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lunedì 7 gennaio 2019

Psychotropic Transcendental - .​.​.Lun Yolina un Yolina Thu Dar​-​davogh.​.​.

#PER CHI AMA: Experimental/Dark/Post Metal
La storia dei Psychotropic Transcendental non è delle più semplici: formatisi nel 2000 a Bielsko-Biała, i nostri rilasciano immediatamente 'Ax Libereld...', un discreto album di prog metal. Poi il silenzio assoluto, durato praticamente fino al 2018, quando la band si è riaffacciata sulla scena con questo '.​.​.Lun Yolina un Yolina Thu Dar​-​davogh.​.​.'. In realtà, il quartetto polacco non ha mai smesso di scrivere musica, visto che le song contenute in questa loro seconda fatica, sono in realtà state scritte tra il 2005 e il 2008, in varie imprecisate locations. La peculiarità dei nostri sta comunque nell'utilizzo di testi scritti in una lingua, il var-inath, inventata dal batterista Gnat, volta a miscelare in uno stesso idioma, l'atmosfera germanica con il calore dell'accento slavo. Non mi è dato pertanto sapere di cosa trattino i testi, quindi meglio concentrarsi sulla musica di questi stravaganti musicisti. Il disco si apre con "Mahad Lavor Sa-zax", una song che unisce in modo esplosivo, rock progressive, post-metal, dark e post punk, con delle atmosfere che richiamano inequivocabilmente i primi anni '80, tra The Cure e Misfits. Decisamente più cupa la successiva "...Luvan Daar Quorkugh", una traccia che poteva stare tranquillamente stare in un disco tipo 'Wildhoney' o 'A Deeper Kind of Slumber', due capolavori assoluti dei Tiamat. La malinconica melodia della song è guidata dalla splendida chitarra di Mariusz Kumala, mentre le vocals, molto buone, di K-vass (voce dei Moanaa e dei Sigihl, tra gli altri) si palesano come una versione molto graffiata e incazzata di un pulito. La title track è un flusso ipnotico tra psych e post-metal, su cui si pongono le urla drammatiche e litaniche del vocalist, peccato solo non se ne intuiscano nemmeno lontanamente i contenuti, a quel punto forse sarebbe stato meglio utilizzare un bel growling incomprensibile. "Lavor ni Termaned" è una lunga traccia di oltre 13 minuti, che si muove tra eteree sonorità post-rock, dark e progressive che evocano un che dei connazionali Riverside, in una progressione emozionale che pone questa tra le mie canzoni preferite dell'album, nonostante la sua eccessiva durata, che nell'economia dell'album forse costituisce un elemento limitante, a tratti in effetti, eccessivamente prolisso e ridondante nella sua evoluzione. "Iin Varandhaar Iin Badenath Mahad Karviin" segna invece la follia del combo polacco in un arrembante brano dalle sonorità un po' stralunate, in cui le vocals di K-vass si alternano tra il suo caratteristico vocione e delle urla sgraziate, in una song di difficile collocazione musicale, che mi lasciano un attimo spiazzato. Si torna ad atmosfere (e vocals) più graziate con "Float Wid Xeruaned Rattha", song decisamente più raffinata, che gode di atmosfere rock psichedeliche di derivazione pink floydiana, che diverranno decisamente più aggressive negli ultimi minuti del pezzo. Il disco ha un'altra mezz'ora da offrire col trittico finale, ma francamente mi sento esausto dall'ascolto impegnativo che richiede l'album. "Zig Il-saghar iin Il-saghar" è troppo ripetitiva e lamentosa nei suoi quasi dieci minuti, fosse durata solo la metà ne avrebbe di sicuro beneficiato l'ascolto. "Wid Arra Float" non ci va troppo lontano almeno per i primi quattro minuti, poi finalmente il brano prende quota e diviene più sperimentale nella seconda metà anche se il lungo finale risulta sfiancante. A chiudere quest'insormontabile disco, ci pensa “Hoxathilag”, quasi dieci minuti di suoni e melodie soffuse in sottofondo che la fanno somigliare più a un cd di tecniche di rilassamento che ad un lavoro metal. Insomma, alla fine l'impronunciabile '.​.​.Lun Yolina un Yolina Thu Dar​-​davogh.​.​.' è un lavoro per certi versi interessante per scoprire nuovi mondi sommersi, chissà solo se nel frattempo, la band polacca ha scritto qualcosa di nuovo, che verosimilmente potremo ascoltare solo nel 2031. (Francesco Scarci)