Interviews

giovedì 17 marzo 2011

The Battalion - Head Up High


“The Battalion”... li scopro solo con questo loro secondo album: mi pento di non averli incontrati prima. Faccio il bravo, recupero la loro precedente fatica “The Stronghold of Men”, me lo sparo e quindi ripasso al loro ultimo “figlio”. Lo reputo all’altezza, se non migliore del precedente. Un po’ di biografia, giusto per capire un po’ meglio la mia sensazione al primo ascolto. La band si forma a Bergen, nell'estate del 2006, da musicisti di esperienza provenienti da alcuni dei gruppi leggendari della Norvegia: band come Old Funeral, Grimfist, Taake, Borknagar e St. Satan. Ora, se non li avete mai sentiti, secondo me, sarà il caso di informarsi. Chi ne avesse già dimestichezza, probabilmente, si starà facendo, come mi ero fatto io, una certa idea del disco: avete pensato ad un album black o death metal? Anch’io! Ci siamo sbagliati. Già, perché questo ensemble spariglia le carte e ci propone qualcosa di diverso. Un prodotto thrash metal, con fortissime influenze dei Motörhead; da qui la mia sorpresa. Stud Bronson (chitarra e voce), Lust Kilman (chitarra), Colt Kane (basso) e Morden (batteria) ci sbattono subito in faccia “Mind the Step”, una canzone thrash tiratissima. Ecco quello che sentirete per tutto il resto del platter. Undici tracce potenti, veloci, suonate molto bene, spietate nel loro incedere, nel loro ritmo e purtroppo maledettamente uguali tra di loro. Ma è un ciddì che non lascia per nulla indifferenti: trascinante, che nella rabbia mescolata alla tecnica, ha il suo punto di forza. Nulla da dire sulla bravura del quartetto. Chitarre, batteria, basso: tutto notevolmente ben fatto. Troverete anche assoli di chitarra niente male (né troppo lunghi, né troppo corti) e batteria a mille, che mi ha deliziato non poco. Mi lascia tuttavia un po’ perplesso la voce del cantante, troppo monocorde sia come stile sia nella varietà di soluzioni. Ottima infine la produzione: tutto si sente come si dovrebbe. Vi consiglio di soffermarvi maggiormente su “When Death Becomes Dangerous” e su “Bring Out Your Dead”, secondo me le migliori, per via di un certo loro carattere più aggressivo che non si ritrova nelle altre. Dicevo che ritengo le song molto simili ed è questa, alle mie orecchie, la pecca più grave. Però, se in altri casi è fonte di noia, in questo non lo è più di tanto. Le track sono brevi e la loro forte carica fa volare via liscio il disco. Bravi. Sarei molto curioso di vederli dal vivo, ma per ora preparo la crema contro gli strappi al collo, mi risparo “Head Up High” e mi lancio nell’headbanger più sfrenato! (Alberto Merlotti)

(Dark Essence Records)
Voto:80