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venerdì 13 settembre 2013

Light Bearer - Silver Tongue

#PER CHI AMA: Sonorità Post-
Difficile scrivere qualcosa che già non sia stato detto o scritto sui Light Bearer, ma d'altro canto con questi ragazzi va da sempre cosi, il rischio di scrivere banalità è dietro l'angolo, pertanto mi limiterò a raccontarvi le sensazioni tratte dall'ascolto di “Silver Tongue” e niente di più. Partiamo col dire a chi malauguratamente non li conoscesse, che i nostri si formano dalle ceneri dei Fall of Efrafa, mitica band inglese di post metal, per volere di Alex Cf, il vocalist, reclutando qua e là ottimi musicisti della scena. Un ottimo primo album, un EP, uno split e ora questo “Silver Tongue” che conferma l'eccellente stato di forma di Alex e soci che, con questo disco, prosegue il discorso iniziato con il precedente “Lapsus”. La solita prolissità in termini di durata si conferma anche qui, con l'apertura affidata ai 17 minuti di “Beautiful is this Burden” di cui un terzo è speso in scenari ambient, mentre il rimanente continua ad offrire la consueta centrifuga corrosiva fatta di suoni post (hardcore/sludge/metal) che da sempre la band concede. Altamente complesso il concept lirico alla base di questo lavoro, nato nel primo cd e che attraverso quest'album ci accompagnerà fino al quarto disco (e poi un nuovo scioglimento? Chissà...): vi basti sapere che le tematiche affrontano (accusandole) religione e politica, citando dalla “Bibbia” al “Paradiso Perduto” di Milton, passando attraverso la “Divina Commedia” di Dante. L'odio riversato verso la religione si propaga anche a livello musicale offrendo pezzi che uniscono suoni al vetriolo con una fluida emotività colma di una lacerante malinconia, che solo l'abilità strumentale dei nostri è in grado di donare. Rozzi, sfrontati, incazzati, i Light Bearer ci sparano in faccia il loro concentrato di cattiveria e desolazione su cui imperversa la voce growl del bravo Alex. L'ondulante muro sonoro che il sestetto britannico innalza ha dell'invalicabile e continua a mettere mattone su mattone anche nella seconda più breve “Amalgam”, in cui cenni di Cult of Luna emergono nelle sue note. Mai ritmi esasperati per carità, i Light Bearer sono maestri nello spingerci lentamente sul bordo del precipizio, farci camminare li dove esiste il flebile confine tra vita e morte. Una voce pulita apre “Matriarch” e qui, non me ne vogliano i nostri, un cenno ai The Ocean è percepibile nel giro di chitarra-basso-batteria-archi, ma niente di grave: la song è notturna, mette una certa rassicurante serenità addosso, grazie soprattutto ad uno eccellente epilogo. “Clarus” è il classico ponte che unisce la prima alla seconda parte del disco. Segue l'avvincente arroganza di “Aggressor and Usurper” e i suoi 16 minuti di martellante ferocia che poco spazio concedono alla melodia, se non nell'unico atmosferico break centrale che mi concede un attimo di respiro. Poi ecco sopraggiungere un'infernale scarica di pura violenza in cui a mettersi in luce, oltre alle caustiche vocals, vi è l'esemplare prova del batterista, Joseph Towns, a dir poco mostruosa. A chiudere il disco ecco la title track, venti minuti scarsi di tiepide aperture post rock venate da tutto quello che oggi i Light Bearer sono: sludge, hardcore, post-qualcosa, alternative e progressive, fondamentalmente dei geni incompresi. Gli insegnamenti dei Neurosis, dei Tool e dei Explosions in the Sky, confluiscono tutti insieme in questa song, raggiungendo la sua summa in un break vocale sorretto da un triste violino. Che altro dire, se non acquistare a scatola chiusa questo gioiellino. Mordaci! (Francesco Scarci)