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domenica 14 settembre 2014

Sergeant Thunderhoof – Zigurat

#PER CHI AMA: Stoner, Doom, Space Rock, Monster Magnet
Lo ammetto, dopo il primo ascolto avevo pesantemente sottovalutato questo disco, che mi era sembrato piatto e inultilmente prolisso. Se ne avessi scritto all’epoca, agli atti sarebbero rimasto le prove della mia clamorosa cantonata, perchè questo 'Zigurat' è un lavoro davvero magnifico. I Sergeant Thunderhoof sono un quartetto inglese di Bath che arriva all’esordio discografico (autoprodotto) con quello che loro stessi definiscono un EP, anche se dura circa 40 minuti, il cui nome è preso dalle piramidi tipiche della civiltà babilonese, che simboleggiavano la montagna sacra. Ed ecco quindi che 'Zigurat' è in effetti una piramide che getta le sue basi sulla roccia solidissima, per poi slanciarsi verso l’alto e svettare oltre le nubi, puntando lo spazio profondo. Quello che ai quattro riesce benissimo, infatti, è il connubio tra la sostanza magmatica dei loro riff di matrice stoner e doom, con la leggerezza psichedelica che riesce a sospingerli verso l’alto, quasi in assenza di gravità. Quello che abbiamo tra le mani è quindi un favoloso ibrido tra Sabbath, Moster Magnet, Black Label Society, caratterizzato però da fortissime propensioni space che lo elevano facilmente rispetto alla massa di produzioni solo apparentemente simili. Tutto è al posto giusto: un cantante come ce ne sono pochi, chitarre potentissime e raffinate allo stesso tempo, una sezione ritmica semplicemente devastante, il tutto valorizzato da una produzione e un suono impeccabile, tenendo conto del fatto che ci troviamo di fronte ad un lavoro autoprodotto. Ogni cosa è curata nel dettaglio anche nell’ottimo artwork del digipack, che contiene anche i testi, ricchi di riferimenti lisergici e psichedelici. La prima traccia, "Devil Whore", è forse la meno convincente del lotto, perché pur essendo estremamente godibile e potente, è anche quella in cui l’effetto deja-vu è più forte, ricalcando maggiormente i modelli di cui sopra. Subito dopo arriva, però, l’apice del disco: "Pity for the Sun" che inizia dilatata e liquida per poi esplodere in tutta la sua potenza con riff monumentali e ha la forza, dopo otto minuti senza cedimenti, di accelerare ancora verso il centro della terra. Indimenticabile. "Om Asato Ma Sadgamaya" è il brano piú breve, che stempera bene la tensione con le sue chitarre effettate e l’atmosfera molto 70’s, prima dei due lunghi trip conclusivi: "Lunar Worship" si erge maestosa e sorprende con le sue rarefazioni improvvise, mentre "After Burner" cresce piano sorretta da magnifiche chitarre e una voce sempre piú protagonista, per poi esplodere nel climax finale fatto di colate laviche e grida strozzate. Per concludere, quindi, un esordio spettacolare, che potrebbe aver sancito la nascita di una nuova stella. Ci auguriamo tutti che sia cosí. (Mauro Catena)

(Self - 2014)
Voto: 80