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lunedì 2 febbraio 2015

Beyond the Dust - Khepri

#PER CHI AMA: Prog/Metalcore, Mathcore, Periphery, Tesseract, Dream Theater
Capiamoci subito: essere originali in questo genere è davvero dura. Se urli su lenti poliritmi ossessivi ricordi i Meshuggah; se fai pezzi iperveloci sembri i The Dillinger Escape Plan; se ci metti la melodia fai il verso ai Periphery o ai Dream Theater dei tempi migliori; se aggiungi un po’ di atmosfere sintetiche ecco i Tesseract. In mezzo a questi ipotetici estremi, trovano il loro habitat naturale i Beyond the Dust, quattro parigini al primo full lenght dopo un EP datato 2011. Chiamarlo habitat naturale forse è riduttivo: i Beyond the Dust, in questo crogiolo di tecnica e songwriting estremo, ci sguazzano proprio. C’è proprio tutto quello che serve: ci sono i riff granitici con leggero tono orientaleggiante su tempi tagliati e sincopati (“After the Light” o la splendida “Zero”); ci sono le inquietanti intro di voci campionate, effetti e batteria elettronica (“Rise”); c’è un’attenzione maniacale alla melodia, anche e soprattutto dove non te l’aspetti (“Clarity”: sei minuti e mezzo di puro capolavoro, sempre in tensione tra melodia catchy e riffing spietato, con aperture improvvise e cavalcate brutali, interamente giocata su intelligentissimi fraseggi di chitarre a diverse ottava di distanza). 'Khepri' si chiude con una lunga suite divisa in tre parti (in realtà, sembrano più tre canzoni diverse con il solo titolo in comune): “The Edge of Earth and Sea”, delle durata totale di oltre 20 minuti, che rappresenta la summa totale della visione dei Beyond the Dust. Ci sono arpeggi acustici che ricordano Dream Theater e Opeth, potenti cavalcate metalcore, abbondanti tastiere, assoli stile Petrucci e poliritmi in palm-mute stile Meshuggah. La voce, in piena tradizione metalcore, alterna scream e cantato – non potentissimo, ammettiamolo, ma sempre intonato e raramente banale – permettendo un’ampia varietà all’interno del lavoro. Il songwriting non è certo estremo come altri grandi del genere: c’è parecchio 4/4, intendiamoci. Poliritmi, cambi di tempo e terzine sono spesso nascosti dentro passaggi inaspettati o brevi interludi strumentali (sentite “Silence and Sorrow”, con le sue strofe solo apparentemente regolari e i bridge destabilizzanti): ma stanno bene così, sono dosati con perizia e rendono l’ascolto dell’intero disco un piacere per le orecchie più che una sfida per il cervello. Uno dei lavori migliori dell’ultimo anno. (Stefano Torregrossa)

(Dooweet Records - 2014)
Voto: 85