Interviews

martedì 30 giugno 2015

Avoral - War is Not Over

#FOR FANS OF: Power Metal, Sacred Steel, Dragonhammer, Heimdall
From the always-fertile Power Metal soil in Italy, these newcomers offer a strong debut that any fan of the genre should appreciate. Eschewing the cheesiness so rampant in the genre, instead we get a more harder-hitting punch from a rampaging Traditional Metal spawning ground while still keeping this one firmly rooted in the Power Metal mold with the blazing melodies, furious riffing and power-packed drumming that all flow through the majority of Italy’s Power Metal acts. Utilizing the technically-proficient guitar-work that retains Neoclassical-styled melodies running freely throughout the music here also keeps this properly in the Italian vein, employing a generous symphonic quality to the music that offsets the melodic quality for lively, up-tempo music with quality melodic tones and bouncy rhythms that sounds truly grandiose. While what’s accomplished here is nothing new under the sun and certainly showcases the low-budget production job here with a weak vocal mix that really reduces his power, especially against the guitars, there’s far worse acts out there attempting this style that there’s a lot to like here just for the decidedly retro approach to the material. Intro ‘Ivory Gates’ works a series of strong galloping mid-tempo rhythms into blaring drum-work and dynamic riffing that incorporates plenty of screaming leads, epic marches and varying tempos for a stand-out intro here, while the far-more-dynamic ‘Unwanted Treason’ blazes forth with more technically-challenging sweeping riff-work, plenty of speed and the dynamic double-bass drumming that continues the hallmarks of the genre incredibly well. The power-packed ‘Take the Power’ starts with light, lilting guitar-work before turning into a ravenous barn-burner full of dynamic riffs, tight rhythms and powerful drumming keeps this one storming along nicely and offers plenty to like overall. ‘Ill Rise Again’ switches this out for more of a mid-tempo operatic approach that holds off the rampaging metal in favor of a more direct Trad-Metal approach that works nicely yet doesn’t match the rest of the flowing music on display. The instrumental ‘Dark Caves Melody’ serves as an appropriate breather with the light guitar work, pounding drumming and jaunty rhythms that make for quite an effective stop-gap between the two epics to follow. The first of these, ‘Journey to the Glory’ offers more of that traditional Italian Power Metal style with blazing speed-driven leads, bombastic rhythms, pounding drumming and the kind of energy that remains a part of the importance of the scene, while the title track is pure, simple speed-driven Italian Metal with ravenous riffing, blazing melodies and jaunty rhythms that allow the over-the-top melodies plenty of space to go for the bombastic that gives this one such a strong overall mark. Again, not the most original out there but certainly a lot of fun regardless. (Don Anelli)

(Club Inferno - 2015)
Score: 85

Oktor - Another Dimension Of Pain

#PER CHI AMA: Doom Gothic
Io proprio non riesco a cogliere la decantata “altra dimensione del dolore” in questo primo full-lenght dei polacchi Oktor che giungono a questo risultato dopo dieci anni di attività ed un solo EP a inizio carriera. Il disco si basa su tre corpose tracce principali (“Conscius Somaton Paradise”, “Mental Paralysis” e “Hemiparesis Of The Soul”) a cui vengono affiancati in preludio e coda degli intermezzi strumentali, ove è protagonista un plastico, brillante e fastidioso pianoforte. Nonostante una necessaria competitività della prima delle tre, la proposta è alquanto scontata e presenta alcune parentesi decisamente fuori luogo con la totalità del lavoro, che rendono ancor meno appetibile quel poco fatto validamente. Il cantato in lingua madre è intrigante ma fatica ad esprimersi in modo eccelso a causa di una musicalità discordante che non riesce ad amalgamarsi ad esso. Una gamma di parti frammentate tra loro, impediscono a tutte queste idee miscelate, di condurre da qualche parte questo album della durata di ben cinquantacinque minuti, che si chiude, ironia della sorte, con un brano intitolato “Undone”. Non ci siamo. (Kent)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 50

domenica 28 giugno 2015

Griftegård - The Four Horsemen

#PER CHI AMA: Doom, My Dying Bride
La Ván Records ci delizia con un'altra perla musicale, cosi come ci sta abituando da qualche tempo a questa parte l'etichetta tedesca. Questa volta ci conduce in Svezia per farci meglio conoscere i Griftegård, band attiva dal 2004, ma con un solo Lp nella propria discografia e una manciata di EP e split cd alle spalle. Solo due i pezzi che costituiscono 'The Four Horsemen': la title track, cover song degli Aphrodite's Child, band progressive greca di fine anni '60, in cui militava il mitico Demis Roussos, scomparso proprio quest'anno. E forse "The Four Horsemen" vuole essere un tributo a uno dei bassisti più talentuosi del rock, che si rifaceva nel suo stile, a Paul McCartney e Brian Wilson. La canzone, nel suo oscuro incedere doom, riscopre la poesia psichedelica della band greca, e di quella song di primissimi anni '70, dischiudendo la magia musicale che trasudava dalle note immortali degli Aphrodite's Child. La seconda traccia, "A Beam in the Eye of the Lord", è un puro pezzo doom che potrebbe evocare i My Dying Bride, fatto salvo per la voce pulita di Thomas Sabbathi, che solo in alcuni frangenti, cambia registro e si getta su tonalità più profonde. Il brano è lento e disperato e racchiude l'essenza tipica del genere, galleggiando in un mare di cupa desolazione (e ottime melodie). Peccato che il dischetto duri solamente 16 minuti, mi sarebbe piaciuto approfondire maggiormente il sound dei Griftegård, vorrà dire che mi affiderò a internet per saperne di più di questi nuovi cavalieri dell'apocalisse. (Francesco Scarci)

(Ván Records - 2015)
Voto: 70

Dekadent - Veritas

#PER CHI AMA: Blackened Death Prog, Anaal Nathrakh, Old Man's Child, Devin Townsend
Il panorama metal sta espandendo sempre più i propri confini: il black non arriva più solo dal nord Europa, il doom non è ormai da tempo prerogativa dell'Inghilterra, e lo swedish death ormai potrebbe definirsi semplicemente melodic death metal. Il sound esplosivo di 'Veritas' arriva dalla Slovenia e da una band, i Dekadent, che sono in giro già da un decennio, con quello di oggi che rappresenta il quarto lavoro dell'act di Ljubljana. Musicalmente i nostri sono ben difficili da etichettare, in quanto l'impianto sonoro di 'Veritas' affonda le proprie radici nel metal estremo degli Anaal Nathrakh, ma tuttavia, punti di contatto con il melodic death e una certa vena progressivo/sperimentale del folletto Devin Townsend, è riscontrabile fin dalla opening track, "Of Acceptance & Unchanging", song che mostra una certa maturità a livello di songwriting, ma soprattutto una padronanza invidiabile nella matassa di pezzi furiosi, sprazzi acustici e chorus melodici. L'esito alla fine è davvero convincente, considerando la ragguardevole durata della opening track e i suoi quasi 10 minuti. "Dead Opening" irrompe con una splendida cavalcata stracolma di groove che genera anche un certo trasporto emotivo che tende ad una diffusa malinconia (complice anche il fatto che questa traccia la si ritrova a supporto del film che appare nel bonus dvd), grazie anche alle ariose tastiere, di scuola Townsend, che chiudono il pezzo. Un bombastico riffing stile Old Man's Child è la matrice sonora di "Pasijon", song che si avvicina al black dei norvegesi, arricchendolo di colate di groove e di chitarre death da metà brano in poi, mentre i vocalizzi del bravo Artur si mantengono più orientati al versante growl. Ma il sound dei Dekadent è un fiume in continua evoluzione, non stupitevi quindi se sul finire la traccia si spinga ancora una volta in territori progressivi. Ascoltare un brano del quartetto sloveno si rivelerà infatti come guardare un film con tre tempi, con un susseguirsi di colpi di scena. Con "Nervation's End" si ritorna alle scorribande stile Anaal Nathrakh, e un sound violento e oscuro che lentamente si arricchisce in melodia: la comparsa di una tastiera, un assolo che mi ha fatto rizzare i peli sulle braccia, in una miscela di suoni lenti e oscuri che nel frattempo hanno già dimenticato la veemenza iniziale del brano, che vira addirittura verso versanti onirici, prima di implodere su se stessa in un fragoroso come back death metal. Avete presente i Dimmu Borgir più orchestrali? Ecco come si presenta "Valburga", almeno inizialmente; ovvio che da li a poco, la song proverà a percorrere altre strade, grazie alla mutevole essenza dei suoi musicisti. Death metal e black avanzano a braccetto avvolti in una veste barocca e pomposa, sospinta da una suadente furia grind che trova attimi di riflessione in fraseggi e assoli di natura progressiva. "Beast Beneath the Skin" è un'altra cavalcata senza sosta, in cui il turpiloquio musicale è dettato dal riffing selvaggio dei nostri che in questa song non riesce stranamente a trovar pace. Il finale di 'Veritas' è affidato alle note di "Keeper's Encomium", song velata di una malinconia diffusa che richiama alla grande la follia di Devin Townsend, in un coacervo di suoni doom, death progressive e ambient, per quella che sembra essere la migliore traccia del lavoro. Lavoro che comprende anche un bonus dvd con un cortometraggio di 24 minuti di cui Artur è il regista, e con le musiche dei Dekadent a sugellarne l'essenza decadente. Altri contenuti bonus, tipo i trailer ufficiali della release stessa, ne completano il contenuto. Che altro dire, se non invitare voi tutti ad accostarvi a questo elegante e complesso bel lavoro. Bravi! (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 85

Ophite – Basic Mistakes

#PER CHI AMA: Blues Grunge Rock
Sono giovani e carini, risultano freschi e dinamici, vengono direttamente da Parigi ma sono multietnici e trendy e suonano un pop intelligente pieno di colori e variegate influenze. Il funk, il rock, il britpop e un certo tipo di hip hop, suonato veramente, con attitudine artistica e non esclusivamente commerciale. Ricordano la freschezza dei primi Texas e la verve di Martina Topley-Bird nelle atmosfere cool ed energiche, un soffio di riot girl alla Sleater Kinney, le indimenticabili Elastica e il blues rock spinto dal fascino retrò anni '90 dei The Duke Spirit. Un ingorgo di suoni che ruotano nell'ellisse del sistema solare del pop di buona fattura, ben suonato e ben calibrato, fatto appunto per il semplice piacere di essere ascoltato. Basso e voce danno un supporto eccezionale a tutte le sei tracce del cd ma anche la batteria e le evoluzioni chitarristiche, suonano deliziose con le sonorità che resero grandi i 4 Non Blondes e Alanis Morrissette negli anni '90. Un vero e proprio tuffo nel passato con un'ottica di ristrutturazione moderna ed efficace dai suoni pieni, centrati e filtrati a dovere. Ottimi suoni che vanno d'amore e accordo con le sonorità dei The Roots del capolavoro 'The Seed'. Una band atipica per il mondo odierno ma tutt'altro che scontata, se le venisse data una produzione d'alta classe e una visibilità adeguata, sicuramente ne aumenterebbero le possibilità di riuscita commerciale. Una musica inventata e ragionata per essere apprezzata sotto tutti i punti di vista. Magari non risulteranno del tutto originali ma sicuramente la proposta è molto buona e convincente, con una vocalist di tutto rispetto (ascoltate l'acustica "My Pretty Columbine" per rendervi conto delle sue qualità!) e una composizione talmente gustosa e di qualità da fare invidia a molti, anche nei richiami reggae alla Police di "Phoenician Sailors". Un EP ben riuscito e di gran classe. Questa giovane band ha tutte le carte in regola per crescere a dismisura e questi primi sei brani autoprodotti sono da ascoltare a timpani spiegati! (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 75

venerdì 26 giugno 2015

Kera – Kera

#PER CHI AMA: Death Progressive
La band parigina dei Kera (di cui si sono riuscito a recuperare poche informazioni) si presenta con ottime prospettive in ambito death metal progressivo e melodico, con una potente produzione ed un'esecuzione di qualità superiore alla media, firmata Thanatos Production. Tre brani per un totale di circa venti minuti con un sound che incanala la forza d'urto dei Darkest Hour in un vortice di stili che si sposta dai Misery Index agli immortali Machine Head, passando per i Superjoint Ritual e Soilent Green, per quel pizzico di sludge metal in più. All'interno di questo mini cd si può inoltre trovare un certo classicismo oscuro alla Monstrosity e una buona dose del granitico sound degli High on Fire, cui la voce, in più situazioni, trova più di qualche riferimento. Un grande calderone dove tutto il mescolato ha un unico intento, creare un pesante e strutturato prodotto sulla falsariga dei maestri Mastodon e dei loro concept mastodontici, anche se i Kera calcano la mano e spingono l'acceleratore più sul metal che sull'heavy psichedelico. Tutti i brani sono degni di nota ma forse "Silence", in chiusura del disco, apre alla band nuove soluzioni sonore, verso lidi veramente progressivi, sfoderando un assolo pirotecnico, che occupa circa metà del brano, dotato di un sano retrogusto seventies. Un EP che va preso in seria considerazione anche se la band, che ha tutte le carte in regola per raggiungere vette altissime, deve cercare una sua esatta identità sonora che la possa contraddistinguere da altre inserite nello stesso ambito. Lo stile dei nostri attinge a piene mani dalle opere di tante realtà metal che a tratti rischiano di nuocere all'originalità stessa della proposta. Una band dalle enormi possibilità, per tre brani davvero molto interessanti! (Bob Stoner)

(Thanatos Production - 2015)
Voto: 70

Vlasta Popić - Kvadrat

#PER CHI AMA: Alternative Noise, Shellac, Sonic Youth, The Ex
Nuova vibrante uscita per la Moonlee Records. L’etichetta slovena continua la sua meritoria opera di scoperta e valorizzazione delle migliori rock band dell’area balcanica. Ora è la volta dei croati Vlasta Popić, che giungono con 'Kvadrat' al loro secondo album. Diciamo subito che il disco si pone ai vertici qualitativi dell’intero catalogo della label, assieme a quel 'Dobrodošli Na Okean' degli ottimi serbi Repetitor, risalente ormai a tre anni orsono. Come i “Sonic Youth di Belgrado” anche i Vlasta Popić collocano in maniera prominente il loro suono nell’ambito dell’alternative a stelle e strisce. Oltre alla band di Thurston Moore e Kim Deal, a cui viene spontaneo riferirsi (anche per via delle vocals femminili), i tre rocker di Zagabria sono assimilabili per certi versi agli Shellac, anche se l’impianto ritmico è sempre piuttosto sostenuto, una sorta di ibrido pop-punk dalle forti componenti noise, per cert versi vicino ai grandissimi The Ex. 'Kvadrat' mette in fila nove brani ruvidi ed energici, spigolosi e martellanti, cantati nell’idioma madre, che si dimostra lingua inaspettatamente versatile e adatta al rock. Si viaggia cosí senza un attimo di posa tra i riff granitici e tiratissimi dell’opener “Tržište”, al tiro irresistibile di “Ako Nisam Dobra”, fino alle sfuriate chitarristiche di “O Vodi”, la furia punk di “Slijepa Naša (Mržnja)” e il power pop al rumor bianco di “Maštanje”. Non ci sono cedimenti lungo questi 38 minuti scarsi, non ci sono momenti di stanca o di eccessiva pesantezza. Uno dei dischi che potreste finire per ascoltare di più in questi torridi pomeriggi d'estate. Piacevolissima sorpresa che vorrei tanto vedere alla prova del live. (Mauro Catena)

(Moonlee Records - 2015)
Voto: 75

Misty Morning - GA.GA.R.IN

#PER CHI AMA: Stoner Doom Psichedelico
Torniamo a parlare di band italiane e oggi andiamo a conoscere i Misty Morning, una band romana che vede la sua fondazione nel lontano 1995. Solamente nel 2007 la band concretizza i suoi obiettivi e grazie al consolidarsi della line-up, auto produce il primo album 'Martian Pope'. In seguito iniziano i live che raggiungono anche il nord europa e permette alla band di firmare con l'etichetta Doomanoid Records (UK). Alla band si aggiunge anche il quarto ed ultimo elemento che con le tastiere avrà il compito di dare più ampio respiro ai suoni dei nostri e divenire così una band stoner doom con influenze psichedeliche e prog. Nasce così questo 'GA.GA.R.IN' (Galactic Gateways for Reborn Intellects), un concept album complesso, ricco e dalle buone qualità. Dopo la prima traccia acustica introduttiva che fa molto 'Into the Wild' & Eddie Vedder, si inizia con la traccia che da il titolo all'album. Un pezzo sporco e cattivo, dai riff incalzanti, ritmica martellante e tastiere velocissime che scatenano un'energia incontenibile. Varie influenze serpeggiano tra le note, ma la band ne esce a testa alta con un brano costruito ed eseguito con stile e sapienza. I suoni sono vintage, ma con quelle sfumature "Silicon Valley", meriterebbe un voto superiore pari a 100 perché rappresenta la perfezione in tema di musica ambient elettronica, con suoni pieni ed avvolgenti, ricchi di misticismo spazio-temporale che pulsa all'unisono con l'universo. La traccia sfuma e annuncia "Mourn o’Whales", un inno alla antica specie cetacea che in universo parallelo domina e distrugge, una sorta di culto di Cthulhu rivisitato. Dopo alcuni campionamenti del soave canto del gigantesco orrore dei mari, le chitarre aprono con un riff epico e pregno di riverbero e delay. I suoni post rock accompagnati da batteria e basso, esplodono nel main riff, oscuro e tenebroso, in stile Black Sabbath. Il timbro del vocalist calza a pennello, ruvido e dissacratore che decanta le lodi di una natura marina che domina incontrastata e dove ogni specie ha il suo ruolo ben definito. Lo stesso dicasi degli strumenti e degli arrangiamenti dei Misty Morning, che utilizzano cambi di ritmica, assoli e quant'altro per plasmare gli oltre dieci minuti di canzone. Simpatica la trovata di introdurre una traccia cantata in giapponese, ovvero "Doomzilla" (presente anche nella versione inglese), una cavalcata rock classica che regala un'atmosfera interessante grazie alla lingua orientale, oltre che rappresentare una buona idea per agganciare il mercato giapponese. Direi che 'GA.GA.R.IN' alla fine è un bell'album che avrebbe potuto essere ancora meglio se le tastiere fossero utilizzate in modo attivo nella composizione dei brani. I vari interludi sono avvolgenti, mistici e spaziali, veri trip sensoriali che meriterebbero più spazio, e non solo quello tra un brano e l'altro. I testi sono belli e pregni di atmosfera, non la solita cantilena di frasi messe giù a caso che si infilano senza fatica nelle strofe e ritornelli. Quindi all'interno del disco c'è tutto quello che deve esserci; se la band riuscisse a focalizzare meglio alcune idee, direi che il botto che i nostri possono fare si sentirà non solo a Roma, ma fino nelle profondità oscure e tetre dell'abisso liquido. (Michele Montanari)

(Doomanoid Records - 2014)
Voto: 75

domenica 21 giugno 2015

Chromb! - I & II


#PER CHI AMA: Jazz/Post Rock, John Zorn, Frank Zappa
Avevo già avuto modo di dire come avessi la netta sensazione che la Francia fosse uno dei luoghi più fertili e brulicanti della musica piú interessante, libera e difficile da incasellare, e la scoperta di questo quartetto di Lyon non fa altro che avvalorare la mia tesi. Difficilmente infatti, mi è capitato di trovare negli ultimi tempi tale e tanta vitalità e vivacità quanto in questi due album licenziati dai Chromb!. A partire dagli splendidi artwork (entrambi i lavori si avvalgono delle illustrazioni di Benjamin Flao), è evidente la cura che i Chromb! ripongono nel loro progetto, musica libera e senza schemi, affidata alla creatività di una formazione di stampo quasi jazzistico (basso, batteria, sax e tastiere). 'I' esce nel 2012 e incanta col suo mix di rock, blues e jazz, il tutto molto free-form e innervato di umorismo in dosi massicce. Le sei tracce oscillano tra pulsioni jazz con scansioni drum n’bass dell’opener “Il l’a Fait Avec Sa Seur”, il caos controllato e latineggiante di “Apocalypso”, il blues sofferto e cantato con voci stridule in stile Les Claypool (“Tu Est Ma Pause Dèjeuner"), fino alle sperimentazioni libere di “Maloyeuk”. Il tutto lascia in bocca il gusto inafferrabile e beffardo di certe cose di sua maestà Frank Zappa. La parola normalità non sembra far parte del vocabolario dei quattro, e quindi di normalizzazione non c’è nemmeno l’ombra in 'II' che esce nel 2014 e anzi spinge ancora più a fondo sul pedale dell’imprevedibilità e dell’eclettismo sonoro. Il suono è ancor più curato e le invenzioni dei musicisti più raffinate, in particolare il tastierista Camille Durieux fa un uso più esteso del pianoforte, come nelle parentesi classicheggianti di “Monsieur Costume”. A volte i francesi giocano a spiazzare con architetture non lineari, come nella dance-music dislessica di “Il Dansait La Chance”, o negli accostamenti volutamente azzardati di “A Fond De Chien”, che non potrei definire altro che punk barocco. Difficile poi non restare a bocca aperta di fronte a “La Saulce”, trascinante meticciato tra hard-prog e Beastie Boys. Difficile rimanere indifferenti, anche se a volte il voler seguire forzatamente percorsi non lineari, può far correre il rischio di perdere la strada. Tuttavia la stravaganza musicale dei Chromb! non sembra essere frutto di una scelta deliberata e ostentata, quanto di una necessità di deragliamento dai binari prestabiliti, per attingere in continuazione nuove energie da tutto quello che li circonda, senza vincolo e costrizione alcuna. Stravaganti e vitali, in una parola, eccitanti. (Mauro Catena)

(I - Self - 2012)
Voto: 75

(II - Self - 2014)
Voto: 80

sabato 20 giugno 2015

Ashtar - Ilmasaari

#PER CHI AMA: Black Doom, Sludge
C’è fermento nell’ultimo periodo in Svizzera. Non c’è infatti solo la Hummus Records a regalarci ottimi esempi di sonorità post. Si aggiunge la Czar of Crickets Productions, che già avevamo avuto modo di apprezzare qualche tempo fa con gli Unhold e che oggi, a dimostrazione che non si trattava di un episodio sporadico, ci presentano un misterioso duo di Basilea, gli Ashtar. Formatisi nel 2012 e composto dalla gentil donzella Witch N. (voce, basso, chitarra e violino) e dal feroce (almeno in foto) Marko Lehtinen (voce, chitarra e batteria), i nostri si fanno portavoce di un oscuro black dalle forti sfumature sludge. Sei le cupissime tracce a disposizione del duo elvetico per convincermi(vi) della bontà della loro proposta. Il cd si apre con l’ossessiva amalgama doom di “Des Siècles Qui…”, brano denso e melmoso, come nella migliore tradizione sludge, il cui unico punto di contatto con il black, è rappresentato dalle arcigne vocals dell’affascinante strega e qualche sfuriata a livello ritmico. Non so se “She Was a Witch” voglia ribadire la natura magica della front female svizzera, ma ciò che emerge forte dal brano è la malvagità che trasuda dalle sue nebulose note che ne evidenziano un piglio quasi tribale a livello della batteria e un che di stoner nei riff delle chitarre. Sicuramente pregno di tensione, acuita anche da una certa reiterazione dei suoi angusti suoni, il debut album degli Ashtar si rivela ancor più interessante nella lunga “Celestial”: tredici minuti di avvolgenti e dilatate sonorità mefitiche, che mettono un forte senso di angoscia quando una diabolica chitarra acustica si affianca al muro ritmico su cui si ergono gli striscianti vocalizzi della streghetta Witch N. Ma la traccia ha modo di muoversi ariosa in diversi interludi post rock che trovano ampi spazi in lunghe e fluttuanti fughe strumentali. “Moons” è un altro esempio di stoner doom, dotato di una indiscutibile carica groove che gli consente di prendere le distanze dalle sonorità funeral doom tipiche dell’est Europa o dai classici del passato, My Dying Bride o primi Anathema. Se proprio fossi costretto a darvi qualche punto di riferimento, ecco che opterei piuttosto per gli Esoteric, ma credo che l’influenza sia più che altro dettata dalla presenza dietro la consolle di Greg Chandler. “These Nights Will Shine On” è una traccia più movimentata, in cui compare finalmente anche il grugnito di Marko ad affiancare Witch N. alle voci, in quella che è la song più “nera” di ‘Ilmasaari’, ma in cui emergono prepotenti le qualità e le potenzialità degli Ashtar, nel dipingere un sound buio quanto una notte di novilunio. Il suono mefistofelico di una chitarra acustica e di un magico didjeridoo, spalancano le porte della conclusiva “Collide”, l’ultima tappa di questo viaggio verso le viscere della Terra. (Francesco Scarci)

(Czar of Crickets Productions - 2015)
Voto: 75
 

Vola - Inmazes

#PER CHI AMA: Modern Metal, Meshuggah, Raunchy, Devin Townsend
Se anche nel metal ci fosse il cosiddetto disco dell’estate, i danesi Vola si candiderebbero sicuramente per la vittoria finale. ‘Inmazes’ è un disco incredibile, a cui non manca praticamente nulla, dalla traccia furiosa alla ballad, passando per la semi-ballad e un’altra bella manciata di song stracariche di Groove (per non parlare poi della notevole cover). Collocare stilisticamente il quintetto di Copenaghen non è nemmeno poi un così grande sforzo: immaginate infatti i Meshuggah che suonano Nu Metal, strizzando l’occhiolino a Devin Townsend. Tutto chiaro no? Immergiamoci allora nel sound roboante dei Vola, che aprono le danze con “The Same War” e le sue chitarrone granitiche di matrice “meshugghiana”, con le vocals pulite, qualche urletto “korniano” e una porzione corale davvero notevole. In questi frangenti, le tastiere surclassano la possanza delle 6 corde, passando attraverso una lineare fluidità melodica carica di suoni assai accattivanti. “Stray the Skies” è un altro imperdibile pezzo da potenziale top ten del metal: chitarre sincopate stoppate solamente da un altro magnifico coro e splendidi break di synth, da non perdere assolutamente. “Starburn” ha un inizio che si muove tra il fluido space rock e le tipiche partiture djent dei Born of Osiris. Asger Mygind inizia poi a cantare con la sua notevole timbrica pulita e il ritmo si fa molto più tiepido, anche se qualche growl fa capolino qua e le chitarre, nel loro articolato incedere, mostrano una delicata vena malinconica. “Owls” è una traccia un pochino più schizofrenica a livello ritmico: certo che quando Asger canta, tutto si ferma e viene catalizzato sulle sue caratteristiche corde vocali, che in talune circostanze, riescono addirittura ad evocare i Depeche Mode degli anni ’80! Ma “Owls” è una semi-ballad che vi farà venire la pelle d’oca solo ascoltandone la sua mite linea melodica, dotata com’è di una certa inclinazione onirica che la rende la mia song preferita insieme alla opening track e alla già citata "Stray the Skies". Con “Your Mind is a Helpless Dreamer” si torna ai crushing riff di scuola svedese su cui si instillano le tastiere di Martin Werner e successivamente le vocals di Asger, che in questa song arriva anche a ruggire ferocemente. Il ritmo comunque è sempre oscillante e la musica dei Vola si muova tra fasi brutali di poliritmia tonante, sublimi sprazzi di metal moderno ed intermezzi elettronici (quasi nintendocore!). “Emily” (la ballad che mancava) potrebbe stare bene su ‘Mezzanine’ dei Massive Attack cosi come su ‘Dummy’ dei Portishead o in uno qualsiasi dei dischi degli Archive, per la sua sognante veste elettronica. “Gutter Moon” unisce ancora in modo superbo l’elettronica al metal, grazie alla sempre più convincente performance vocale dei nostri che si candidano con questo album a sfidare i grandi del metal, e piazzarsi nella mia personale top ten del 2015. “A Stare Without Eyes” evidenzia ancora una volta la dicotomica faccia dei nostri, abili a muoversi musicalmente in un inedito ibrido Korn-Meshuggah. Il richiamo ai gods svedesi si fa più preponderante nell’incipit di “Feed the Creatures”, anche se da lì a breve, i Vola intraprenderanno la propria personale strada a cavallo tra elettronica e rock progressive, nell’ennesima cavalcata ricca di groove che annovera tra le influenze dei nostri anche i loro conterranei Raunchy. A chiudere ‘Inmazes’, l’ipnotica e malinconica title track che arriva a citare anche i The Contortionist, il tutto a certificare l’assoluto valore di questo combo danese, da tenere sotto traccia fino alla fine dei vostri giorni. (Francesco Scarci) 
 
(Self - 2015)
Voto: 90

https://www.facebook.com/vola

venerdì 19 giugno 2015

Cosmic Letdown – Venera

#PER CHI AMA: Psych Rock
Dopo un EP e un singolo, ecco finalmente arrivare l’esordio sulla lunga distanza per questo combo russo, dedito alla psichedelia più lisergica e “viaggiante”. Perfetto come colonna sonora per un trip a base di psilocibina, 'Venera' mette in fila 10 brani per circa 47 minuti al termine dei quali sarete imbevuti di acido fino alla punta dei capelli. La psichedelia messa in scena dai Cosmic Letdown non è quella addomesticata e abbeverata al fiume del pop dei Tame Impala, ma pesca a piene mani da quanto fatto anni orsono dagli Spaceman 3 di Jason Pierce o piú di recente dai Black Angels, quindi un rock basato su mantra ricorsivi, riff semplici e ipnotici, gorghi chitarristici, organi chiesastici e ritmiche ossessive, nella miglior tradizione psych. Il tutto, però cantato nella lingua madre, a dare un ulteriore tocco straniante ed allucinatorio (provate ad ascoltare queste nenie sommerse dai watt cantate in russo e poi mi saprete dire). Sarà forse la suggestione data dal luogo di provenienza, forse una certa solennità nell’incedere di brani come “Mary” e “Moonlight”, ma a me hanno ricordato in qualche passaggio i C.S.I del capolavoro 'Ko de Mondo', per la capacità della chitarra di trascinare l’ascoltatore in un luogo al di fuori del tempo e dello spazio. Lavoro ben realizzato e ben prodotto, 'Venera' avvolge fin dal primo momento con le sue spire che intrappolano facilmente chi ascolta. Il problema, forse, può risiedere in una certa ripetitività, peraltro insita in questo tipo di musica, che potrebbe risultare alla lunga un tantino monocorde. Difficile, per questo motivo, citare pezzi che si staglino al di sopra degli altri. Oltre ai già citati, menzionerei le maestose “Jesus” e “Venera-6” e la sognante “Up in the Sky”. Non mi resta che invitarvi a togliere le scarpe, mettervi comodi, spegnere le luci e prendere il volo premendo il tasto “play”. Viaggioni. (Mauro Catena)

(Opium Eyes Records - 2015)
Voto: 70

giovedì 18 giugno 2015

Deer Blood - Devolution

#FOR FANS OF Thrash Groove, Overkill
Heralding in the debut full-length from this self-described 'groove/thrash metal' band is one minute of clean, bluesy guitar licks. Unexpected, but certainly appropriate for the atmosphere this album is about to set in stone. Looking for exploratory, progressive thrash a la Heathen? Nope. Looking for speed-obsessed toxic thrash metal in the vein of Nuclear Assault or Carnivore? Sorry! What the listener is treated to here is a modern version of the oft-maligned mid-90s groove/thrash hybrid. Familiar with Overkill's 1993 opus "I Hear Black"? Well Deer Blood's 'Devolution' bears a strong similarity. For the most part, this bodes well and the album can really rollick along! However, there are a few bumps along the road... The first obstacle standing between this album and 100% enjoyability is the production job. 'Devolution' isn't raw in the pleasing, early-80s Megadeth kind of way. Its mix is just incredibly uneven. The drums are far too tinny and quiet, the guitar possesses too much treble, the bass is non-existent, and Alexandre Bourret's unimpressive voice is FAR too loud! Alright, so thrash metal vocals aren't supposed to be up to Fabio Lione standard, but there are many points where a pseudo-tough narration simply won't do. Either employ some attitude-filled barks like Tom Araya, or back off and let the riffs take charge. The riffs are where the band really shine. Not only are they memorable, but some of them are truly unique and are formed using scales and keys not often found within this sub-genre. The opening riff to "Trapped Inside" is notable for this characteristic. Sure, there's a lot of blues-scale raping, but they're played with so much gusto and enthusiasm that songs like the title-track become an absolute triumph. As well as proving his credentials as a competent riff-crafter, guitarist Julien Doucin isn't afraid to simplify when necessary, in order to enhance the rhythmic power (see the 1:57 mark in "Born Strong, Live Young, Die Hard, Born Again"). As a whole, the album is structured interestingly, with two lengthy thrash epics bookending the endeavour. These two tracks ("Bushmaster" and "Scared to the Bone"respectively) unfortunately don't shine anywhere near as much as the rest. The band's songwriting talent proves itself when the tracks are more structurally compact and concise. The occasional gang-shouts are indeed welcome, and remind me even more of Overkill's mid-90s phase. Whilst the artwork and imagery is nothing to celebrate, the band name is admittedly brilliant - and I hope they continue under this moniker. In a nutshell, what we have here is a pleasing fusion of Sanctity and mid-90s Overkill. As a whole, the vocals let down an otherwise fascinating, enjoyable and headbang-able first release. I look forward to a slightly bigger budget in the future - allowing for a cleaner production quality, more structural concision, and a vocalist who doesn't sound like an angry 14-year-old who lost his favourite Star Wars poster. (Larry Best)

(Self - 2015)
Score: 65

lunedì 15 giugno 2015

Sinfulness - Sentenced to Life

#PER CHI AMA: Progressive Deathcore
Deve essere quello di una vera mitragliatrice il suono assassino che apre l'album dei belgi Sinfulness, una delle nuove promettenti leve del roster Kreative Klan. Pochissime le informazioni trovate sul web, questo a testimoniare ahimè la scarsa rilevanza data ai nostri dagli addetti ai lavori, un vero peccato. I Sinfulness sono un quintetto di Liegi, (credo) al debutto con questo 'Sentenced to Life', e con un sound all'insegna di un roboante deathcore progressivo. Undici i brani con cui il five-piece ci prende a mazzate: della opening track, "Borderline" abbiamo già detto, una scarica di martellate furenti di batteria su una schizofrenica linea ritmica a richiamarmi tanto i nostrani Infernal Poetry quanto qualche band metalcore d'oltreoceano. Quello che sorprende è la capacità innata dei nostri di cambiare tempi, umori e ritmi in modo a dir poco vertiginoso, assemblando un concentrato di cattiveria e melodia davvero originale. Di pari passo va anche la voce di Vin, che si dimena tra urla metalcore, qualche growl e clean vocals. "Inner Struggle" è una traccia ipnotica che viaggia sul binario ritmico caro ai Meshuggah, trovando modo di stupire l'ascoltatore anche con un break elettronico totalmente inaspettato e una porzione corale altrettanto inusuale. "Apathy" parte in crescendo, con la ritmica che dopo poco divampa impazzita come un treno deragliato. Non temete, le sfuriate durano pochi attimi, una manciata di secondi, in cui i nostri saranno in grado di stupirvi con tutto e il suo contrario, in una girandola musicale fuori controllo. I Sinfulness sanno certamente come tenerci incollati ad ascoltare il loro vibrante sound, con costanti variazioni al tema portante, sia a livello musicale che vocale. Il fatto poi che le tracce siano di breve durata aiuta a digerire il tutto molto più velocemente, ma soprattutto ad apprezzare maggiormente i contenuti dell'album. Uno splendido intermezzo acustico di basso e ci troviamo dinnanzi al riffing di "Misophonia" e a un gruppo che vuole fare dell'imprevedibilità il suo vessillo. Le melodie sono davvero buone, cosi come altrettanto buona è la multisfaccettata performance del vocalist dietro al microfono. Forse la produzione è un po' troppo glaciale, avrei reso il tutto molto più caldo e pieno. Ancora un intermezzo noise e sbatto il muso contro l'imponente muro di "Conformity", contraddistinto da una ritmica ipertecnica che non lascia scampo. Il disco scorre via velocissimo e le ultime tracce appaiono un po' più sottotono rispetto alla pirotecnica verve che caratterizzava le prime song. A chiudere 'Sentenced to Life' ci pensa la nevrotica "Ubiquitous Imperfection", la traccia verosimilmente più deathcore del disco anche se nella sua parte centrale, collidono influenze di scuola progressive (Cynic) con il dinamitardo incedere metalcore. Notevoli! (Francesco Scarci)

(Kreative Klan - 2014)
Voto: 75

domenica 14 giugno 2015

Eltharia - Innocent

#PER CHI AMA: Power/Progressive, Symphony X
Arriva da Grenoble, Francia, questo quintetto di musicisti che da alle stampe il loro secondo album (il primo risale addirittura al 2004), dal titolo 'Innocent'. Dediti ad un rodatissimo mix di generi “classici”, gli Eltharia ci propongono un power/prog metal che ricalca gli standard del genere, come insegnano i maestri Symphony X su tutti. Degli statunitensi possiamo ritrovare infatti la padronanza tecnica, una gran voce, le melodie, ma forse un po' meno di potenza. 'Innocent' infatti rimane piuttosto delicato, con un buon tiro, assolutamente di classe; i cinque transalpini hanno optato durante la registrazione del disco, per l'uso della drums machine, che conferisce a tutto l'insieme quel senso di freddezza che ne penalizza ahimé il risultato finale. Piuttosto, avrei scelto un session man, ma la drum machine proprio no. Nonostante questo difetto, il disco nel complesso regge bene i suoi 56 minuti di durata, snodandosi agilmente tra 11 tracce che hanno il pregio di non annoiare mai, ma anzi di appassionare col passare degli ascolti grazie ad uno scorrere leggero, non troppo impegnativo, che cresce col tempo e finisce per valorizzare un songwriting alla fine, davvero degno di nota. Sui gusti del gruppo, in tema di artwork, avrei invece qualcosa da ridire: la copertina, a mio parere è immonda, e con il logo, poco comprensibile, devono essere assolutamente rivisti. Passando invece alle cose positive, i brani che vanno segnalati ci sono, eccome: l'opener “Third World War”, la catchy title track, la bella tosta “Faster Than the Reaper” e “Black Hole”, riescono a costruire un quadro completo di quello che il gruppo ha da proporre. In complesso, 'Innocent' è un buon lavoro, ben scritto e ben suonato, da parte di un gruppo sicuramente da tenere in considerazione e seguire, anche sulla loro pagina Facebook che sembra ben curata e aggiornata. Carissimi Eltharia, comunque bravi, ma alla prossima uscita vi aspetto curioso e fiducioso...mi raccomando, una bella copertina questa volta!!! (Claudio Catena) 

(Self - 2014) 
Voto: 75 

Loro sono gli Eltharia e si ripropongono, dopo diversi cambi di formazione (dal 2001 ad oggi), con questa seconda uscita (uscita ormai sul finire del 2014), dopo l’esordio discografico datato 2004. La veste in cui ci si presentano con questo 'Innocent', è sicuramente quella di una tecnica compositiva ed esecutiva migliorata nel tempo e consolidata con l’esperienza. Non si può certo dire che ci venga proposto qualcosa di innovativo rispetto a quelli che sono gli standard ormai assodati, anzi il sound consolidato della band richiama subito alla mente capisaldi storici, come i Kamelot. Pulizia sonora e vocale, eccezion fatta per la nona track, "Black Hole", dove compare qualche sprazzo growl ed un appesantimento generale del suono; tastiere (fin troppo) ridondanti condiscono il tutto, ma senza forzare gli schemi. A questo proposito va invece riconosciuta la pregevole interpretazione del drummer-fondatore Benjamin Nicolino, che propone una buona alternanza di tempi e fill di batteria diversificati, che ogni tanto sfociano in stacchi quasi prog, con "Sweet Madness" che si erge su tutti i brani. Altro aspetto che si può notare è l’affronto di tematiche più umane, “attuali”, abbandonando le leggende di antichi regni e spettri, protagonisti nelle liriche del precedente album, di stampo più epic e astratto. Niente da dire infine sulla produzione autonoma, eseguita in modo più che soddisfacente. La band transalpina dunque, seppur debba ancora lavorare molto, mostra con questa prova una notevole dose di entusiasmo: ci sono delle buone premesse per fare meglio in futuro! (Emanuele "Norum" Marchesoni) 

Voto: 65

sabato 13 giugno 2015

Blackwülf - Mind Traveler

#PER CHI AMA: Stoner/Doom/Heavy
I Blackwülf sono una formazione californiana nata nel 2012 e distribuita dalla nascente Wicker Man Recordings. Il quartetto debutta con questo 'Mind Traveler', ove il quartetto vi ha concentrato le loro influenze heavy metal old school, stoner e doom, il tutto sapientemente condito da una valanga di potenza e melodia. Un sound che richiama le band di trenta-quarantanni fa, ma si piazza a pennello in una fase della musica dove il ritorno del vinile va a braccetto con le sonorità che hanno fatto storia. Il cd è un semplice, ma sempre convincente jewel case, caratterizzato però da una grafica di livello superiore, visto che dietro ci sta un tipo chiamato Alan Forbes (tanto per dire, tra i suoi clienti ci sono i QOTSA, Misfits, etc.), anche se forse qualche foto in più e i testi ne avrebbero aumentato il desiderio di acquisto, ma se venduto al giusto prezzo, lo reputo un ottimo affare. Le otto tracce di 'Mind Traveler' sono di ottima fattura, ben arrangiate e difficilmente da credere per questo genere, mai banali. "Speed Queen" apre l'album e lo fa come per un live, un'intro strumentale con feedback ed affini che si trasforma dopo poco nel tema principale del brano. Ritmo pacato, riff leggero di chitarra e poi la canzone decolla, rimanendo sui 100 bpm e puntando tutto sull'impatto dei suoni. Gli arrangiamenti sono classici come lo stoppato di chitarra che accompagnato a dovere, crea un bel tappeto ritmico. Poi la band ritorna al fraseggio iniziale per chiudere in bellezza. "Royal Pine" è un trip dei sensi basato sulle melodie sapientemente orchestrate dai musicisti. Come ci si aspetta nel rock, le chitarre guidano il brano a suon di riff cadenzati e sporchi di distorsioni, con qualche effetto qua e la, ma la melodia rimane sempre la protagonista. La batteria e il basso hanno i suoni giusti degli album che hanno fatto la storia del rock, tessendo in modo ineccepibile le loro trame senza venire oppressi dalle chitarre. Il vocalist sfoggia un bel timbro, maturo e squillante con quella sfumatura ruvida che aiuta a interpretare al meglio il mood dei testi. Il break a tre quarti del brano permette alla band di staccarsi dalla prima parte e aggiungere la necessaria cattiveria per trasformare il brano da psichedelia ad hard rock. Tutto cresce (tranne la velocità) di intensità, si sovrappongono più linee di chitarre con l'aggiunta del classico assolo finale. Purtroppo (oppure no) la traccia finisce quando poteva ricominciare, questo perchè davanti alla scelta se fare un brano da sei minuti o più oppure chiudere in bellezza, i Blackwülf hanno optato per la seconda. Una buona band che cavalca l'onda del momento, che sa comunque tirare fuori belle canzoni che denotano impegno e sudore per non risultare mai scontate. Oltre alle influenze citate prima, il mix di stili diversi, dato dal diverso background dei musicisti è degno di nota. Da ascoltare e valutare. (Michele Montanari)

Harmorage - Psychico Corrosif

#FOR FANS OF: Heavy Metal
Having never heard these Frenchmen's debut full-length - perhaps I am not at liberty to make comparisons. But one thing I can be certain of, is that the production MUST have been better than this! On my third spin through their sophomore release 'Psychico Corrosif'; all that seems to have sunken in is that I can't hear the drums at all, the guitars are far too mellow and safe, the bass has a sound weird enough to make D.D. Verni blush, and the vocals...well, we'll get to them later. That being accepted, Harmorage are a low-budget, underground heavy metal band - so I'll disregard mixing issues in favour of some quality songwriting prowess...which also seems to be severely lacking. Oh deary me indeed. I would struggle to label this European quartet as 'heavy metal' at all. Far from the icons such as Raven or Saxon who helped shape the genre - Harmorage are akin more to a garage rock band trying their first hand at original material after spending 5 years playing Judas Priest covers. No song has any discernible structure to keep things memorable, but neither does any song have any progressive development to push it to the other extreme. Each track is just, sort of, there. Daniel Chalon's voice really doesn't lend any favours to the sound! There is no catchy melodic vocal line, no gritty punk-esque bark, nor any deep death-like growls. Just a mildly disgruntled Frenchman rambling into a microphone with his best 'tough-guy' attitude, and completely indecipherable lyrics (and my French is pretty good!). At his best, he completely drains the energy out of sections that might have held some potential, such as the chorus in "Scarifié". But at his worst, he sounds utterly hilarious and totally misplaced (see the pre-chorus in "Mon Anarchie"). It's obvious the band tried to inject some atmosphere into this mess with some ambient introductions, such as on "Reveillons Nous!" - but they simply seem like awkward genre mash-ups and, as a result, fall flat. Some of the playing is downright lazy. The drumming on faster tracks like "Je Condamne et J'accuse" is inexcusable by metal standards; and the main riff on "Droit Et Fier" is SO dull in its attempt to be pseudo-thrash, it's embarrassing. Even Merciless Death could do better. These lapses are a great shame, considering how awesome some of the guitar solos can be. Seriously, when he tries, Nicholas Chalon really shreds! Despite some fun gang-shouting sections and the occasional blazing guitar solo - these French wannabes simply aren't worth your time. 'Psychico Corrosif' is messy, unmemorable, and leaves no lasting impact. You're better off baking some funny-shaped bread and occupying your time with its warm, fluffy goodness. I guess I should now apologize for the awful French stereotypes. (Larry Best)

(Self - 2015)
Score: 40

https://www.facebook.com/harmorage

venerdì 12 giugno 2015

StarGazer - A Merging of the Boundless

#FOR FANS OF: Avantgarde Black/Death Metal
One of Australia’s finest extreme metal acts, these Avantgarde Black/Death metallers’ third album is another utterly bizarre and darkened blast that really gets a lot to like here. From a solid framework of Black and Death Metal up-front with the swirling tremolo-picked patterns, tight rhythms and generally dark growls throughout, while the influx of experimental passages, ambient sections with light guitar patterns and off-kilter arrangements display far more of an avant-garde edge to the music without moving it into the progressive realm. The results of this is traditional-sounding Blackened Death Metal with experimental noodling breaking up many of those arrangements with soft arrangements that are just so agonizingly slow that there’s quite often large sections of the album that go by without much interest. While it’s impressive enough to be able to play that kind of complex, challenging work the fact that they’re more traditionally-arranged material was quite fun when it opted for unique arrangements within the normal rhythms would’ve made for a more cohesively-enthralling experience instead of what happens here. As the songs themselves aren’t much of a problem, it’s really the biggest issue plaguing this one. Opener ‘Black Gammon’ sticks more to blazing tremolo riffing and blasting drum-work that effectively maintains a traditional Black Metal atmosphere before incorporating a series of obscure drum-patterns into the clanking final half rhythms for a dynamic and impressive opening effort. ‘Old Tea’ begins to fully explore the Avant-Garde nature even more with clanging bass-lines, stuttering rhythms and odd time signatures offset by the extreme notes with the unusual instrumentation furthering the experimental nature of this, while ‘An Earth Rides Its Endless Carousel’ continues that notion with light lilting guitar-work, plenty of atmospheric passages and a light-hearted approach to traditional metal riffing throughout that makes it a touch more experimental with the more traditional arrangements carry this through the final half. This is momentarily halted as the title track continues utilizing the more traditional patterns with plenty of avant-garde drumming on display while the ravenous riffing is much more of a Black Metal base blasting away with a fury here for the album’s best overall offering. The massive epic ‘The Grand Equalizer’ brings things back into the avant-garde realm with a series of overall off-beat riff-patterns and clattering drumming while offering a series of rather impressive guitar leads swirling throughout the sea of avant-garde passages and off-bent riffs, and as the length doesn’t help this one out much by letting it just drag out endlessly for ages here it really does come off as the weakest track here. Thankfully, both ‘Ride the Everglade of Reogniroro’ and ‘Incense and Aeolian Chaos’ offer impressive Black Metal tremolo rhythms alongside frantic blasting drumming sweeping through the extreme rhythms which makes for some of the more impressive works here as they tend to sweep aside the experimental offerings for traditional, straight-forward mixtures of Black and Death Metal with unique arrangement patterns that could’ve been continued nicely throughout the whole of the album here. These really make a fine lasting impression here, though it’s really more the experimental meandering that really hurts this one overall. (Don Anelli)

(Nuclear War Now! Productions - 2014)
Score: 75

giovedì 11 giugno 2015

Profundae Libidines – El Viaje Definitivo

#PER CHI AMA: Heavy Psichedelia, Black metal sperimentale
Parlare di puro black metal oggi è sempre più difficile, considerando quanto si sia espanso ed evoluto questo genere negli ultimi anni. Ci sono band che ne rispecchiano attitudine e intenti pur oltrepassandone i confini classici, coniando nuove soluzioni e intrecciando i più disparati suoni con la fiamma nera delle origini; quello che era chiuso e impenetrabile, ora non lo è più e grazie alla fantasia di certi artisti underground, il black dei nostri giorni si mostra sempre più magico ed imprevedibile. Profundae Libidines è una one man band francese al secondo full lenght prodotto dalla Les Acteurs de L'Ombre Productions, che rispecchia in tutto e per tutto quella tipologia di artisti che rifiutano i canoni preimpostati e tutti coloro che possono limitarne il raggio di azione. Transitati da un primo album dai risvolti teatrali ma ancor legato al tipico sound black, la band capitanata da Philoxera si ripresenta al pubblico con un nuovo album dall'artwork splendido e allucinogeno (l'interno potrebbe ben figurare tra le grafiche degli Ozric Tentacles e quelle dei Voivod), come del resto i suoni psichedelici che caratterizzano l'intero lavoro. 'El Viaje Definitivo' è diviso in due parti con testi in lingua francese, giapponese e messicana (che intuisco dai testi del coloratissimo cd); i brani sono ispirati dalla cultura sciamanica e si presentano come uno stupendo ibrido tra metal estremo e psichedelia acida. Provate ad immaginare Mick Farren and the Deviants tornati dai primi anni settanta cosparsi di LSD e con un salto nel futuro si fossero reincarnati ed immolati nel tentativo di suonare come i migliori Satyricon, con una velata adorazione per il gothic rock dei primi magnifici Christian Death. Il tutto risulta malato, ossessivo, lisergico... semplicemente magico! Un'atmosfera surreale che spiazza l'ascoltatore fin dal primo brano. La violenta irruenza del black metal si lascia avvolgere in un alone di malinconica psichedelia, formando cavalcate potenti ed ipnotiche, atipiche e assai coinvolgenti che nascondono una intima ricerca personale occulta, carica di immagini esoteriche, distorte e dilatate, altamente intossicate in un vortice delirante di nera lisergia. La teatralità espressiva dei Peste Noir incontra la follia acida dei primi Vanilla Fudge per donarci uno spettrale ed balzano viaggio allucinogeno. Prelibatezze per cultori dell'avanguardia estrema e della psichedelia più dura, da evitare per i puristi del black metal old school. Un'opera unica, un suono coinvolgente, una profonda libidine... Un album tutto da scoprire! (Bob Stoner)

(LADLO Productions - 2015)
Voto: 80

lunedì 8 giugno 2015

Naïve - Altra

#PER CHI AMA: Post Rock/Progressive/Alternative, Demians, 
Marzo 2015: accade che ancora una volta in Francia, nuove leve crescano e mietano vittime. La brezza fresca questa volta arriva da Tolosa e risponde al nome di Naïve, un trio per cui sono già state spese ottime parole, una musica che si muove tra il metal, il progressive, l'elettronica e addirittura il trip-hop. Sette i brani a disposizione per dire chi sono questi ragazzi giunti al loro terzo Lp, mostrare le proprie qualità, emozionare e sapere di esserci riusciti, e ora avere anche la consapevolezza di aver trovato almeno un nuovo fan nel sottoscritto. 'Altra' è il titolo della nuova release, "Elevate/Levitate" il nome della lunga opening track: una musicalità lineare, semplice, che si insinua nella testa, un riffing vivace, un clima malinconico, un vocalist, Jouch, ricco di talento, grazie alla sua voce calda e sensuale, che da sola regge l'intelaiatura di tutto il disco. Brividi affiorano sulla mia pelle per le melodie toccanti che risvegliano ricordi lontani, quelli del debut dei conterranei Damiens. Un riffing di natura djent apre "Yshbel", poi non appena il vocalist si impadronisce della scena, ecco un fluire liquido di effetti vari in sottofondo, che rendono il tutto più accessibile a larghe masse, dall'hard rocker al deathster più open mind. La malinconia che risiede nelle note delle chitarre e nella voce di Jouch, è il filo conduttore dell'album, un lavoro quasi perfetto che ha un solo evidente difetto (sarà poi vero?), riscontrabile fin dalle prime due tracce, la lunghezza. Sbrodolano un po' troppo i nostri, rischiando in questo modo di stancare sul lungo termine; con un sound cosi accessibile sarebbe infatti stato meglio svilupparlo nella metà del tempo. Fatto sta che le canzoni continuano a prendermi: anche la terza track, "Mother Russia", affida la sua ritmica a tenui basi elettroniche che contribuiscono a dare quel pizzico di post rock alla release che non guasta mai. Ma ancora una volta, più di ogni altra cosa, anche se le atmosfere vi garantisco siano davvero splendide, è la magnetica voce del frontman transalpino (tra l'altro anche autore della bellissima cover) a conquistarmi, a dare quel quid in più per rendere 'Altra' una release davvero speciale. "Monument Size" è un brano molto più aggressivo, sorretto da una ritmica agguerrita, che vede nel drummer Mox un altro punto di forza dei nostri. Nello stretto giro di un paio di minuti però, l'epica cavalcata dei nostri si trasforma in un tribale e multicolore flusso trip-hop di scuola Massive Attack/Portishead, che eleva i Naïve ad altissimi livelli di originalità e li spinge in alto nella mia personale top ten di questo primo semestre 2015. "Surge" esplode con arroganza nel mio lettore, con un riffing sincopato che nuovamente richiama le poliritmie "meshugghiane", ma il sound dei Naïve è cosi mutevole che nel giro di pochi istanti cambia radicalmente l'atmosfera e l'elettronica, in combinazione con alternative e post rock, ci consegnano un pezzo splendido, che mi fa rimangiare quanto scritto in precedenza sulla eccessiva lunghezza dei pezzi. Ben vengano infatti le lunghe divagazioni dell'ensemble francese: ascoltare un loro brano è come leggere un libro thriller che regala costanti emozioni, che tiene col fiato sospeso e concede imprevisti colpi di scena. Colpi di scena come quelli di cui potei godere lo scorso anno con un altro splendido album di scuola francese, i Lost Ubikyst in Apeiron e per cui c'è un sottile filo conduttore che accomuna le due band. "Waves Will Come" nel frattempo ha ancora da offrire molto dell'essenza dei Naïve: una traccia in cui il vocalist sembra addirittura Sting, mentre la ritmica si muove gentilmente tra elettronica, metal progressivo e alternative rock, muovendo scomodissimi paragoni con Anathema, Porcupine Tree, Tool, Tesseract, Meshuggah e Gojira. L'ultima traccia è proprio la title track, in cui un violino fa la sua comparsa integrandosi alla perfezione negli oltre dodici minuti di musicalità da brividi, in una song che segna l'epilogo per un disco a cui tutti voi dovete dare necessariamente una chance, senza esitazione alcuna. (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 90

domenica 7 giugno 2015

Shakhtyor - Tunguska

#PER CHI AMA: Post Sludge/Stoner
Tunguska esercita, a più di un secolo di distanza, ancora un fascino esagerato. Non si sa cosa accadde realmente quella mattina del 30 giugno 1908, forse un grande meteorite, oppure una cometa, addirittura c'è chi ipotizza un blocco di antimateria proveniente dallo spazio, fatto sta che una vasta area della Siberia centrale fu rasa al suolo. Oggi, dopo essere stata menzionata da altre band, si torna a narrare in musica, la storia di quell'evento catastrofico. A farlo sono i tedeschi Shakhtyor, che con 'Tunkuska' arrivano al secondo album, edito dalla Cyclone Empire. Il nuovo disco del trio di Amburgo contiene sei lunghi brani strumentali che si muovono tra lo stoner/post metal della opening track, "Baryon", approdando nelle tracce successive, a divagazioni drone/post rock inserite nella melma più totale dello sludge. Tuttavia 'Tunkuska' si rivela un disco ostico e complesso: nella prima song accanto a chitarre dapprima stoner, suoni drammatici si dilatano in una claustrofobica rassegna che spazia tra il doom e lo sludge, andando a costituire la colonna sonora di quelle terribili fotografie che ritraggono la steppa siberiana spazzata via dall'urto di un qualcosa che aveva la potenza di mille bombe atomiche di Hiroshima. Il sonoro dell'act germanico è comunque oscuro, dilaniante, e la seconda metà di "Baryon" ha anche un che di funereo. Con "Pechblende" i nostri ci trascinano in abissi profondi che fungono in realtà solo da preludio alla successiva e lunghissima "Zerfall". Oltre 10 minuti in cui gli Shakthyor offuscano la nostra mente: l'inizio è criptico, la sensazione è quella di percorrere uno stretto e metallico condotto dell'aria, con una carenza d'ossigeno al limite dell'estremo e con l'ansia che si stringe in gola, mentre il tribale suono della batteria aumenta a rotta di collo, inseguita dalla minimalista chitarra di Chris e dal basso tonante di Chrischan. Il suono sembra farsi più ruvido man mano che passa il tempo, sembra essere sul punto di esplodere ma poc'altro succede se non una danza reiterata che ha la sola ambizione di alimentare paure e frustrazioni. Finalmente la furia distruttiva che si andava celando nella terza traccia, fuoriesce più selvaggia che mai nel turbinio ritmico di "Schlagwetter", song in cui emerge il temperamento post black della band teutonica. È comunque una canzone che ha il pregio di non peccare di immobilismo sonoro, proiettata com'è in una serie di divagazioni musicali che deviano più volte il sound degli Shakhtyor, proiettandolo nuovamente verso il post rock o il desolante sludge. Desolante è la parola che torna nella title track per descrivere la percezione che si respira durante il suo ascolto. È come se realmente mi trovassi nella landa siberiana e guardandomi intorno a 360°, l'unica cosa che vedo è solo uno spoglio orizzonte e null'altro, niente alberi, niente case, niente persone o cose, niente di niente. Neppure un deserto è cosi nudo all'occhio umano. Questa è "Tunkuska", queste le emozioni evocate dalla sua mortale litania. Giungo alla conclusiva "Solaris" sfibrato, privato di forze ed energie, causa il suono estenuante degli Shakhtyor e complice anche la totale strumentalità di un lavoro che rende il tutto più difficile da digerire. L'ultima traccia è comunque la più dinamica, la più lineare e melodica da seguire, quasi che il futuro riservi comunque un bagliore di speranza... (Francesco Scarci)

(Cyclone Empire - 2015)
Voto: 75 

Ølten - Mode

#PER CHI AMA: Instrumental/Sludge/Post-metal, Cult Of Luna, The Melvins
Per inquadrare il sound degli Ølten, non si può che procedere per associazioni: immaginate i Red Fang o i vecchi Mastodon alle prese con un album strumentale; pensate ai Cult of Luna strafatti di erba che splittano con i SunnO))); immaginate i Pelican che suonano i Karma to Burn al rallentatore con la strumentazione dei The Melvins. Le sonorità sono quelle tipiche dello sludge (non mi stupirei se il batterista, in cameretta, avesse il poster di Dale Crover alle pareti: sentite il drumming di “Ogna”), finalizzate però a un post-metal strumentale sporco e oscuro, inquietante, lento e ossessivo. Il trio svizzero è al secondo disco, e la loro maturità è facile da percepire proprio nelle scelte essenziali di songwriting: un timing minimal concentrato sul 4/4 (con l’eccezione dell’ipnotica “Mamü”), su cui le chitarre e il basso costruiscono architetture di grande atmosfera, con la complicità delle pesanti distorsioni e dell’accordatura bassissima. Il vecchio trucco del post-qualunque-cosa – momenti pieni e veloci alternati a cali di tensione – è usato con parsimonia, il che non può che essere un pregio. Al contrario, gli Ølten prediligono i crescendo, gli arpeggi dissonanti e l’ossessività del riff. Non mancano episodi più orientati al doom costruiti su un basso dal suono quasi elettronico (“Güdel”), o momenti più drone-metal come nell’opening “Bözberg”. Interessante la doppia versione della lunga “Gloom”: come brano strumentale e come unico brano cantato, con l’inserto dell’ospite Tomas Lilijedahl, che urla come un dannato sui muri sonori degli Ølten. “Gloom” è in effetti il vero capolavoro dell’album, con i suoi 10 minuti di incedere apocalittico, colonna sonora perfetta per un mostro tentacolare che emerge dai più oscuri abissi sottomarini per divorare il mondo. Un disco ben fatto e ben prodotto nella sua ruvidezza sludge che però – ed è un dato di fatto – non dice nulla che non sia già stato detto da altri. Un lavoro che, pur dimostrando pienamente la personalità della band e pur essendo più che piacevole da ascoltare, resta pur sempre non così originale. (Stefano Torregrossa)

(Hummus Records - 2015)
Voto: 65

https://www.facebook.com/oltenband

Omnia Malis Est - Viteliú

#FOR FANS OF: Black Metal, Vreid, Infernal Angels, Leviathan
Managing to make it to their debut effort after years of inactivity, this Italian Black Metal solo project offers an overall impressive effort that really makes it a wonder why it took so long to get released. The main selling point here is the epic arrangements within this that still maintain a fiery melodic quality from the dynamic tremolo-picked riffing on display which allows for a series of high-speed efforts that really tend to wrap themselves into long stretches of majestic keyboards, blazing drum-work and those fiery tremolo rhythms that maintain a stylistic edge throughout here. The tracks are up-tempo and blast-heavy while also managing to incorporate enough melody to really appear quite appealing throughout here with this one really going overboard on the melodic lines running throughout here. The most surprisingly thing about all this melody running throughout the material is that it never hinders the Black Metal framework present, making the music all the more enjoyable with some really ferocious anthems on display, as well as plenty of energy and enthusiasm during the majority of the tracks here which is all the more surprising considering this is all done with one person. However, it’s not going to deny how good this is as there’s a lot to like here. The title track begins this nicely with a calming guitar intro against lapping waves before coming into stylish melodic riffing droning on into blasting high-speed drumming and fiery tremolo-picked rhythms firing throughout rampaging rhythms and plenty of sonic firepower for an utterly impressive start to this. Following this, ‘Al di delle Forche’ blasts through with charging riff-work and pounding drumming which features a much more obvious intent on melodic rhythms and frenzied tremolo-picked patterns that barrel throughout the second half here for an even more impressive effort. ‘A Diana’ tends to offer up much more chaos-riddled patterns up-front with discordant blasting drumming and frantic tremolo-picked patterns that most drop away for a series of long, droning guitar passages that just drag on a lot longer than it really should as the length here really works against this one. ‘Primavera Sacra’ makes up for this minor misstep with a blazing return to chaotic drumming, fiery tremolo-picked and blazing speed whipping through frantic energetic patterns that are simply dripping with melodic lines in the second half, managing to be one of the album’s highlights quite easily while setting up ‘Ner Tefúrúm’ as a mid-album breather bleeding through the sounds of a sword-clashing battle with light, melancholic riffing that feels a natural extension from the previous track. The blazing ‘Battaglia di Porta Collina’ is yet another hyper-speed melody-driven effort with plenty of fiery rhythms and dynamic drumming that doesn’t lose the speed throughout here despite again dropping off for more melodic firepower in the later half which makes this another strong highlight offering. ‘Sabella Carmina’ is a much better attempt at doing the epic-length track as this one doesn’t really lose much of the pounding energy and furious riff-work charging along the majestic ambient keyboards alongside the furious tempos on display as this really whips up the speed through some impressive riffing on display for one more solid, impressive track. Lastly, ‘Disfatta’ tends to just go for the jugular here as the furious riff-work and lack of melody dominate the charging patterns on display and really showcase the instruments firing off splendidly in one stand-out series of riffs after another while offering that blistering drumming, dynamic tremolo patterns and slight doses of melodic touches for an overall grand ending to this one ending on such a high. Let’s just hope it doesn’t take this long to get a second one, as this one was quite enjoyable. (Don Anelli)

(Hidden Marly Production - 2015)
Score: 85

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