Interviews

domenica 10 agosto 2014

Icosa - The Skies Are Ours

#PER CHI AMA: Djent Progressive, Tesseract, Meshuggah, Tool
Se due su tre membri della band hanno chitarre a 7 e 8 corde, voi a che genere pensate? Facile no, al djent. Ecco quindi già vagamente (ed erroneamente) circoscritto l'ambito in cui si muovono i notevoli Icosa, ensemble proveniente da Londra. Amanti di Meshuggah e dei primi Tesseract fatevi avanti, avrete di che ingozzarvi con le cervellotiche linee di chitarra del duo formato da Tom Tattersall e Stacey Douglas, con il primo anche vocalist e con Jack Ashley a completare l'esplosivo terzetto, dietro una farneticante batteria. "Ermangulatr" si presenta timida, ma a poco a poco cresce, fino a che non salgono in cattedra i chitarroni ultra tecnici delle due asce e le vocals urlate del bravo Tom. La song innalza splendidi muri di suoni arzigogolati ma sempre assai melodici che si alternano a paurosi stop'n go e a belle sfuriate death, senza tralasciare ipnotiche ambientazioni e fughe math, in una sorta di connubio tra i Tesseract più incazzati e i più meditativi Between the Buried and Me, il tutto improvvisato come nella migliore jam session. I territori esplorati con la successiva title track - part 1 - ci conducono in mondi ancor più bizzarri, in cui forse risiedono i The Mars Volta, il folletto Devin Townsend ma anche qualche deathster incallito. La voce di Tom si dirige verso toni più malati, mentre le ritmiche degli Icosa si spingono verso un suono ancor più stravagante, dotato di ritmiche sghembe dall'effetto asfissiante, che si muovono impazzite dalla cuffia destra a quella sinistra e viceversa. La psicosi degli Icosa mi entra nel cervello e con la title track - part 2 - i nostri non fanno altro che darmi il colpo di grazia con uno schizoide sound baritonale, che partendo dai più classici Meshuggah e Tool, trova modo di sfogarsi in divagazioni rock settantiane (King Crimson), merito anche del vocalist che va in cerca di vocalizzi meno estremi e più "cantabili". Con "Trepidation" gli Icosa chiudono egregiamente il loro EP, 'The Skies Are Ours', divertendosi con sonorità inizialmente mid-tempo, ma che cedono ben presto il passo ad un sound evoluto, iperbolico e totalmente imprevedibile, che ha modo di palesare a 360° tutti i pregi dell'act londinese, dall'eccezionale tecnica e padronanza strumentale, al favoloso gusto per le melodie e alla grande capacità di coniugare insieme queste incredibili doti. Per il momento, la mia votazione si limita a un 80, ma per il semplice motivo che ho potuto godere solamente di 22 minuti di musica; inoltre, meglio partire sempre dal basso se si vogliono raggiungere vette stellari. (Francesco Scarci)

(Self - 2014) 
Voto: 80