Interviews

lunedì 10 ottobre 2016

They Seem Like Owls - Strangers

#PER CHI AMA: Progressive/Post/Death Sperimentale, Opeth, Katatonia, Riverside
Dislocati tra Portland, Chicago e Washington DC, i They Seem Like Owls sono un progetto di quattro individui, che ognuno nella comodità di casa propria, hanno concepito questo interessante 'Strangers'. Influenzati da una mistura di prog rock e frangenti di death metal sperimentale, quello che balza all'orecchio durante l'ascolto della opening track, "Chasm", oltre ad una certa perizia tecnica e un notevole gusto per le melodie, è l'influenza esercitata dai Ne Obliviscaris, in fatto di utilizzo di clean vocals e di quella atmosfera che caratterizza la band di Melbourne, che immediatamente mi ha fatto sobbalzare dalla sedia e ascoltare il cd con una dose di attenzione decisamente sopra la media. I cambi umorali dei nostri si riflettono nel flusso musicale che procede dinamicamente nella prima brillantissima song. Speriamo solo non si tratti di un fuoco di paglia e che le conferme arrivino anche dalle successive tracce. Con una curiosità quasi spasmodica, mi avvio quindi all'ascolto di "Vertices", brano numero due, in realtà un interludio di synth che introduce a "Elevator". La song si preannuncia tutta in salita, complice un inizio timido su cui si va a posizionare la voce pulita di Jason Margaritis in un contesto sonico più spostato ora verso sonorità marcatamente progressive rock, e che solo nel finale trovano modo di irrobustirsi grazie al rientro del growling del frontman. Si torna a correre con "Thanksgiving", ma la ritmica qui sembra virare verso il djent, in una commistione sonora che diventa ancor più complicata da inquadrare, per quell'alternanza di voci, ma anche per un continuo lavoro che vedono i nostri cambiare tempi con una certa frequenza, rallentare paurosamente, spezzettare il proprio sound e poi et voilà, ecco l'ingresso inatteso del sax di Michael Schiavoni a incorniciare un brano che suona come una girandola di emozioni per quell'infinita miscela musicale che esso sprigiona. Si va avanti increduli a quanto nel frattempo sta accadendo nell'impianto stereo. Le atmosfere con "Light Field" si fanno più plumbee, il sound sembra quasi post rock, il sax irrompe nel buio della notte, in un'atmosfera che assomiglia molto più a quella di un lounge bar piuttosto che di un club dove si sta suonando heavy metal. Ma i quattro sembra stiano facendo una jam session, improvvisano musica, sperimentano e io non posso far altro che godere davanti all'eclettismo di questi fantastici musicisti e prendere atto che qui nulla è scontato. Grazie a Dio. Un altro intermezzo soft e arriva "Shooter", e i suoi suoni che sin dai primi secondi presagiscono indubbia follia. Non mi sbaglio, la song è sicuramente irrequieta, basti ascoltare il lavoro dietro alle pelli di Billy Cole, mentre l'ottimo Dan Cutright si prende cura di basso, chitarre e synth, con la ritmica che nel frattempo corre veloce, si ferma e riparte neppure fosse una gara di Formula 1, in una traccia che forse strizza l'occhiolino ai polacchi Riverside, ma che comunque possiede nella seconda metà un piglio quasi psichedelico. Diavolo, ho ascoltato sette brani ma in realtà mi sembra di aver passato nel mio lettore 5-6 cd. Straordinari, anche se il loro eccessivo trasformismo rischia quasi di diventare un'arma a doppio taglio, ossia di non piacere a coloro che non hanno una visione del tutto trasversale della musica. Con me vanno assolutamente a nozze, considerato che la traccia successiva sembra evocare in poco tempo Katatonia, gli ultimi Opeth, e per una manciata di secondi anche Tool, Ne Obliviscaris e Porcupine Tree, e sono certo che se vi metteste anche voi le cuffie a tutto volume,sareste in grado di scovare mille altre influenze, in un disco che ha il grande merito di offrire un cosi vasto spettro musicale che non potrà far altro che colpire anche i vostri pretenziosi sensi. Bella scoperta. (Francesco Scarci)