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domenica 28 ottobre 2018

Dakhma - Hamkar Atonement

#PER CHI AMA: Esoteric Black/Death/Doom, Aevangelist
Non è la prima volta che dalla Svizzera ci arrivano band dedite ad un metal estremo dai forti connotati esoterici. Era già successo lo scorso anno con i Lvx Hæresis e gli Arkhaeon, accade oggi con i Dakhma, duo proveniente da Zurigo, affiliato all'Helvetic Underground Committee, e dedito, ancor più dei precedenti, ad un ritualistico sound, che sin dall'incipit "The Glorious Fall of Ohrmazd (Hail Death, Triumphant)", sembra voler celebrare un qualche rito legato alla tradizione zoroastra. Il moniker dei nostri si rifà infatti alla lingua avestica, oggi conosciuta come il linguaggio liturgico dello Zoroastrismo, in particolare come lingua dell'Avestā, il libro sacro di tale religione. Qui Dakhma sta ad indicare le Torri del Silenzio, ossia impalcature in legno e argilla esposte all'aria che servivano per l'eliminazione dei cadaveri, esposti ai fenomeni atmosferici e divorati dagli uccelli rapaci. Gli undici minuti e passa dell'opener sono nella prima metà occupati da vocals che, comeanticipavo, sembrano provenire da un qualche rito occulto, mentre nella seconda, ecco scatenarsi l'inferno con un extreme death claustrofobico che strizza l'occhiolino ad Aevangelist, Portal ed Disembowelment, in uno spigoloso e mortifero sound tritaossa che si palesa in spaventose accelerazioni, vocals d'oltretomba e atmosfere mefitiche. A dir poco mostruosi. Eccolo il biglietto da visita di questo 'Hamkar Atonement' che bissa con i quasi dodici minuti di "Akhoman (Spill the Blood)", song bestiale che si affida a delle accelerazioni arrembanti, smorzate da improvvise frenate che spezzano un ritmo incessante ed indemoniato, da cui sono impossessati i due loschi figuri, H.A.T.T. e Kerberos, che si celano dietro a questa tremebonda band. La song è oscura, ne percepisco la malvagità, forse collegata al tema portante del disco. Con "Varun (Of Unnatural Lust)", la musica dei nostri assume connotati etnico-tribali, con la song inizialmente affidata ad un'intensa base percussiva, prima di un veemente assalto death, in cui oltre a decantare l'ottima performance a livello vocale di Kerberos, vorrei sottolineare la prodigiosa tecnica di H.A.T.T. alla batteria, cosi come pure quelle scariche di imbizzarite chitarre scarificanti. Sono senza fiato e non abbiamo nemmeno raggiunto la metà, visto che il disco dura circa 70 minuti e noi siamo a quasi mezz'ora. Eppure, nonostante la monoliticità di un sound ammorbante, grosso e deflagrante, i brani scivolano via piuttosto velocemente. Penso ai devastanti 11 minuti di "Nanghait (Born of Fire)", un perfetto mix di violenza, tecnica e lucida follia, un delirio musicale che vede nelle profonde decelerazioni, i punti di massima espressione dei due musicisti elvetici, quando il loro death/black ferino s'incastra alla perfezione con un doom funerario ed evocative vocals che sembrano calarci in un qualche tempio del fuoco persiano. Suggestivo non poco, ancor di più in "Spendarmad (Holy Devotion)", una vera e propria celebrazione rituale, che prepara al penultimo atto dell'album, "Gannag Menog (Foul Death, Triumphant)" e altri 10 minuti abbondanti di sonorità abominevoli che nelle transizioni chitarristiche, richiamano sempre più evidentemente, i primi Morbid Angel, mentre nel più celebrativo atto conclusivo, colpisce l'attitudine corale dei nostri. A chiudere in modo degno 'Hamkar Atonement', ecco arrivare un'altra maratona musicale, i sedici minuti di "...of Great Prophets", che oscurano definitivamente la luce del sole e ci introducono alla tenebre della notte, con un'altra song paurosa che celebra le enormi doti di questi Dakhma. (Francesco Scarci)

(Iron Bonehead Productions - 2018)
Voto: 75

https://dakhmacavern.bandcamp.com/