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mercoledì 2 ottobre 2013

Shepherds of Cassini - Shepherds of Cassini

#PER CHI AMA: Post Metal, Progressive, Psichedelia
Non so se ci sia qualche attinenza spaziale col nome della band di quest'oggi, ma la sonda Cassini è stata la prima navicella ad essere entrata nell'orbita di Saturno; tutto ciò accadeva nel 2004. Oggi a distanza di quasi un decennio, mi ritrovo a recensire un ensemble proveniente dalla Nuova Zelanda, fautore di un post-metal dalle tinte space-progressive, che richiama proprio il nome di quella sonda. Per prima cosa, vorrei ringraziare la disponibilità dell'act di Auckland, perché dopo aver preso contatti con uno dei membri, qualche giorno più tardi mi sono trovato il loro cd nella cassetta postale, quindi non oso immaginare quanto i nostri abbiamo speso per spedirmelo. Un paio di componenti della band saranno poi in Italia a dicembre, quindi potrebbe essere una buona occasione per incontrarli, vedremo. Veniamo però alla musica, perché le sette tracce contenute in questo lunghissimo lavoro sono davvero interessanti. Dopo la consueta intro, ecco aprire il roboante fragore delle chitarre di “Eyelid”: una bella plettrata accompagnata dal pizzicare del basso e dal picchiare dei tamburi e via. Fin qui tutto normale, ma in pochi secondi tutto muta. La 6-corde prende a girare su ritmi dal sapore mediorientale, il ritmo si fa mutevole, qualche cambio di tempo qua e là, ma percepisco che nelle note dei nostri regna l'inquietudine. Il sound strumentale si fa nervoso, fino a quando prende il sopravvento la componente decisamente space rock dei nostri, regalandomi attimi di intricata musicalità, psichedelia e rumori, nonché oscuri giri di chitarra post progressive, definizione appena coniata dal sottoscritto. Notturni, inquietanti e ipnotici, la presenza di uno spettrale violino enfatizza tutti gli umori che i nostri vogliono trasmettere; io gli Shepherds of Cassini li adoro già. Qualcosa manca però, una voce, indispensabile per il sottoscritto per apprezzare appieno un lavoro. Il quartetto cambia ancora ritmo in questa infinita cavalcata di quasi 20 minuti in cui ora a miscelarsi sono stoner, post, heavy metal luciferino e doom. Cosi tanto frastornato da questi suoni, mi lancio ancora più incuriosito all'ascolto delle due parti di “Asomatous Pendula”, ove fa finalmente la sua comparsa la bella voce di Brendan Zwaan. Perfetto; il lavoro ora è completo e io non posso far altro che godere appieno della passionalità struggente sprigionata da questa release, dai suoi suoni, dalle calde e suadenti atmosfere che spingono questo debut in cima alle mie preferenze di quest'ultimo periodo. Splendidi passaggi ambient, che vengono rincorsi da altalenanti, frastagliate e rarefatte ritmiche, in cui riesco ad individuare e a configurare nella mia mente ogni singola nota di ogni strumento. Rapito nella mia emotività da una cosi completa e articolata proposta musicale, in cui ad emergere sono tutti gli strumenti, mi lascio deliziare i sensi dal funambolico violino di Felix Lun (ricordate i Ne Obliviscaris? Qui trova ben più spazio la nobiltà della sua musica). Il riffing si conferma nervoso ma assai peculiare nella seconda parte della traccia, con stop and go da urlo, cambi di tempo e ambientazione. D'altro canto si sa, la Nuova Zelanda è un po' il paese delle 4 stagioni in un sol giorno e il quartetto della capitale neozelandese mette abilmente in scena tutta l'ingovernabilità e imprevedibilità delle stagioni: le intemperie dell'inverno si sfogano nei passaggi ritmici più tirati, l'armonia e la musicalità della primavera nella follia del mio amato violino. Il passionale caldo dell'estate emerge forte nel calore della voce di Brendan (scuola Porcupine Tree) e nel brillante lavoro di Omar dietro alle pelli e di Vitesh al basso. Il nostro viaggio galattico passa attraverso le carte spaziali della cupa e un po' “tooliana” “The Silent Cartographer”, song introversa dalle tinte pacate che sfocia nella conclusiva “Nefarious”, song la cui ritmica è decisamente post metal, ma che si evolverà in suoni robotici e assurdi nell'arco dei suoi dodici minuti, con le vocals che assumono un aura cibernetica e le melodiche linee di chitarra che si spingono verso lidi di alienante delirio. Che altro dire di questo primo lavoro degli incredibili Shepherds of Cassini, se non incitare anche voi a salire a bordo dell'astronave e inoltrarvi nel lontano spazio infinito. (Francesco Scarci)