saperne un po' di più dei Moongates Guardian. (Francesco Scarci)

martedì 22 giugno 2021

Devotion - The Harrowing

#FOR FANS OF: Black/Death
What a HEAVY release! I think their previous was a bit better, but this one packs a punch and I was impressed with their perseverance regarding their songwriting. The music is brutal and so are the vocals. Sound quality is quite good, but I thought 'Necrophiliac Cults' was a little more impressive. This still has some great moments. The riff-writing was good, but the tone of the guitars were on distortion but a little more dark. The quality of the music is better than their previous but the guitars I thought their previous was better. Nevertheless, the overall output here was admirable.

Talking about the guitar, because the acoustics (sound) were a little muddled I couldn't hear the riffs as well as on their previous. In some instances it just was noise. Especially when the leads were going. But otherwise, no other complaints really. The vocals make the music sound even darker than on any of theirs. I like the fact that they wanted a more brutal sound but their riff-writing could've been better sounding. Anyway, it's good as it is despite my differences regarding the guitar riff-writing. I suppose you can say that it's an album that you've got to be in an acquired zone when hearing. That's the best way I can describe it.

The production quality was a step-up from their previous. I think that the music was well mixed and solid in that respect. Everything you can hear pretty well (guitar, bass, drums, vocals, and so on) so in that respect it's solid. I like how the vocals follows the guitars in some songs. There weren't many that followed that path but the guitars were HEAVY duty! I think that they needed to spend more time with the riffs and lay them out in the right times alongside the rest of the instruments. If they would've, I would've scored this higher than an 80%. Anyway, a good release at that and some good music (in streaks).

I'd check this out on YouTube I don't believe it's on Spotify. I ordered the physical copy on eBay. It was worth it even though I have beef with the recording. I'd say support this band because they have a helluv a lot of potential. These past two releases show great promise in the death metal arena. I'd say get their previous and this current one because both of them are good. They really do well with making death metal. I know I said a lot that was wrong with this album I guess it's because their previous I though was more solid. But either way, both are good. Check this one out! (Death8699)


Givre - Le Pressoir Mystique

#PER CHI AMA: Medieval Black
Dalla famigerata scena del Quebec, ecco giungere a noi i Givre, terzetto originario di Rouyn-Noranda, autori di un black metal dalle tinte depressive/medievaleggianti. 'Le Pressoir Mystique', secondo atto del trio canadese, apre con un'evocativa intro parlata, per poi concentrare le proprie energie in un black mid-tempo con il brano "Rebatons Notre Chair Vilainne", rigorosamente cantato in francese e dotato di un riffing di matrice burzumiana stile 'Hvis Lyset Tar Oss', forse anche più lento. Qui, il cantato corrosivo del frontman catalizza l'attenzione, accompagnato dalle melodie paranoiche delle chitarre che quasi mi offuscano i sensi. "Blanche Biche" (che si rifà ad una ballata bretone del 16° secolo) presenta i nostri sotto una luce diversa ancor più suggestiva, peccato solo il suono risulti cosi impastato rischiando di far perdere potenziali dettagli intriganti di una proposta che, in taluni frangenti, ha il merito di suonare originale. Si, il sound dei Givre non è affatto male, anche se una produzione più pulita avrebbe dato maggior beneficio soprattutto nelle parti più atmosferiche e arpeggiate che costellano questo brano cosi come pure il successivo "Jamais Ne Vestiray Que Noir", il più lungo del lotto, con il suo fare introspettivo, complice la presenza alla voce di una gentil donzella, inserita in un contesto che mi ha evocato certe produzioni dei nostrani Evol ai tempi dello splendido 'Portraits'. Più grezzotta e anonima invece "Source de Plour", un black mid-tempo che francamente non offre grandi spunti di interesse, sebbene la decadente melodia in sottofondo guidata dalla chitarra, alla fine abbia il suo perchè. In chiusura, "Adieu Ces Bons Vins de Lannoys" che riprende trasponendola a oggi, un'altra opera medievale francese del 14° secolo in un black oscuro, furente ma di grande impatto. Alla fine 'Le Pressoir Mystique' è un lavoro davvero interessante che vi invito ad ascoltare con attenzione, potreste trovarvi infatti ottimi spunti. (Francesco Scarci)

Mushroom Giant - Painted Mantra

#PER CHI AMA: Prog/Post Rock Strumentale
Era il 2014 quando 'Painted Mantra' vedeva la luce la prima volta. Dopo sette anni, la Bird's Robe Records restituisce una seconda vita a quel disco degli australiani Mushroom Giant, ormai band leggendaria del sottobosco locale sin dal 2002, in compagnia di altri mostri sacri quali We Lost the Sea, Sleepmakeswaves, Meniscus o Dumbsaint. In occasione del decennale dell'etichetta di Sydney, ecco quindi rivedere la luce un lavoro che fa di prog e post rock strumentale il suo credo. Nove pezzi che prendono le distanze dal classico post rock, fatto salvo per l'assenza di un vocalist, ma che da un punto di vista musicale, vede invece i nostri picchiare come fabbri sin dalla roboante apertura affidata a "The Drake Equation", un pezzo solo inizialmente onirico, ma che da metà in poi, si lancia in un centrifugato quasi killer di heavy prog davvero godibile. Si ritorna ad atmosfere pink floydiane con "Four Hundred and Falling", con quella forte aura malinconica che fino a metà brano ancora una volta sembra cullarci e che nel finale cresce emotivamente aumentando a pari passo, un interesse per una proposta che fin qui pareva piuttosto scontata, a dire il vero. Il finale però è da applausi. Come quelli che scrosciano per la lunghissima "Scars of the Interior" e i suoi quasi 14 minuti di parti arpeggiate, sognanti, ambientali; si dice a proposito, che il quartetto di Melbourne sia davvero forte dal vivo con parti visuali di grande effetto, da testarne insomma l'esperienza. Quello che mi convince della band è la capacità di coniugare la componente post con eleganti linee progressive dove i quattro musicisti sembrano trovarsi più a proprio agio. Fatto sta che, pur non essendo il sottoscritto un fan di offerte strumentali, qui mi lascio abbindolare dalle fughe rabbiose a cui seguono inevitabilmente lunghi ristoratori break atmosferici, che non fanno altro che prepararci ad un nuovo saliscendi musicale, ove la tecnica di questi aussie boys, viene fuori alla grande. Devo anche ricordarmi che questo 'Painted Mantra' è uscito sette anni fa, mica ieri. "Aesong" ha un fare quasi esotico a livello ritmico (ottima la batteria per la cronaca), quasi a condurci in una qualche isola al largo dell'Australia, con l'hammond comunque ad accompagnare con grazia e leggiadria, il comparto ritmico, qui vicino alle ultime prove degli Opeth, tuttavia ricordandosi che i gods svedesi hanno iniziato ad esplorare questo ambito ben dopo rispetto al "fungo gigante" di quest'oggi. L'ensemble continua a confezionare ottimi brani uno dopo l'altro: "Event Loop" è puro rock progressivo che ci porta a metà anni '70, con break affidati a basso e chitarra che a braccetto, ammiccano l'uno all'altro. Mancherebbe un vocalist ma questa volta voglio soprassedere e lasciarmi avvolgere dalla psichedelia di questa song o dalla successiva "Primaudial Soup", la cui batteria sembra quella in apertura di "Sunday, Bloody Sunday" degli U2, mentre a livello melodico, mi ha evocato un che dei Muse, inseriti comunque in un contesto più potente e coinvolgente. Lo ripeto, una voce avrebbe fatto le fortune di questo lavoro dal carattere cosi ondivago, stravolto peraltro costantemente da una marea di cambi di tempo. Se dovessi trovare un difetto, potrei dire l'eccessiva durata; quasi un'ora di musica filata, senza una voce, io la trovo sempre un'esperienza abbastanza sfidante, soprattutto in quei frangenti troppo meditabondi come può essere la prima parte di "Triptych". Poi fortunatamente il brano si muove dagli anfratti post rock e pestare maggiormente sull'acceleratore sfiorando il post metal con tanto di quella che mi pare anche una sezione d'archi. Ma c'è ben altro qui dentro, mille sfaccettature e dettagli che lascio approfondire a voialtri, godendo della performance di questi australiani che hanno ancora il tempo di inebriare i vostri sensi attraverso le decadenti note delle conclusive "Lunar Entanglement" e "Majestic Blackness", le ultime oscure perle di questo lavoro che a distanza di sette anni, non avete più alibi di lasciar andare. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2014/2021)
Voto: 75

https://mushroomgiant.bandcamp.com/album/painted-mantra

lunedì 21 giugno 2021

Repetita Iuvant - 3+1

#PER CHI AMA: Instrumental Post Rock
In soli sei mesi, i liguri Repetita Iuvant escono con due EP. L'avevano dichiarato che avrebbero fatto uscire una trilogia in un lasso di tempo alquanto ristretto. Detto fatto. Il trio di La Spezia torna con quattro nuovi pezzi che si vanno a sommare a quelle "Gusev", "Montalto" e "Sapradi", uscite a fine 2020, nel primo EP intitolato '3'. Chissà se anche qui è colpa del Covid e dei lock-down annessi, se la band ha partorito cosi brevemente queste due creature o se magari erano pezzi che già facevano parte della storia dell'ensemble spezzino. Comunque per chi non li conoscesse, i Repetita Iuvant, locuzione latina che, traslata ai giorni nostri, vuol significare che ripetere un gesto o un'azione può dare un beneficio, propongono un post rock strumentale che dalle soffuse note iniziali di "Sagiadi", giunge a quelle finali della lunga "Piuno". Quando si parla di post rock, è spesso lecito cadere nella tentazione di immaginare come sia la proposta della band ancor prima di ascoltarla e ahimè, molto spesso ci si azzecca pure. Ecco, la cosa avviene anche per i Repetita Iuvant, anche se la proposta del trio sembra decisamente più scarna e minimalista se confrontata a produzioni internazionali ben più pompate. Il che sembrerebbe confermato da una registrazione in presa diretta che non enfatizza certo i suoni, caratterizzati da una ricercatezza sonora non cosi acuita, vista la volontà della band di proporre tracce per lo più improvvisate. "Polloni" è un lungo pezzo di quasi dieci minuti che si perde in un giro di pensieri iniziali messi in musica, quasi un rimuginare interiore che lentamente si palesa attraverso una narrazione pregna di malinconia, con un pizzico di magia e un sound che di caratterizzante però ha ben poco, visti i classici riverberi del post rock, un approccio onirico ed una certa lentezza di fondo, tutte cose che rientrano nei dettami del genere. "Metloping" si conferma come propugnatore di un approccio minimal-vellutato, quasi si tratti di una schitarrata in compagnia di amici, davanti ad un bicchiere di vino con luci soffuse e un'aura malinconica palpabile che si annusa più pungente laddove il tremolo picking aleggia forte nell'etere. A chiudere '3+1' ecco la lunga "Piuno", una traccia che si affida all'abbinata batteria chitarra in una forma che definirei ancora piuttosto ancestrale (per non dire casalinga), soprattutto per ciò che concerne i volumi dei singoli strumenti. Un brano che ho francamente faticato a digerire rispetto ai precedenti pezzi, forse perchè apparentemente sembra quello con meno passione anche se alla fine risulterà il brano più sperimentale. Attendiamo ora il terzo capitolo per capirne qualcosa di più di questi Repetita Iuvant. (Francesco Scarci)

I Repetita Juvant sono una trio proveniente da La Spezia che associa una filosofia lo-fi di registrazione con i classici canoni stilistici della musica post rock, quella più sognante ed eterea. In questo secondo disco intitolato semplicemente '3 + 1', si mette in evidenza una certa propensione per la musica liquida, fatta di atmosfere unicamente strumentali, che si incastrano tra qualche malinconica sospensione dei This Will Destroy You e certe teorie sonore degli Ulan Bator che hanno fatto storia, sviluppate in questo caso, da un trio anomalo formato da una batteria, una chitarra synth ed una chitarra elettrica. Da evidenziare anche un gusto assai personale per i disegni che animano l'ottimo artwork di copertina. La ricerca intentata nei suoni per tributare una certa matrice vintage e psichedelica, a mio modesto parere,  dà i suoi frutti solo in parte, visto che la veste naturale del suono viene così estremizzata, e in più momenti, sembra di essere di fronte, ad un demotape registrato in sala prove, cosa che penalizza l'ascolto dei brani che, al contrario, sono interessanti e pieni d'atmosfera. Il fatto di sperimentare sulla registrazione in tempi moderni è ammirevole, ma se il risultato fa implodere il sound nella sua totalità, la cosa fa un po' riflettere (il precedente lavoro intitolato semplicemente '3', non soffriva di questa carenza nella dinamica del suono). La sensazione è che siano buone cartucce sprecate solo per la presunzione di cercare la dimensione sonora di un tempo che non si può più ricreare. Altra nota in parte negativa che la registrazione scarna mette in evidenza, è una carenza nei bassi, ovvero la mancanza di un basso vero e proprio si rende troppo evidente, manca infatti qualcosa che renda il tutto eccellente, anche se ripeto, non voglio criticare la scelta stilistica e musicale ma semplicemente raccontare la mia emozione all'ascolto del disco. Quindi, alzato il volume, preso atto che non sentirò nessuna linea di basso in questo disco, mi affogo nel cristallino mare dei Repetita Iuvant, che non è mai banale e che pullula di idee, anche se non del tutto originali, ma comunque sono ben confezionate e suonate con ispirazione. Brani ipnotici, visioni filmiche di spazi immensi e luminosi, che vengono esplorati in queste quattro tracce dal taglio siderale, nudo e crudo, che avrei voluto sentire con una produzione totalmente diversa, più maestosa e cosmica, per un disco di tutto rispetto, pieno di ottime idee ingabbiate però, in una scelta di produzione a dir poco sotto tono. (Bob Stoner)


(Loudnessy Sonic Dream - 2021)
Voto: 66

https://repetitaiuvant.bandcamp.com/album/3-1

domenica 20 giugno 2021

Hans Hjelm – Factory Reset

#PER CHI AMA: Instrumental Prog/Kraut Rock
Hans Hjelm è un produttore e musicista svedese assai conosciuto in ambito alternativo, che vanta numerosi progetti e partecipazioni in un infinito numero di album. Questo suo primo disco da solista è anche la prima uscita interamente gestita dalla sua etichetta personale, la Kungens Ljud & Bild. In questo suo debutto dalla copertina futurista, Hans, ha suonato chitarre, synth, basso e programmato le basi, aiutato solamente da Jesper Skarin nel ruolo di batterista. Il noto chitarrista di Stoccolma milita in un nugolo di altre band di ottima fattura, tra cui Kungens Män ed Automatism, e si abbandona per questi sei brani strumentali ad un suono sofisticato, figlio dell'ammirazione verso certa new wave costellata di synth, profondi e cosmici, che entrano in armonioso contrasto con il suo modo originale di gestire le parti di chitarra, mettendo in luce i suoi studi in ambito jazz perseguiti in America, che caratterizzano il suo stile. L'appartenenza alle altre band si fa sentire sempre e comunque, anche se Hjelm ce la mette tutta per allontanarsi dalle precedenti multicolori avventure sonore: l'ombra dell'ultimo brillante disco degli Automatism, ad esempio, è qui costantemente presente, anche se, tra queste note, troviamo una sezione ritmica più evanescente, il basso resta sempre nelle retrovie e i synth e le chitarre cristalline per la maggior parte dei brani svolgono il ruolo di protagonisti. "Valley of the Kings" mostra perfino una verve ipnotica figlia della psichedelia dei Velvet Undergrond, riveduta in chiave newwave anni '80, mentre l'amore per i Depeche Mode esplode nella cover di "Nothing to Fear", estratta dallo storico 'A Broken Frame', e adattata in una veste più consona all'autore, piena di colori tra post rock e sonorità indie. Nel retro del cd troviamo un consiglio per l'ascolto scritto da Hjelm in persona, che lascia trasparire tutta la sua peculiarità, la sua meticolosa ricerca della qualità sonora, da musicista, da tecnico del suono e produttore di opere molto sentite a livello emozionale. La scritta recita:

Usa le cuffie stereo
Fai un respiro profondo e inizia a rilassarti
Chiudi gli occhi e lascia perdere tutte le preoccupazioni
Notare una frequenza leggermente diversa che raggiunge ciascun orecchio
Diventa consapevole del tuo respiro
Inizia a contare i tuoi respiri
Lascia che i suoni passino attraverso la tua mente inosservati
Immergiti nel processo di respirazione
Lascia che i suoni sincronizzino i tuoi schemi di pensiero
Ripetere il processo fino a quando non si verifica il ripristino

"Lights Turn Red" è invece la canzone più lunga del lotto e offre un'evoluzione lisergica di chitarra noise davvero interessante, che amplia il range della proposta del disco, che fondamentalmente si muove in un'ottica di ipnotica estasi sonica. Conoscendo e apprezzando gli altri lavori del polistrumentista svedese, posso dire che a differenza di altre sue uscite, 'Factory Reset' rappresenta qualcosa di diverso, più alla moda, un bel disco dalle dichiarate venature '80s rivisitate in un'ottica moderna, una release quasi perfetta, dal sound arioso, aperto, contemporaneo ed estremamente omogeneo, tendenzialmente meno rock, ma con un'anima sognante ai confini di un ambient che solo a tratti nasconde qualche sinistra insidia sonora. In tutto questo mi mancano le astratte evoluzioni compositive, tipiche di band come Sista Maj o Automatism, ma in effetti il lavoro di Hjelm in questo suo primo lavoro da solista non deve essere paragonato alle altre sue dimensioni musicali. Questo disco infatti vive di una propria reale identità, una luccicante, autonoma realtà compositiva che conferma una capacità straordinaria di creare universi sonori dalle mille entità diverse e colorate anche in veste solitaria. L'ascolto è consigliato, obbligatoriamente in cuffia, come raccomandato dall'autore! (Bob Stoner)

(Kungens Ljud & Bild - 2021)
Voto: 74

https://hanshjelm.bandcamp.com/album/factory-reset

Phurpa & Queen Elephantine - Ita Zor

#PER CHI AMA: Suoni Ritualistici
Quando ci sono i Queen Elephantine è sempre un terno al lotto, non si sa mai cosa aspettarsi. In questi ultimi 12 mesi li ho già recensiti un paio di volte con le loro improvvisazioni jazz-pandemiche. Ora, il collettivo originario di Hong Kong ma trasferitosi negli States, torna in compagnia dei Phurpa, una band ritualistica russa che propone nientepopodimeno che suoni tibetani. Il risultato è questo stravagante, sperimentalissimo, avanguardistico (troppo per i miei gusti) 'Ita Zor'. Si perchè parliamoci chiaro, quando i quasi 14 minuti di "Ita Zor I" si palesano nel mio lettore, quello che mi ritrovo di fronte è un rituale bello e buono, quasi si tratti di una registrazione estrapolata in un qualche isolato tempio buddista nella catena dell'Himalaya. Potete immaginare la mia voglia di farmi assorbire da questi suoni meditativi, con tanto di voci salmodianti in background e null'altro che non siano corni tibetani, gong, campane e poc'altro. Noia totale a meno che non dobbiate fare yoga, pilates o meditazione. La mistura dronico ossessiva è riproposta poi in loop mantrico all'ennesima potenza, tra rumori vari di sottofondo, campane tibetane, rilassamenti onirico-cosmico-sensoriali, che nei successivi quattro segmenti di questo 'Ita Zor', non faranno altro che rilassarci (a me francamente martoriarmi) i sensi con rumori, voci e suoni cerimoniali, per un disco che verosimilmente non trova la sua giusta collocazione qui nelle pagine del Pozzo dei Dannati, a discapito peraltro di una bassa valutazione. (Francesco Scarci)

(Atypeek Music/4iB Records/Misophonia Records - 2021)
Voto: 60

https://queenelephantine.bandcamp.com/album/phurpa-queen-elephantine-ita-zor

Deka‘dɛntsa - Universo 25

#PER CHI AMA: Dark/Post Rock
Un altro prodotto della pandemia e del disagio creato da questo difficile periodo per il mondo intero. Questo è 'Universo 25', album di debutto dei campani Deka‘dɛntsa, che richiama nel proprio titolo, l'esperimento omonimo condotto dall'etologo John Calhoun, che usò l'espressione "fogna del comportamento" per illustrare i risultati della sua esperienza e denotare il collasso di una società a causa di anomalie comportamentali provocate dalla sovrappopolazione. Da qui, arrivare questa raccolta di sette tracce che si aprono con il rumorismo di "Latenza 00" che lascia ben presto il campo alla title track, una song dark rock cantata in italiano. Ottime le oscure atmosfere create dal combo originario di Salerno, che nel corso del disco, verrà supportato da svariati ospiti, da Mohammed Ashraf (Pie are Squared, Postvorta, Void of Sleep) che ha scritto e suonato l’intro “Latenza 00”, Andrea Fioravanti (Postvorta) alla chitarra in "Hikikomori" - entrambi grandi amici di Raffaele Marra (fondatore dei Deka‘dɛntsa ma anche dei Postvorta stessi) - ed Edoardo Di Vietri (In a Glass House) alla chitarra in "Disordine e Indisciplina" e nella già citata "Hikikomori". Sia ben chiaro che la band di quest'oggi non ha nulla da condividere con i Postvorta; messe da parte infatti le idee sludge/post metal, Raffaele in compagnia di un altro paio di amici, si diletta in sonorità più orientate al dark rock. Lo dicevamo appunto per la title track, lo confermo per "Inutili Eroi", che sembra quasi richiamare i Litfiba degli esordi, quelli di 'Desaparecido' per intenderci, in cui il sound combina influenze dark/punk/new wave con melodie tipicamente mediterranee, cariche poi di un fortissimo impatto emotivo. Qui percepisco una situazione alquanto simile, per quanto confluiscano nella proposta dei nostri dinamiche più attuali, con derive elettroniche ma anche sfuriate metal. Un bel basso apre e guida "Decadenza", un pezzo mid-tempo, oscuro ed incazzato, caratterizzato da buone melodie ma che probabilmente non rimarrà agli atti come uno dei migliori brani della musica dark rock italiana. La band ci riprova con l'emotiva "Hikikomori", un altro esempio di dark sulla scia dei vecchi Burning Gates, ma che in realtà mi ha ricordato "Satana" dei Nuvola Neshua, con la sola differenza che ho davvero amato il brano della band lombarda di primi anni 2000, un po' meno questo che sembra offrire il meglio di sè solamente nel finale. "Pandemica" è un pezzo dal taglio più corposo ritmicamente parlando grazie a dei granitici riff di chitarra ma che non mi convince a livello vocale con il cantato pulito in italiano del frontman, che non spicca certo in personalità; molto meglio invece il finale con delle spoken words in un contesto più post metal che rendono maggior giustizia al lavoro. In chiusura "Disordine e Indisciplina", gli ultimi sette minuti abbondanti all'insegna di un dark metal d'ordinanza, a tratti irrequieto a dire il vero, per un disco comunque che forse manca ancora di spunti vincenti per poter dire la propria in un ambito che vanta oltre quarant'anni di storia alle spalle e che necessita di molto di più per poter rimanere negli annali di questo genere. (Francesco Scarci)

(Zero Produzioni/22 Dicembre Records - 2021)
Voto: 65

https://dekadentsa.bandcamp.com/album/universo-25