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martedì 13 gennaio 2015

Release The Long Ships - Wilderness

#PER CHI AMA: Post Rock/Shoegaze Strumentale
Dall'Ungheria ecco arrivare il progetto Release The Long Ships, misteriosa one man band dedita a un post rock strumentale. Il disco si apre con “Mist Pillars”. Song magnetica, ingorda di attenzione. Abusa di chitarre che distorcono le melodie, facendole diventare ballerine ubriache dalle ritmicità distoniche. L’intercalare sussurrato, è solo una proiezione anterograda all’epilogo metal. “Snow”: per chi non è mai stato in Giappone, si tolga i vestiti e indossi un chimono e sandali di legno, preparandosi ad inchini beffardi d’innanzi a tocchi sonori che presto sconvolgono le atmosfere che profumano di pesco, per diventare belve inferocite, il cui pasto sono solo timpani vergini a tortuosità impreviste. Sotto al chimono, spero abbiate tenuto i vostri abiti dark che odorano di borchie e di pelle nera. Vi faranno sentire a casa. “So Murmured the Wide Seas”. Seguo questa traccia che è senza inizio e senza fine. Nessuno può trovare questa via, a meno che, non se ne voglia scoprire la mappa, tra rovine oceaniche e maledizioni così ben descritte dal fondale offuscato che dipana rumori, poi suoni, poi velleità, sino a tracciare con le ultime sonorità un manto che oltraggia il senso e l’equilibrio. Questo brano termina scostante, così come è iniziato. Trovarne il senso, sarebbe renderlo contro natura. Lo abbandono. “Aether” è estasi metallica, oscillante. I suoni divengono cavi d’acciaio vibrante, il sottofondo mescola un reiterare ritmicamente orientale. L’uscita di scena dei suoni è prematura, nostalgica. Viene da allungare le braccia per trattenere il più a lungo possibile questa essenza in musica. “I Am the Sun”. Non posso che ammansire le palpebre. Chiudere gli occhi. Cercare la provenienza dei suoni. Inutile. Le sonorità sono talmente eclettiche, da creare una dimensione sonora multipla, per poi, scemare. D’improvviso gongola la musica. Per un attimo ancora, romanza su se stessa la musica. Poi il gongolio e il romanticismo si fondono in destreggi metallari che ne salvano l’anima dark senza nessuna pietà per i pregressi. Colpi inflitti e mortali annientano ogni intenzione aliena dal metal. “The Heart of Mountain”. Questo brano è un baccanale di note che sembra calare come nebbia densa su terra arata. Scava la musica. Rimangono in superficie i pensieri. Si fondono i pensieri alla terra, come un ossimoro improbabile, che sublima come foschia in un cimitero di anime erranti. Chiude “I Have Never Seen the Light”. La premessa è di un requiem metallico, sospinto da eclissi sonore sospiranti. Respiri corti. Suspance come suoni. Attese contratte e poi destate da rivoli animosi mascherati in suoni suadenti. Contrazioni. Gorgheggi strumentali. Mescolanze afrodisiache. Nulla ora mi impedisce di perdermi e vorrei che il brano non finisse. Il compendio è silenzioso. I brani sono strumentali e troppo brevi. Bellissimi. Fossi in voi li aggiungerei nella playlist del Black Friday. (Silvia Comencini)

(Self - 2014)
Voto: 80