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lunedì 31 agosto 2015

Defleshed - Reclaim the Beat

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Thrash
Quando c'era da spaccare, i Defleshed non si tiravano certo indietro. Il quinto lavoro degli svedesi (prodotto da Daniel Bergstrand - In Flames, Meshuggah, Strapping Young Lad) si conferma infatti come sempre furioso con dodici macigni, di breve durata (36 minuti) ed elevata intensità, a travolgermi, violentando le mie orecchie e frantumando le mie ossa. Il rullare spaventoso della batteria s’insinua nella mia testa, rischiando di mandare in frantumi il mio sistema nervoso. Una chitarra pesantissima sorregge il massacro prodotto dalle pelli di Mathias Modin, che ha fatto un lavoro mostruoso su questo 'Reclaim the Beat', album oramai del 2005, ma sempre attuale nei suoi suoni furibondi. La voce di Gustaf Jorde, si conferma poi, una delle migliori nel genere. A livello di adrenalina rilasciata e di violenza profusa, non c’è nulla da discutere sul cd dei Defleshed, l'ultimo prima dello split definitivo dell'act di Uppsala. L’unica pecca è che, come spesso accade per il death puro, i brani si assomigliano un po’ tutti. Ho dovuto, infatti, attendere l’ottava traccia, “Red hot” e la successiva “May the Flesh be With You”, per percepire un qualcosa di leggermente diverso dal resto dell’album: un accattivante (per favore passatemi il termine) chorus, un timido assolo e un differente refrain, caratterizzano infatti queste due songs. Per il resto, è il classico disco trita budelle di uno degli act più dirompenti della scena death metal. Solo per amanti del genere. (Francesco Scarci)

(Regain Records - 2005)
Voto: 65

Stin Scatzor - Industrogression

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Industrial, Ministry, Killing Joke
Grazie all'etichetta polacca Black Flames Records ha visto la luce l'album degli Stin Scatzor, terzo ed ultimo capitolo di una trilogia sulla musica industriale, cui il gruppo belga diede inizio nel 1998 con l'uscita del minicd 'Industronic'. Per chi non avesse grande familiarità con la musica degli Stin Scatzor, vi basti sapere che la mente del progetto, Stefan Bens, vanta una carriera musicale ultra decennale, sviluppatasi attraverso la gavetta dei demotape e legata da un rapporto di stretta amicizia con Johan Van Roy dei Suicide Commando (con il quale Stefan fondò anche il progetto Lescure 13 agli inizi degli anni '90). Ispirato dal suono di band come Front 242 e Klinik, il musicista belga giunge solo nel 2000 alla pubblicazione del primo full-length 'Industrology', un album che mediante l'appoggio della Out of Line riesce subito ad attirare l'attenzione sul progetto Stin Scatzor, descritto dai fan e dalla stampa come uno degli act più aggressivi all'interno del panorama industrial/EBM. Dopo l'approdo alla Black Flames Records, Stefan uscì nuovamente allo scoperto con il terzo lavoro 'Industrogression', album segnato dall'ingresso in formazione del chitarrista Kris Peeters. Le chitarre assumono dunque un ruolo basilare nell'economia dei nuovi pezzi, arricchendo notevolmente l'originaria ossatura elettronica e spostando l'anima compositiva del gruppo sul terreno del "crossover". Per quanto quest'ultimo termine possa apparire desueto, è indubbio che nomi come Ministry, Nine Inch Nails e Killing Joke abbiano rappresentato dei reali punti di riferimento nella coesione dei brani ivi contenuti, i quali si mantengono in bilico tra le incursioni di synth acidi e il robusto sostegno di granitici riff di chitarra. A completare questa proposta musicale dall'identità ibrida, giunge infine la voce abrasiva di Stefan, che nei testi canta rabbiosamente di industrie chimiche, guerre nucleari e di un'umanità al suo capolinea. Tra i brani più indovinati posso certamente segnalare "It Doesn't Matter", il remake di "Vernix Caseosa" e "Morphine", ma non tutto il cd si mantiene sullo stesso livello, evidenziando alcune cadute di tono in episodi dal taglio un po' grossolano come "(I Know) You Dislike Me" e "Sweet Hell". In conclusione un buon lavoro cui vale la pena dare una chance ma, si presti attenzione, nulla di fondamentale. (Roberto Alba)

(Black Flames Records - 2003)
Voto: 65

Cephalic Carnage - Anomalies

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Grind/Techno Death
Dodici brani suddivisi in 99 sottotracce per un totale di 45 minuti di musica malsana. 'Anomalies' è il quarto album, datato 2005 degli statunitensi Cephalic Carnage. La band proveniente da Denver (Colorado) sfodera l'ennesima prova eccellente, confermando (e non c’era il bisogno) di essere una delle band più creative e camaleontiche nel loro genere, un grind folle, unico, originale e senza compromessi. 'Anomalies' rappresenta un viaggio, un viaggio nella mente dei pazzi criminali che hanno concepito questo sound, un sound capace di annientare ogni nostra sicurezza e di stravolgere il vostro (e il mio) concetto di musica. Ci troviamo di fronte ad un mix di ipersonico e ipertecnico grindcore, granitico death’n roll miscelato ad un pachidermico doom e ad altre influenze non propriamente metal (jazz e punk su tutte). Il lavoro è un piccolo gioiello: pezzi come “Piecemaker” e “Dying will be the Death of me” piaceranno sicuramente anche a chi con questa musica non ha molta confidenza. Una sezione ritmica devastante e altamente complicata si abbina a ottime vocals (che possono rievocare i vari Lars Goran Petrov, Barney Greenway, Ozzy Osbourne, si avete letto bene!!), a una perizia tecnica mostruosa, con richiami dai folli Pan.thy.monium (creatura di Dan Swano), ai The Dillinger Escape Plan o alla lucida follia di Mike Patton; un’ottima produzione contribuisce a rendere quest’album un grande disco. Non so se sia per l’influenza dell’uranio contenuto nel granito delle Montagne Rocciose o cos’altro, fatto sta che ci troviamo di fronte a dei ragazzi che sanno il fatto loro, che hanno partorito un lavoro di grande valore, che farà sicuramente nuovi proseliti. Forse i puristi del grind storceranno un po’ il naso a questa mia recensione, vi invito, ad ogni modo a dare un’occasione a questo gioiellino, pregandovi di andare oltre ad un superficiale ascolto e addentrarvi nella psiche malata di chi ha prodotto questo strumento di morte. La “Carneficina” sta per iniziare... (Francesco Scarci)

(Relapse Records - 2005)
Voto: 90

sabato 29 agosto 2015

The Entity - Salt

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Goth-Rock, Katatonia
Ancora un tuffo nel passato per scoprire quel che fu un discreto esordio datato 2003: sto parlando dei norvegesi The Entity, band originaria di Bergen che vantava già all'epoca del debutto un seguito apprezzabile in madre patria e si è affacciata al mercato discografico con l'EP 'Salt'. La biografia citava come punti di riferimento gruppi quali Anathema, A Perfect Circle e Katatonia, descrivendo in modo abbastanza calzante il genere suonato dai nostri, ovvero un gothic-rock malinconico tinto di tenui colori autunnali. Il riferimento ai gruppi appena menzionati costituisce una base costante cui i The Entity sembrano essersi ispirati nella stesura dei brani ed è in particolare il nome dei Katatonia ad emergere palesemente durante l'ascolto del mini cd. Peccato che quest'ultimo aspetto rappresenti anche il limite più evidente della band, che pur offrendo un'esecuzione ineccepibile, mette a nudo la natura ancora troppo derivativa del proprio suono. In ogni caso i The Entity non sono un gruppo da bocciare e 'Salt' va inteso soprattutto come un punto di partenza dal quale sviluppare un'identità musicale propria, considerata la giovane età dei sei musicisti. Le premesse non mancano, a partire dalle qualità canore del cantante Håkon Viken, abile nell'interpretare in maniera sempre appropriata l'umore momentaneo della musica e nel modulare la voce su un'ampia gamma di tonalità. Non è da meno la sezione strumentale, che vede affiancare alle classiche partiture rock, l'uso del piano e degli strumenti ad arco. Si ascolti per esempio la traccia di apertura "Salt", un ottimo esempio di come il violoncello e il violino si integrino perfettamente nella struttura musicale e ne arricchiscano l'anima melodica. Da ascoltare anche la versione acustica dello stesso brano e l'ottima cover dei Seigmen "Nemesis", in cui il gruppo dà veramente il meglio di sè, dimostrando di saper anche scuotere con decisione l'ascoltatore, quando necessario. Peccato solo che questo rimanga un episodio isolato della discografia dei nostri, scioltisi dopo l'uscita di questo EP. Un peccato! (Roberto Alba)

(Rage of Achilles - 2003)
Voto: 65

https://www.facebook.com/theentitynorway

Toter Fisch - Blood, Rum & Piracy

#PER CHI AMA: Humppa Metal, Finntroll, Korpiklaani
L'humppa metal è una danza tipica finlandese discendente dalla polka, che contraddistingue gruppi quali Finntroll o Korpiklaani. Questa volta è invece una band di Tours a proporci il proprio carico di rum e folk metal. Si tratta dei Toter Fisch (ossia pesce morto), che escono con il loro EP di debutto, in un elegante digipack. Cinque i brani a disposizione, che sortiscono già una certa sorpresa con le scaramucce da bar della opening track, "Tortuga", dove tra un sorso di birra e qualche bicchiere rotto, s'inseriscono la melodia di una fisarmonica, il roboante fragore delle chitarre e il grugnito animalesco del vocalist, in una vorticosa danza metallica in compagnia di pirati di serie B. Il viaggio per i Caraibi dei Toter Fisch inizia dall'isola di Tortuga alla ricerca dei "Kings of the Sea", di cui si narra nella seconda song. Lo stile rimane sempre quello, anche se più cadenzato e con un break centrale in cui è possibile anche udire il suono del mare e per questo la song assume anche una certa malinconia di fondo nella linea delle chitarre. La vena malinconica dei nostri si acuisce quando i nostri pirati decidono di fermarsi su un'isola e godersi, con in mano un ottimo bicchiere di rum, l'incantevole tramonto rosso fuoco descritto dalla piacevole melodia strumentale di "Sunset with Rum". È tempo di salpare e affrontare "A Night Over the Ocean", la song probabilmente più cattiva e oscura del lotto, che continua tuttavia a mantenere intatto lo spirito folkloristico dell'act transalpino, contraddistinto dall'uso massivo della fisarmonica e di quelle melodie tanto care ai Finntroll. L'ultima traccia, "La Buse", è verosimilmente (non ho i testi però) dedicata al pirata omonimo, il cui soprannome, la poiana, divenne il sinonimo della rapidità fulminea con cui si gettava sulle navi da conquistare. La traccia propone un riffing bello pesante (a tratti quasi doom) e un growling profondo, stemperati dallo scanzonato suono della onnipresente fisarmonica. Bella sorpresa questa dei pirati Toter Fisch e del loro "pirate metal": con 'Blood, Rum & Piracy' mi ha fatto trascorrere una ventina di minuti a navigare con la fantasia, tra gli incantevoli porti dei Caraibi, alla ricerca di qualche scrigno perduto. (Francesco Scarci)

giovedì 27 agosto 2015

The Elysian Fields - Suffering G.O.D. Almighty

BACK IN TIME: 
#PER CHI AMA: Swedish/Hellenic Death, Dissection, Rotting Christ, Dark Tranquillity
'Suffering G.O.D. Almighty' è stato l'ultimo album dei greci The Elysian Fields, datato ormai 2005, poi il silenzio. Nell'ultimo periodo stanno uscendo re-issue dei primi lavori del combo ateniese, ma preferisco raccontarvi dell'ultima fatica di uno dei gruppi storici della scena ellenica, che ho seguito fin dall'esordio, 'Adelain', risalente addirittura al 1995. A distanza di quattro anni da '12 Ablaze', il duo composto da Michael K. e Bill A. riparte dallo swedish death metal marchio di fabbrica della band (un ipotetico mix tra Dark Tranquillity e i Dissection), arricchendolo però, delle classiche atmosfere tipiche dell'influsso mediterraneo (Rotting Christ docet) e di una componente techno-elettronica fino ad ora mai preponderante nell’economia dei dischi dell'ensemble. Gli interventi del synth di Michael divengono quasi l’elemento portante dell’intero album con il sound che diventa ancor più accattivante, non fosse per una produzione non proprio brillante, che penalizza non poco il risultato finale. Ad ogni modo, i nove brani che costituiscono 'Suffering G.O.D. Almighty', scorrono via piacevolmente, alternando momenti più tirati, con chitarre che costruiscono trame fantasiose ed esplosive (che ricordano i nostrani Edenshade), ad altri più cadenzati, dove sono gli arrangiamenti elettronici a farla da padrone. I momenti death-doom si sono notevolmente ridotti rispetto al passato. Gli Elysian Fields sono maturati lungo gli anni e lo dimostrano gli spunti originali ed intelligenti che costellano questo disco. I vecchi fan della band non saranno rimasti sorpresi di fronte alla classe e all’eleganza del combo dell'Attica, capace di stupire in continuazione, alternando montagne di riff, breaks acustici, parti sinfoniche e semplici tastiere al limite del prog. Se proprio devo trovare un difetto a 'Suffering G.O.D. Almighty' è l’assenza di un batterista di ruolo, sostituito dall’artificiale e freddo programming di Michael. Bel balzo qualitativo a cui non è corrisposta l'attenzione che la band realmente meritava, un peccato. Non è comunque troppo tardi per dare una chance a questo album. (Francesco Scarci)

(Black Lotus Records - 2005)
Voto: 80

Norilsk - The Idea of North

#PER CHI AMA: Doom/Black, Celtic Frost
La Hypnotic Dirge Recors sarà anche rimasta in standby per un po' di tempo, ma dopo che le attività sono riprese presso l'etichetta canadese, le cose sono andate migliorando con una serie di uscite interessanti: i Verlies, gli Atten Ash e questi Norilsk. Curioso come il nome derivi da quello di una città siberiana, e quando penso alla Siberia, associo inevitabilmente il tutto a gelidi suoni funeral doom. I canadesi Norilisk non vanno proprio cosi distanti dal genere. Lo attesta il riff posto in apertura a "Japetus", che introduce il sound sofferto del duo del Québec; diciamo che rispetto al doom tradizionale o al funeral doom dell'est Europa, la proposta dei nostri rimane un po' più atmosferica ma assai complicata da digerire. La musicalità della band non è di cosi facile assimilazione, data una certa dissonanza di fondo nelle linee melodiche e dalla presenza di un avvolgente manto di malignità che pervade la song (e il disco), anche a livello vocale, con lo screaming acido di Nicolas ad alternarsi al suo malefico growl. In "Planète Heurt" ecco il rallentamento tenebroso che stavo aspettando, e a salire quella sensazione di respiro affannoso dovuto a un luogo angusto che degenera in uno stato d'ansia. Il senso di asfissia va peggiorando man mano che la song procede a rallentatore, per poi dissolversi improvvisamente quando uno splendido assolo restituisce quella serenità che sembrava andata perduta. In "Throa" il sound malsano dei nostri, qui dotato di una vena di Celtic Frost memoria, macella non poco i nostri timpani per la sua monoliticità di fondo, interrotta fortunosamente da "La Liberté Aux Ailes Brisées", song di più ampio respiro, soprattutto per la freschezza delle sue chitarre. Cosa attendersi invece da un brano intitolato "Nature Morte"? Poco in realtà, se non suoni che potrebbe accompagnare la visione di un frutto morso lasciato su un tavolo, o meglio, un teschio abbandonato. Il disco prosegue nella sua compattezza con l'orrorifica "Potsdam Glo", un breve pezzo strumentale e la title track, "The Idea of North", che lungo i suoi nove minuti, sfodera probabilmente la miglior performance del duo nord americano, offrendo un doom sorretto da una bellissima e suadente chitarra black che impreziosisce il brano con una certa vena malinconica, in quella che è la song più completa di questo aspro e indigesto lavoro, capace di incutere timore ma anche grande curiosità. La conclusione del disco è affidata a "Coeur de Loup", altra traccia costituita da suoni cupi e a tratti teatrali nella sua manifestazione vocale. Decisamente ardui da affrontare, i Norilisk in questo disco aprono nuovi orizzonti sonori nell'ambito doom. (Francesco Scarci)

(Hypnotic Dirge Records - 2015)
Voto: 75

Obese - Kali Yuga

#PER CHI AMA: Stoner, Queens of the Stone Age
Gli Obese sono una band di recente formazione, proveniente dall'Olanda più precisamente dalla città di Utrecht. Il quartetto ha esordito l'anno scorso con il singolo "The Lion", accompagnato da un bel videoclip che ha consentito alla band di entrare con stile nel folto gruppo di band stoner che popolano l'attuale scena. Questo, insieme ai live, ha stimolato l'interesse di Argonauta Records che ha pensato bene di non lasciarsi sfuggire un'occasione così appetitosa. Detto fatto, l'act dei Paesi Bassi è entrato in studio e ha sfornato l'album 'Kaly Yuga', nove tracce di duro stoner con influenze sludge, che ben si abbinano al palato dei musicofili più appassionati del genere. Il packaging è un digipack semplice, ma graficamente appagante per via di un design dallo stile neoclassico e comunque essenziale anche per quanto riguarda le informazioni sulla band. In concomitanza al lancio dell'album, l'ensemble ha affrontato un breve tour europeo, come dire, alla vecchia maniera con tanto di furgone sgangherato (e annessa foratura di una gomma durante il viaggio), parecchi chilometri macinati, ettolitri di birra e tanto sudore sui palchi dei piccoli e grandi live club. Su Internet trovate anche un video documentario che mostra simpatici retroscena e alcuni luoghi suggestivi incontrati per la strada. Passando alla musica, 'Kali Yuga' apre (sarebbe meglio dire esplode) con "Enion", una martellata doom che mette in chiaro subito il taglio sonoro degli Obese. Chitarra pesante, ruvida e distrutta a livello molecolare dall'uso massiccio delle distorsioni e riplasmata insieme al basso per devastare e lasciare intontiti davanti al muro di decibel erto. Ritmica al limite del doom, impreziosita dal lavoro curato del batterista che da sfogo alle sue doti tecniche. Il vocalist rincara la dose sfruttando il proprio timbro vocale graffiante e maturo, quasi un growl melodico che aumenta l'impatto sonoro e conferma il taglio tenebroso del brano. Verso la fine, la chitarra si diletta in riff più eleganti e si comincia a sentire l'influenza dei QOTSA, che verrà confermata dai successivi brani. "The Bitter Blast" infatti sfrutta l'appeal della band americana per poi trasformarlo in un mix sonoro più cupo. La chitarra ovviamente contribuisce molto in questo frangente, si sente anche il buon lavoro a livello di arrangiamenti, mentre l'assolo a tre quarti di brano, allenta la tensione e regala un momento di positività all'ascoltatore. Tutto sarebbe stato vano se la sezione ritmica non fosse all'altezza, ma basso e batteria viaggiano sempre appaiati come il pilota di sidecar e il suo fedele passeggero. Bellissimo il finale in crescendo, che lascia i riff stoner alle spalle e si butta a capofitto in un meraviglioso tripudio sludge. "Red as the Sun" è il brano utilizzato per il recente video della band e la scelta è di quelle giuste, con la canzone che esprime al meglio l'essenza del quartetto olandese. Groove a palate, riff che cavano il fiato dai polmoni e una ritmica trascinante che rende il brano ossessivo. Si apprezza anche la qualità della registrazione, non eccessivamente hifi e che segue il filone vintage del genere. Un esordio ben riuscito, gli Obese riescono bene nel loro intento senza eccedere in sperimentazioni, ma andando al sodo ovvero scrivendo dei pezzi che si fanno apprezzare per la loro carica energetica e per l'impatto ruvido che avrà sulla vostra pelle da rocker. (Michele Montanari)

(Argonauta Records - 2015)
Voto: 75

Path of Desolation - Soaked Jester

#PER CHI AMA: Melo Death, Dark Tranquillity, Insomnium
La Svizzera è diventata ormai un calderone ribollente di metallo lavico: abbiamo abbracciato negli ultimi tempi il post metal, noise, punk, post rock, black e sludge, mancava solo il death metal, eccomi accontentato. I Path of Desolation vengono da Losanna e propongono un death carico di groove, di derivazione scandinava. Solo tre però i brani a disposizione di questo mini cd, che apre con delicati tocchi di piano in "Rest in Your Fears", ma sontuosamente cresce e divampa in un incedere oscuro che richiama per certi versi gli Insomnium in una versione un po' più brutale e variegata, come dimostra la seconda parte della opening track, un intreccio di sonorità al limite della schizofrenia e dalla quasi assenza di banalità, tuttavia non cosi facile da assimilare. Con la title track ci lasciamo conquistare da squisite melodie e dal dualismo vocale tra il growling acido di Dave e le vocals pulite, decisamente meno convincenti, del bassista Grant. Ciò che emerge e mi esalta, è comunque una certa pulizia delle linee di chitarra che ben si amalgamo con le ariose tastiere e anche una ventata di freschezza nelle idee del gruppo elvetico. Con la conclusiva "The Word", si sprecano i richiami ai Dark Tranquillity, anche se il ritmo è decisamente più cadenzato; peccato solo che a un certo punto compaia quasi dal nulla, una anonima voce femminile che prova a duettare col cantato feroce del frontman. Esperimento bocciato, semplicemente perché la signorina Anna Murphy non rivela grosse potenzialità canore. Alla fine 'Soaked Jester' si dimostra comunque un debut EP ricco di spunti e idee non proprio da censurare, anche se dalla durata troppo risicata; una song addizionale non avrebbe certo guastato, e soprattutto la mia valutazione finale ne avrebbe tratto beneficio. Da tener sotto traccia. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 65

lunedì 24 agosto 2015

The Black - Golgotha

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Hard Rock
Mario Di Donato è un artista dall'esperienza che supera i 40 anni all'interno dei circuiti hard rock italiani. Attraverso le varie formazioni di cui ha fatto parte sin dagli anni '70 (Respiro Di Cane, Unreal Terror, Requiem) e la sua creatura più importante a nome The Black, si è costruito attorno a sé la fama di personaggio di culto. Quest'aura affascinante e misteriosa che avvolge il chitarrista abruzzese nasce dal suo modo unico di concepire ARTE e MUSICA, entrambe connotate da una forte teatralità e indissolubilmente legate a temi di carattere religioso. Ad avvalorare la singolarità della sua proposta musicale, contribuisce in parte la scelta coraggiosa di cantare in italiano e latino fin dagli esordi ma anche l'intento ammirevole di unire la CULTURA al metal, in modo che testi, musica e immagini facciano parte di un unico corpo. Mario Di Donato, oltre ad essere un musicista di valore, è anche un pittore molto apprezzato a livello internazionale, ogni disco uscito per The Black infatti, raffigura sulla copertina i suoi dipinti e così è anche per 'Golgotha', sulla cui front-cover possiamo ammirare 'Post Mortem', la deposizione di un Cristo attorniato dai volti ambigui e traditori dei suoi carnefici. 'Golgotha' è appunto il monte dove fu ucciso Gesù Cristo, è il simbolo della sofferenza e del dramma umano ma anche il proseguimento di un viaggio all'interno di se stessi, una ricerca spirituale che l'artista abruzzese cominciò tanti anni fa. 'Golgotha' nasce dal dolore e lo sdegno per chi calpesta la vita con la violenza, è l'esplosione emotiva di un uomo sensibile e tormentato, che si trasforma in una denuncia verso questo "mondo di fango". Un hard rock dalle tinte molto oscure si potrebbe definire lo stile del sesto album di The Black (ormai datato 2000), un'opera raffinata dal suono un po' retrò, con i riff più freschi dell'heavy metal anni '80 e le inevitabili influenze dei seventies (nel cd è presente anche "Sospesa A Un Filo", cover dei Rovescio Della Medaglia e "Il Giudizio", un rifacimento di un brano dei Corvi). Gli assoli ispirati della title-track e di "Ivstitia" (che per la loro bellezza varrebbero da sole l'acquisto del disco), la voce inconfondibile ed "imperfetta" di Mario e le tastiere usate in chiave organistica, sono tutti elementi che fanno di 'Golgotha' un album imperdibile! Fondamentale per chi segue già da anni The Black ma anche l'occasione ideale per scoprire un artista a tutto campo che il grande pubblico metal ha malauguratamente da sempre ignorato. (Roberto Alba)

(Black Widow - 2000)
Voto: 85

Skinny Puppy - The Greater Wrong of the Right

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Rock Elettronica/EBM
Dopo lo scioglimento del 1995 e la morte per overdose di Dwayne Goettel nello stesso anno, erano in molti a chiedersi cosa ne sarebbe stato degli Skinny Puppy e se l'uscita dell'album 'The Process' avrebbe veramente posto la parola fine alla carriera artistica del gruppo canadese. Persino dopo il famoso concerto di Dresda nel 2000, in occasione del quale cEvin Key e Nivek Ogre si riunirono per suonare davanti ad un pubblico in delirio, i fan non riuscivano a credere fino in fondo ad una reunion che avrebbe portato ad una collaborazione stabile tra i due, tanto da rendere possibile la pubblicazione di un nuovo album in studio. Quando poi fu annunciata l'uscita di 'The Greater Wrong of the Right', anche i più scettici dovettero ricredersi: la leggenda Skinny Puppy stava per tornare! Atteso dalla scena elettronica come l'evento più importante del 2004, l'uscita di 'The Greater Wrong of the Right' fu accompagnata dalle inevitabili discussioni sulla validità o meno dell'album, disponibile in rete già da molte settimane prima del lancio ufficiale. Chi si è affrettato a definirlo un capolavoro e chi si è invece dichiarato contrario ad una continuazione degli Skinny Puppy senza Goettel, bocciando il disco ancora prima di averlo ascoltato. Insomma, le solite e comprensibili battaglie che hanno sempre accompagnato tutte le grandi reunion della storia della musica. Come accade spesso in questi casi la verità sta nel mezzo, perché 'The Greater Wrong of the Right' non è né un capolavoro, né l'album più brutto che i Puppy abbiano composto. Molto più semplicemente, si tratta di un lavoro diverso da quanto i fan potevano aspettarsi e questo gioca perlomeno a favore del gruppo, che ha dimostrato di tornare sulla scena per proporre qualcosa di nuovo e spiazzante, non certo per riciclarsi miseramente in nome del proprio conto in banca. Dimenticate 'The Process' e preparatevi ad ascoltare un album fresco e al passo con i tempi dell'epoca! Aspettatevi una prova al microfono profondamente distante dalle contorsioni a cui Ogre ci aveva abituato e non indignatevi se le sue accelerazioni vocali in "Pro-Test" assomiglieranno tanto a quelle rappate di un brano hip-hop, perché di hip-hop non si tratta. Lanciatevi senza alcuna remora nell'ascolto di "GhostMan", con le sue ritmiche spezzate, il caotico accavallarsi dei beat, le vocals di Ogre che improvvisamente rimandano alle deliranti performance del passato. Sbagliava chi temeva di trovarsi dinnanzi ad una banale ed infelice mescolanza degli stili espressi da Nivek e cEvin nei rispettivi progetti solisti, ma è anche vero che due brani così frizzanti come "Goneja" e "DaddyuWarbash" non sarebbero mai nati se negli ultimi anni i due musicisti non avessero dato sfogo alle proprie pulsioni artistiche separatamente. Gli Skinny Puppy del 2004 puntano ad un songwriting imprevedibile e ad una discreta presenza delle chitarre, ma senza mai avvicinarsi all'irruenza che contraddistingueva 'The Process'. La band aveva fame di novità, con la voglia di scrollarsi di dosso qualsiasi etichetta di genere, buttandosi a capofitto in una composizione estremamente libera e acquistando una visione del termine "elettronico" che prima d'ora non era mai stata così eclettica. A tal proposito, davvero emozionanti le lisergiche virate di "EmpTe" e "Past Present", entrambe costruite sulla ricerca del coro ad effetto, inserito in un tessuto di synth ipnotici che invitano mente e corpo ad abbandonarvisi totalmente. 'The Greater Wrong of the Right' è comunque un album spettacolare come e consentì di avere nuovamente tra noi il formidabile genio di cEvin Key e Nivek Ogre a mantenere vivo il nome degli Skinny Puppy... non cosa da poco. (Roberto Alba)

(Synthetic Symphony/SPV - 2004)
Voto: 80

domenica 23 agosto 2015

Shrine of the Serpent - S/t

#PER CHI AMA: Doom/Sludge
Provenienti da Portland in Oregon, questi tre ragazzi e ottimi musicisti spiazzano le mie aspettative con tre brani di perfetto, calibrato e potente doom metal altamente suggestivo. La band nasce nel 2008 col moniker Tenspeed Warlock, dopo un demo ed uno split decidono nel 2014, di cambiare nome in Shrine of the Serpent, ampliare le loro vedute e sfornare nel 2015 questo album indipendente carico di splendido buio eterno. Una bella copertina tetra, in digipack nero con una figura di un sovrano dal volto scheletrico attorniato di serpenti, rende bene l'idea di cosa si nasconda musicalmente dentro al cd. I tre brani sono di lunga durata, cadenzati e toccano insieme quasi mezz'ora di oblio sonoro. La band, pur riflettendo tanti degli insegnamenti dei grandi maestri, mostra una sua particolare personalità e suona sludge metal nel migliore dei modi, anche se il suo vero pregio è aver trovato la chiave moderna per esprimere la più classica musica del destino... questo omonimo album è il reale, pesantissimo, attuale, intelligente confine naturale tra sludge e doom metal! Meno sperimentali di Sunn O))) e Khanate, anche se il taglio ferale è molto simile, gli Shrine of the Serpent ricordano il suono, di velluto nero come la pece, del capolavoro 'Rampton' dei Teeth of Lions Rule the Divine od ancor più, il passo lento del leggendario 'Dopesmoker' degli Sleep, rievocano i sapori alchemici del poco considerato bel progetto Ramesses e del loro mitico EP, 'Baptism Of The Walking Dead', senza dimenticare i luminari primi Neurosis e Cathedral (quelli del brano "Cathedral Flames" in apertura dell'album 'Endtyme'). La voce è drammatica, le chitarre sono avvolgenti e spesse, il suono è caldo e non scade mai in facili costumi dalla forzatura vintage; tutto è teso, psicotico, in balia costante di una crisi di nervi, ogni nota sembra sospesa sopra un vortice di oscurità, non c'è luce in nessuno dei tre brani e la cosa sorprendente è che riescono a coinvolgerti pienamente, prenderti per mano durante l' ascolto e proiettarti in una foresta lisergica di distorsione dilatata e magica ("Gods of Blight" è immensa), ottenendo un risultato che è proprio come entrare in un sogno sinistro e viverlo a rallentatore. Un'altra perla nasce dal sottosuolo, non fatevela mancare! Ottimo debutto! (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto: 85

Last Avenue - Integration Protocol

#FOR FANS OF: Industrial, Rammstein
The last French industrial metal band I listened to were dreary, sloppy and boring. Without naming names (*cough*Voron*cough*), I will admit that said band at least had the decency to pump their latest album full of meaty riffs to distract from the general dullness. This time round, however, it is a different French industrial metal band - Orlean's Last Avenue - who have the task of gracing my ears. Fortunately, these guys have also decided to insert many hefty riffs into the heart of their newest record, 'Integration Protocol'. But, even more fortunately, there is more than just the one aspect that makes this effort so rewarding to listen to... Firstly (and quite unusually for an industrial metal band), this album is injected with a youthful vibrancy that boosts the energy up and prevents it from dragging along at a snail's pace (you listening, Voron?). There is plentiful variety of tempos throughout 'Integration Protocol', making the whole affair sound like Pitchshifter on steroids. The tracks, "Wireless Ghost" and "Pieces of Metal Planet", are masterclasses in energy. They contrast satisfyingly with the mid-tempo stompers like "Fear To Stay" and "Spying From The Future". The band names their primary metal influence as Rammstein - and nothing else is made more obvious! The ball-crushing riffs pound away exactly like Lindemann & co. and the electronic backbeats add another brilliant dimension to the music. This is an area where many industrial bands have failed, but Last Avenue appear to shine. The synthesized keyboard effects are always present; either carrying a discernible melody, or providing the wonderfully mechanical atmosphere. They never feel irrelevant or segregated. The vocals are also impressively diverse. Déj's distant wailing is always tuneful and atmospheric, whilst his screams are fully-rounded and downwright pissed off. The digitized vocals in "The Factory" and "This is Personal" are also surprisingly effective! Usually this technique is innately annoying, but Last Avenue pull it off in a remarkably Kraftwerk-esque way. The only disappointment in this area is that the vocals are few and far between. Quite often, minutes can fly by with no voice and this only forces the riffs to try and hold the focus. Luckily, the riffs are the highlight of 'Integration Protocol'. From the chromatic ascendancy of "Self Made Drone", to the chunky chugging of "Kill The Past" - every riff is packed with energy, variety and 100% headbangability! The opening riff of track 2, "Wait", is quite possibly my new riff of the year - and the breakdown of the previously mentioned "Kill The Past" is a close runner up! There are even guitar solos on this album, and impressive ones at that! Are you listening, every industrial metal band ever? It CAN work! Some of the song titles and lyrical themes may be a little too clichéd towards the 'factory/mechanical/futuristic' concepts, and the whole effort may be a song or two too long. But all in all, this is my industrial hit of the year, and any fan of Combichrist, Kaos Krew or Pitchshifter should get with the sound laid down by Last Avenue. (Larry Best)

(Self - 2015)
Score: 75

Expenzer - Kill the Conductor

#FOR FANS OF: Groove/Thrash Metal, Pantera, 4Arm
After a near two-decade career as Metalcore outfit Pigskin, the Swiss group reformed into thrashers Expenzer and offer up the first release under the new moniker, ‘Kill the Conductor,’ which almost begs the question why bother to change the name based on the similarities of the different bands? They do tend to play pretty similar material, groove-based Metalcore with Thrash tempos and riffing, though the band here on this version is clearly more of a truer mix between straight Groove and Thrash here without the Metalcore influences here with the band’s insistence on the violent chugging of Groove taking center stage here and then playing them in more Thrash-based patterns. This style never really offers the chance to really showcase anything in terms of variety or experimentation in terms of the music offered, though, so the album can seem to blend together at times with the charging grooves and blistering rhythms being way too same-sounding after the first couple of tracks or so. Intro ‘Bitter End’ offers a great starting point here with incessant chugging grooves, swirling thrash rhythms and dynamic drumming offering up plenty of power and vicious rhythms that all make for a fine, vicious start here. The title track features more straightforward grooves and vicious riff-work pounding throughout the rapid-fire razor-wire rhythm work that manages to fall just short of the greatness of the opening track, while both ‘Dying T-Rex’ and ‘Pelvic Fin’ going back to the original track of vicious rhythms, pounding grooves and dynamic riffing that move it along at a great pace with its razor-wire riffing keeping this one moving along nicely. ‘Play for the Deaf’ offers one of the most vicious opening grooves on the album and continues on throughout here piling on one impressive riff after another that easily makes this the album’s highlight piece while displaying slight traces of experimentation and technical prowess that’s not usually seen in Groove Metal. The banal ‘Amorphous Flowing Ice’ feels like any number of other tracks on here with the simple riffing and vicious grooves offering largely plodding mid-tempo rhythms that flow by without anything of value despite one of the few brief solo leads in the album, ‘Erase It’ offers a streamlined, simplistic take on their already simplified material and comes off nicely because of that, and ‘Unicron’ blasts through some vicious riffing and pounding drumming that makes for a rather enjoyable effort overall mixing the groove as solidly as it does here with the electronics and industrial touches. ‘Light Speed Heart Beat’ is yet another solid Groove-filled thrasher with plenty of violent energy and a decidedly pitched second half that has a few nice twists and turns, while the epic ‘Silence of the Amps’ brings forth a twangy series of guitar-work that leads into extended, drawn-out series of solid groove-filled thrash riffs with the return of the razor-wire leads furthering the running time here as it plods along in a strangely mid-tempo break for the most part. Lastly, the cover of The Haunted’s ‘Chasm’ serves well enough at maintaining a vicious energy and aggression inherent in the original and really could’ve been an original effort created here which is a fine farewell here. It’s main problem though is just the fact that it’s way too familiar to everything else in here. (Don Anelli)

(Self - 2015)
Score: 75

domenica 2 agosto 2015

Interview with M.H.X's Chronicles

Follow this link for an interesting chat with a new Brazilian sensation, M.H.X's Chronicles: 

http://thepitofthedamned.blogspot.it/p/interview-with-mhx-chronicles.html


Voron - Propaganda

#FOR FANS OF: Death/Industrial, Rammstein
"Industrial melodic death metal? You mean Obsidian style? Or more like early Fear Factory? Oh wait - industrial melodic death metal from France?! Okay Voron, you have my attention. After all, your artwork is pretty striking and your moniker is taken from a Russian special operations group highly trained in infiltration. Let's see what you can do now that you have peaked my curiosity... ...oh right. Fuck all. Metal is a very flexible genre; it can curve and twist to accommodate the inclusion of certain aspects of other musical styles. Unfortunately, the electronic effects and synthesizers in 'Propaganda' come across as being completely detached from the rest of the band. It could be down to the inadequacy of the mix, or because the keyboards never carry any substantial melody, but they simply do not fuse well. This is a great shame, especially when you consider that this fusion is what crafted the success of bands like Static-X (though I have to admit, the sitar solo in "Justice" is intriguing to the say the least!). This failure to integrate the authentic with the digital creates a very frustrating atmosphere for an industrial metal band. It never reaches the cold, soulless depths of Crossbreed, but also fails to be as quirky as Kaos Krew. This results in a bland timbre which is unsuccessful in its attempt to grab the attention of the listener. In one ear - out the other. This is certainly not aided by the dreadful production quality, which seems to mask the drums in favour of emphasizing the hideous vocals. Atmosphere and production quality notwithstanding, the absolute worst thing about 'Propaganda' is the ghastly voice of ... hmm, what's his name? Oh! He calls himself 'Voron'! Let's say nothing about egos here then! Voron's voice is akin to that of the Cookie Monster trying to burp the alphabet. Coincidentally, there are many guest vocalists on this album, who contribute absolutely nothing to proceedings. Is Voron knowingly ashamed of his dreadful belching? Perhaps he has future plans to abandon vocal duties and concentrate on his guitar-work. That's right! There are guitars on this record! Annoyingly, the riffs are the single best aspect of 'Propaganda' - almost Rammstein-esque in their gravitas. The songs that are lacking in riffage ("Willingly" and "I Dreamt"especially) are the total drek that should be skipped without question. The opening of "Fall of the Risen" is a total groove-fest, the 2:48 mark in "Kill This Day" reeks of old-school death metal goodness, and the chunky, chromatic riff in "Is Suicide My Fate?" is the highlight of the whole affair. I'm really struggling to think of this as 'industrial melodic death metal'. The atmosphere is drab, the tempo never clambers above snail-trail, the mix has the consistency of lumpy porridge, and the song structures are unmemorable to say the least. ...but damn, those riffs!" (Larry Best)

(Self - 2015)
Score: 40

Secret Symmetry - Emerge

#PER CHI AMA: Rock Progressive, Alter Bridge
Ritorna l'etichetta portoghese Ethereal Sound Works e questa volta con i Secret Symmetry e il loro EP 'Emerge'. Il quintetto proviene da Lisbona ed è nato nel 2012 con il nome di Ipsis Verbis e durante l'anno successivo consolida l'attuale formazione, dedicandosi alla composizione dei brani. Nel 2014 registrano 'Emerge' con la supervisione di Fernando Matias (Moonspell) e la distribuzione da parte della Ethereal Sound Works all'inizio di quest'anno. L'Ep contiene cinque tracce ben arrangiate, come pure i suoni, dal taglio rock/metal progressive che richiamano i capisaldi del genere, ovvero Alter Bridge e Dream Theater. Tuttavia i Secret Symmetry riescono a non essere schiacciati dai pilastri del genere e riescono a creare una propria identità, più oscura, intima e se vogliamo anche eterea ed affascinante. Tutto è liscio, ovattato e smussato, quindi non aspettatevi cambi di direzioni o qualsiasi cosa che possa sorprendere l'ascoltatore. I brani vanno proprio dove immaginate, ma mantenendo comunque stile e personalità. "Broken Shards of Glass" è il brano di apertura dell'album e da cui è stato ricavato il video omonimo. La traccia di quattro minuti scarsi è una ballata rock, classica e caratterizzata da un assolo di chitarra dissonante, scelta un po' troppo coraggiosa visto che il resto della composizione è standard e non presenta altre velleità creative. Il brano prende vera vita dopo i tre quarti, lasciandosi alle spalle i riff un po' sdolcinati e incattivendosi il giusto. Azzeccata la scelta di includere un tastierista nella line-up, i cui suoni danno maggior atmosfera agli arrangiamenti e la chitarra riesce a fare il suo dovere, senza sentire la mancanza di una compagna di giochi. Basso e batteria sono ben affiatati e la loro sintonia giova al risultato finale, un'ottima amalgama che regala groove a non finire, senza mai stupire eccessivamente in termini di creatività. Il vocalist ha un bel timbro giovane e fresco, sa usare a dovere le sue doti e regala una certa emotività ai brani, peccato non siano stati inclusi i testi nel jewel box. A volte i vocalizzi ricordano Scott Stapp dei Creed e comunque si sente ancora un margine di miglioramento che potrà solamente giovare alla band. "Boogieman" mi ha subito attirato per il titolo e devo dire che l'inizio è buono, un'introduzione epica che richiama il genere sinfonico e poi parte di slancio con un bel riff aggressivo di chitarra. Il brano si evolve e si tinge di tenebre, il tutto rimarcato dal cantato che passa da una timbrica tenebrosa a una più positiva. Ottimo il fraseggio di piano che si intervalla durante il brano. I Secret Symmetry sono alla fine un'ottima band e questo EP mette a fuoco le loro doti, cinque tracce un po' altalenanti per quanto riguarda il mood (le ballad abbassano il livello di tensione dell'ascoltatore e rischiano di annoiare), ma il tutto è confezionato a dovere, come pure l'ottima grafica di copertina che mostra la duplicità della Terra, e innevate montagne che si riflettono su una distesa fitta di grattacieli e cemento. Aspetterò con piace il full length della band e intanto auguro loro buon lavoro perché possono ancora crescere e dare un ventata di freschezza ad un genere che spesso vive di malinconia e passato. (Michele Montanari)

(Ethereal Sound Works - 2015)
Voto: 70