Interviews

mercoledì 14 ottobre 2015

Archaea - Catalyst

#PER CHI AMA: Swedish Death/Thrash
Sia benedetto l'underground, senza di esso infatti mi sarei annoiato da tempo delle solite proposte convenzionali di metal che popolano il music business. Invece, grazie anche ai sempre più potenti mezzi di internet, giorno dopo giorno mi ritrovo a scovare nuove leve che auspico possano presto soppiantare i vecchi dinosauri. Oggi la mia ricerca fa tappa nella rinomata Gothenburg, che in passato ha visto nascere migliaia di band e che oggi dopo 8 anni, dà modo agli Archaea di debuttare con il loro primo album. Formatisi infatti nel 2007, il sestetto scandinavo ha all'attivo un demo cd dello stesso anno, un EP nel 2009 e poi un silenzio assordante durato fino allo scorso agosto quando è uscito appunto 'Catalyst'. Un disco di 10 tracce che vede gli Archaea spararci in faccia una bella dose di death metal melodico, grondante groove da ogni suo poro. La tecnica, come nel 99% dei casi da parte di band nordiche, è sempre ad altissimi livelli e in questo caso, dati i continui cambi di tempo, gli stop'n go, e i brucianti assoli, è a dir poco sopraffina sin dall'opener "Omnicide", che mette subito in risalto la pasta di cui sono fatti questi sei baldi giovani. Direi però che il disco lo si inizia ad apprezzare maggiormente con la seconda "Silhouette", che denota una certa dose in originalità fatta di ritmiche sghembe, ottime partiture tastieristiche che ne combinano davvero di tutti i colori e che forse vanno a rappresentare l'elemento caratterizzante dell'Archaea sound, provare per credere. Gli altri musicisti fanno il loro lavoro, con l'onesto growling di Nils a collocarsi sopra le dirompenti keys di Hannes. Hannes che ci delizia nell'apertura di "Vacuum" con numeri da circo, prima che le due asce, guidate da Magnus e Markus, gli diano manforte con ritmiche spezzate che conferiscono al brano un andamento assai dinamico, anche se minacciosi rallentamenti rischiano di minare la nostra sanità mentale. Difficile trovare un facile termine di paragone per l'act svedese, e decisamente meglio cosi, soprattutto nella quarta "Cryosphere" in cui i nostri si dimenticano di essere una band death metal e si abbandonano ad alcune divagazioni rock progressive, contrappuntate da qualche aggressiva accelerata in un rifferama mai scontato e che anzi cerca continue variazioni a un tema già di per sé mai stabile. Anche con la breve cavalcata di "Pyrochrysalis" i nostri si confermano di non essere certo degli sprovveduti, con il sound che talvolta sembra inseguire l'humppa finlandese (che ritornerà ancora più forte nella successiva "Salt"), strizzando l'occhiolino a Finntroll e Children of Bodom, non dimenticando i dettami del thrash metal "made in U.S." e alla fine suonando comunque tremendamente "Swedish". Se mi avessero chiesto da quale nazione provenissero gli Archaea, probabilmente avrei trovato qualche imbarazzo, proprio per la commistione di stili che confluiscono nel loro caleidoscopico sound. Ma alla fine quel che ho capito è che questi sei svedesi siano dei mattacchioni a cui piace fondamentalmente infarcire i loro brani di tutto quello che è il loro background musicale. E allora non stupitevi se "Quad Damage" è un bel pezzo thrash metal in cui trova spazio una tastiera assai ispirata. Mentre "His Wanted Position" inizia come se si trattasse di una song black sinfonica con un riffing tagliente e il martellamento al basso di Richard e quello alla batteria di Alexander, che confermano quanto detto in precedenza sullo spessore tecnico della band. Comunque alla fine questa traccia sarà quella che più si avvicina al black (anche per lo screaming efferato), ma i nostri si confermeranno cosi bravi a cambiare le carte in tavolo che la traccia racconterà di altri sconfinamenti in territori non autorizzati. Ancora è l'orchestrazione delle keys a tener botta anche in "Helios Ascend" che, come tutti i brani contenuti nel disco, mostra durate inferiori ai 4 minuti, ottimi refrain, qualche buon chorus e altre trovate mirate a rendere più orecchiabile un disco che di per sé non sarebbe cosi facile da essere digerito. A chiudere 'Catalyst' ci pensa l'epico coro di "Sol" che mostra nuovamente l'eclettismo sonoro dei sei vichinghi. Impavidi. (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 75